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Lunedi, 29 aprile 2024 - Santa Caterina da Siena ( Letture di oggi)

CAPO XIX. CONDIZIONI ESTERNE E MODO DI VIVERE DI ANNA CATERINA DOPO L'ESAME GIURIDICO. PERSONE CHE LA CIRCONDAVANO, L'ABATE LAMBERT, IL P. LIMBERG E LA SORELLA GELTRUDE

Vita della Beata Anna Caterina Emmerick - Libro primo

CAPO XIX. CONDIZIONI ESTERNE E MODO DI VIVERE DI ANNA CATERINA DOPO L'ESAME GIURIDICO. PERSONE CHE LA CIRCONDAVANO, L'ABATE LAMBERT, IL P. LIMBERG E LA SORELLA GELTRUDE
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1. A meglio e più profondamente ponderare ed apprezzare l'ultimo periodo della vita di Anna Caterina, è d'uopo prima di tutto considerare più da vicino le sue relazioni esterne, quali erano state stabilite dalla medesima, dopo la chiusura finale dell'esame giuridico-ecclesiastico. Senza di ciò non ci verrebbe dato di bene comprendere una vita, nella quale anche il benchè minimo.

avvenimento sembra essere stato addotto da Dio, siccome circostanza della più alta significazione. Come nella direzione della Chiesa intera per opera della divina Provvidenza non vi ha cosa che possa chiamarsi caso o accidente, giacchè alcuni avvenimenti minimi ed insignificanti appariscon così soltanto ai deboli occhi dell'uomo, non essendo egli in istato di scorgere ad un tempo nell'effetto la causa; così pure tutta la importanza e significazione delle singole circostanze della vita di Anna Caterina e di altre si mili elette sta riposta nelle loro relazioni e proporzionata corrispondenza a quella missione, che loro venne affidata da Dio. Perciò avviene che anche le più piccole fra coteste relazioni riescono di gravissimo peso ed importanza, quantunque il nostro sguardo, che aggiunge solo la esterna apparenza, possa trovarle o chiamarle insignificanti. Comuni e giornaliere relazioni erano quelle, fra le quali esistendo Anna Caterina doveva raggiungere la santità della vita e compiere la sua missione.

Essa era chiamata ad agire in pro della Chiesa, o a sollievo delle miserie e delle calamità dei cristiani del suo tempo; e quindi la di lei vita esterna niun altro sviluppo poteva prendere e niun altro corso seguire fuor quello che agli occhi di Dio meglio corrispondesse all'adempimento di cotesta missione. Quindi la di lei situazione non era già effetto di sua libera scelta, ma piuttosto della sua fedele sommissione alla divina direzione, e quindi inesauribile sorgente di virtù e di meriti. Gli individui poi che stavano con lei in istretto contatto, o che avevano influenza sulla di lei vita, non eran già da lei stati cercati o trascelti, ma piuttosto penetravan nel suo circolo per disposizioni affatto poste fuori della previdenza e del calcolo umano.

Ciò che a bella prima esige la nostra attenzione si è l'influsso che quelle sue Stimate, omai riconosciute per soprannaturali e di carattere divino dall'esame ecclesiastico, avevano sopra l'ordine intero del viver suo. Fino a che avea vissuto in convento, le era riuscito di nascondere alla curiosità delle sospettose consorelle le effusioni sanguigne cagionate dalla Corona di spine; poichè non era nelle vedute di Dio di prendere fin d'allora il mondo contemporaneo a testimonio delle sue misteriossime vie. Quindi è che il Signore anche negli ultimi anni le aveva bensì concesso i dolori, non già per altro gli esterni e visibili segni delle Stimate; cotesti dolori erano però tali che soltanto un'umiltà come la sua, senza pure avere un presentimento del loro più alto significato, poteva sopportarli siccome qualunque altro patimento corporeo, quantunque fossero così incessanti e terribili che senza una straordinaria immediata cooperazione della potenza di Dio, niun mortale avrebbe potuto sopportarli nemmeno per un momento. Il di lei corpo poi per opera di quei dolori aveva preso talmente la natura della vite che esso, al pari dei tralci vitiferi intorno al palo, incominciò a vegetare e crescere in forma di Croce. Se ella sedeva o giaceva sul letto, tosto i suoi calcagni involontariamente s'incrociavano l'uno sull'altro al pari dei piedi di un'immagine del Crocifisso; dimodochè quando in tempi posteriori veniva dal confessore improvvisamente chiamata dall'estasi nella vita naturale affatto desta, ella nel risvegliarsi suoleva così pregare con la più grande semplicità: « Ah! non posso. Scioglietemi, sono inchiodata! » poichè mentre voleva ubbidire alla chiamata, non poteva sì presto come lo avrebbe voluto riprendere la posizione di persona che si desta o si alza. Anche nella superficie interna ed esterna delle mani ella sentivasi trafitta, mentre poi ambidue i diti medii quasi morti e pietrificati apparivan fuori della loro posizion naturale e come compressi sugli altri, in modo tale che essa avea dovuto imparare di nuovo a servirsi a costo di ineffabili dolori. Ma tostochè uscendo dalla solitudine della cella trovossi sospinta in un mondo tanto a lei estraneo, ecco che subito apparvero i segni esterni. Non avrebbe essa forse la povera ed inferma monachella con ragione dovuto sperare che l ' espulsione dal chiostro ed il suo ritorno in quel mondo, cui con sì grave stento aveva potuto sottrarsi, sarebbero pur finalmente l'estremo punto della via dolorosa da lei percorsa? E chi mai d'allora in poi si occuperebbe di lei? chi verrebbe a sturbare nella miseria e totale abbandono lei, che null'altro più desiderava del patire tranquilla e nascosa in pro degli altri? E non è forse assai grave l'essere privata dell'abitazione della casa di Dio, unico conforto che la terra potesse ancora accordarle? Ma no! ella appunto allora trovavasi al principio di una vita, dinanzi all'austerità e grandezza della quale spariva intieramente e veniva meno quanto aveva sino allora sopportato.

2. L'unico desiderio terreno che muovesse ancora il di lei cuore al momento dell'espulsione dal monistero, era quello di poter prestare i servigi di una serva fedele a quel degnissimo sacerdote ( e ciò finch'egli avesse vissuto ), il quale essendosi mostrato il più grande tra i suoi benefattori e l'unico sostegno umano da lei fino allora trovato, era seco rimasto nel convento di Agnetemberg fino a che insieme ad un'altra ella avesse potuto occupare una miserabile abitazione in casa della vedova Roters. Essa onorava nel vecchio ed infermiccio prete non soltanto l'amico ed il protettore spirituale, ma ancor più il pio confessore tanto fermo nella fede, che per fedeltà serbata alla sua Chiesa doveva sopportare la povertà e l'esilio. A niun altro avea potuto aver ricorso, a niun altro svelare la propria miseria fuorchè all'abate Lambert, quando ella trovavasi essere divenuta l'oggetto della esasperazione universale e di cento molteplici giornaliere offese, in quella comunità religiosa da lei sì caramente amata. Quand'egli sul primo albeggiare scendeva nella sagrestia a far la preparazione della santa Messa, ella tosto gli partecipava le visioni e gli avvisi nella precedente notte a lei concessi da Dio circa le pene a lei imminenti in quel giorno; si raccomandava alle sue preci e riceveva da lui parole di esortazione e di conforto; doni spirituali pei quali essa gli era infinitamente grata. E di fatto cotesto era il più alto benefizio che ella potesse ricevere da un mortale, anzi un conforto che l'Angelo stesso non avrebbe potuto accordarle; giacchè ella possedeva un cuore umano e che quindi umanamente sbigottiva ed umanamente sentiva, e pel quale le parole benevole e consolanti provenienti da un altro cuore compassionevole ed intelligente riuscivano un vero conforto, anzi un bisogno come a tutti gli altri mortali. Di più, essa non era già un puro spirito, ma piuttosto doveva sopportar le miserie e le pene di una vita piena di patimenti in quel suo cuore sicuramente forte oltre ogni credere, ma nel tempo stesso sensibile quanto quello di una bambina. Anna Caterina povera aveva dovuto ricevere persino limosine da quel povero prete, il quale punto ignorava che essa suoleva rimettere per lo intiero alla superiora ogni guadagno ricavato dal manuale lavoro, senza riceverne nemmeno una minima parte onde poter soddisfare ai piccoli suoi bisogni. Fino a che ella potè ancora nutrirsi di qualche cibo, quel caritatevole prete le aveva talvolta porto qualche boccone di un pane più fino di quello usato in convento. Le era permesso il riceverlo, e sentivasi felice nel pensare che la mano di quel medesimo sacerdote cui doveva gratitudine per averle spesso amministrato il santissimo Sagramento, le amministrava pure il pane naturale necessario al mantenimento della sua vita.

Ma la speranza di rimunerare cotesti benefizi con cure assidue e fedeli attenzioni, come la inferma eraselo immaginato, non venne in adempimento; giacchè ella erasi trovata ben presto fuori di stato di reggersi come suol dirsi sulle gambe, e veniva senza poterlo impedire sì spesso rapita in estasi, da esser costretta ad usare estraneo aiuto per le sue faccende domestiche. L'abate Lambert l'aveva trovata il più delle volte genuflessa in cella e per di più irrigidita, ed apparentemente disanimata al pari di una statua. Cotesto stato ei lo conosceva sin dal monistero, ma non osava richiamarla in sè con sacerdotale comando, e quindi le estasi le eran divenute sempre più lunghe e più frequenti. Egli aveva soltanto la preoccupazione di far sì che queste non venissero a pubblica notizia; e per mantenere Anna Caterina nella umiltà, e per non renderla accorta di una cosa tanto straordinaria, che solo si verifica nella vita dei santi, non aveva mai con lei intorno a ciò ragionato, interrompendo e frastornando ogni di lei partecipazione con queste parole: Ma sœur! non è niente, non è niente! è soltanto un sogno! Se gli fosse riuscito di mantenerla in una felice ignoranza della significazione di questo stato e di nasconderlo inoltre al mondo intero, egli avrebbe raggiunto il più ardente suo desiderio; giacchè visitato da corporali infermità, ei non sospirava altro che quiete ed era oltre modo desioso di poter chiudere senza nuovi tormenti quegli ultimi giorni di vita passati in seno di un estraneo paese. Per quanto fosse anche stato messo sossopra dalla prima vista delle sanguinose ferite, erasi però consolato con la ferma credenza che sarebbero scomparse probabilmente nella giornata o che almeno rimarrebbero nascose. Ma ohimè! quanto presto e dolorosamente dovè perdere quel povero vecchio ogni illusione! E quanto fu misera la condizione di Anna Caterina nel 575 dover rianimare l'amico prete, mentre ella stessa doveva lottare per riprender animo a non cadere in un completo abbattimento.

3. Niun avvenimento sì disaggradevole e nel tempo stesso sì prepotente erasi mai presentato nel corso della sua vita, comparabile a quei segni meravigliosi coi quali Iddio volle mostrare sino dal primo momento che voleva con gelosia conservare in faccia a quell'epoca incredula e sino nella più piccola parte il suo diritto sopra di lei, siccome opera e proprietà sua. Siccome il corpo di Liduina,  consunto dai vermi e dalla putredine, aveva per più di trent'anni dovuto servire di strumento all'onnipotenza di Dio, ricevendo egli da quella larghe espiazioni, mentre i contemporanei vi vedevano l'impronta della grandezza delle loro colpe verso la Chiesa: così adesso la eletta vergine di Dülmen doveva portare in un coi dolori anche i segni di quelle ferite, dalle quali il Salvatore del mondo aveva versato il prezzo della nostra salute. Anche Liduina era stata insignita delle Stimate, ma dinanzi alla commovente e spaventosa impressione prodotta dagli altri di lei patimenti espiatorii nell'animo degli attoniti contempora nei erano quelle sue Stimate quasi cadute nell'ombra. In Anna Caterina al contrario, cotesti segni furono i soli che fecer sì che dall'ascosa solitudine ella passar dovesse nella pubblicità la più manifesta; e soli furono perchè l'epoca in cui visse, epoca sì facile a muoversi a nausea, non avrebbe potuto sopportare la vista di tormenti simili a quelli di Liduina.

Coteste ferite impellevano il sangue dall'esterno all'interno, e parve che col loro sopravvenire venisse ad alterarsi tutta la naturale circolazione del sangue medesimo. Ogni ferita divenne come centro di un proprio circolo, e da ogni punto del perimetro di quel circolo le correnti sanguigne scorrevano verso il centro, e da quello diramandosi a guisa di strali di nuovo indietreggiavano. Anche i polsi sembravano trasposti o raddoppiati, poichè riuscivano altrettanto sensibili nelle punte delle dita, quanto alle radici o punti di congiunzione delle mani colle braccia. Le mani poi erano traforate all'insù, cioè dalla super ficie interna passando all'esterna, mentre le ferite dei piedi partendosi dalla superficie superiore, scendevano verso la pianta dei piedi medesimi. La piaga del costato tendeva insù, come se fosse stata prodotta da un colpo lanciato dal basso in alto. Anna Caterina sentiva in sè le direzioni di coteste ferite con ineffabili dolori, quando come non di rado suoleva accadere, si aprivano in modo assai largo perchè l'aria esterna vi potesse a traverso penetrare. Anche dopo molti anni erano quelle ferite talmente pure, fresche e vivaci, come nella prim'ora in cui le ricevè, dimodochè ogni spiro d' aria ancorchè leggerissimo agiva sopra di loro a guisa di fiamma o di acuto ferro, e la paziente doveva nascondere le mani in pannilini sottili e molli, onde impedendo l'accesso all'aria procurarsi qualche mitigazione e sollievo. Mai per altro scorgevasi in quelle ferite nemmen l'ombra di suppurazione, mentre al contrario la minima lesione naturale nel corpo dell'ammalata aveva la suppurazione per conseguenza.

Il Wesener sotto la data del venerdì 8 settembre 1815 riferisce:

« Trovai l'inferma spossata, ma pure di buon umore. Le Stimate delle mani e dei piedi grondavan sangue. Le labbra circolari delle ferite del dorso delle mani eransi elevate all'altezza di una moneta da due grossi, ma non per altro infiammate. Cosa per me molto notabile, quantunque forse di niuna importanza pei non pratici, era una piccola lesione della pelle nell'articolazione inferiore del dito indice della mano dritta. Cotesta scorticatura erasi infiammata, ed avea già prodotto in tre punti sotto l'epidermide una certa umidità di suppurazione. Domandai all' ammalata se a caso si fosse scalfitta con un ago, ed ella mi raccontò che ieri nell'asciugar che faceva l'orlo del di lei usato bicchiere, erasene rotto un frammento ed ella ne avea riportato una ferita al dito. Essa mi confermò pure di aver sempre avuto una pelle facilmente infiammabile ed inclinata alla suppurazione. I pratici della scienza potranno mettere questo fatto in contrasto coi fenomeni delle Stimate. »

Il Wesener trovò in ciò con ragione una ben chiara prova del carattere soprannaturale delle ferite. Ma cotesta prova era bensì riposta anche nell' ordine sempre e senza eccezione mantenuto, col quale le effusioni sanguigne avveravansi in certi prefissi giorni, ed erano collegate colle solennità dell'anno ecclesiastico; mentrechè esse non avvenivano soltanto nei venerdì, vale a dire entro spazii fissi ed invariabilmente riprodotti, ma bensì appresentavansi nei giorni solenni della Passione, che mutano ogni anno; e ciò avveniva in modo tanto indipendente dal personale accorgimento dell'inferma, che questa bene spesso riconosceva soltanto dall ' aumento dei dolori nelle ferite l'approssimazione o anche la sopravvenienza di una delle solennità della Chiesa. Così, avendo avuto luogo in Dülmen un mercato annuale precisamente in un venerdì, ciò fu cagione che Anna Caterina venisse oppressa in quel giorno da visite incessanti; e cotesto disturbo la rese talmente spossata, che al vedere tanti contadini vestiti a festa le venne il pensiero che in quel giorno corresse una gran solennità. Verso le tre pomeridiane subitamente impallidì ed il sangue da quattro punti al disotto della fascia del capo sgorgando, incominciò a scorrerle sul volto; e ciò apparve a lei stessa affatto inesplicabile, finchè altri le fece notare che in quel giorno non correva già la domenica ma che era un venerdì.

4. Il sangue suoleva scorrerle dal capo e dalle mani in quella direzione in cui aveva dovuto scorrere dalle sante ferite soferte per noi dal Figlio di Dio sull'albero della croce. Quindi esso scorreva dalla palma della mano nella direzione della superficie interna della parte anteriore del braccio; dal dorso del piede scorreva verso il pollice; dalla fronte e dille tempie trascorreva tanto in avanti quanto in dietro, è sempre grondava pure sul volto e sull'osso nasale, anche quando essa non poteva inclinare il capo in avanti. Abbiamo già veduto quanto quel famoso professore di chimica si fosse scandalizzato per queste non naturali direzioni dell'effusioni sanguigne, e come ne avesse voluto conchiudere che coteste effusioni erano soltanto dipinte. Clemente Brentano, che negli anni susseguenti potè bene spesso osservare l'effusione sanguigna prodotta dalla Corona di spine, dà intorno a ciò questa testimonianza: « Lo sgorgare del sangue era percettibile soltanto in modo sensibile sulla parte anteriore dell'alta di lei fronte, nei punti in cui è affatto libera di capelli. Ivi si vedeva il sangue sgorgare da molti punti a guisa di stille di sudore, senza che si potessero scorgere ferite o altre lesioni. Quando però il sangue erasi disseccato in quei punti da cui stillava e questi in conseguenza erano venuti ad esserne tinti in rosso, allora apparivano al guardo dell ' osservatore certi piccoli punti rossi siccome punture di aghi, che il Wesener ed il Druffel solevano chiamare piccoli bottoni. La quantità del sangue che sgorgava dal di lei capo, come pure dalle altre ferite, era talora più forte, talora più debole. Appariva pure talvolta che alcune ferite più largamente sanguinassero, mentre altre volte ciò accadeva in misura minore. »

Quest'ultima circostanza la menziona anche il Wesener quando in data del venerdì 3 giugno 1814 riferisce: « Le effusioni sanguigne incominciarono oggi a mezzo giorno ed hanno continuato fino alle quattro pomeridiane, il sangue era sgorgato in tal copia dalla fronte e dalle tempie, che l'ammalata erane affatto esausta e tirta di un pallore mortale. Chi le stava d' attorno ne venne in tanta paura, che aveva tentato di arrestare queste effusioni coll'applicarvi sopra compresse bagnate nell'aceto. »

E nel venerdì 29 settembre 1815 riferisce:

« L'inferma è stata oggi visitata nel dopo pranzo dalla principessa Galizin venuta da Münster, e che si è trattenuta con lei piuttosto a lungo. Anche l'abate Lambert e la Chiara Söntgen si trovavano nella stanza: Dopochè la principessa si fu allontanata, l'inferma gemè per colore, e la Söntgen accorsa in aiuto osservò tosto un chiaro e puro sangue sgorgare da tre piccole aperture dell'osso frontale, dimodochè fu costretta a raccogliere quel sangue in un pannolino ripiegato. Anche le altre ferite incominciarono a sanguinare, ma non così abbondantemente quanto il capo e la fronte. Non voglio dimenticare di notare qui una circostanza, le espressioni cioè del signor Lambert. Quando egli vide l'inferma sanguinare sì potentemente, incominciò a piangere e disse alla Söntgen: Ma soeur, vedete bene che non sono io che lo faccio! » Quando Clemente Brentano nel venerdì 9 febbraio 1821, alle nove del mattino, mentre seppellivasi l'abate Lambert ebbe ad osservare in Anna Caterina un'effusione sanguigna egualmente forte, la notò nel suo diario con la seguente descrizione:

« Anna Caterina ha una fronte molto alta e foltissimi cappelli di colore bruno- scuro. I punti delle tempie da cui germogliano i capelli sono situati piuttosto alti; i di lei capelli d'altronde molto fini e molli, riescono folti a causa del venire spesso recisi del restare continuamente compressi sotto una cuffia che molto li stringe; sono poi, a cagione dei continui dolori del capo, di una sensibilità affatto incredibile, talmentechè un pettine non può toccarli senza cagionare all'inferma pene violentissime. Soltanto per estrema necessità Anna Caterina si fa recidere i capelli per quanto è possibile corti; ma anche in ciò la povera paziente che sempre porta la croce, aveva perduto fino ad un certo punto la sua libertà, nei primi anni in cui le sue Stimate vennero a pubblica conoscenza. Essendo sempre spiata e sospettata, ne avveniva che soltanto con grave difficoltà potesse tenere chiuse le porte, pel tempo necessario a farsi recidere i capelli, ovvero a riordinarli; giacchè chiunque si fosse trovato ad aspettare, troppo facilmente avrebbe concepito e propagato il sospetto che con quelle porte chiuse si preparasse o si nascondesse un inganno. Coteste oppressive e fatali circostanze rendevano bene spesso difficile il porgerle anche le cure le più necessarie, e chiunque le prestava anche il minimo servigio di carità, lo faceva con una tale ansietà ed una tal fretta, che quel servigio riusciva non di rado piuttosto offensivo che benefico. Anzi ella medesima aveva un certo ribrezzo di quel suo corpo sì meravigliosamente segnato; ma Iddio che nei primi di lei anni le aveva dato mirabile destrezza in tutte le opere manuali, quella medesima affatto straordinaria destrezza le aveva accordata anche adesso, per poter fare e disporre colla massima rapidità ed anche in istato di estasi, tutto ciò che la nettezza e la convenienza volevano sia sopra di sè, sia a sè d'intorno. Tanto che sul suo miserabile e povero letto di dolori appariva sempre sì bianca, sì netta e sì acconcia, quanto potesse mai esserlo la monaca la più ordinata ed abile nell'assettarsi. Tutto ciò per altro cagionava per lei gravissime difficoltà, giacchè per molti anni ella rimase talmente paralizzata nella spina dorsale, che non poteva tenersi per qualche tempo dritta sedendo sul letto, ma invece cadeva col capo innanzi sulle ginocchia. Inoltre ella bene spesso appena poteva muovere per i gravi dolori le mani trafitte e le dita medie irrigidite; e ciò nondimeno, a cagione dei di lei sudori continui, incredibilmente abbondanti e bene spesso freddi siccome ghiaccio, essa doveva più volte il giorno cambiare pannilini; eppure non può darsi persona che a qualunque ora del giorno non l'abbia trovata vestita con una nettezza mirabilmente piacevole. Io l'ho veduta per quattro anni continui ad ogni ora del giorno, ed ho sempre osservato in tutto ciò che si spettava all'anima sua ed al suo corpo una tale purità e nettezza, che produceva anco involontariamente nell'animo una impressione d'innocenza, di pudicizia e di estrema purezza di cuore. »

Quanto misero e scarso fosse l'aiuto che l'inferma soleva ricevere da coloro che la circondavano, apparisce abbastanza dal solo fatto che mentre nei più caldi giorni della estate essa giaceva in estasi, sciami di mosche le corrodevano le Stimate e giungevano sino ad eccitarvi effusioni sanguigne. Noi non avremmo cognizione di cotanto abbandono, se il Wesener non l'avesse una volta trovata in quel miserabile stato. Del pari dobbiamo a lui la certezza della meravigliosa manifestazione, che in occasione di patimenti espiatorii, e specialmente nell'ottava del Corpus Domini, faceva apparire sul corpo di Anna Caterina anche le ferite della Flagellazione. Coteste ferite erano sempre accompagnate da violenti tremiti febbrili ed aveano precisamente la forma delle lividure, come sogliono essere cagionate da violenti colpi di frusta.

5. In grado per altro incomparabilmente più alto di tutte coteste meravigliose apparizioni e dei corporei patimenti con esse collegate, viene eccitata la nostra attenzione dal personale contegno di Anna Caterina nel sopportare quelle apparizioni medesime. Esse riuscivano per lei di un peso indicibile, le erano cagione d'ogni sorta d'infiniti tormenti, le erano occasione di timori e cure continue, le erano sino al termine di sua vita inesausta sorgente delle più profonde e dolorose umiliazioni. La grazia di Dio la aveva per altro resa capace di sopportarle, non già come una proprietà messa ed abbandonata al di lei potere, non già come una distinzione, ma piuttosto come la pura opera dell'onnipotenza del Figlio di Dio, suo sposo celeste, che personalmente ed immediatamente aveva con quei segni marcato il di lei corpo, ond' ella così continuasse ad adempire una missione da quei segni resa ancora più difficile, per mezzo a circostanze tali che dovevano farla pervenire al più alto possibile grado di conformità col povero e mal concio corpo del suo divino Sposo medesimo. Il mistero della Redenzione, il prezzo della nostra salute, il sangue infinitamente prezioso dell'Agnello di Dio col quale fu compiuta l'espiazione delle nostre colpe e fu per noi comprata la figliuolanza di Dio, tutto ciò era come sparito dalla memoria e dalla intelligenza dei contemporanei, e stimato sì poco, quanto mai non lo era stato in passato. La Croce non era soltanto una follia ed uno scandalo per gli increduli e pei nemici di Dio usciti in campo a mortale battaglia contro la Chiesa con ogni arme della prepotenza, ma anche fra coloro che non avean voluto rinnegare la Fede in Gesù Cristo, se ne contavano con raccapriccio ben pochi che comprendessero il senso della testimonianza del Principe degli Apostoli: Scientes quod non corruptibilibus, auro vel argento, redempti estis..., sed pretioso sanguine quasi Agni immaculati Christi, etc. (1).

(1 ) Sapendo voi come non a prezzo di cose corruttibili, di oro o di argento, siete stati riscattati, ma col sangue prezioso di Cristo, come agnello immacolato (Lettera prima di Pietro Apost., capo 1, verso 18-19).


Era il tempo in cui, sia sulle cattedre, sia sui pergami tacevasi affatto la predica della Croce, del sagrifizio della espiazione, del merito e della colpa; era il tempo in cui i fatti, le meraviglie ed i misteri della storia della nostra Redenzione doveano sparire dinanzi alle vuote ciancie delle teorie della Rivelazione; era il tempo in cui l'Uomo Dio pareva soltanto ancora tollerabile siccome amico dei fanciulli, degli uomini e dei peccatori, e la sua vita aveva ancora soltanto un certo qual valore come dottrina, i suoi patimenti valevan soltanto come esempii di virtù, la sua morte come semplice e vuoto amore; era il tempo in cui l'antico catechismo veniva ritolto dalle mani del pio popolo credente, mentre in compenso gli venivano date storiette bibliche, nelle quali il difetto d'ogni sostanza veniva adombrato da linguaggio infantile ed agevolezza ad intendersi comunemente; era il tempo in cui il povero popolo fedele doveva cambiare gli antichi suoi usi di pietà, le antiche formule di preghiera e di canto, con certi pasticci di opere cattivi ed empii al pari di quelli che tentavasi di sostituire al Messale, al Breviario ed al Rituale.

6. Noi siamo pur troppo facilmente inclinati a deplorare in coteste basse miserie soltanto un traviamento passeggiero, ovvero una falsa ed omai superata tendenza di quell'epoca; ma cotesti fatti agli occhi di Dio costituivano una offesa della Fede, un pericolo della eterna salute d'infinite anime, ed un disprezzo tanto grave del suo santissimo amore e della sua giustizia, che egli voleva trovar bastante espiazione per tutto ciò nei patimenti soltanto di quella innocente espiatrice; e perciò aveva disposto che ella non dovesse ricevere dai suoi contemporanei trattamenti di versi da quelli, che riceveva egli stesso e che doveva soffrire per sè e per l'opera santissima della sua Redenzione.
Precisamente come egli fu di scandalo e d'inciampo a tutti per la terribile gravità del sagrifizio sanguinoso della sua morte e per la severità della sua soprabbondante espiazione, così ella pure a causa dei meravigliosi segni a lei imposti dovea servir di scandalo e d'inciampo a tutti, anzi divenir un carico tale pei suoi fedeli amici, che il peso raddoppiato ne venisse a ricadere sulla paziente medesima. L'abate Lambert ed il di lei confessore desideravano che sparissero quei segni, che essi consideravano siccome una vera sciagura, che le toglieva ogni pace ed ogni quiete. Il pastore medesimo della parrocchia in cui viveva sì allontanò da lei quasichè offeso, tostochè credette in pericolo per di lei cagione la sua buona fama. La più alta autorità ecclesiastica della diocesi la sottopose siccome sospetta d'impostura e d'inganno alla più severa inquisizione, e non le risparmiò verun tormento per risparmiare al mondo la vista di quelle ferite tanto a lui insopportabili. Quando poi tutto ciò andò a vuoto, ella rimase senza aiuto, senza diritto, senza difesa, in preda alla curiosità, all' impertinente insistenza, al sospetto, al disprezzo, ed anche alle più spaventevoli persecuzioni (1) cui umana creatura possa soggiacere. Inoltre le di lei suppliche non vennero esaudite; le di lei più calde preghiere che pure attiravano torrenti di benedizioni sopra infinito numero di persone, rimasero senza alcun effetto, quand'ella implorava da Dio che le venissero ritolti quei segni visibili. «La mia grazia ti basti! » così le rispose Iddio, e le Stimate rimasero; giacchè secondo le belle parole di Clemente Brentano:

« Ella fu mandata nell'indescrivibile deserto dell'epoca, marcata coi segni dell'Amor Crocifisso, a testimoniare della verità del medesimo.

(1) Se ne renderà conto nel secondo volume.


Oh! qual mai difficile missione è quella di portare sul proprio corpo dinanzi agli occhi del mondo ed ai devoti servitori del principe del mondo i segni trionfali del Figlio di Dio vivente, Gesù di Nazareth, re dei Giudei! Ci vuole a ciò un gran coraggio, e solo con la grazia di Dio riesce possibile di essere pei più uno scandalo, un sospetto, un dubbio, e per tutti poi sciagurata mente un enigma; per restare quindi, siccome obbietto di universale osservazione, siccome centro dei più imbrogliati ed assurdi discorsi e spiegazioni, crocifissa ed esposta sulla strada maestra, laddove s'incrociano le contrarie vie della incredulità e della superstizione, della malizia e della semplicità, della superbia della scienza umana e della vilissima abiezione di una mediocrità illuminata! Viver povera, preda di una misteriosa malattia, priva di ogni aiuto, martirizzata, non compresa da coloro che più l'avvicinano, e perciò spesso involontariamente maltrattata, oppressa dall'inevitabile sentimento di un ' assoluta solitudine, ed anco in mezzo al maggior affollamento di un'insolente curiosità; tanto più sola, perchè priva d ' ogni suo pari, e continua mente sottoposta ad ogni possibile perversità; vivere sopportando le mai interrotte inchieste dei sospettosi, e ciò nondimeno non perder mai un sol momento la pazienza, e mostrarsi sempre compiacente, ed essere sempre umile, dolce, saggia, intelligente, edificante, secondo la portata di tutte le persone le più diverse in carattere e che non avrebbero osato esigere cotanto da alcuna fra loro medesime; sicuramente tutto ciò costituiva una gigantesca missione per una povera monaca nata in basso stato contadinesco, senz' altra istruzione fuor quella del catechismo, figlia di un'epoca in cui l'alto divino spirito erasi smarrito dalla maggior parte dei monisteri; tempo in cui ben pochi sacerdoti soltanto potevano avere avuto occasione d' instruirsi e prepararsi alla direzione di anime poste in circostanze simili a quelle in cui trovavasi Anna Caterina. »

7. Mai una parola di lamento venne sulle labbra di Anna Caterina ogni qual volta seppe essere sospettata o calunniata come rea d'impostura; ma le riusciva bensì amaro e mostravasi inconsolabile ogni qual volta doveva sopportare prove di venerazione ed attestati di meraviglia. Siccome ella aveva sopportati per anni prima che comparissero i segni esterni i dolori delle sue Stimate, senza pure sospettare che nascer potessero da altra cagione fuor quella dell ' esaudimento delle di lei offerte di soffrire in pro degli altri, e siccome ritenendo la impronta di quelle Stimate in lei compita per opera dello stesso suo Sposo celeste, soltanto per una rappresentanza simbolica, e non già per un fatto reale, ne aveva scacciato dalla mente ogni memoria, e neppure una sola volta aveva osservato le effusioni sanguigne che ne nascevano; così ella era sempre con tutto il cuore disposta a dar solo a quei segni esterni quel valore, che il confessore e l'autorità ecclesiastica dichiarerebbero doversi loro prestare. Nell'anima sua accoglie vasi poi sì vivace e possente il sentimento della propria indegnità unito al timore delle estranee lodi e dei segni di riverenza, che essa di tutto ciò si vergognava anche nelle sue stesse visioni, e avrebbe preferito venir disprezzata e punita siccome rea d'inganno e d'impostura. Così accadde quando nel settembre del 1815, nella domenica susseguente alla Esaltazione di Santa Croce, trovossi rapita e presente in ispirito alla gran processione del Crocifisso miracoloso in Hoesfeld. Mentre in ispirito camminava a piè nudi seguendo ed adorando la Croce, ella risentì e riseppe interiormente come molti di quei devoti, nel traversare che faceva la processione per la chiesa di S. Jacopo, si erano rammentati di lei ed aveano parlato delle di lei Stimate, siccome di cosa meravigliosa. Perciò venne ella a cadere in tal rossore e vergogna, che tentò di nascondere le proprie ferite; e siccome ciò non le riuscì, vinta dalla soprabbondanza del dolore, si destò da quella visione. Soventi anco accadeva che l'infernale nemico le si accostasse per farle maliziosi rimproveri, dicendole che ella ben potrebbe mangiare se pur lo volesse; ma che era una ingannatrice ed artefice di impostura; che non voleva lasciare il letto e perciò non voleva mangiare; che avrebbe dovuto principiare soltanto dal bere un poco di vino e d'acqua, e che tosto avrebbe provato come facile le riuscirebbe il mangiare! Essa nella sua umiltà, udendo simili parole, non pensò già alla malizia del tentatore, ma piuttosto piena di un santo disprezzo di sè medesima, e con la più profonda serietà gli rispose: « Oh! si, sono veramente una indegna e mi merito di esser disprezzata come piena d'imposture. » Ed ella giunse a tale eccesso di zelo contro sè medesima, che voleva sorgere dal letto per poter dalla finestra gridare a quei che passavano per la strada: « Oh! cara gente, allontanatevi da me, fuggitemi! Che io non vi sia più cagione di scandalo! Sono un' indegna creatura! » E così seguitò finchè esausta per gli sforzi, ricadde all'indietro sul letto e riconobbe da chi fosse stata così illusa con false accuse.

Il Wesener riporta un altro fatto sotto la data del venerdì 9 agosto 1816: « Ella si lagna sempre (così dice il Wesener) per le troppe visite. Io mi affliggo sin quasi a morirne (così ella oggi meco si querelava) per l' importunità delle persone, e per dover vedere che ben molti dimostrano una ben più grande riverenza per tutto ciò che Iddio ha fatto sopra di me, suo povero strumento, di quella che dimostrano innanzi al santissimo Sacramento. Oh sì, proprio mi sento una vergogna mortale, quando certi vecchi e degni sacerdoti vogliono vedermi, mentre essi sono dieci volte migliori di me.

Cercai di calmarla, dicendole che Iddio permette coteste visite per esercitarla nella pazienza, giacchè quei che vengono non vengono già per la di lei persona, ma bensì per ammirare quelle opere, che Iddio ha in lei manifestate; e che niun uomo ragionevole si perde ad ammirare lei, ma ammira soltanto gli incomprensibili consigli di Dio onnipotente. Queste parole le piacquero, ed ella mostrossi di nuovo serena e consolata. »

8. Noi non avremmo nemmeno precisa cognizione della origine di coteste Stimate o segni esterni, se Anna Caterina negli ultimi anni del vivere suo non avesse in varie circostanze avuto certe visioni sulla origine di coteste sue Stimate, e non avesse dovuto raccontarle per comando del confessore. Ecco la visione che ebbe in occasione della festa di S. Francesco ai 4 di ottobre 1820:

« Vidi il Santo sopra un monte, in una solitudine, in mezzo a macchie e cespugli. Eranvi in quel luogo alcune caverne con piccole celle. Francesco avea più volte aperto il libro degli Evangeli e sempre si era imbattuto nella Passione. Quindi supplicò il Signore a farlo partecipe dei suoi patimenti. Egli digiunava costassù abitualmente con gran severità, e mangiava solo tanto pane e radici di erbe quanto bastava a non morir di fame. Stava genuflesso con nude ginocchia sopra due scabrosi sassi e soleva imporre altre due gravi pietre sulle sue spalle. Lo vidi dopo la mezza notte su quel monte, inclinato indietro col corpo, sedere come sulle calcagna ed orare a braccia aperte. Vidi presso di lui l'Angelo suo custode che gli sosteneva le mani. Il di lui volto avvampava del fuoco di un divino ardore. Era uomo di estenuate sembianze, e portava uno scuro mantello aperto davanti e da cui pendeva per dietro un cappuccio, quale allora solevano portare i poveri pastori. Aveva per cintura una fune. Lo vidi stare come se fosse affatto irrigidito ed impietrato. Ed ecco che un indescrivibile splendore proveniente dal cielo venne avvicinandosi a cadere a piombo sopra di lui, ed io vidi in mezzo a cotesta luce un angelo con sei ali, due al di sopra del capo, due altre con le quali pareva volare, e due al di sopra dei piedi. Portava con la mano diritta una croce, che non raggiungeva interamente in altezza una mezza statura umana. Su quella croce eravi un corpo vivente e luminosissimo. I due piedi di quel corpo erano incrociati. Le cinque ferite erano luminose e raggianti siccome il sole. Ed ecco che da ogni ferita scaturirono tre strali di una luce rosseggiante, i quali si unirono fra loro a formar la punta di un dardo, prima partendo dalle mani del crocifisso e dirigendosi verso la superficie interna o le palme delle mani di Francesco; quindi partendo dalla ferita del costato con più larga punta si diressero al lato destro del suo petto; e poi finalmente di partendosi dai piedi del crocifisso, andarono a ferire le piante dei piedi del Santo. L'angelo teneva nella sua sinistra un tulipano di un rosso sanguigno, ed in quel fiore posava un cuore d'oro. Mi pare ricordarmi oscuramente che l'angelo porgesse al Santo quel fiore. Quando il Santo si destò dalla visione, era incapace a camminare coi suoi piedi. Vidi che con gran stento e gravi dolori ritornò verso il convento, aiutato dall' angelo suo custode. Lo vidi nascondere le sue ferite per quanto meglio poteva. Non le volle lasciar vedere ad alcuno. Aveva grosse e brune croste di sangue sul dorso delle mani. Queste però non sanguinavano regolarmente ogni venerdì. La ferita del suo costato sanguinava spesso sì potentemente, che il sangue ne scorreva sul suolo. Lo vidi mentre orava, e vidi pure come il sangue scorresse lungo le sue braccia. Ho pur veduto molte altre cose di lui, ed anche come il Papa, prima che Francesco presso di lui si recasse, lo aveva veduto in una visione portare sulle spalle il Laterano cadente.

« Dopo cotesta visione ne ebbi un'altra di me stessa e delle mie ferite, e del modo con cui le ho ricevute. Prima di cotesta visione io non aveva saputo cosa alcuna del modo con cui ciò era avvenuto. Mi vidi sola nella stanza che abitava presso i Roters. Ciò avvenne tre giorni prima del nuovo anno, circa tre ore dopo il mezzogiorno. Io era stata in contemplazione della Passione di Gesù Cristo; lo aveva supplicato a farmi partecipe dei suoi patimenti ed aveva recitato cinque Pater in onore delle sue sante cinque piaghe. Me ne stava giacente in letto a braccia aperte. Mi sentii penetrata da una gran dolcezza e da una sete infinita dei dolori di Gesù. Ed ecco che vidi un globo luminoso abbassarsi verso di me; veniva obliquamente dall'alto. Era un corpo crocifisso, affatto vivace e trasparente, con le braccia aperte ma senza croce. Le ferite splendevano luminose più assai di tutto il resto di quel corpo; erano come cinque aureole scaturenti da un' aureola più grande. Mi sentii affatto rapita, ed il mio cuore sentivasi penetrato da grandi dolori, ma altresì da una dolcezza piena del desio di partecipare alle pene del mio Redentore. E mentre cotesto mio desìo sempre e sempre più crebbe all' aspetto di quelle divine ferite, e quasi scaturendo violentemente dal mio petto, dalle mie mani, dal mio costato e dai miei piedi, tendeva con sempre più viva aspirazione a quelle sante ferite, ecco che sgorgarono dalle mani, dal costato e dai piedi di quell' immagine tre strali di rossa luce, che riunendosi a guisa della punta di un dardo si diressero alle mie mani, al mio costato ed ai miei piedi. Giacqui a lungo così, ignorando cio che mi succedesse, finchè un bambino della mia padrona di casa mi ripiegò le aperte mani sul petto. Quel bambino corse fuori della stanza e disse ai genitori che io aveva le mani ferite e che mi sanguinavano. Pregai quella buona gente a tacere.

« La croce sul petto io l'aveva già da più lungo tempo; l'aveva ricevuta per la festa di sant'Agostino. Mentre stava genuflessa a braccia aperte, il mio Sposo celeste me la aveva impressa sul petto. Ricevute quelle ferite ne avvenne una violenta alterazione in tutto il mio corpo. Io sentii che il corso del mio sangue aveva cambiato direzione e scorreva con dolorosa attrazione verso quei punti. « Francesco mi ha parlato nella trascorsa notte e mi ha consolata. Mi ha parlato della intensità dei dolori interni. »

9. Affinchè non venga frantesa da verun lettore cotesta visione delle Stimate ricevute, è necessario dire alcunchè di più preciso circa quelle visioni di Anna Caterina, così dette visioni di sè stessa. Nella sua qualità di strumento di espiazione ella doveva compire ogni sua azione e sopportare ogni patimento in modo confacente alla volontà divina.

Nè la purità della di lei intenzione dovea esser turbata, nè la pazienza, la dolcezza, la carità e la forza della di lei fiducia in Dio dovevano punto vacillare, per quanti ostacoli anco in apparenza insuperabili le si opponessero, e per quando dura corrispondenza potesse scontrare per parte di coloro, i quali pur dovevano ricevere aiuto e benedizione dai meriti dei di lei sforzi e patimenti. Quindi è che se per fragilità umana ella rimaneva alquanto indietro nel raggiungere l'alto scopo, se ella rimanevasi a caso disanimata e sbigottita, o se una leggera macchia, percettibil soltanto all'occhio di Dio, veniva ad oscurare lo splendore della di lei virtù, ella era astretta ad espiare con la penitenza ognuno di quei mancamenti.

A purificare le mancanze nelle quali poteva incorrere nella vita quotidiana e nel commercio con gli uomini, ella aveva come mezzi la direzione del confessore ed il sagramento della Penitenza; ma per espiare le imperfezioni delle opere sue e delle sue azioni incorse in istato di visione, aveva allato l'Angelo che la costringeva a sopportare maggiori travagli e pene in compenso di ogni ommissione e di ogni inesattezza. Era egli come già sappiamo che sin dalla prima gioventù soleva illuminarla circa ogni dovere della di lei missione, e quindi la rendeva capace di adempirla nel modo il più perfetto. Quando poi nel corso degli anni cotesta missione venne a prendere un ben più grandioso sviluppo e cominciò ad esigere, per così dire, ogni di lei respiro, tanto più ricche ed estese divennero le visioni delle vie che la sua vita doveva percorrere, e che da lui le furono esposte dinanzi al guardo. Rimaneva ancora un ben corto spazio di vita accordatole a riempire la sua missione in pro della Chiesa; e quindi l'Angelo doveva vegliare a che ogni momento di quel tempo prezioso venisse impiegato con ogni maggior cura. Talvolta la luce dell'Angelo le rischiarava tutto quel tratto di via da lei già percorso con tutti gli avvenimenti, i patimenti ed i pericoli che ella aveva traversati, con tutte le circostanze e tutti gli individui dai quali avea subito o promoventi o impedienti influenze; talora le venivano rischiarati soltanto alcuni dei passati e più importanti avvenimenti, la di cui azione ancora durava. Ciò tutto accadeva affinchè ella conoscesse ciò che vi era da migliorare o da riparare, e come e per qual via potesse corrispondere con ogni fedeltà alla direzione del di lei Sposo divino. Talora finalmente venivale manifestato il futuro e le venivano indicati i patimenti da sopportarsi e le opere da intraprendersi, che si approssimavano o già erano imminenti. Quindi ella da ciò acquistava la più chiara intuizione del carattere e dello stato dell'anima di quegli individui, pei quali dovea pregare, lottare e soffrire, o contro i quali dovea combattere per render vani quei progetti, che essi covavano a perdita e danno della Chiesa e contro la Fede e la salute delle anime. Se il lettore vorrà adesso ponderare quanto sia incomparabilmente più alta e misteriosa cosa il soffrire e l'espiare per pura carità verso un individuo, i di cui più intimi pensieri e progetti, la di cui perversità, le di cui colpe e nemiche tendenze stanno chiare dinanzi agli occhi del veggente, in pro del quale, onde poter agir poi sul suo cuore, conviene prima di tutto rompere attraverso le trincee e gli ostacoli del malvolere, di quel che non sia meritorio il pregare generalmente per la conversione dei peccatori e compiere in pro loro opere espiatorie; il lettore, diciamo, potrà facilmente misurar e conoscer quanto larghe ed estese fossero le visioni che Anna Caterina suoleva ricevere in antecedenza, mentre la di lei attività di orazione, di espiazione e di lotta estendevasi sopra l'intera Chiesa. Finalmente essendo ella uno strumento per lo cui mezzo il capo invisibile della Chiesa voleva raggiungere i più alti suoi disegni pel bene dell'umanità, ella doveva corrispondere ed adoperarsi non solo onde completamente bastare con la propria persona a quel gran servigio, e sempre compensare ed espiare ogni mancanza nata dalla propria fragilità, ma doveva far tutto ciò anche per coloro che da Dio erano stati posti in relazione con lei, per cooperare all'adempimento della sua missione. Quindi era che già da lungo tempo il di lei occhio era rivolto verso l'Overberg e Clemente di Droste, ben prima che questi avessero udito parlare di lei; e la sua orazione e la benedizione derivante dalla di lei spirituale operosità circondò il Pellegrino ( 1) allorchè egli errava ancora lontano dal grembo della Chiesa, ed era occupato di ben altre cose che di Dio e della salvezza dell'anima sua. Egli le fu mostrato ben sovente in visione, affinchè potesse guadagnarlo a Dio e prepararlo a divenire uno strumento, per mezzo del quale ella potesse condurre a compimento la partecipazione delle sue visioni, a lei da Dio comandata.

(1 ) Così Anna Caterina suoleva chiamare l'illustre Clemente Brentano, come vedremo in seguito. A pag. 2 di questo volume lin. 21 dove è scritto: Quanto il pellegrino, ecc. intendi lo stesso Clemente Brentano.

Siccome esempio di una visione simbolica del di lei proprio stato e situazione dopo l'esame inquisitorio, qui può acconciamente riportarsi quella conservataci dal suo medesimo confessore. Essa così la raccontò a lui ed all'abate Lambert:

« Io mi trovai circondata da molte persone, sulla via che conduce alla Gerusalemme celeste,  doveva portare un sì grave carico che appena poteva trascinarmi innanzi. Mi fermai alquanto a riposare sotto una immagine del Redentore Crocifisso e vidi intorno a cotesta croce giacere qua e là una quantità di altre piccole croci formate da fili di paglia e da sottili ramoscelli. Mentre io meravigliando pensava qual significato potessero mai avere coteste crocette, la mia guida mi disse: Queste sono le crocette che tu dovesti portare in convento ed erano leggiere; ora però ti è imposta sulle spalle una croce: ebbene portala! « Ecco che allora si sperse qua e là la numerosa comitiva che mi accompagnava, ed in questa trovavasi anche il mio confessore. Egli si era collocato dietro un cespuglio e stava spiando una lepre. Lo pregai a non voler far ciò, ma piuttosto ad accompagnarmi più oltre per la mia penosa strada; ma egli non volle consentirvi, ed io dovetti oppressa dal grave mio peso seguitare sola il mio cammino. Allora mi venne nell'animo lo scrupolo che fosse ignobile e poco amichevole per parte mia il lasciare così in imbarazzo il mio confessore, mentre avrei dovuto al contrario colle preghiere, anzi anco colla violenza muoverlo a seguitarmi nel cammino verso sì magnifica meta. Ritornai indietro e lo trovai dormente, e vidi con terrore come delle fiere divoratrici già si mostravano in di lui vicinanza, e come lo minacciasse grave periglio. Lo destai a forza di preghiere e dovei quasi con violenza trarmelo dietro, e con ciò sentii non poco aggravarsi quel peso che già mi opprimeva. Ciò per altro mi riuscì a gran ventura, giacchè bentosto giungemmo presso uno stagno d'acqua largo e profondo, al di sopra del quale passavasi soltanto per angusto sentiero. E qui avrei soccombuto e sarei precipitata col mio pesante carico in quelle acque, se il buon padre non mi avesse aiutata. Alla fine pervenimmo felicemente alla meta. ». Quanto sia profondo e accuratamente delineato questo semplice quadro, potrà vederlo agevolmente il lettore nel successivo sviluppo della nostra narrazione.

10. Il di lei confessore il padre Limberg, domenicano, era un religioso che era stato colpito dalla violenta soppressione dei conventi siccome dall'avvenimento il più per lui doloroso fra tutti i possibili, e che era rientrato nel mondo col fermo proposito di sempre anche in quello dirigere la sua vita secondo lo spirito dei sacri voti, per quanto almeno fosse per riuscire possibile. Quindi ad Anna Caterina parve esser disposizione specialmente benevola della grazia di Dio, l'avere a sua guida spirituale un religioso di sì delicata coscienza, a cui ella s'adoprò a tutta forza é sin dal primo momento di prestar una perfetta ubbidienza. Il padre Limberg fu non solo confessore e guida spirituale, ma le divenne pure sostituzione e compenso dei di lei antichi ed omai perduti superiori; e quindi essa trasferì sopra di lui e sulle sue parole quell' istessa riverenza e quella sommissione illimitata, secondo le quali aveva già precedentemente ordinata la propria vita in convento, a tenore della volontà dei superiori e delle prescrizioni della Regola. Ella erasi perpetuamente legata con Dio per mezzo de' voti monastici, e Iddio voleva che essa anche ora nel seno del mondo conducesse con la più alta fedeltà la vita perfetta di un'anima a lui disposata. Quantunque ella sorpassasse infinitamente nei lumi dello spirito e nella sapienza quel buon uomo semplice, quasi inesperto e ben poco dotto, pure dinanzi a lui non oltrepassava mai i limiti di una bambina ingenua ed ubbidiente con cieca ubbidienza e di null'altro curantesi fuorchè di esser guidata ed ammonita. Ogni parola del buon padre le era un comando, anzi una sentenza di Dio, alla quale non poteva pur sognarsi di contraddire. Seppure, sia per quotidiana esperienza, sia per partecipazione dell'Angelo, ella fosse sicura per antiveggenza che la ubbidienza a tale o tal altra in giunzione del confessore le attirerebbe i più gravi tormenti, pure non avrebbe osato opporvi il più leggiero rifiuto, giacchè ai suoi occhi non esisteva dolore o sacrificio che fosse comparabile col merito della ubbidienza. Sebbene spesso il di lei sguardo chiaroveggente dovesse riconoscere che la direzione del confessore talvolta riusciva soltanto ad accrescere il peso già sì grave della di lei missione, e che non di rado invece di progredire per la diretta via, ella veniva condotta per penosi circuiti alla meta; ella non considerava per altro tutto ciò siccome cosa derivante da umana debolezza o da vista ben corta, ma piuttosto lo riteneva per disposizione di Dio, il quale voleva farle compire la di lei missione espiatoria non già con la direzione dell'Angelo, ma con quella di un mortale, soggetto ad umani mancamenti, cioè del sacerdote. Ciò che con la maggior possibile coincidenza si verifica in tutte coteste anime elette a strumenti espiatorii da Dio, per quanto in apparenza sembrino divergere l'una dall'altra le loro vie esterne, cioè esser la loro vita un sacrifizio non interrotto, un pieno abbandono di tutta l'esistenza, anima e corpo, a quei disegni che Iddio ha formati sopra di loro; ciò tutto apparisce colla più sorprendente grandezza precisamente nel contegno di Anna Caterina col suo confessore. Come una pianta che non può vegetare od un fiore che non può fiorire senza luce e senz'aria, così Anna Caterina non poteva vivere senza la spirituale ubbidienza; e la parola e la benedizione del sacerdote era per lei ben più della stessa benedizione dell'Angiolo. L'obbedienza era il veicolo per mezzo del quale ogni frutto della di lei incommensurabile operosità passava nella Chiesa; era il legame dal quale essendo congiunta al corpo della Chiesa, poteva a quello sostituirsi col proprio suo corpo. Giacchè era da quel legame sì strettamente con la Chiesa congiunta, anzi vi si era per mezzo di quello sì meravigliosamente innestata, che poteva penetrare in ogni parte e diramazione di quel mistico corpo, senza trovare alcun limite. Cotesta ubbidienza però aveva radice e posavasi sulla fede; ed il lume della fede, il sacerdote ed il confessore, era per lei il rappresentante di Dio. Cotesta fede poi era tanto più possente e meritoria in lei, quanto più chiare al di lei occhio si appresentavano le mancanze e le fragilità dell'uomo, riconoscibili nel sacerdote. Pare quindi che il dono della visione fosse accordato ad Anna Caterina soltanto perchè ella conducesse per quanto è possibile una vita perfetta secondo la fede, e con ciò servisse di prova all'epoca sua ed a tutte le epoche future del come la vera e perfetta elezione, per quanto siano straordinari i doni di cui è arricchita, per quanto sia pure straordinario tutto ciò che l'anima eletta deve prestare in servigio di Dio, non conosce però veruna altra legge, verun ordine o disposizione più alta della regola comune della fede, quale la dà la Chiesa infallibile, che è la colonna ed il fondamento della verità. La vera e pura mistica non mette radici e non vive in altro suolo, fuorchè in quello della disciplina, del servizio divino, dei sagramenti, degli esercizi e degli usi della Chiesa, delle massime dei santi e dei bene approvati maestri di spirito. La vera mistica non ha mai voluto e non vuol sentir parlare di oltrepassare o di sollevarsi al di sopra dei comandi di Dio e della Chiesa, che obbligano tutti i cristiani senza veruna eccezione, come pure non vuol sentir parlare della omissione di qualsiasi dovere, sotto il menzognero pretesto che una più alta vita spirituale non è più astretta con pieno rigore a tutta l'integrità degli ordini e della disciplina della Chiesa. Iddio mantiene con tale e tanta severità i suoi eletti nella piena osservanza di cotesti limiti, e la falsa mistica o la finta e mentita elezione li viola sì tosto, che noi possiamo con piena sicurezza ritenere per infallibile segno di menzogna e d'inganno quando un'anima che si dà per eletta o per illuminata osa mettersi al di sopra di una disposizione benchè minima della disciplina ecclesiastica, quando si trattasse anche soltanto di una rubrica della liturgia.

11. Allorchè il padre Limberg assunse la direzione spirituale di Anna Caterina, assunse pure per principio fondamentale la convinzione dell'abate Lambert, cioè che tutto ciò che in lei appariva di straordinario dovevasi per quanto era possibile nascondere e che dovevansi qualificare tutte quelle visioni per puri sogni e fantasticherie, onde così mantenerla nella umiltà. Egli poi era per natura di un carattere sì inquieto ed accessibile al dubbio ed all'incertezza, che soltanto dopo essere stato testimonio anni ed anni di casi convincenti e solenni, potè pervenire a piena mente apprezzare, libero da ogni diffidenza e sospetto, i doni straordinari della di lui penitente. Anche dopo di averla per sette anni diretta ed avere avuto innumerevoli prove della di lei ubbidienza, sincerità e veracità poteva ancora talvolta lasciarsi indurre in dubbio della pura veracità di quei doni di Anna Caterina. Da ciò è provenuto l'aver egli potuto raccontare la seguente avventura:
« Io recitava il mio uffizio mentre l'ammalata giaceva nel suo letto orante in estasi e cogli occhi chiusi. Poteva esser così rimasta in orazione da un'ora in poi, allorchè mi ritrovai aver finito il mio uffizio. Ed ecco presentarmisi allo spirito i dubbii del professore B... e produrmi non so come una certa grave impressione. Mi rammentai in quel momento che l'abate Lambert aveva nella mattina alla Messa consacrato due ostie, onde conservarne una per la Comunione degli ammalati nel giorno seguente. Come mai (pensava dentro di me) non sarebbe egli permesso di sottoporre di bel nuovo la inferma ad una prova, giacchè ciò non deriva da cieca curiosità o da cattivo disegno? Ed ecco che me ne andai a pigliare l'Ostia consacrata, la deposi in un corporale, intorno al quale avvolsi una stola, e la portai all'ammalata. Allorchè giunsi alla soglia della stanza, ella giaceva ancora in orazione nella positura antecedente; ma io non aveva per anco posto il piede oltre quella soglia che ella colla maggior fretta ed i maggiori sforzi sollevandosi, aprì le braccia e cadde genuflessa adorando. Cosa vuole ella? domandai; ma essa esclamò: Ah! ecco; il mio Signor Gesù viene a me col suo tabernacolo. - La lasciai per alcun tempo restare così in orazione e quindi riportai di nuovo il Santissimo in chiesa. »

Quand'egli per la prima volta sorprese Anna Caterina nello stato di estasi, e al di lei risvegliarsi da quello la sottopose ad un interrogatorio, ella ne venne in tal vergogna che arrossendo ognor di più lo pregò istantemente di non palesare quel suo stato ad alcuno. Erale succeduto appunto come alla beata Maria Bagnesi ( 1), con la quale ella principalmente aveva una mirabile somiglianza; giacchè anche costei fu una volta trovata rapita fuor de' sensi e sollevata in aria, e quando rientrò in sè, fu presa per quel caso da tale terrore, che nascondendosi il volto e simile ad una bambina sorpresa in qualche mancanza, non osò più volgere lo sguardo ai testimoni di quel suo caso.

(1) La vita della beata Maria Bagnesi, nata in Firenze nel 1514, fu descritta dal di lei confessore Agostino Campi, e trovasi negli Acta Sanctorum, tomo 6, mese di maggio.

Il padre Limberg sì poco comprendeva cotesto stato, che ogni qual volta sorprendeva Anna Caterina immersa in patimenti spirituali o in altre opere di aiuto dell'istessa natura, tentava di farla rientrare in sè collo scuoterla e con l'urlare, poichè riteneva che ella fosse immersa in delirii. Così avvenne che essa nell'agosto del 1814 corresse in aiuto di una etica, non solo prendendo sopra di sè quella malattia, ma assumendo inoltre patimenti espiatorii, onde ottenerle la grazia della pazienza e di una buona morte.

Il Limberg la trovò in un di quei giorni gemente come una moribonda, e la tirò sì a lungo per le spalle e per le braccia in qua ed in là finchè ella destatasi gli rispose placidamente: « Era stata dalla inferma, e nel tornarmene a casa ho dovuto per debolezza rimontare i gradini di pietra della scala a chiocciola ( 1 ) con le ginocchia. Ciò mi è riuscito oltremodo penoso, provando gravi dolori nelle ginocchia. »

(1) Ai 23 d'ottobre 1813 Anna Caterina erasi fatta trasportare dall'abitazione che aveva presso la vedova Roters nella casa del fornaio e birraio Limberg, fratello del suo confessore. Ivi ella abitava al di sopra di una scala nella parte posteriore della casa. La camera, sotto la quale estendevasi il giuoco dei birilli dell'osteria, aveva vista sul giardino e sulla chiesa del di lei antico convento. Anche l'abate Lambert erasi allogato nella medesima casa.

Quantunque quelle povere ginocchia fossero ricoperte di lividure e che i dolori perdurassero per molti giorni, nondimeno il Limberg ritenne tutta quella faccenda per un puro sogno, insinchè la tisica, che era la sua propria sorella, fece dimandare ad Anna Caterina in grazia di potere aspettare il momento della morte, omai sicura, nella di lei immediata vicinanza e sotto le ali delle sue preghiere. Fu allora che il padre Limberg la fece trasportare nella stanza di Anna Caterina, nella quale appena quella inferma trovossi presso di lei apparvero immediatamente tutti i sintomi e le pene della più violenta etisia. Le sopravvenne una sete sì ardente ed una puntura sì violenta nel lato diritto che venne meno pel dolore, quando la sorella volle sollevarla sul letto. La tisica poi ne provava intanto alleviamento conforto, giacchè sentivasi aiutata anche nello spirito. Ecco ciò che il Wesener intorno a ciò riferisce:

« La Emmerich mi raccontò di aver passato una notte penosa ed agitata. Era stata oltraggiata, sprezzata, anzi respinta e battuta da varie persone. Erano stati specialmente certi fanciulli, che le si erano gittati addosso e l'avevano tormentata e malconcia talmente, che avea dovuto difendersi con ambe le mani contro i loro attacchi, e non dimeno non era riuscita a liberarsene. Il signor Limberg, che aveva passato la notte presso la etica sorella, aveva veduto tutti quei movimenti di difesa, e l'aveva afferrata pel braccio onde trattenerla. Anna Caterina così tratte nuta e ricuperando i sensi, vide benissimo il padre Limberg che stavale dinanzi, ma ciò nondimeno ebbe sempre che fare con quei tormentosi fanciulli, e si lagnò meco di sentir dolori in tutte quelle parti, in cui era stata da costoro urtata e battuta. Una volta avevan voluto anche costringerla a mangiare, e le avevan tenuto dei cibi per forza dinanzi alla bocca, talmentechè per tutta la mattina non potè liberarsi dall'odore e dal gusto dei medesimi. »

Cotesti tormenti si riferivano al peccaminoso sospetto nutrito per lo innanzi e per lungo tempo ed anche ad altri propalato dalla moribonda etica, che aveva sospettato l'astinenza di Anna Caterina da ogni nutrimento essere una faccenda di puro inganno ed impostura. Ed ora la povera Anna Caterina espiava per costei la colpa di quel sospetto; e sopportando pazientemente i maltrattamenti sopra indicati, riusciva con quel patire ad ottenerle la grazia di un sincero pentimento e di una buona morte.

Il padre Limberg dovette allora convincersi che tutto cotesto andamento non era stato nè punto nè poco un vano sogno; eppure con tutto ciò rimase estraneo come prima alla intelligenza di quello stato di visione, come chiaramente apparisce anche da un altro fatto. Nella vigilia e nella festa dell'Assunzione di Maria santissima Anna Caterina rimase quasi senza interruzione immersa nella visione della morte di Maria e di tutte le circostanze che l'accompagnarono! Anco in seno dell'estasi parlò essa sì vivacemente e chiaramente di quelle visioni, che alla fin fine lo stesso padre Limberg dovette accorgersi tutto ciò non aver nulla di comune con un delirio. Egli prese allora un piccolo quadro dipinto ad olio e rappresentante la morte di Maria, e lo collocò a qualche distanza dinanzi agli occhi strettamente chiusi della inferma. Ed ecco che il corpo irrigidito di lei si accosta subitamente verso quel quadro; il di lei capo s'inclina, e finalmente afferra il quadretto con le mani ed accenna all'immagine di S. Pietro con queste parole: « Ah! cotest'uomo con la barba bianca pure un buon uomo. » Quindi ricadde indietro ed il Limberg le mise il piccolo quadro sulle mani, che posavano incrociate sul petto. Destatasi, ella così rispose alle sue interrogazioni:

« Ho veduto la Madre di Dio moribonda circondata dagli Apostoli e dai suoi parenti; ho goduto a lungo di quella vista: e poi tutta la stanza con tutto ciò che vi era dentro mi è stata deposta sulle mani. Ciò mi ha cagionato una gioia ineffabile, ma ho dovuto meravigliarmi altamente del come io potessi portare sulle mani cotesta stanza; sul che internamente mi è stato rivelato che tutto ciò era pura virtù, e che la virtù è più leggiera di una piuma. Anche durante tutta la trascorsa notte ho avuto quasi senza interruzione visioni relative alla morte di Maria. Io era in viaggio verso Gerusalemme, ed in quel mentre trovavami in uno stato affatto singolare, giacchè giaceva ad occhi aperti, nè dormendo, nè sognando, e vedeva ad un tempo tutti gli oggetti che sono nella mia stanza, senza venire da ciò punto disturbata sia nel viaggio, sia nelle visioni ed impressioni di tutta la via che percorreva. »

12. Il P. Limberg soleva agire con Anna Caterina per le corte e con severità come con una monaca ordinaria, e ciò appunto era quello che essa più altamente in lui apprezzava. Era già da due anni suo confessore, quando un giorno fu trovata dal Wesener tutta immersa nelle lagrime; ed allorchè fu da lui interrogata sulla causa di quel pianto, diè la seguente risposta:

« Temeva di sentir diminuita la mia ferma ed assoluta fiducia in Dio, mio solo sostegno: giacchè dovendo giacere su questo letto, e non essendovi per me umano aiuto o rimedio, tutto mi conturba. Altre volte sentiva una confidenza talmente forte in Dio, che non mi angustiava per verun patimento, fosse pur potentissimo; ora poi mi sono turbata a causa del disegno del mio confessore di cercarsi un altro collocamento; giacchè io lo stimo al di sopra di tutti, a causa della sua salutare severità. »

Anche alcuni anni più tardi ella ripetutamente espresse dinanzi al Wesener come sentisse che la severità del confessore le riusciva altamente utile, e come nulla potrebbe arrecarle maggiore angustia quanto il vederlo in qualche grado rimettere da cotesta severità. In quanto ai trattamenti che ella doveva subire basti qui riportare il seguente fatto altamente caratteristico:

« Una sera trovai la Emmerich (così racconta il Wesener) affatto come moribonda; i polsi erano sì piccoli e deboli ed ella medesima sì cadente e spossata, da potere appena sommessamente proferire una parola. Non mi riuscì di scoprire la causa di sì grande debolezza, e nondimeno le amministrai dieci goccie di oppio e la lasciai nel medesimo stato. Nelle ore antimeridiane del giorno seguente la trovai affatto cambiata, serena e rinvigorita; e meravigliato per sì rapido e sorprendente cambiamento, domandai al confessore ivi presente come ciò fosse potuto accadere; sul che il medesimo così mi rispose: L'ho trovata questa mattina in uno stato ancor più miserabile di quel che nol fosse la sera avanti, e quindi per timore che venisse a morire le ho in fretta amministrato la santissima Comunione. Appena ella ebbe la S. Ostia sulla lingua, che tosto il di lei volto, già pallido di un pallore mortale, incominciò ad arrossire ed anche il polso si riebbe; così è rimasta per più di un'ora immersa nella più profonda adorazione. Ho quindi dovuto chiaramente ricono scere che quella straordinaria debolezza era provenuta dall'averla io privata per due giorni della santissima Comunione, in castigo per non aver voluto lasciarsi lavare il dorso dalla sorella con acquavite riscaldata. » Questo avvenimento dimostra con ogni verità, e quasi in un quadro parlante, la dura situazione in cui trovavasi Anna Caterina. Quell'essere lavata con acquavite le cagionava spaventevoli pene; poichè ella non poteva sopportare nemmeno l'odore di quel fluido nauseabondo; e ciò nondimeno doveva sopportarlo per ubbidienza, dacchè e confessore medico assolutamente volevano l'impiego di cotesto mezzo. Se ella sentivasi troppo debole, ovvero era resa incapace a lavarsi da per sè stessa il dorso a cagione del puzzo di quell'acquavite, le di cui esalazioni erano per lei inebrianti, veniva astretta a servirsi dell'aiuto della sorella, la quale aveva sì poco riguardo al sensibilissimo pudore della inferma, che questa per troppo esagerata vergogna spesso non osava mettersi nelle di lei mani. Ciò appunto era accaduto nel caso sopra indicato. Nel mercoledì il confessore aveva scoperto che Anna Caterina erasi da per sè stessa lavata con l'acquavite ed aveva rifiutato i servigi della sorella. In castigo di cotesto rifiuto egli l'aveva privata della Comunione nel giovedì e nel venerdì; e lo avrebbe fatto per più lungo tempo, se nel sabato il di lei stato non gli avesse fatto nascere il timore di vederla per quella privazione morire. Come poi in cotesta posizione fosse adatto per Anna Caterina il rimedio delle dieci goccie di oppio, ogni lettore potrà agevolmente da per sè stesso concepirlo. Essa era per altro abituata a sopportare simili occorrenze col più profondo senso della propria colpa e come meritati castighi, senza mai permettersi la minima scusa od osservazione.

13. Per tutto ciò l'ubbidienza guadagnò in lei un vigore siffatto, che le forze medesime ed i sensi del di lei corpo ubbidivano così puntualmente ai comandi sacerdotali quanto ubbidir vi poteva la stessa sua volontà: ed anche in ciò avveniva in lei lo stesso che alla B. Maria Bagnesi. Allorchè questa una volta per cagione di pene insopportabili non potè più a lungo contenersi in silenzio, ma gemendo si contorceva sul suo letto di dolore, gli inquilini accorsero a chiamare il confessore onde con la sua benedizione le restituisse la quiete. Egli venne, la consolò, e nell'andarsene la benedisse dicendo: « Ed ora, suor Maria, ubbidisci sta quieta! » Ed ecco ella rimase al momento priva di ogni moto e fissa in quella posizione in cui giaceva sino alla mattina seguente, e si mosse soltanto quando ritornato il confessore rivocò il suo comando. In quanto poi ad Anna Caterina, la quale come la B. Maria Bagnesi suo leva sul fine di ogni anno ecclesiastico venir visitata da pene più speciali e più gravi, mentre qual serva fedele doveva migliorare o riparare nella vigna del Signore con raddoppiate pene e fatiche le opere tralasciate o neglette da servi pigri od inerti; ecco ciò che riferisce il Wesener in data del 27 ottobre 1815:

« Essa fu molto ammalata durante tutto il giorno, e tremava pei dolori nel corpo intero. La cosa più notabile che mi si dimostrò fu la sordità totale in lei sopravvenuta da alcuni giorni, mentre anche fuori dell'estasi non intendeva più nulla di quanto le veniva detto. Solamente quando il confessore glielo prescriveva per ubbidienza, allora poteva intendere.

« Nel novembre sopravvenne una febbre violenta, che crebbe in breve siffattamente che io dovei pensare ai mezzi di potergliela levare. Non voleva impiegare la tintura di muschio che in caso di estrema necessità, e mi sembrava che l'oppio le attaccasse lo stomaco; quindi provai le frizioni con la canfora, ma queste non fecero che accrescere la tosse. Allora pregai il confessore di vegliare presso di lei con la sorella. Il giorno seguente trovai che l'inferma era senza tosse, ed il signor Limberg mi spiegò il fenomeno nel modo seguente:

« Ho vegliato tutta la notte con la sorella presso l'ammalata. Essa tossiva sì potentemente che io non poteva sopportarlo più a lungo. Nel mio imbarazzo, mosso a compassione, ebbi ricorso ai mezzi spirituali, comandandole sotto la più severa ubbidienza di non tossir più oltre e di starsene quiete. Immediatamente ella cadde quasi venisse meno, non tossì più una sol volta e rimase quieta sino al mattino.

« La tosse tacque per tutto il giorno, e sopravvenne, ma in grado minore, soltanto a sera.

« Nel venerdì 10 novembre ella provò per tutto il giorno tali dolori nelle Stimate, che noi tutti ne fummo sossopra. Le di lei mani e le dita bianche di un pallore di morte si erano rattratte verso le palme. Essa tremava col corpo intero, e giaceva seduta ed immobile come una morta. Ad un tratto disse sospirando: - Ah! se potessi soltanto svincolarmi! Potessi ancora pregare dinanzi al santissimo Sacramento.

 Al che il signor Limberg riprese: Lo faccia, lo faccia. Ella è pur libera e sciolta. Coteste parole pronunziate dal confessore così a fior di labbra ed all'impensata, non dierono forza e vigore alcuno alla paziente, e quindi ella supplicò dicendomi: Posso farlo? Debbo farlo? __ Allora io pregai il confessore a darle per mezzo dell'ubbidienza la necessaria forza. Lo fece!, ed essa immediatamente si sollevò sulle ginocchia ed incominciò a pregare a braccia aperte. La vista di quella donna mortalmente debole e pure inginocchiata, era davvero commovente; e siccome noi temevamo che potesse riuscire ancora più affievolita per cotesti sforzi, il confessore le comandò dopo qualche tempo di coricarsi di bel nuovo. Tosto ella ricadde sopra sè stessa al pari di un cencio bagnato, e quando dopo alcun tempo rientrò in sè medesima, disse di sentire tutte le sue interne viscere come paralizzate o morte. Le fu imposto sul petto un impiastro bagnato in acquavite caldissima, ed alle dieci di sera le feci amministrare otto goccie di tintura di muschio. »

Non soltanto il desiderio ardente verso il santissimo Sacramento si manifestava in lei sempre nel modo il più commovente, ma non meno manifestavasi ancora la di lei indescrivibile riverenza verso il medesimo. Così avvenne una volta che ella fosse presa di un desio talmente intenso e di una sì forte aspirazione verso quel Bene supremo, che si sentì involontariamente rapita in ispirito e portata verso la Chiesa. Ella si trovò genuflessa dinanzi al tabernacolo,e come in procinto di aprirlo e di amministrarsi da per sè stessa il Sacramento. Ma allora fu presa da indicibile spavento di quell'atto proibito che stava per commettere, dimodochè si destò e con ineffabile angoscia manifestò il desiderio di confessarsi al suo padre spirituale ivi presente e di ricevere l'assoluzione. Questi per altro volle persuaderla che tutto quell'affare era stato soltanto un vano sogno, ma riuscì a calmarla solo a grande stento, essendo per lei cosa troppo certa il non avere sognato, ma piuttosto essere stata effettivamente e personalmente, quantunque in ispirito, dinanzi al tabernacolo della chiesa.

RMentre il confessore nell'ottava di Ognissanti erasi una volta posto in viaggio per alcuni giorni, Anna Caterina non osò senza di lui ricevere la santissima Comunione, poichè temeva di essere caduta in peccato per essersi al quanto corrucciata con la sorella. Pel dolore di cotesta mancanza e per la privazione del santissimo Sacramento ella divenne, secondo le parole del Wesener, sì debole e si misera, e il di lei polso si fece talmente piccolo ed appena sensibile da poter con sicurezza prevedere la vicina sua morte. Ma dopochè ritornato il P. Limberg ella si fu confessata ed ebbe ricevuto il corpo del Signore, ne fu talmente ristorata che il Wesener la trovò nel giorno susseguente in istato di benessere e di serenità.

14. Nè già solo nelle circostanze della vita spirituale Anna Caterina spogliandosi di ogni volontà si sotto metteva pienamente alle parole del confessore; chè anzi cercava in ogni cosa senza eccezione di dirigere la propria condotta secondo l'approvazione o la proibizione del confessore medesimo. Il di lei desiderio di vivere interamente sotto il giogo dell'ubbidienza era, dopo l'espulsione delle monache dal convento, cresciuto nella sua intensità nella misura in cui le circostanze esterne opponevano ostacoli ad una vita regolata secondo i voti dell'ordine. Essa voleva per amor di Dio restare soggetta ad ogni creatura, e quindi sforzavasi con una prudenza ed una perseveranza degne d'ammirazione, di sacrificare la propria volontà in ogni occorrenza della vita quotidiana. Quell'intero abbandono in Dio di tutte le forze del corpo e dell'anima, che per impulso dello Spirito Santo ella rinnovava senza interruzione e con lo zelo il più ardente, non era già per lei soltanto una infuocata preghiera, ovvero un vivace atto di amore, ma era piuttosto un'azione od un fatto reale; giacchè in ogni istante le si presentava occasione di esercitare effettivamente cotesto abbandono in modo eroico tanto nel dolore e nell'astinenza, quanto nella pazienza e nella dolcezza. Colla più umile assenza di ogni pretensione avea abituati quanti la circondavano a riguardarla semplice mente come un'ammalata, che non abbisognava di cure o di riguardi speciali; giacchè appunto come sino dall'infanzia non aveva mai preso pretesto dalle sue incessanti visioni e patimenti per sottrarsi a qualsiasi lavoro faticoso, o per elevarsi al di sopra delle deprimenti circostanze del basso suo stato; così pure la di lei situazione attuale non potè produrre la benchè minima alterazione nel suo modo abituale di vivere. Ella rimase così semplice, compiacente ed operosa come prima, e mai le venne in pensiero di poter pretendere a qualsiasi riguardo speciale. Siccome non era più in grado di potere senza estranea assistenza aver cura dell'economia domestica dell'abate Lambert, aveva chiamato a sè come aiuto la sua più giovine sorella Geltrude, la quale era per altro ancora così inesperta che Anna Caterina doveva istruirla dal suo stesso letto in ogni opera femminile ed anche nel cucinare, e doveva preparare colle proprie mani ogni vivanda adatta a quel vecchio sacerdote infermiccio. Essa compiva tutto ciò malgrado tanti suoi dolori e la quasi invincibile ripugnanza ad ogni odore di cibo, e lo faceva come cosa così naturale e così diligentemente, che quanti la circondavano si abituarono a ricevere ogni genere di possibile servizio da lei ammalata, che non lasciava mai uscire dalle labbra non solo una parola, ma nemmeno un desidero di cura o di servizio. Le vittorie sopra sè medesima e le privazioni le erano divenute talmente una seconda natura, che la gioia ed il contento di render ad altri servigio pareva esserle di compenso a tutto e per tutto. Quindi erasi sin dal primo giorno la sciata trattare dalla sorella siccome una persona che non vuole uscire dal letto per capriccio e per comodo, e che avrebbe potuto anche cibarsi seppure avesse voluto impiegare maggior forza sopra sè medesima. Può agevolmente immaginarsi quanto la povera inferma dovesse soffrire a causa dell'essere la sua situazione giudicata sotto un si falso punto di vista. È molto più facile il sopportare con rassegnazione gravi patimenti ed afflizioni, la causa delle quali rimane all'occhio nascosta, ovvero di conservare la pazienza e la serenità dell'animo in infinite pene corporali, di quello che soffrire tacendo con imperturbabile dolcezza, bontà e cortesia e con una benevolenza sempre uguale prove che in ogni giorno, anzi ad ogni ora si ripetevano di una durezza affatto priva di ogni riguardo, sfoghi di una irritabilità sguaiata che di continuo si succedevano, senza mai ricevere veruno di quei piccoli servigi e compiacenze che non costano fatica alcuna, e che pure sarebbero riuscite un benefizio inapprezzabile per la povera monaca ammalata e giacente sul letto dei suoi dolori. Essa non ottenne mai coteste dolci cure, ma invece guadagnò di ora in ora il merito della più mansueta vittoria sopra sè stessa, tanto più grande al cospetto di Dio, quanto più ella nascondeva agli occhi umani i generosi sforzi coi quali l'aveva ottenuta.

Ecco quanto il Wesener riferisce intorno alle osservazioni ed ai fatti da lui rilevati nel primo anno del suo commercio familiare con Anna Caterina:

« La sorella è piena di capricci e di durezza, e spesso cagiona a me ed all'ammalata le più amare dispiacenze.

Essa ha pochissimo affetto, anzi non ha nemmeno riguardi per l'ammalata, e per quanto il giorno è lungo non le porge nemmeno un bicchier d'acqua; molto meno poi qualsiasi altra cosa. Se nella situazione di Anna Caterina vi fosse in giuoco qualche inganno, sicuramente la sorella sarebbe la prima a tradirla. Quand'io una volta profittai di un'occasione per parlare all'inferma del contegno della sorella, Anna Caterina medesima dovè confessare che la sorella riuscirebbe al certo il più sicuro testimonio contro di lei, ove si permettesse la più piccola impostura o ipocrisia, giacchè vedevasi da lei trattata non già come una sorella, ma piuttosto come una nemica, e di più non poteva sopportare veruna esortazione e nemmeno veruna preghiera di volersi correggere dai suoi mancamenti. Devo confessare che non sarei stato in grado di sopportare le contraddizioni ed i capricci di cotesta sorella, tanto dall'inferma dissimile. L'ammalata medesima doveva darsi la pena di aiutarla in ogni lavoro, e spesso ho veduto cogli stessi miei occhi, come stando in letto preparasse certe dolci vivande ed avesse intorno a sè latte, farina ed uova. Da ciò ne nacque in molti il sospetto che l'ammalata praticasse qualche inganno. L'abate Lambert sentissi spesso a cagione di ciò talmente disturbato, che avrebbe voluto impedire all'ammalata di occuparsi in cose di cucina; ma ella doveva sottomettervisi, se pure quel povero sacerdote infermiccio doveva godere di qualche cura alquanto ordinata. Cotesto lavoro poi era per lei di un grave peso, poi chè appena poteva sopportare l'odore delle vivande. Così avvenne che una volta la trovai presa da una tosse affatto convulsa, perchè la sorella, che aveva ritolto dal forno certo pane bianco recentemente cotto, erasi accostata al letto dell'inferma con le vesti ancora impregnate dell'odore di quel pane caldo tuttora. Soleva d'altronde essere presa da simili convulsioni di tosse ogniqualvolta la sorella lasciava aperta la porta della camera, talmentechè poteva penetrarvi l'odore delle vivande dalla prossima cucina. In occasione di una visita fatta sul mattino trovai una volta l'ammalata molto debole. Aveva passata la notte intera in attacchi di tosse convulsa, perchè la sorella aveva spento presso il di lei letto una candela senza estinguerne il lucignolo ancor fumante. Il fumo che seguitò ad uscirne aveva cagionato cotesta tosse, che fu impossibile di calmare durante la notte intera. »

Sei anni dopo Clemente Brentano espresse le proprie osservazioni nei seguenti termini:

« La sorella era uno dei più grossi guai che l'ammalata dovesse patire. La sopportava con ineffabile tormento e con la maggior compassione. Cotesta sorella aveva un carattere molto infelice; ma la inferma si affaticava giorno e notte con patimenti, preghiere e pazienza per implorare da Dio in pro di quella misera un mutamento di cuore. Essa era di poco intelletto, senza previdenza, senza alcuna dolcezza, stizzosa ed ostinata talmente da non poter sopportare la minima discussione o il più lieve ammonimento.

La povera inferma, nel suo stato di abbandono e di totale separazione dai sensi esterni, era sottoposta alla stupida durezza di cotesta sorella; ed a cagione della dolorosa prerogativa del discernimento intimo dei cuori, doveva per di più sopportare la grave pena della piena cognizione dello stato interno dell'animo della propria sorella. Anna Caterina ha tanto sofferto e pregato per costei, che alfine dopo la morte dell'inferma essa è divenuta tutt'altra persona. »

15. Una pena di un genere affatto speciale fu inoltre cagianata dalla sorella ad Anna Caterina col forzarla a prender cibo. Ogni qual volta l'inferma era destinata a patire in pro di qualche moribondo, che erasi caricato di grave colpa col cadere nell ' intemperanza, senza averla poi mai espiata, avveniva tosto che i di lei patimenti espiatorii si manifestavano coll'apparire in lei le conseguenze molteplici tanto corporali quanto spirituali di cotesto vizio; conseguenze che ella doveva combattere con la pazienza e con vittorie continue riportate contro le proprie nausee e disgusti, onde procurare a cotesti infelici peccatori d'abitudine, sostituendosi a patire in loro vece, la possibilità di ottenere una buona morte. Talora sentivasi perseguitata da un sì forte odore di cibi e di ricercate vivande, che non sapeva come scampare dalla nausea; talora sentivasi tormentata da sì irresistibile smania di cibo, che provava gran pena e fatica nel soggiogarla; talora sentivasi oppressa dal malumore e dall'acerba irritabilità di un ghiottone che non riesce a contentare l'irresistibile sua cupidigia di certe lecconerie; talora veniva quasi meno per sete, e se prova vasi a bere ne seguiva una soffocazione od un vomito da porla in punto di morte; talora affacciavasi quel vomito in forma di pura acqua accompagnata da moti convulsi e per durante tutto un giorno; talora finalmente venìa tormentata da un poco di cibo effettivamente preso, e che le cagionava patimenti tali da dovervi soccombere, senza un aiuto speciale di Dio. Era la sorella che per indifferenza e stupidità la sforzava a cibarsi, mentre ella, tutta occupata ed immersa in un'opera spirituale, nulla sapeva o sentiva di quanto a lei succedeva di esterno. Ed inoltre era molto meno questa mancanza di ogni esterna coscienza quella che induceva l'ammalata a prendere quel cibo, di quel che nol fosse piuttosto la immensa grandezza dell'ubbidienza sua. Infatti il P. Limberg voleva che ella non respingesse verun servizio della sorella; e quindi ella si sottoponeva involontariamente ogni qual volta costei le si accostava con tuono imperioso e le porgeva il cibo. Il Wesener ha notato molti casi di simil natura, fra i quali trascegliamo e qui riferiamo i seguenti:

« 30 maggio 1814. Ho trovato l'ammalata che molto pativa ed era fuori dei sensi. Mi nacque il sospetto che le fosse stato cagionato qualche dispiacere dalla sorella caparbia e sguaiata. Così era. Il P. Limberg mi raccontò che la sorella le aveva fatto inghiottire una tazza di cavolo fermentato. La povera inferma riuscì soltanto a rivomitare cotesta sostanza nella notte seguente.

« 2 settembre: Ho trovato l'inferma in misero stato; alla fine ha potuto vomitare, ma venne meno siffattamente che l'avremmo ritenuta per morta, se il debole polso non ci avesse ancora rivelata l'esistenza di una scintilla vitale. Il vomito consisteva in filamenti carnosi, e la sorella ci rischiarò questo fatto, dicendoci

Ho cotto uno stufato per l'abate Lambert e l'ho dato ad assaggiare all'inferna, ma essa non deve essere stata precisamente nel pieno uso dei suoi sensi, poichè nel gustare cotesto cibo ne ha inghiottito alcun poco.

« 29 ottobre. Ho trovato questa sera l'inferma presso che moribonda. Provava un malessere quasi mortale e soffocazioni e vomiti spaventevoli. Questi fenomeni avevano principiato sul mezzogiorno. Dopochè mi fui precisamente informato delle cagioni di quello stato deplorabile, venni a sapere che nelle ore antimeridiane, durante la Messa solenne, e mentre non era in piena conoscenza, la sorella le aveva porta certa insalata intrisa in un liquido acido misto con farina, affinchè l' inferma ne suggesse al quanta. Ella vomitò alcuni filamenti d'insalata misti a sostanze pituitose; ma non mi riuscì di calmare nè il vomito nè quello spaventoso malessere. Ordinai che si vegliasse presso di lei per quella notte intiera. Nel mattino seguente la trovai ancora in vita, ma nulla di più. Aveva lottato per tutta la notte contro la morte, e soltanto sul far del giorno la santissima Comunione avea potuto calmare quei vomiti e procurarle qualche riposo. Sul meriggio era ritornata nello stato anteriore ed abituale. L'inferma però pativa gran sete, sentiva spaventosi dolori nel corpo e nella gola, ed un sorso d'acqua che inghiottì rinnovò il malessere ed il vomito. Le amministrai sei goccie di tintura di muschio, senza molto successo; dimodochè a sera ripetei la medesima dose. Ella sentivasi come se fosse stata pesta e tormentata sopra una ruota, e molto rimproveravasi lo aver gustato quella insalata. Potei per altro tranquillarla intorno a ciò dicendole che la colpa non era di lei che trova vasi fuori dei sensi, ma si doveva bensì all'inconcepibile sciagurataggine e sconsigliatezza della sorella.

« 9 maggio 1815. Trovai l'ammalata in debolezza mortale. Il signor Limberg e la sorella, che aveano vegliato presso di lei nella notte, avevano più volte temuto di vedersela morire fra le braccia, giacchè in mezzo alle plù gravi soffocazioni non poteva pervenire a vomitare. Sul mattino al seguito della Comunione era divenuta alquanto più tranquilla. Nonostante osservai in lei un forte e convulsivo singhiozzo. Alla fine vomitò un fluido bruniccio, nel quale potemmo riconoscere la cagione di quei suoi patimenti. Suo fratello maggiore l'aveva visitata il giorno innanzi e le avea porto a bere certa birra, di cui, essendo in istato d'estasi, aveva inghiottito alcune gocciole. » In tutte coteste occasioni Anna Caterina non proruppe mai in verun lamento contro la sorella, anzi non concepì mai neppure movimento alcuno di rancore verso una indifferenza tanto disamorevole, che sì gravi pene le aveva cagionate; poichè trovava in vece che tutta la colpa doveva attribuirla soltanto a sè stessa, come se per imprevidenza si fosse da sè medesima cagionati quei dolorosi accidenti. Ogni qual volta per altro veniva a sapere quanto la sorella rimanesse sorda anche alle più amorevoli esortazioni e quanta poca pena si desse di adempire coscienziosamente ai doveri del suo stato, come non volesse mai confessare veruna colpa e quindi spogliarsi di verun difetto, cadeva Anna Caterina in un turbamento indescrivibile, e principalmente quando la sorella, che si stimava pia e timorosa di Dio, andava ad accostarsi ai santi Sacramenti. Ecco come riferisce il Wesener in data del 26 settembre 1815: « Trovai l'ammalata immersa nella tristezza, ed avendole io richiesta la cagione di ciò, mi confessò i suoi sentimenti in questa guisa: — Son pronta a soffrire con pazienza ogni disagio ed ogni noia, poichè io sono in questo mondo per soffrire, so anche perchè io debba soffrire; ma il pensiero, e potrei dire, la convinzione che la mia povera sorella, stando presso di me, peggiora piuttosto di quel che non migliori, mi è veramente spaventosa. Tentai di consolarla, dicendole che Iddio non permetterebbe certamente che la di lei sorella andasse perduta, che muterebbe sicuramente, ma che ora ella era destinata forse ad esser lo strumento per rendere lei perfetta. Con ciò mi riuscì di tranquillarla.


16. Una nuova prova dello stato di pieno abbandono in cui trovavasi Anna Caterina si è quella che niun appoggio ecclesiastico poteva soccorrerla e giovarle nelle sue relazioni con cotesta sorella. L'abate Lambert era troppo dolce di carattere e poco pratico nella lingua tedesca; il P. Limberg troppo timido di spirito per poter dominare quel carattere turbolento; l'Overberg poi dichiarò che cotesta sorella era una pietra di paragone ed uno strumento col quale Iddio voleva sradicare ogni imperfezione dall'anima di Anna Caterina. Questa però non ritraeva da ciò nè consolazione, nè sicurezza; ella abbisognava di un giudice arbitro fra lei e Geltrude, che a lei medesima non risparmiasse veruno avvertimento quando fosse caduta in movimenti di collera e di vivacità, come dalla sorella le veniva costantemente rimproverato. Erale impossibile nella sua tanta umiltà di farsi da sè stessa ragione, e quindi supplicò l'Overberg a destinare a cotesto ufficio il dottor Wesener, poichè costui possedeva la più esatta cognizione dei di lei rapporti domestici, ed era capace e adatto a dir la verità ad ambedue le parti. Nè cessò dal supplicarne il Wesener medesimo finchè consentì a cotesto ufficio di carità, ma egli dovette bentosto sperimentare quanto ingrata faccenda si fosse addossato.

Quando una volta io rimproverava dolcemente e con riguardo ( così egli riferisce nel suo diario ) alla sorella Geltrude quel suo mormorare e fare il broncio e le sue disubbidienze ed il petulante contegno, ella facendo le meraviglie negò tutto e dichiarò esser fatta a quel modo, esser quella la sua natura e non aver punto cattiva intenzione, Allora le rappresentai dei veri e precisi fatti, ma invano; anzi si mostrò esultante quando vide l ' inferma essere ben giustamente irata. »

Anna Caterina però avea preso talmente sul serio cotesto ufficio del medico, che suoleva con lagrime affidarsi a lui, ogni qual volta temeva d'essere andata in collera. Dopo pochi mesi così il Wesener scrisse all'Overberg: « Se avessi libere mani e libere azioni, avrei da gran tempo cacciato via il cattivo spirito, ossia la sorella; ma ogni qual volta sto per venire ai fatti, l' inferma mi scongiura per amor di Dio a non farlo, poichè ritiene che tutta la colpa debba ricadere sopra sè stessa per non sapere sopportare e soccombere alla prova. E così le mani mi vengono sempre legate di bel nuovo, chè senza di ciò avrei da gran tempo mandata via di casa la sorella. Ciò avverrà per altro al sicuro, costi quel che voglia costare; perchè ritengo, che anche un angelo non la potrebbe alla lunga sopportare. Riferirò soltanto un esempio recente. La Geltrude per una mattinata intera aveva chiaramente dimostrato un pessimo umore verso la nostra inferma, la quale per altro aveva tollerato la perversità della sorella colla più tranquilla pazienza. Nel dopo pranzo l'ammalata volle aggiustare una camicia per un povero, ed invocò l'aiuto della sorella, accennandole ciò che doveva racconciare, e come doveva farlo. Costei per altro fece precisamente il contrario, e staccò da quella camicia un pezzo intatto invece di ritoglierne quello danneggiato. L'ammalata le rimproverò cotesto fallo e prese le forbici in mano per prepararle ed aggiustarle il lavoro. Ma a quell'atto la sorella si mostrò di tanta mala voglia e divenne sì offensiva, che Anna Caterina rapidamente ritrasse indietro il lavoro, e nel movimento le cesoie caddero a terra. Che trionfo per la sorella! Essa con disprezzo e con ischerno riprese dal suolo il caduto strumento e lo rese facendo intendere come se Anna Caterina avesse voluto gettarle dietro quelle forbici. A tale intelligenza la povera inferma rimase come annientata, e ne fu gravemente commossa, e ne stette male più che mai, finchè con una confessione piena di dolore ed al seguito della santa Comunione ella si riebbe di nuovo. I casi di cotesta natura non sono punto rari. Qui conviene avvisare e provvedere, giacchè l'ab. Lambert ed il P. Limberg non concludono cosa alcuna e lasciano tutto andare  secondo il solito. »

Che poi cotesta lettera e tutti gli sforzi del medico per l'allontanamento della Geltrude restassero senza conseguenza, ciò non fu colpa nè del medico medesimo nè dell'Overberg, giacchè Anna Caterina non osava senza il comando della sua Guida spirituale separarsi dalla sorella; e così la sopportò per lo spazio di altri sei anni, finchè un anno prima della sua morte l'Angiolo le concesse finalmente di allontanarla.

È caso che si ripete quasi senza eccezione nella vita di quasi tutte le anime elette, che esse vengano da Dio collocate in situazione ed in rapporti tali, che divengono per loro una scuola di abnegazione e di spirituale mortificazione, nelle quali appunto devono farsi proprie le più difficili virtù per mezzo di una lotta incessante contro la propria debolezza. Così, per riportarne soltanto un esempio, noi riscontriamo la B. Maria Bagnesi in uno stato analogo a quello di Anna Caterina. Essa aveva per attendente una persona, che soleva esigere da lei con la più dura arroganza i più bassi servigi di una fantesca. Costei era stata nel passato al servizio dei genitori della Maria; perlocchè si teneva per fondata in diritto a farsi allora servire dalla loro figlia. Quando la Maria si atteggiava alquanto al riposo, tosto costei le comandava con le più severe parole di occuparsi delle faccende di casa, di portare su legna ed acqua, e di cucinare. Essa poi se ne andava a far visite fuori di casa, e guai se al ritorno non trovasse le cose fatte a modo suo! Ne nascevano tosto furiose esplosioni di collera, contro le quali le più dolci preghiere della paziente fanciulla, che con le mani incrociate sul petto suoleva supplicando sclamare: Perdonami per amore di Gesù non riuscivano a nulla. Ogni qual volta poi la Maria presa da forti brividi di febbre, dagli spasimi della pietra o da altre possenti malattie, veniva ad essere inchiodata in letto, nemmeno un sorso d'acqua! Così per la sete ella languiva talmente, che i gatti, i quali sapevano trovare la via di entrarle in camera per la finestra, impietositi le arrecavano carne e cacio, quasi volessero dar ristoro a quella povera abbandonata. È ben vero che alla Maria avrebbe costato soltanto una parola per rendersi libera da quel peso insopportabile; ma non osò pronunziarla avendo riconosciuto che non avrebbe mai trovato veruna migliore occasione per l'esercizio della pazienza e della dolcezza. Cotesti casi che ogni giorno sotto molteplici forme si rinnovavano, producevano per la Maria Bagnesi e per Anna Caterina il risultamento medesimo, di quello che i fiori degli alberi e quelli del prato producono pel diligente popolo delle api; giacchè in cotesti casi le due bell'anime suggevano il miele di un'ineffabile unzione di spirito, mentre poi stillavano consolazione, consiglio, lumi, zelo della propria santificazione e santo commovimento nel cuore di tutti coloro, che accostavansi al letto di loro dolori. In quei casi esse espiavano le colpe dei duri di cuore, dei collerici, dei vendicatori ed irreconciliabili, di coloro che si dannoin preda all'impazienza ed in balla alla disperazione e contrappongono costantemente i peccati di un'abitudine indurita alla grazia di conversione, tante e poi tante volte rigettata. In cotesti casi esse raccoglievano l' inesaurabile tesoro di una cordiale benevolenza e di un'infinita bontà e dolcezza, che da loro, fatte vasi eletti della misericordia di Dio, scaturendo, sollevavansi in nembi del più soave profumo. In questi casi esse acquistavano quella irresistibile amabilità del discorso, con la quale ravvivarono la fede e l'estinto amore di Dio in cuori innumerevoli. Ma destinate entrambe ad essere espiatrici, dovevano con pena e stento estrarre il miele dai cardi e dalle spine e la cera dalle pietre le più dure, inumidendo le spine colla rugiada delle lagrime e rammollendo le pietre col fuoco dei dolori, onde compire la loro missione. È ben vero che le circostanze nelle quali ambedue queste elette vivevano, erano basse e volgari; ma non già più basse e più volgari dei bisogni dei miseri di alto o di basso stato, dotti o indotti, cui esse venivano in soccorso, le di cui colpe espiavano, per la di cui salvezza lottavano; e dinanzi a Dio erano coteste circostanze elevate, luminose e magnifiche, quanto la polvere terrena, il sudore, il caldo e la stanchezza che sopportò quaggiù il Figlio dell'Uomo; quanto la dispregiata ed avvilita turba dei pubblicani e delle pubbliche peccatrici, con la quale egli quaggiù conversò; quanto la umile condizione dei pescatori galilei, fra i quali egli si trascelse i suoi Apostoli. Avvegnachè egli si è che opera e soffre in cotesti suoi strumenti, che risana e salva e veglia gelosamente a ciò che cotesti strumenti ricevano lo stato di bassezza e di umiltà, siccome impronta della sua elezione.