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Giovedi, 16 maggio 2024 - San Simone Stock ( Letture di oggi)

CAPO XII. ANNA CATERINA COME NOVIZIA

Vita della Beata Anna Caterina Emmerick - Libro primo

CAPO XII. ANNA CATERINA COME NOVIZIA
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1. I primo mese del suo soggiorno in monistero dovette Anna Caterina passarvelo come postulante, e rivestita dei mondani abbigliamenti. Abitava con Chiara Söntgen una medesima cella e non era per un solo momento sicura di non esser di nuovo mandata via. Cionondimeno Iddio le accordò in quel tempo tanta forza, che ella potè con l'opera delle sue mani recar vantaggio al monistero, e per di più guadagnar tanto col cucito da poter soddisfare ai piccoli suoi bisogni, e far fronte alle spese della sua vestizione. Con ciò sfuggì al pericolo d'esser rinviata a cagione di manifesta incapacità ed inettitudine, ed ai 13 di novembre dell'anno 1802 ottenne la vestizione nell' ordine, e fu come novizia formalmente ricevuta.

Le fu per altro assegnata la peggiore cella del monistero, con una seggiola senza appoggio, ed una seconda senza fondo. Il tavolino che mancava, era compensato dal l'appoggio interno della finestra.

« Ma cotesta mia povera cella, confessò bene spesso in seguito, era per me tanto bella e ripiena, che mi sembrava tutto il cielo esser là dentro! »

Si può agevolmente immaginare come dovesse essere diretta la spirituale educazione delle novizie in una comunità, entro la quale erano andati smarriti tutti gli esercizi coi quali in tempi migliori soleva provarsi e confermarsi la verità della vocazione. Anna Caterina ardentemente aspirava alle severe mortificazioni ed umiliazioni ed alle prove di una ben radicata ubbidienza, quali le prescriveva l'antica regola del monistero; ma non eravi alcuno che a lei le imponesse. Le sembrava infinitamente più meritevole e prezioso l'umiliarsi per ubbidienza, che lo imporsi penitenze volontarie; ma niuno sarebbevi stato pronto a fornirle occasione di guadagnare simili meriti, se il medesimo suo Sposo celeste non fosse intervenuto come maestro ed educatore a guidare cotesta discepola tanto ardente nello apprendere, precisamente a traverso quelle circostanze in cui viveva, ed a malgrado il disfavore della di lei posizione poco adatta al progresso spirituale, ed a guidarla al più alto grado di perfezione possibile. Tutto dovè ad un tale maestro servir di buon mezzo, tanto le circostanze quanto gli individui, per raggiungere un tanto scopo a maggior gloria sua ed a beneficio di tutta la Chiesa. Una maestra di novizie sagace e sperimentata nella vita spirituale avrebbe ben presto scoperto in Anna Caterina le più alte e migliori tendenze, avrebbe su ciò basata la sua direzione, nè sopportato in lei ciò che le fosse apparso una imperfezione o un difetto. Per natura era essa di viva cissima indole, e tale che all'apparenza di qualsiasi ingiustizia facilmente s'infiammava. La mortificazione di cotesta vivacità era una di quelle cose cui Anna Caterina perve nire non poteva senza direzione; e quindi Iddio permise che accadesse sin dai primi tempi del di lei noviziato che fosse, sebbene innocente, sospettata, accusata ed anche pubblicamente castigata; il che tutto dovette sopportare senza mormorarne, senza scusarsene e senza difendersene.

2. Una prova di questo genere fu la seguente. Il monastero, provvisto di piccole rendite provenienti da ben piccoli campi, riceveva a tavola con pagamento di modesta retta certe povere monache fuggite di Francia ed un vecchio fratello della madre superiora. Quest'ultimo pagava per mangiare minor somma delle monache francesi; il che essendo venuto accidentalmente a cognizione di quelle povere francesi, le conturbò cotanto che se ne lagnarono alla superiora siccome d'una dura ingiustizia. Allora ebbe tosto luogo una grande inchiesta, onde scoprire chi avesse rivelato il segreto a quelle straniere. Niuna delle monache volle convenire di averlo fatto; e quindi la colpa cadde sopra Anna Caterina, poichè sapevasi nutrire dessa la più benevola inclinazione per le monache francesi, siccome per povere religiose sbandite in odio del loro stato e date in preda alla maggiore miseria. Ben poteva ella con piena veracità assicurare non essersi punto occupata nè del prezzo pagato dal fratello della superiora, nè di quello soddisfatto dalle monache forestiere, e che quindi ignorante di tutto cotesto affare, non avrebbe potuto scoprirlo; ciò nondimeno il rimprovero di tradimento rimaneva fisso sopra di lei, che in silenzio dovette sopportare la severa ammonizione della superiora e del capitolo e la impostale penitenza. Ed ecco di bel nuovo rinascere nel monastero tutti i lamenti sul che essa povera figlia di contadini, ricevuta senza dote, avesse osato ricompensare tanta bene ficenza colla più vergognosa ingratitudine. Anna Caterina soffrì con ciò non soltanto gli amari dolori di una innocenza così duramente sospettata e punita, ma le cagionò pure indicibile cordoglio l'essere, quantunque innocente, divenuta cagione di sì grave ingiustizia. Siccome non aveva alcuno in convento con cui potersi sfogare, così dovette in sè stessa contenere tutta l'impressione di quel disgraziato accidente. Ottenne, è vero, ben presto piena vittoria sopra di sè, e potè conservare il cuore pieno d'affetto verso le sue consorelle e perdonar loro senza rancore, anzi ringraziare Iddio per la sofferta iniquità come per meritato castigo; ma cadde per altro qualche tempo dopo in una grave malattia, dalla quale si riebbe soltanto con lentezza.

3. Si fu nella notte del Natale dell'anno 1802 che ella provò intorno al cuore e generalmente nel torace sì acuti dolori, che non fu più in istato di seguitare le opere abituali. Invano raccolse ogni stato di forza onde resistere alla minacciante malattia e non cadere a carico del monastero, chè i dolori si accrebbero sempre più. Le sembrava di essere incessantemente trapassata da acuti dardi, ed alla fine venne confitta nel letto. La vera cagione di questa malattia non mai osò Anna Caterina nella sua profonda umiltà confessarla a sè stessa, e ben molto meno alle monache, quantunque la conoscesse benissimo per mezzo della visione, che le aveva dimostrato al momento della vestizione l'intima significanza di quella cerimonia e di tutte le vestimenta religiose, che ella ricevè in quel momento con la maggiore gratitudine e riverenza. Sant'Agostino, come fondatore e protettore dell'ordine, le aveva aperto e manifestato il cuor suo ardente di amore, e con ciò acceso un tal fuoco nel cuore di lei per modo che ella si sentiva ancor più intimamente unificata con la sua religiosa famiglia, di quel che nol fosse coi naturali genitori e fratelli.

Da quel momento in poi ella vide e sentì così profonda mente e vivacemente l'intima spirituale significanza delle consacrate vesti dell'ordine, quanto comunemente un uomo può sentire e provare l'azione benefica di una veste che lo copre e lo protegge; e sentì pure e provò la natura della spirituale comunanza, in cui coteste sacre vesti l'avevano posta con le altre monache, come se da quelle vesti derivassero spirituali correnti, o come se fossero le fila di uno stesso legame, le quali, diramandosi, di nuovo le sorelle a lei, retrocedendo, rilegassero siccome a centro e principio, da cui quel legame partivasi. Il di lei cuore era invero divenuto allora come il centro spirituale di quella comunità, poichè aveva la tremenda missione di sopportare in modo corporeo e sensibile tutti quei dolori ed offese, che i peccati e le mancanze della famiglia claustrale al cuore dello Sposo celeste arrecavano. Ed in cotesta missione Anna Caterina poteva soltanto a poco a poco progredire, giacchè il fuoco dell'amore non sollevava lei, povera mortale, rendendola insensibile, al di sopra delle pene e dei dolori, che ora incessantemente ed in tutte le forme le opprimevano il cuore. Quanto nel monastero succedeva contro la regola ed i voti, ogni parola, ogni orazione, ogni ommissione o negligenza le trafiggeva il cuore come un dardo, di tal modo che appena poteva reggere allo stragrande patimento.

4. Non aveva ella alcuno da cui potesse farsi comprendere, e sapeva dire soltanto di essere tormentata da crudeli dolori al cuore. Fu allora chiamato il medico del monastero, che la curò come affetta da spasimi convulsi. Questa era la prima volta nella vita sua in cui soggiaceva a cura medica ed a medicine, poichè nella casa paterna l'uso di certe erbe salutari, che da sè stessa sapeva trovare, ed inoltre la quiete esterna avevano sempre prodotto una pronta guarigione, dimodochè niuno aveva mai pensato a cercare un medico. Ed ora la cosa andava altrimenti; la disciplina del monastero le faceva un dovere di dichiararsi malata e di ricevere le cure del medico a ciò destinato. Come ubbidiente novizia non poteva rigettare alcun mezzo materiale, quantunque avesse certezza che la cagione della sua malattia era puramente spirituale e che i di lei patimenti potevano soltanto con mezzi spirituali venire mitigati. Spogliandosi di ogni volontà, si lasciò trattare come una comune ammalata, ed in mezzo ai suoi dolori si stimò felice di avere occasione all'esercizio dell'ubbidienza.

5. A rendere cotesta sommissione ancora più perfetta permise Iddio che l'infernale nemico la tentasse con molteplici insidie. Venne a lei in apparenza di angelo di luce per persuaderla a ritornare nel mondo, mentre dovea ben vedere che da lei si domandava l'impossibile; che sarebbe peccaminosa temerità se ella più oltre avesse voluto sottoporsi ad un peso assai al di sopra delle sue forze, anzi molto più grave di quello che Dio voleva fosse da lei sopportato. Egli le descrisse pure i futuri patimenti, che le venivano preparati dal lato delle sue consorelle; ma Anna Caterina col segno della Croce mise in fuga il tentatore ancor prima che avesse finito il suo malizioso discorso. Altre volte tentava egli di eccitarla a malevolenza e mormorazione contro le superiore, o di riempirla di tema e spavento a riguardo loro, onde muoverla a lasciare il monastero. Una volta in tempo di notte la mise circa di ciò in grande angustia. Le parve vedere come se improvvisamente venissero la madre superiora e la maestra delle novizie al di lei letto, e la sopraccaricassero dei più amari rimproveri, conchiusi con la dichiarazione che essa, siccome indegna della vocazione claustrale, dovesse essere scacciata dalla comunità. Anna Caterina sopportò tacendo tutti cotesti rimproveri, e dichiarò soltanto come e quanto sentisse sè stessa indegna di essere stata ricevuta in un monastero, ed implorò misericordia e pazienza. Allora quelle sdegnate monache con parole di disprezzo lasciarono la di lei cella. Essa per altro pianse ed orò fino alla mattina, ed allora pregò che a lei venisse il confessore, onde manifestargli l'avvenuto in quella notte, ed implorarne consiglio sul come potesse fare per rendere placata la sdegnosa superiora. Allorchè il confessore ebbe esaminata la cosa più minutamente e da vicino, si venne in chiaro che nè la superiora, nè alcun'altra monaca era in quella notte penetrata nella cella di Anna Caterina. Egli riconobbe l'accaduto come un vero attacco del maligno nemico, ed Anna Caterina ringraziò Iddio di averle accordata la forza di riconoscersi in tutta verità indegna del chiostro, e con ciò di avere vinto il tentatore.

6. Allorchè Anna Caterina dopo alcune settimane fu resa libera dal trattamento medicale, quella comunità religiosa potè agevolmente persuadersi che la convalescente non era punto in istato perfetto di guarigione. Apparve a tutte sì debole e cadente, che si elevò fra quelle monache un mormorio universale, a proposito del peso che al certo ricadrebbe sul convento coll'ammettere una persona sì infermiccia o male adatta al lavoro, a pronunziare voti religiosi. Molto meglio sarebbe, dicevasi, il rinviarla subito allora, di quello che con maggiore tardanza venire nel caso di doverla conservare. Sebbene cotesti discorsi venissero sommessamente tenuti nella più remota estremità del convento, ciò nondimeno Anna Caterina li sentiva così chiaramente e distintamente, quanto se fossero stati tenuti nella sua cella ed alla di lei presenza; anzi tutti i disegni ed i piani, tutte le male disposizioni, che ognuna di quelle monache nutriva nel suo interno verso di lei, penetravano siccome scintille di fuoco, ovvero infiammate punte di ferro nel suo cuore, incessantemente e dolorosamente ferendolo.

Quel dono di leggere nei cuori che Anna Caterina aveva posseduto fino dall'infanzia, e che per altro nel convivere con semplici ed onesti contadini, per lo più per lei ben disposti, non le era per anco riuscito amaro, ora le divenne sorgente di pene infinite; poichè non le rimaneva ascosa cosa alcuna, che le sue consorelle pensassero o sentissero a di lei riguardo. Tutto ciò le veniva manifestato secondo i disegni di Dio, poichè voleva che essa con la perfezione delle di lei virtù superasse tutti quegli ostacoli e difficoltà, che dal disfavore delle circostanze o da quello degli uomini venivano frapposte sul cammino della sua missione espiatoria. Essa scorgeva le passioni delle monache a lei circostanti, onde lottare contro di esse colle armi della penitenza e dell'orazione, siccome contro nemiche potenze, e onde con la sua umiltà, dolcezza, carità e pazienza disarmar tutti coloro, che potevano opporsi al di lei altissimo desiderio di pronunziare i sacri voti. Se le sfuggiva a caso un sospiro, una parola di lamento, un segno di dispiacere; se non le era sempre possibile di prevenire un primo moto di dispiacenza per un maltrattamento non meritato, ovvero per un'ingiustizia esperimentata, essa allora con tali lacrime e con tale esterna espressione di un senso intimo di colpa così pregava ogni consorella di perdono, che tutte ne venivano placate e di nuovo verso di lei ben disposte. Quindi correva nuovamente in chiesa dinanzi al santissimo Sacramento ad implorare per sè forza al lavoro; raddoppiava i suoi sforzi per servire in ogni guisa al convento, e tranquillava le angustie del cuor suo con queste parole: Io voglio perdurare e star forte, anche se dovessi essere martirizzata. »

7. In un martedì del mese di febbraio dell'anno 1803 s'inginocchiò essa con tali disposizioni di spirito dinanzi al santissimo Sacramento, pregando solinga nella chiesadel convento, e vide improvvisamente dinanzi ai suoi occhi una croce, alta circa due palmi, dalla quale pendeva il Salvatore tutto grondante di sangue.

« Fui (così raccontò essa) da cotesta apparizione affatto spaventata; mi sentii correre il freddo ed il caldo nelle vene; quindi percorsi collo sguardo la chiesa intera e vidi che io non iscorgeva quella sanguinosa croce per interna visione, ma bensì coi miei occhi corporei. Allora a quella vista mi sorse nello spirito e nel più vivido modo il pensiero che Iddio volesse con quella apparizione annunziarmi gravi patimenti. Ebbi paura ed esitai; ma il doloroso aspetto del mio Salvatore trionfò di ogni mia ripugnanza al soffrire, e mi sentii fermamente decisa a sopportare tutto, anco i più amari patimenti, se pure il Signore mi volesse accordare la necessaria pazienza.

«Essa non si era ingannata nel suo presentimento, giacchè in quel punto le veniva accordato il dono delle lagrime, onde ella piangesse le offese fatte al suo Sposo celeste nel più doloroso modo e con torrenti di pianto. Ciò era destinato a divenirle una sorgente d'infinite umiliazioni. Da quell'istante non potè più mai trattenersi dalle lagrime, che prepotenti sgorgavano ogni volta che al di lei esterno od interno senso si offriva cosa da poter essere occasione di un soprannaturale dolore di penitenza. Vedeva ella i patimenti e le angustie della Chiesa? accorgevasi che un santo Sacramento venisse o male amministrato mal ricevuto? ecco che il di lei cuore sentivasi compreso da tal doglia, che un amaro torrente di lagrime le sgorgava dagli occhi. Vedeva ella in un altro cuore cecità di spirito, falsa pietà, sia per colpe non espiate o per perversa inclinazione? accorgevasi a caso di ostinato disprezzo ovvero rifiuto della grazia divina, di orgogliosa noncuranza della fede, e soprattutto di quelle colpe di spirito, che sì rare volte vengono dai colpevoli conosciute ed espiate tosto sentivasi mossa a tal compassione e ad un supplicare sì fervente per la salvezza di quegli infelici, che le di lei calde lagrime non avevano più nè modo nè fine alcuno. Scorrevano sulle sue guancie, sul collo e sul petto, prima assai che si fosse accorta di essere bagnata di pianto, Quelle lagrime la sorprendevano in chiesa, alla santa Comunione, a tavola, durante il lavoro, nel commercio con le altre consorelle; e doveva ogni volta vieppiù convincersi quanto incresciosa per ciò divenisse a tutta la comunità.

Il più delle volte cotesto pianto si produceva alla santa Messa, in coro, e al momento della Comunione conventuale; ma sul bel principio le altre monache non se ne fecero accorte. Siccome però quel piangere diveniva sempre più potente, venne chiamata Anna Caterina a renderne conto, e le venne proibito, siccome segno di caparbietà e di malcontento. Promise genuflessa di adoperarsi a migliorare sè medesima ed astenersi dalle lagrime; ma ecco che forse nel susseguente giorno quelle monache, eccitate da un crescente sospetto, osservarono che durante la santa Messa lo stesso genuflessorio era bagnato di pianto, e pensarono trovarvi una nuova prova del come la mente della novizia aggiravasi col pensiero soltanto in cose, per le quali il di lei amor proprio sentivasi offeso. Nondimeno Anna Caterina accolse gli ammonimenti ed il castigo senza scusarsi e con tanta buona voglia ed umiltà, che la superiora dovette riconoscere come quel pianto riuscisse alla povera novizia più molesto assai che alle altre, e che derivava forse da debolezza di nervi o da singolarità, ma che non era certo prodotto di capriccio e di malcontento. Anna Caterina per altro era talmente lungi dal ritenere le sue lagrime per dono singolare o cosa straordinaria, che venne nel maggior disturbo ed angustia, temendo che forse una segreta avversione, ovvero un odio profondamente nascosto contro le consorelle le avesse messo radice nel cuore, e che ciò fosse la propria cagione di quelle lagrime. Non osando giudicare da per sè stessa sopra di ciò, espose la di lei cura al confessore ond'egli giudicasse che se ne dovesse pensare. Costui però la tranquillò, dichiarandole essere la compassione, e non già l'odio, la cagione che piangere la faceva.

8. Anna Caterina potè ben credere che nel corso deltempo la vivacità di una simile compassione diminuirebbe, e che le lagrime cesserebbero affatto; ma invece ciò non accadde; tanto l'una quanto le altre crebbero piuttosto che diminuire, ed essa nelle di lei angustie cercò aiuto a tutti i confessori, i quali durante il tempo della sua vita claustrale ebber da fare con la direzione dell'anima sua.

Tutti per altro rinnovarono la medesima dichiarazione, ed anche l'Overberg depose la sua testimonianza come segue:

« Anna Caterina amava talmente le sue consorelle, che volentieri avrebbe sparso il suo sangue per ognuna di esse.

Quantunque sapesse che molte fra loro non erano per lei benevole, ciò nondimeno faceva quanto poteva per compiacerle. Le arrecava sempre grandissima gioia quando una di loro richiedevala di alcun servizio di carità, perchè con ciò sperava che le consorelle diverrebbero di lei più contente.

« Iddio permise che venisse mal conosciuta dalla supe riora e dalle consorelle, mentre ritenevano quanto essa faceva per ipocrisia o anche per adulazione e vanità, e di ciò la rimproveravano. Sul bel principio cercò di scusarsi, ma siccome ciò non giovò gran fatto, non disse in seguito mai più altro, se non se: Cercherò di migliorare.

Quando vedeva le sue consorelle o fuori, o più specialmente in chiesa, era sempre costretta a piangere. Fu spesso rimproverata per questi pianti, poichè credevasi ciò fosse segno di malcontento e di caparbietà. Più che in altri casi veniva rimproverata quando piangeva durante la santa Messa. I patimenti che le provenivano dalle con sorelle le erano tanto più sensibili, inquantochè vedeva e sentiva in ispirito quali disposizioni esse accogliessero per lei nel cuore, ciò che segretamente sussurravano l'una con l'altra, e come combinavano nei modi come umiliarla, pretendendo guarirla dai di lei pretesi capricci e pigrizie.

« Essa mi confermò di aver saputo sempre tutto ciò che le consorelle dicevano o preparavano contro di lei. — Lo vedeva, disse ella, e sapeva allora ancor meglio che nol sappia adesso ( 22 aprile 1813 ) quel che aveva luogo in quelle loro anime. Io anche faceva loro talvolta osservare che io tutto sapeva ciò che esse segretamente dicevano sul conto mio, o meditavano a mio riguardo. Allora pretendevano che io dicessi come ciò avessi risaputo, ma io non osava dirlo. Immaginavano quindi esservi tra loro medesime una, che il tutto mi riportasse. Domandai al confessore come dovessi agire; questi mi rispose dovermi limitare a dire che di ciò aveva trattato in confessione, e con ciò lasciare che si appagassero, nè più oltre lasciarmi andare a discuter con esso loro. « In successiva occasione, a proposito dei di lei pianti in convento, Anna Caterina si espresse con queste parole: Doveva veramente piangere quando vedeva che coloro per le quali avrei dato volentieri la mia vita, erano meco irritate. Chi non avrebbe pianto trovandosi nella casa della pace, fra persone consacrate a Dio, separata da ogni commercio col mondo, e sentendo nondimeno di esser la pietra dello scandalo e di non poter aiutarsi e di non poter impedire di essere d'inciampo alle altre? Io doveva piangere necessariamente sopra la povertà, la miseria e la cecità di cotesta specie di vita monastica, che malgrado la prossimità estrema della soprabbondante grazia del nostro santissimo Salvatore, era ridotta col cuore chiuso ed angustiato a languire. »

9. Quando nell'anno 1813 la comunità di quel convento fu esaminata dall ' autorità ecclesiastica sul conto di Anna Caterina, la superiora e la maestra delle novizie testimoniarono unanimi nel modo seguente: « Anna Caterina era sempre molto sociabile, sempre pacifica, e nel suo commercio molto umile, cedevole, per nulla amante di dispute e straordinariamente servizievole. Nelle malattie era sempre straordinariamente amichevole e gentile, abbandonata alla volontà di Dio e paziente. Dopo avere sofferto qualche offesa, era facilissima e pronta a riconciliarsi subito e di buon umore; se a caso erasi irritata alcun poco, tosto di mandava perdono; non sapeva che fosse odiare, ed era molto tollerante. »

E la Chiara Söntgen riferì all'Overberg: « La gioia maggiore si era per lei quando poteva rendere amorevole servigio di carità alle sue consorelle. Potevasi richiederla di qualsiasi cosa che le appartenesse, che ella la dava con gioia, per quanto fosse a lei necessaria. Faceva a preferenza del bene a quelle, che credeva esserle piuttosto contrarie. »

10. Il decano Rensing di Dülmen depose con la sua testimonianza del 24 aprile 1813: « Io aveva risaputo che Anna Caterina aveva reso grandi servigi di carità durante una malattia ad una delle sue consorelle e la invitai a rendermene conto; essa disse soltanto: Questa mia consorella aveva delle piaghe in un piede, e le serve non l'assistevano volentieri, perchè era strana e fantastica anzi che no. Allora mi pensai che sarebbe per altro un'opera di carità lo assisterla, e mi offrii di lavare il sangue e la putredine delle fascie di cui si serviva. Essa aveva pure la scabbia; e siccome le serve temevano la contagione, io le racconciava il letto; ed allorchè l'idea del contagio mi passava per la mente, faceva coraggio a me stessa, pensando essere quel ch'io faceva opera di misericordia, e che saprebbe bene Dio preservarmi dal pericolo. Mi venne pure in pensiero che cotesta consorella essendo capricciosa e strana, ben poco mi sarebbe grata de' miei servigi tosto chè fosse guarita, e non si ristarebbe, come del resto spesso usava farlo, dal gridarmi dietro ch' io era un' ipocrita; ma riflettei pure che per ciò il mio merito verso Dio ne riuscirebbe più grande, e seguitai a lavare i di lei pannolini, a rifare il di lei letto, ed a prestarmi ad ogni di lei servigio, per quanto meglio il poteva. »

11. Anna Caterina aveva ricevuto da Dio una conoscenza sì profonda dell'intimo significato degli effetti dei voti monastici, che la di lei forte anima languiva pel desiderio degli esercizi della ubbidienza, e provava una pena speciale nel vedere che nella decadenza della disciplina dell' ordine i superiori ponevano pochissima importanza nel sottoporre alla prova la di lei ubbidienza col mezzo di severi comandi e di esigenze difficili a soddisfarsi. Ardente per cotesto desiderio, bene spesso ne andava dinanzi alla reverenda madre, pregandola a comandarle alcuna cosa in virtù di ubbidienza, onde rendersi vieppiù fedele al santo voto col puntuale esercizio di quella virtù; ma coteste preghiere erano inutili, ed apparivano alla superiora siccome singolarità o scrupoli; ed Anna Caterina otteneva per lo più dalla benevola debolezza della superiora soltanto la seguente risposta: Tu sei abbastanza intelligente e sai da per te stessa ciò che devi fare; e quindi di bel nuovo tutto restava abbandonato al di lei proprio giudizio. La privazione di simili pratiche conturbava la zelante novizia fino alle lagrime, poichè le sembrava che da cotesta mancanza le venisse ottenebrata e sminuita la benedizione del sacro stato monastico, e di non poter servire perfettamente al di lei Sposo celeste, senza praticare cieca ubbidienza ai superiori spirituali, come a suoi rappresentanti.

La madre superiora depose come segue nell'anno 1813: « Anna Caterina ha sempre e con buona volontà, pienezza e precisione osservati i doveri della ubbidienza, specialmente in quelle cose che io in particolar modo le affidava. »

La maestra delle novizie confessò:

« Essa ha sempre soddisfatto perfettamente al dovere d'ubbidienza; soltanto alcune volte non mostravasi pienamente contenta perchè la reverenda madre in varie circostanze non indicava come la tale e tal cosa dovesse farsi. »
12. Quanto per altro le mancava di esterne occasioni atte ad esercitar la ubbidienza, essa cercava compensarlo colla sommissione interna e con la incessante conformazione delle di lei inclinazioni, vedute, anzi dei movimenti tutti dell'anima allo spirito ed alla lettura della santa regola dell'ordine. Non voleva vivere nella comunità conventuale soltanto come un membro che si sottomette all'ordine esterno tal quale esso viene ancora osservato nel chiostro; ma voleva che tutto l'essere suo spirituale e la vita sua, del pari che le sue esterne azioni ed ommissioni fossero perfettamente ordinate secondo la santa regola. Quindi si sforzava a raggiungere una precisa e sperimental cognizione della medesima e per riverenza soleva soltanto leggerla stando genuflessa. Sovente accadeva che durante cotesta lettura le venisse spento il lume ed il libro ritolto dalla mano o chiuso da invisibile prepotenza, Ella sapeva bene fin dalla gioventù chi fosse colui che le preparava simili disturbi; quindi tranquillamente riaccendeva di nuovo il lume e tornava a leggere più a lungo e con maggior zelo di prima. Ma anche le prepotenti e ben sensibili insidie del maligno nemico servivano di compenso al di lei zelo per la mancanza di altri esercizii. Se per cagione della attenta lettura del libro della regola veniva da lui con battiture maltrattata, tanto più spesso essa prendeva in mano quel libro; se a colui riusciva di suscitare nella comunità religiosa una tempesta contro di lei, ciò riusciva soltanto a provare quanto profondo e sincero fosse in lei il desiderio dell'esercizio di un'umile e cieca ubbidienza. Ciò chiaro apparisce dal seguente avvenimento.

13. Una ricca famiglia di mercatanti di Amsterdam aveva collocata una figlia a dozzina in quel monistero. Come una volta costei recavasi a casa per un tempo più lungo del solito, fece dono ad ogni monaca di un fiorino olandese; Anna Caterina poi, da lei più specialmente amata, ne ebbe due, che per altro tosto consegnò nelle mani della superiora. Ecco che pochi giorni dopo nacque un sussurro in tutto il convento, ed Anna Caterina fu chiamata innanzi al capitolo, ove la superiora le espose essere lei accusata da tutta la comunità di aver ricevuto dalla figlia del mercante olandese ben cinque talleri e di questi due fiorini soltanto aver consegnato alla superiora, avendo fatto dono del resto al cantore Söntgen, che appunto erasi trovato colà in visita della propria figlia. Scongiurata sulla coscienza a dichiararsi colpevole, Anna Caterina affermò il vero stato della cosa e vi persistette, per quanto le monache tutte sempre più fortemente la incalzassero a confessare di aver ricevuto i cinque pretesi talleri. Fu quindi per sentenza condannata a chieder perdono genuflessa ad ogni monaca. Anna Caterina con tutto il cuore si sottopose a questo immeritato castigo, pregando Iddio a voler operare in modo che quelle monache le perdonassero sinceramente tutto quanto poteva esservi in lei che a loro dispiacesse. Qualche mese dopo ritornò la olandese, ed Anna Caterina domandò alla superiora di chiedere a quella damigella la verità della cosa; ma ne ebbe per risposta il comando di non suscitar più questa vecchia e dimenticata storia; e così le rimase il pieno e non isminuito merito del sagrifizio fatto nel soffrire quella umiliazione.

14. Da questo fatto luminosamente apparisce quanto facilmente in quelle deboli donne si suscitassero la male volenza ed il sospetto verso la innocente consorella, ma apparisce altresì come presto si calmasse la burrasca prima di giungere ad alcuna pericolosa estremità. La impressione che coteste monache, inesperte e semoventisi in una grande volgarità di vita, ricevevano da tutto il modo di essere e dalla condotta della loro novizia, era di una natura cotanto mista, che noi non possiamo farci le meraviglie a proposito degli avvenimenti sopra narrati. La indescrivibile dolcezza e pazienza che Anna Caterina manifestava in quelle pubbliche penitenze, la commovente e cordiale serenità con la quale implorava dalle singole monache il perdono, dovevano per forza raddolcire anco le più irritate; ma d'altronde altre cose venivano in lei a manifestarsi, che quelle anime tanto facilmente inclinate al sospetto, ne venivano di bel nuovo traviate ed indotte in errore. La ricchezza della sua vita interna e la moltiplicità de' suoi doni straordinari erano talmente grandi, la disposizione e condizione di tutto il di lei essere erano talmente particolari, che riusciva impossibile ad Anna Caterina di nascondere il tutto e di mantenersi negli stretti limiti della volgarità. Per quanto semplice ed oltremodo modesta fosse la di lei esterna apparenza, pure ne traspariva un certo che di sacro e di elevato in modo tale, che tutte si sentivano da lei infinitamente sorpassate e dinanzi a lei rimpicciolite, quantunque non lo volessero precisa mente confessare, ma pretendessero piuttosto designare Anna Caterina come una singolare, incomoda e pesante persona. Spesse volte veniva ella trascinata verso il santissimo Sacramento da tal potenza, che invano tentava resistere. Essa inginocchiavasi o subitamente giaceva quasi pietrificata sui gradini dell'altare o nel coro e prima che se ne fosse accorta, allorchè a caso doveva traversare la chiesa. Era immersa in uno stato di visione continuo ed in un tale mare di patimenti interni, che malgrado ogni cura non potevano interamente rimanere nascosi. Quindi riusciva dessa per tutte quelle che la circondavano misteriosa, incomoda e per talune ancora intollerabile. La Chiara Söntgen confessò:

Anna Caterina cercò sempre di nascondere la sua inclinazione a particolari pratiche di pietà e di devozione; ma siccome io ben intimamente la conosceva, ne rimarcai facilmente alcuni indizii. La trovai spesso genuflessa in chiesa e quasi giacente e prostrata sul volto dinanzi al santissimo Sacramento. Era in modo speciale dedita alla contemplazione ed in modo tale che io talvolta osservai come, mentre trovavasi in società di altre, era con lo spirito in cose ben più alte occupata. Era inclinatissima alla mortificazione del corpo, ed ho bene spesso osservato come essa essendo a tavola, prendesse a sè la peggior parte dei cibi, mentre lasciava passar oltre le più grate vivande e la parte sua donava ad altre monache, più specialmente se eran di quelle che conosceva non ben disposte per lei. E ciò tutto accadeva sempre con una tale serenità ed un sì visibile piacere, che io ne rimaneva molto meravigliata. »

La maestra delle novizie depose:

Ho spesso levato tavole ed altri legni dal letto della Emmerich mentre si trovava in noviziato. Ho soprattutto osservato essere lei molto inclinata alla mortificazione.

Alcune volte nell'inverno l'ho ritolta di chiesa sulle dieci ore di sera; essa era prostrata dinanzi all'altare e vi sarebbe rimasta per ben lungo tempo, ove avesse potuto restarvi tranquillamente. »

15. Nei susseguenti anni ed in diverse occasioni Anna Caterina si intertenne sin dai primi tempi del di lei soggiorno in monastero. Clemente Brentano che con la maggiore cura soleva raccogliere le di lei partecipazioni, ci ha conservato anche questi racconti e li ha collegati insieme nel modo seguente: « Dal principio del mio noviziato in poi mi trovai in uno stato indescrivibile di patimenti interni. Talvolta il mio cuore parvemi circondato soltanto di rose che ad un tratto divenivano soltanto spine, ed oltrecciò sentiva nel petto molte punte e dardi che lo trapassavano. Questo succedeva perchè nel mio stato di visione e di sensibilità simbolica, che allora era molto più vivace di quel che nol sia adesso, tutto ciò che di offensivo veniva pensato, detto o fatto contro di me, mi appariva affatto chiaro e sensibile, quantunque ciò fosse avvenuto effettivamente ben lungi dalla mia persona. Siccome nessuno di coloro che meco vivevano, e nemmeno alcuna delle monache, nemmeno alcun ecclesiastico aveva idea dello stato del mio spirito e della condizione particolare della mia vita, ed io stessa viveva così interamente in un altro mondo, che non poteva cosa alcuna esternamente manifestare; e siccome poi in molti casi ed avvenimenti esteriori venivano ad apparire cose che, provenienti dalla mia interna direzione, sembravano strane e bizzarre nell'esterna vita comune, necessariamente io doveva fornire alle persone che meco convivevano ogni sorta di tentazioni a sospetti odiosi, a mormorazioni, ad osservazioni di rimprovero.

« Tutti cotesti discorsi ed anche pensieri offensivi verso di me, che pur non venivano tradotti in atto, io li vedeva, li udiva, li sapeva e li sentiva come dardi appuntati trafiggermi il cuore; non vi era nemmeno in me un punto che restasse illeso, e talvolta mi sentiva il cuore in cento guise trapassato. Esteriormente per altro io appariva serena ed amichevole come se nulla sapessi di tutto ciò, poichè tutte coteste cose in me avvenivano internamente ed accadevano soltanto per esercitarmi nell'ubbidienza, nella carità e nell'umiltà. Quando poi io veniva a mancare di alcuna di coteste virtù, ne era tosto nel mio interno severamente castigata. L'anima mia appariva ai miei occhi stessi siccome trasparente, e quando le sopraggiungeva un nuovo patimento, tosto io vedeva nella medesima certi strali e certe macchie rosse ed infuocate, il di cui ardore dovea calmarsi per mezzo della pazienza.

« Il mio stato in monastero era talmente singolare e cotanto estraneo al mondo, che niuno potrebbe biasimare le mie consorelle del non avermi compresa e di avermi trattato con sospetto e diffidenza. E nondimeno Iddio avea loro nascoso molte cose, che avrebbero potuto assai più disturbarle a mio riguardo. Del resto io non fui mai nel mio interno cotanto ricca, nè sì oltremodo felice, malgrado tutti i dolori e tutti i patimenti, quanto allora. Viveva in pace con Dio e con le sue creature, e quando lavorava nel giardino venivano a me gli augelletti e mi si posavano sulla testa e sulle spalle, e lodavamo insieme il Signore.

«L'angelo mio custode mi seguiva sempre d'accanto; e quantunque il nemico infernale si aggirasse dappertutto, tutto eccitasse contro di me, anzi penetrasse nella mia stessa cella, maltrattandomi, battendomi e facendo un gran fracasso, pure non poteva farmi verun gran male e sempre veniva aiutata.

« Credeva spesso di accogliere nelle mie braccia per lunghe ore il santo Gesù; io lo sentiva, mentre mi trovava in compagnia delle consorelle, aggirarsi sempre a me dintorno, e ne era pienamente felice. Siccome io vedeva tante e tante cose, che mi arrecavano o gioia o grandi patimenti, e non aveva alcuno con cui intorno a ciò spiegarmi, così era costretta a soffocare in me stessa coi maggiori sforzi le impressioni anco più subitanee e possenti, e perciò cambiava spesso di colore e di apparenza nel volto, e sentiva dire sovente che io pareva innamorata. Avevano ragione: io non poteva amare assai il mio Sposo, e quando i suoi amici dicevano alcun che di bene di lui o di quelli che lo amano, il mio cuore balzava dalla gioia.