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Giovedi, 16 maggio 2024 - San Simone Stock ( Letture di oggi)

CAPO IV. SUA EDUCAZIONE NELLA CASA PATERNA

Vita della Beata Anna Caterina Emmerick - Libro primo

CAPO IV. SUA EDUCAZIONE NELLA CASA PATERNA
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1. Se noi facciamo ricerche intorno ai felici genitori, alla di cui cura e custodia era stato affidato questo prezioso tesoro, riscontriamo tosto una nuova prova della ma ravigliosa cura, in cui Dio sa disporre sino nelle minime cose le circostanze tutte del vivere delle anime da lui elette a strumento delle opere sue, onde tutto in loro possa servire al pieno adempimento di quella missione, cui furono destinate fino dalla eternità.

Anna Caterina era figlia di genitori veracemente pii, e pei quali la benedizione di una povertà contenta, perchè confidente in Dio, compensava quanto poteva loro mancare di esteriore benessere. La loro intera vita offrì sempre alla bambina l'immagine di una esistenza domestica, regolata secondo i precetti della santa fede; ed ella ricevè dalla loro mite severità un'educazione, la quale era la più adatta alle doti da lei ricevute ed alla sua vocazione. Il domestico casolare fu per Anna Caterina una scuola di divina virtù; ed anche negli anni più tardi sempre pensava col cuore pieno di gratitudine alle esortazioni ricevute dai buoni suoi genitori ed a tutti quegli esercizi di continenza e di pietà, ai quali erasi avvezza per cura loro. Le era una ben dolce consolazione il parlare di ciò; e queste sue narrazioni hanno reso possibile il descrivere la vita e le maniere dei genitori colle stesse parole della loro figlia:

2. Mio padre era molto giusto e pio. Era di uno spirito austero, ma nel tempo stesso sereno. Grazie alla sua povertà doveva molto affaticarsi ed era laboriosissimo, ma non per altro ansioso di guadagno. Con innocente fiducia tutto egli riponeva nella mano di Dio, e lavorava nella dura arte sua come un servo fedele, senza angustia e senza avarizia. Era pieno di semplici e belle sentenze morali, e di pii ed innocenti modi di dire. Raccontò una volta a noi ragazzi di un certo uomo grande, chiamato Hün, che aveva percorso mezzo mondo. Io fantasticava in me stessa ed immaginavami di vedere quest'uomo grande passeggiare la terra con una grossa vanga, buttare in un punto la terra buona e nell'altro la cattiva. Siccome mio padre era molto intento all'opera sua, così io fui anche da piccola assiduamente da lui impiegata ad aiutarlo. Sì d'estate che d'inverno, prima che nascesse il giorno, io doveva correre pel prato in cerca del cavallo. Questo era d'altronde assai cattivo, traeva calci e mordeva, e spesso anche riusciva a fuggire da mio padre; ma da me si lasciava tosto afferrare, e tornava a me anche quando era scappato lontano. Più di una volta mi arrampicai su lui, aiutandomi col montare sopra una pietra o sopra cosa che fosse più alta, e cavalcai verso casa. Rivolgeva, è vero, la testa talvolta e voleva mordermi, ma io lo batteva sul naso, ed ei tranquillo si avviava verso casa. Suoleva anche col mezzo suo trasportare i prodotti del campo ed il concime. Ora poi davvero non so capire come io bambina ancora sì debole, potessi venire a capo di quell'animale.

3. < Allorchè mio padre mi conduceva seco di buon mattino nei campi, e che il sole veniva a spuntare, levavasi il cappello e pregava e parlava di Dio, che faceva sorgere sopra di noi così bello il suo sole. Suoleva anche dire sovente essere cattiva usanza e molto riprovevole quando alcuno restava in letto sì a lungo che il sole ve lo sorprendeva dormendo; da questo mal uso derivar cose, per cui e casa, e podere, e paese, e gente vanno in rovina. Quindi io gli risposi una volta, Ciò non mi può riguardare, perchè il sole non può giungere al mio letto; egli per altro mi replicò, Se pure tu non vedi il sole quando egli è sorto, egli per altro vede tutto e scorge a traverso di tutto. Quindi fu che di lì in poi mi tenni molto guardinga. Talora, quando sul mattino prima che fosse giorno insieme uscivamo, mio padre diceva anche questo: Vedi, finora niuno peranco ha calpestato la rugiada! Noi siamo i primi; e se anche tu attenta pregherai, noi porteremo benedizione al terreno ed ai campi. Quanto è bello il poter anelare pei primi sulla rugiada ancor non tocca; è una benedizione ancor fresca! Finora niuna parolaccia è stata ancora pronunciata laggiù nei campi; niun peccato vi è stato commesso. Se si esce di casa e che le genti abbiano già calpestata tutta la rugiada, sembra come se tutto fosse stato insudiciato e perduto. -

4. Quantunque io mi fossi piccola e debole, pure veniva impiegata, sia in casa sia presso i parenti, in opere rustiche assai gravi, e sempre accadeva che io m'imbattessi nei più gravi lavori. Mi rammento di avere in un giorno di gran lavoro riempito il carro successivamente di venti carichi di biade senza alcun riposo, e più presto del servo il più forte. Anche nel mietere e nell'affastellare le biade doveva lavorar di molto.

« Doveva andare col padre nei campi, guidare il cavallo, sollevar l'erpice, e fare ogni sorta di opera ma nuale. Ogniqualvolta finito il solco ci rivolgevamo, ovvero si soprastava un momento, egli diceva:
Oh! come è bello adesso! Oh! guarda! Adesso precisamente possiamo vedere Hoesfeld e la chiesa, ove sta il santissimo Sacramento, e adorare il nostro Signore Iddio! Ed anche egli di là ci guarda e benedice tutti i nostri lavori.

Quando suonava a Messa scoprivasi il capo e pregava, e diceva: ? Ora vogliamo con l'intenzione sentire la santa Messa per intero. E quindi in mezzo al lavoro esclamava:

 Ora il sacerdote è al Gloria, ora è giunto al Sanctus, ed ora dobbiamo pregare con lui questo o quell'altro e farci il segno della croce. Quindi cantava egli talvolta un versetto o fischiava un'arietta. Quando io sollevava l'erpice, diceva: Ora le genti fanno le meraviglie pei miracoli, eppure noi viviamo di puri miracoli e di grazia di Dio! Guarda il granellino nel solco: eccolo! giace lì, e poi ne viene fuori con un grosso stelo e con la spiga, e porta cento granellini di più. Questo è pure un ben grosso miracolo! -

« Nelle domeniche dopo pranzo raccontava nostro padre tutta la predica da lui intesa, e ci spiegava e rischia rava il tutto con molta edificazione. Soleva anche leggere i santi Vangeli. »

5. Di simile pietà e retto modo di pensare era pure la madre di Anna Caterina, che nel corso di ventun anni ebbe partoriti al marito nove figli. Anna Caterina fu la prima, nel 1776, e nel 1787 nacque l'ultimo figlio. Le amarezze della fatica e del lavoro durante il tempo del di lei matrimonio, reso per altro felice dal sincero amore del pio marito, l'aveano resa severa ed esatta bensì, ma le avevano conservato nel cuore grande dolcezza ed una imperturbabile benevolenza verso di ognuno. Quanto più doveva affaticarsi col marito onde procurare a sè ed ai figli il necessario discreto sostentamento, tanto meno essa pareva conoscere ansiose cure o durezza di modi, e molto meno ancora poca contentezza del penoso suo stato. Anzi, a tanto era pervenuta cotesta buona madre, piena di un vero spirito d'orazione, che riguardava come grazie ricevute le fatiche ed i lavori, e pensava soltanto come sarebbe stata trovata da Dio, se da lui sarebbe stata giudicata per buona o cattiva madre di famiglia. Anna Caterina soleva di lei raccontare in età più avanzata:

« Il primo catechismo l'ho imparato da mia madre, e - consisteva in questa di lei sentenza: Signore, come vuoi tu, e non come voglio io! - E inoltre: - Signore, dammi pazienza, e poi batti pur forte!

 E queste sentenze le ho sempre osservate.

« Quand' io giocava con altri bambini, mia madre diceva sempre: Quando i bambini giuocano insieme da savii e per bene, gli angeli e Gesù bambino stanno sempre a loro vicini. Questo suo detto io lo prendeva alla lettera, della verità sicura affatto, e senza alcuna maraviglia; e spesso guardava con vera e desiosa curiosità verso il cielo per vedere se venivano, e talvolta credeva che fossero già venuti in mezzo a noi. Affinchè poi non si astenessero dallo intervenire, mettevamo sempre in campo buoni e pii giuochi. Quando doveva con altri bambini andare alla chiesa o in qualsiasi altro luogo, io me ne andava sempre innanzi o dopo di loro, onde non mi succedesse di udire o di vedere alcun che di cattivo per istrada. Mia madre mi aveva così comandato, ed esortata pure mi aveva a pregare lungo il cammino ed a recitare ora una preghiera, ora un' altra. Quando mi era fatta la croce sulla fronte, sulla bocca e sul petto, Queste, io mi pensava, sono le serrature che impediranno l'entrata a qualsiasi male nei pensieri, nella bocca e nel cuore. Gesù bambino solo deve aver le chiavi per entrare, e tutto allora andrà bene.

6. Tutto il modo di vivere dei genitori non lo vedeva Anna Caterina altrimenti che regolato dai comandamenti di Dio e dagli esercizi della Chiesa; e le uniche gioie e consolazioni, che talora interrompevano la monotonia dei lavori e delle cure, le vedeva ella nascere per loro soltanto dalle sante feste ecclesiastiche, la solennità delle quali colmava i loro cuori di lieta pietà. Tanto erano per altro quelle semplici anime adatte a cotesta felicità sopranna turale, che malgrado l'oppressione delle laboriose fatiche, conservavano sempre una sollecitudine capace anche di sacrifizio per le corporee e spirituali necessità dei loro prossimi. Mai dimenticava il buon padre Bernardo, quando anche sentivasi stanchissimo pel lavoro del giorno, di esortare sull'imbrunire i suoi figli a pregare pei viandanti, pei poveri soldati, pei poveri operai abbandonati, e di leggere loro preghiere a ciò adatte. E nei primi giorni di carne vale comandava la madre che i fanciulli quotidianamente recitassero a braccia aperte, prostrati col volto a terra, quattro Pater noster a pro dell'innocenza, che tanto spesso viene contaminata e sedotta in questi giorni. « Bambini, suoleva ella dire, voi altri non sapete e non intendete di che si tratti, ma pregate, perchè lo so ben io, e basta! »

Come poi la bontà di Dio benedicesse le parole e l'esempio dei genitori nelle anime dei bambini, che ne riconosce vano l'impulso, lo addimostra la seguente dichiarazione di Anna Caterina:

« Mentre io era ancora affatto bambina il mio fratello, maggiore dormiva anch' egli nell' istessa mia cameruzza. Era pio, e spesso a notte pregavamo dinanzi ai nostri letticciuoli, inginocchiati accanto l'uno all'altro, ed a braccia aperte. Io talvolta vedeva quella piccola camera divenire affatto luminosa. Spesso, quando avevamo pregato a lungo, mi sentiva portata per aria ed una voce sclamava: - Va nel tuo letto! - Mio fratello allora se ne spaventava, ma io seguitava a pregare ancora a lungo. Anche mio fratello è stato talvolta, durante l'orazione, disturbato e impaurito dal nemico infernale. Una volta i genitori lo trovarono in ginocchio ed a braccia aperte, affatto intirizzito dal freddo. »

7. Quanto poco la umile semplicità di quei buoni genitori trovava di straordinario nell ' esercizio dei doveri di un vero cristiano, altrettanto poco o mai venne loro in pensiero di inorgoglirsi per le varie e straordinarie manifestazioni, da loro bene di buon'ora osservate nella propria figliuola. È ben vero che in loro nasceva profondo commuovimento fino allo spargere lagrime di gratitudine, nel vedere manifestamente la ricchezza delle grazie riposte nell'anima della loro figliuola; ma pure si sforzavano soltanto a nascondere la loro maraviglia, e il loro contegno rimase sempre come per lo innanzi. Quanto la buona madre riconosceva di riprovevole in Anna Caterina, lo puniva con l'istessa severità, come negli altri figli, e niuna opera o lavoro domestico le fu mai risparmiato sin dalla prima infanzia. Da ciò avvenne che Anna Caterina fu sempre conservata nella più felice ignoranza di sè stessa, e la semplice umiltà sua, scevra d'ogni malizia, non fu mai disturbata nè da lode, nè da ammirazione, nè da curiosità importuna. La di lei víta interna sì prodigiosamente ricca, rimase all'esterno sconosciuta ed ascosa, ma venne a fiorire sotto la guida e la severa disciplina del di lei Angelo custode, che ne regolava ogni sentimento, pensiero o parola, e che mantenne quell' ardente spirito in un mai interrotto esercizio della più perfetta ubbidienza, sino a fargli raggiungere la più alta bellezza morale.

8. E padre e madre tenevano a lei per non comune amore, ma non era per altro conforme al loro modo di essere il manifestare cotesta inclinazione con istraordinarie carezze. Era pel padre Bernardo un vero bisogno quello di aver presso di sè nei lavori del campo la sua sagace e svelta fanciulletta, e provava per tutti i suoi discorsi e risposte e per tutto il suo modo di diportarsi un così intimo piacere, che non voleva mai starne a lungo privo. La madre per altro era troppo occupata dalla cura della prole minore, per poter quanto il padre intrattenersi con Anna Caterina. La di lei serenità di spirito era passata nella figlia, e questa sapeva benissimo il modo di raddolcire con graziosi scherzi il lavoro giornaliero dell ' affaticato padre. Ella era per natura allegra, come e quanto può esserlo una fanciulletta pura, innocente e così meraviglio samente familiare con Dio e coi Santi. Sotto una fronte alta e graziosamente convessa brillavano occhi di un bruno chiaro, il di cui mite lume accresceva la chiarezza spirante da tutta la di lei persona. Gli scuri suoi capelli pettinati indietro dalla fronte e dalle tempie e non partiti, erano raccolti in trecce, e queste ravvolte intorno al di lei capo.

La di lei sonora e fina voce e la rapidità del discorso indicavano la vivacità dello spirito; e la di lei bocca con grande agevolezza parlava di cose, che alle persone con lei conviventi sembravano misteriose ed enigmatiche; per altro la di lei semplice ed umile timidità bentosto mitigava ogni seria impressione, che quel subitaneo balenare degli alti doni di cui era ricca, poteva aver cagionato. Tutti dovevano amarla, ma a niuno lasciava ella tempo di ammirarla.

Era si dolce, sì benevola, e il di lei zelo ad aiutare e servire altrui era tanto amabile ed insinuante, che giovani e vecchi venivano a Caterinuccia, ed essa aveva consiglio ed aiuto per ogni caso. Tutti sapevano essa non conoscere nè bene nè gioia alcuna, che non fosse pronta a sagrificare inpro degli altri; e quei semplici contadini si abituarono talmente a quell'aura di benedizione che spirava dalla fanciulletta, siccome abituati erano al profumo del rosmarino che coltivavano nei loro orticelli. La medesima Anna Caterina confessò una volta:

« Fin da bambina dovetti fasciare ogni ferita ai vicini, perchè lo faceva in modo più leggiero e guardingo, ed era più agile di mano. Quando vedeva un tumore, io mi pensava se tu lo comprimi sarà più doloroso, ma pure conviene che il male esca fuora; e quindi ne veniva a succhiarlo pian piano, e le ferite guarivano. Niuno mi aveva insegnato a far ciò, ma mi sospingeva un interno desiderio di aiutare altrui. Nei primi tempi provai nausea e ripugnanza; ciò per altro mi spinse a vincermi, perchè se no sarebbe stata falsa compassione. Quando mi riusciva di vincermi subito, ne era tutta penetrata di gioia, e pensava a Nostro Signore, che ha pur fatto lo stesso a tutta la povera umanità. »

9. Il colore del di lei volto soleva cambiare rapidamente dal più fiorente rossore fino alla più languida pallidezza; e quei suoi occhi radianti di luce potevano spegnersi con tanta rapidità, che Anna Caterina era spesso da riconoscersi appena. Una serietà profonda scacciava da lei l'allegra libertà dei suoi modi, ed una tristezza inesplicabile a quanti la circondavano posavasi sulla di lei fronte in modo tale che i genitori nella loro cura spesso si addimandavano: Che sarà mai accaduto a questa ragazza?

La cagione di cotesti subitanei cangiamenti stava riposta nella vista dei bisogni e dei patimenti altrui, che si offriva molto più agli occhi del suo spirito, di quel che nol fosse agli occhi corporei. Nel modo stesso in cui Anna Caterina non potea sentir nominare invano alcun santo nome senza esser rapita in visione, così bastava che fosse detta una sola parola di disgrazie e di dolori, perchè venisse tosto in una tal compassione ed in tal desiderio di offrirsi in aiuto ed espiazione in altrui pro, che l'anima sua era tosto trasportata da irresistibile potenza verso il luogo, ove il male erasi manifestato, e quindi ben presto provava le pene degli estranei come se fossero sue proprie. La certezza, per altro, che da simile compassione ne veniva aiuto ed alleviamento in favore dei prossimi, le dava consolazione e fortezza e vieppiù si rendeva potente l'ardenza dell'amore nell' animo suo. Ma i genitori e i fratelli non potevano sì di leggieri penetrare il maraviglioso contegno della bambina, ed era specialmente la madre fra loro cui spesso accadeva che la cura e l'ansiosa tristezza si cambiassero in vera contrarietà e malcontento, quando essa osservava nella figlia un avvicendarsi tanto rapido di malessere ed infermità, quanto di fiorente freschezza e salute. Essa prendeva non di rado queste rapide vicende per null'altro che capricci ed ostinazioni, e credeva doverle combattere con amari rimproveri e castighi. Quindi avveniva che la povera Anna Caterina, quantunque per la compassione e gli interni dolori ne fosse appena capace, doveva raddrizzarsi e contenersi, e si vedeva o scacciata od anche sensibilmente castigata. Ma avveniva poi che il non meritato castigo era sopportato con tanta pazienza e sommissione, ed Anna Caterina ciò malgrado rimaneva sì serena e con tenta, che padre e madre l ' uno all' altro dicevansi: Questa è davvero una curiosa ragazza! Che ne sarà mai di questa ragazza, che non si perde mai d'animo? Erano già soltanto gli interni ammonimenti dell'Angelo, che movevano Anna Caterina a sopportare con semplicità e per amor di Dio simili trattamenti; ma dee dirsi altresì non aver ella avuto altro sentimento fuor quello di esser degna di ogni castigo.

« Io era sin dalla prima gioventù focosa ed ostinata, e perciò fui bene spesso castigata dai genitori. La mortifica zione del mio spirito ostinato è quella che mi ha costato più fatica. Siccome i miei genitori spesso mi rimprovera vano e mai mi lodavano, ed io poi sentiva altri fanciulli venir lodati dai loro genitori, così riteneva me stessa per la peggior creatura del mondo, e sovente mi trovava nella maggiore inquietudine, temendo di poter essere in cattivo odore dinanzi a Dio. Quando, per altro, una volta mi feci accorta che altri fanciulli male corrispondevano ai loro parenti, ciò sicuramente mi fece pena, ma pure ripresi coraggio e pensai: eppure posso ancora sperare di trovare Iddio pietoso, poichè mancanze sì grosse davvero non le potrei commettere. »

10. Niuna cosa potea riuscire per Anna Caterina più difficile, quanto il dominare la grande vivacità del di lei spirito, e il contrariare siffattamente il proprio senso e la propria volontà, al segno di sembrare che vivesse soltanto per la volontà degli altri. La acuta sensibilità di tutto il suo essere, la dolcezza del di lei cuore che incessantemente veniva ferito da mille cose, cui gli altri uomini non pongono neppure mente, l'ardente suo zelo per l'onore del Signore e la salute del prossimo, le imponevano incessanti sforzi per giungere ad una tale mitezza, ad una tale dimenticanza di sè stessa, ad una ubbidienza cotanto umile e priva di volontà, che ogni primo moto di contraddizione era tosto in lei vinto sino dal nascere. Eppure a quella forte anima riusciva cotesto trionfo! E la di lei costante fedeltà venne da Dio ricompensata cotanto, che Anna Caterina dovè confessare:

« La ubbidienza era la mia forza, la mia consolazione. Per mezzo dell'ubbidienza io potei contenta e gioiosa pre gare, potei stare con Dio, ed il mio cuore rimase libero. »

Non solo riteneva sè stessa per la minima ed ultima di tutte le creature, ma altresì si sentiva tale; e a seconda di cotesto vivace sentimento era interamente regolata la di lei interna ed esterna condotta. Il santo suo Angelo custode non tollerava in lei veruna imperfezione, e ne castigava ogni mancanza con ammonimenti e penitenze, che molto dolorose riuscivano e sempre una profonda umiliazione la sciavano nell'anima della fanciulletta. Quindi avvenne che Anna Caterina giudicasse sè medesima con la maggior se verità, e si imponesse ad ogni mancanza sensibili castighi, mentre il di lei cuore traboccava di bontà e dolcezza verso altrui. Nel quinto anno dell' età sua guardò ella una volta attraverso la siepe d'un giardino un pomo caduto ai piè di un albero, con brama infantile di averlo e goderne. Appena per altro avea avuto cotesto pensiero di cupidigia, fu presa da tal pentimento, che si propose in penitenza di mai più gustare una mela; il che di poi osservò sempre con la maggior fedeltà.

Un'altra volta le era divenuta antipatica una contadina perchè aveva sparlato dei genitori; e si era proposta di passarle dinanzi senza salutarla. Così fece di fatto con cuore per altro dolente, ma fu tosto presa da tal pentimento, che tornò indietro, e domandò perdono a quella contadina per la usata malcreanza. Quando principiò ad accostarsi al Sacramento di Penitenza, non potè per cotesti mancamenti trovar requie nella sua delicata coscienza, finchè senza sotterfugio e attenuazione si fu accusata con veraci sensi di pentimento dinanzi al confessore e ne riportò con la penitenza anche l'assoluzione.

11. Affinchè gli interni dolori tanto anticipati e la profonda severità di una vita penitente non dileguassero la innocente allegria di una pura fanciullezza dal cuore di Anna Caterina, il Signore le dette compenso nelle gioie innumerevoli che per lei scaturivano dalla contemplazione della grandezza e maestà di Dio nella creazione, e dal di lui dolce commercio con le creature irragionevoli. Allorchè trovavasi sola nel bosco o nei campi, tosto chiamava a sè gli uccelli, cantava con loro le lodi del Signore e li accarezzavá, mentre essi confidenti sulle braccia o sulle spalle le si posavano. Scopriva ella a caso un nido? Ecco che vi guardava dentro col cuore palpitante per gioia e sussurrava agli augellini le più dolci parole. Essa conosceva i luoghi tutti ove a primavera sbocciavano i primi fiori, che ella coglieva per farne corone a Gesù bambino ed a Maria. Ma il di lei luminoso sguardo penetrava anco più lungi.

Mentre altri bambini si dilettano nello sfogliare libri di immagini e godono più dei fiori e delle bestiuole dipinte, di quello che del vivente e reale splendore dei colori, per Anna Caterina invece le stesse reali creature erano le immagini, nelle quali con occhio contento ammirava la sapienza e la bontà di Dio. Conosceva benissimo la loro natura e proprietà; e quindi potè, nel partecipare le di lei visioni della vita di san Giovanni Battista nel deserto, confessare quanto segue:

« Non mi sono mai potuta meravigliare del che Giovanni nel deserto abbia potuto apprendere cotanto di relativo ai fiori ed agli animali; giacchè, sin da che io era bambina, ogni foglia, ogni fiorellino mi fu sempre siccome un libro, in cui legger poteva. Osservando ogni colore, ogni aspetto, ogni forma, sentiva in me chiara l'idea della loro significazione e bellezza; se per altro lo volessi raccontare verrei derisa. Ogniqualvolta usciva all' aperto io mi sapeva sollazzare con tutto. Iddio mi aveva infuso il sentimento intimo di tutto, e tutto osservava penetrando nella intima natura dei fiori e degli animaletti. Oh! quanto me ne poteva io divertire! Era ancora giovanissima quando mi prese una febbre, e nondimeno usciva qua e là vagando.

I genitori temevano, per altro, che ne potessi morire. Ma ecco che a me se ne venne un bel fanciullo e mi additò certe erbe, che dovea cogliere e masticare per ristabilirmi in salute. Conosco ancora coteste piante; fra gli altri succhi vi era anche quello dolce del vilucchio. Mangiai di quelle erbe e seduta appiè di una siepe succhiai il buon vilucchio. Fui presto guarita. Più d'ogni altra cosa amava i fiori di camomilla. Non so dire quanto vi sia per me di dolce e di meraviglioso nel loro nome. Già di buon'ora cominciai a raccoglierli e li teneva pronti pei poveri ammalati, che volentieri a me venivano, mi mostravano una ferita, o un male qualunque, addimandandomi che ne pensassi. Ed allora mi si presentavano alla mente in folla innocui mezzi, coi quali venivano presto ristabiliti in salute. »

12. Come poi per essa riuscisse chiaro ed aperto ogni mistero dell' ordine sacro e soprannaturale della Chiesa, trasparisce dalla manifestazione seguente: « Fin da bambina sentendo il suono delle campane consacrate, vedeva in visione questi suoni radiare siccome raggi di benedizione, che fugavano ogni danno minacciato da nemiche potenze sin là dove giungevano. Ritengo per certo che le campane consacrate spaventano Satana. Quando io nella mia gioventù in tempo di notte pregava nei campi, spesso sentiva e vedeva maligni spiriti intorno a me; ma tostochè le campane di Hoesfeld suonavano a mattutino, io sentiva che quegli spiriti fuggivano. Ho sempre sentito internamente che fino a tanto che le lingue dei sacerdoti risuonavano nelle loro voci tanto lontano, siccome al principio della Chiesa, non vi era bisogno di campane. Ma adesso vi ha d'uopo di lingue di bronzo, che chiamino i fedeli. Tutto deve servire a Gesù nostro Signore per moltiplicare la salute delle anime e rassicurarle contro al nemico. Egli ha conferito la sua benedizione ai sacerdoti, onde essa trascorrendo da loro penetri tutti, e onde tutto penetri a servigio del Signore, operando da vicino e da lontano. Laddove, per altro, lo spirito si è allontanato dai preti, e le campane soltanto propagano la benedizione e spaventano le potenze nemiche, colà avviene appunto come ad un albero, la di cui cima ricevendo ancora vita dalla scorza, fiorisce, ma l'interno midollo ne è omai disseccato. Io sento il suono delle campane consacrate e più essenzialmente lo sento gioioso, fortificante e dolce di qualsiasi altro suono, che al contrario mi giunge cupo e rauco; anche lo stesso organo risuona alle mie orecchie come spossato affatto e di natura molto inferiore al suono delle campane. »

13. Pure più assai del suono delle consacrate campane sentiva intimamente Anna Caterina la lingua della Chiesa. Le preci latine della santa Messa e lo intero rito della Chiesa le erano altrettanto intelligibili quanto la lingua materna; cosicchè per lungo tempo fu di opinione, che tutti i pii credenti dovessero intendere tutto ciò al pari di lei.

« Io non ho mai (disse ella una volta) saputo di alcuna differenza di lingue nelle cose sacre, poichè non ho mai sentito le parole soltanto, ma ho sempre avuto nel tempo stesso l'intimo senso della cosa sacra in sè stessa. »


14. Per la forza ed il benefico effetto della benedizione sacerdotale possedeva Anna Caterina un senso sì profondo e vivace, che veniva involontariamente attirata, allorchè un sacerdote veniva a passare in vicinanza dell'abitazione paterna; gli correva incontro e lo pregava della sua benedizione. Se avveniva a caso che ella si trovasse a pascere le vacche, tosto ne affidava la guardia al suo Angelo custode, e correva verso il prete viandante, per ottenerne la benedizione.

15. Portava poi in un reliquiario racchiuso e pendente sul suo petto il principio del Vangelo di S. Giovanni. Ella disse intorno a ciò:

«Sino da bambina fu per me il Vangelo di S. Giovanni illuminante e refrigerante; anzi fu per me come una ban diera. In ogni angustia e pericolo io diceva con ferma fiducia: - Ed il Verbo si è incarnato, ed ha abitato fra
- noi. Non poteva mai capire, quando più tardi dovei sentire dire da alcuni ecclesiastici che ciò era incomprensibile. »

16. Se poi Anna Caterina era tutta penetrata da un vivace senso di riverenza e di commovimento nascente dalle cose sacre e pei luoghi santificati, e ne provava sopra di sè l'azione in guisa di spirituale ristoro e rifocillamento; così pure ella provava terrore e spavento in molti luoghi, ove era accaduto alcun che di male e vi posava sopra una maledizione. Allora si sentiva tutta ripiena d'una profonda compassione, ed un interno impulso la costringeva a pregare costà ed operare una sorta di espiazione col mezzo della penitenza. A questo proposito raccontò una volta il seguente avvenimento della sua gioventù:

« Non lungi dalla nostra casa, frammezzo a fruttiferi campi, sta un luogo a guisa di macchia, sul quale non vegeta cosa alcuna. Quand' io da bambina vi passava per sopra, provava sempre un raccapriccio, e mi sembrava come se fossi respinta, e talvolta vi caddi sopra senza veruna causa speciale. Io vedeva come due ombre nere errare là d'attorno, ed i cavalli suolevano in vicinanza di quel luogo mostrarsi spaventati. Poichè ebbi spesso provato lo sconforto cagionato da quel sito, m'informai dalla gente che pretendeva avervi veduto ogni sorta di cose; il che per altro non era conforme la verità. In seguito mi raccontò mio padre che durante la guerra dei sett'anni un soldato annoverese era stato archibugiato in quel luogo; ma che, per altro, egli era innocente, e soltanto per opera di due altri condotto a questo sciagurato fine. Quando ciò mi fu raccontato, avevo già ricevuta la prima Comunione. Pregai allor di notte a braccia aperte su quel tristo terreno. La prima volta mi costò un grave sforzo; la seconda volta venne una brutta bestia a guisa di cane, che da tergo mi posò la testa sulle spalle. Mi rivolsi verso di lui e vidi gli occhi infiammati e il grugno. Mi spaventai bensì, ma non mi lasciai distorre, e pensai così: Signore, al monte Oliveto, anche nella più grande angoscia, hai spesso ricominciato a pregare; tu sei presso di me! il Maligno non può nuo cermi! E quindi principiai di nuovo a pregare; allora quel mostro sparì. Mentre io pregava costì di nuovo, fui solle vata da terra e via portata, come se dovessi esser gittata in un burrone vicino. Per altro confidai fermamente in Dio e dissi: Satana, tu non puoi cosa alcuna sopra di me! Ed egli sparì. Seguitai caldamente a pregare. D' allora in poi non vidi mai più quelle ombre, e quel luogo restò tranquillo.

« Io provava pure, senza che cosa alcuna mi fosse stata narrata, una ripugnanza ed un repellente raccapriccio per quei luoghi della campagna, dove erano state tombe di pagani. Così havvi non lungi dalla nostra casa una pianura, ed ivi un monticello sabbioso, dove io mal volentieri custodiva le vacche pascolanti, perchè di colaggiù vedeva sem pre scaturire un nero e ripugnante vapore, come se fosse cagionato da stracci abbruciati, e distendersi denso sulla terra senza punto elevarsi. Osservai bene spesso costì una certa speciale oscurità, e vidi cupe figure che cagionavano quel tenebrore, aggirarsi qua e là sotto terra, e poi sparire. Pensava allora ben sovente come una vera bambina: è un gran bene che vi posino sul capo coteste zolle pese e profonde, chè così non ci potete fare alcun male. In seguito ho spesso veduto che quando sopra simili luoghi venivano alzati edifici, usciva una specie di maledizione da quelle cupe ossa, se gli abitanti di quelle case non erano pii e non erano da viva fede collegati e resi partecipi delle benedizioni della Chiesa, e col mezzo di coteste benedizioni non fugavano il cattivo influsso derivante da quelle ossa maledette. Quando, per altro, quegli abitanti si servivano a respingere il male di mezzi non ecclesiastici, o superstiziosi, allora venivano, senza pure sospettarlo, ad essere in rapporto con tenebrose potenze, ed il Maligno acquistava ancora più dominio sopra di loro. Mi è assai difficile di rendere simili cose intelligibili ad altri, poichè io veggo tutto ciò come dinanzi agli occhi miei, ma gli altri se lo debbono rappresentare pensando. Mi sembra sovente ancora più difficile a comprendersi come mai per tanti e tanti tutto si confonda e divenga indifferente: sacro e non sacro, credente ed incredulo, redento e non redento; e come costoro veggano in tutto ciò soltanto l'esterna apparenza e per così dire il colore, e se si possa di ciò mangiarne o no, trarne guadagno o no, e cose simili; mentre io d'altronde così distintamente veggo e sento altrimenti. Ogni che di santo e di benedetto io lo veggo luminoso e moltiplicante e riflettente la espirante luce, e che è diffondente salute ed aiuto; al contrario ogni che di profano ed ogni cosa maledetta io la veggo sempre cupa, diffondente tenebre e cagionante perdizione. Io veggo la luce e le tenebre, scaturendo secondo la loro natura dal bene o dal male, vivacemente agire in senso di luce o di tenebre. È in tal guisa che ciò tutto mi viene mostrato.
In tempo susseguente, mentre abitava in Dülmen, passai innanzi al così detto Romitorio, andandomene verso una selvetta dove dimora il contadino H... Costà si estende una piccola pianura. Quando con la mia compagna giunsi vicino a quel piano, ne vidi sorgere un denso vapore che in me destò repellenti brividi di raccapriccio. Scaturivano di mezzo a quel prato molte correnti di quel vapore, e distendevansi strisciando quasi a pari del suolo per molte tortuosità e come a guisa di flutti. Siccome non vidi alcun fuoco, dissi accennandolo alla mia compagna: che mai possono abbruciare laggiù, poichè non mi riesce di vedere fuoco alcuno? Colei, per altro, non vedendo il minimo che, rimase stupita della mia domanda, ed immaginò che mi avesse colta un male repentino. Tacqui allora, ma conti nuai a vedere quell'oscuro vapore e sentii accrescersi il mio già grave malessere;  siccome dovevamo passare affatto vicino a quel luogo, vidi chiaramente quel vapore quasi come palpabile, mentre allontanandosi da noi si di stendeva verso il lato opposto. Allora sentii distintamente che ossa tenebrose e maledette giacevano colà sepolte, ed ebbi visione di una scellerata idolatria, che ivi in tempi remoti era stata praticata.