Scrutatio

Sabato, 27 aprile 2024 - Santa Zita ( Letture di oggi)

XCIV - Come li predecti piangitori mondani sono percossi da quatro diversi venti.

Santa Caterina da Siena

XCIV - Come li predecti piangitori mondani sono percossi da quatro diversi venti.
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— O egli è vento di prosperità, o egli è vento d’aversità, o di timore, o di coscienzia, che sonno quattro venti.

El vento della prosperità notrica la superbia con molta presumpzione, con grandezza di sé e avilimento del proximo suo. Se egli è signore, va con molta ingiustizia e con vanità di cuore, e con immondizia di corpo e di mente, e con propria reputazione e con molte altre cose che seguitano doppo queste, le quali la lingua tua non potrebbe narrare. Questo vento della prosperità è egli corrocto in sé? No; né questo né veruno; ma è corrocta la principale radice de l’arbore, unde ogni cosa corrompe. Perché Io, che mando e dono ogni cosa che ha essere, so’ somamente buono; e però è buono ciò che è in questo vento prospero. Unde ne gli séguita pianto, perché ‘l suo cuore non è saziato, ché desidera quello che non può avere; e non potendolo avere, ha pena, e nella pena piagne. Già ti dixi che l’occhio vuole satisfare al cuore.

Dipo’ questo viene uno vento di timore servile, nel quale gli fa paura l’ombra sua, temendo di perdere la cosa che egli ama. O egli teme di perdere la vita sua medesima, o quella de’ figliuoli o d’altre creature; o teme di perdere lo stato suo o d’altre per amore proprio di sé, o onore o ricchezza. Questo timore non gli lassa possedere il dilecto suo in pace, perché ordinatamente, secondo la mia volontà, non le possiede; e però gli séguita timore servile e pauroso, facto servo miserabile del peccato, e tale si può reputare quale è quella cosa a cui egli serve. El peccato è non cavelle: adunque egli è venuto a non cavelle.

Mentre che il vento del timore l’ha percosso, ed eili giogne quello della tribulazione e aversità della quale egli temeva, e privalo di quello che egli aveva, alcuna volta in particulare e alcuna volta in generale. Generale è quando è privato della vita, che per forza della morte è privato d’ogni cosa. Alcuna volta è particulare, ché quando levo una cosa e quando un’altra: o della sanità, o de’ figliuoli, o ricchezze, o stati, o onori, secondo che lo, dolce medico, vego che è di necessità a la vostra salute, e però ve l’ho date. Ma, perché la fragilità vostra è tucta corrocta, e senza veruno cognoscimento guasta el fructo della pazienzia; e però germina impazienzia, scandalo e mormorazione, odio e dispiacimento verso di me e delle mie creature, e quello che lo ho dato per vita l’ha ricevuto in morte con quella misura del dolore che egli aveva l’amore.

Ora è condocto a pianto aliggitivo d’impazienzia che disecca l’anima e ucidela tollendole la vita della grazia; e disecca e consuma el corpo, e acciecalo spiritualmente e corporalmente, e privalo d’ogni dilecto e tollegli la speranza, perché è privato di quella cosa nella quale aveva dilecto, dove aveva posto l’affecto e la speranza ‘e la fede sua: si che piagne. E non solamente la lagrima fa venire tanti inconvenienti, ma el disordinato affecto e dolore del cuore, unde è proceduta la lagrima. Ché non la lagrima de l’occhio in sé dá morte e pena, ma la radice unde ella procede, cioè l’amore proprio disordinato del cuore. Ché, se’l cuore fusse ordinato e avesse vita di grazia, la lagrima sarebbe ordinata e costrignerebbe me, Dio etterno, a farli misericordia. Ma perché dicevo che questa lagrima dá morte? perché ella è il messo che vi manifesta. la vita o morte che fusse nel cuore.

Dicevo che veniva uno vento di coscienzia; e questo fa la divina mia Bontà, che, avendo provato con la prosperità per trarli per amore e col timore, ché per importunità dirizzassero el cuore ad amare con virtú e non senza virtú; provato con la tribolazione, data perché cognoscano la fragilità e poca fermezza del mondo; ad alcuni altri, poi che questo non giova, perché v’amo ineffabilemente, do uno stimolo di coscienzia, perché si levino ad aprire la bocca bomicando el fracidume de’ peccati per la sancta confessione. Ma essi, come obstinati, e drictamente riprovati da me per le iniquità loro (che non hanno voluto ricevere la grazia mia in veruno modo), fugono lo stimolo della coscienzia, e vannolo spassando con miserabili dilecti e dispiacere mio e del proximo loro. Tucto l’adiviene perché è corrocta la radice con tucto l’arbore, e ogni cosa l’è in morte, e stanno in continue pene, pianti e amaritudine, come decto è. E se non si correggono mentre che hanno el tempo di potere usare el libero arbitrio, passano da questo pianto dato in tempo finito, e con esso giongono al pianto infinito. Sí che il finito lo’ torna ad infinito, perché la lagrima fu gittata con infinito odio della virtú, cioè col desiderio de l’anima, fondato in odio, che è infinito.

Vero è che, se avessero voluto, ne sarebbero esciti mediante la mia divina grazia nel tempo che essi erano liberi, non obstante ch’Io dicesse essere infinito: infinito è in quanto l’affecto è essere de l’anima, ma none l’odio e l’amore che fusse ne l’anima; ché, mentre che sète in questa vita, potete amare e odiare, secondo che è di vostro piacere. Ma se finisce in amore di virtú, riceve infinito bene, e se finisce in odio, sta in infinito odio ricevendo l’ecterna dannazione, si come Io ti dixi quando ti contiai che s’annegavano per lo fiume; intanto che non possono desiderare bene, privati della misericordia mia e della caritá fraterna, la quale gustano e’ sancti l’uno con l’altro, cioè della caritá di voi, perregrini viandanti in questa vita, posti qui da me per giognere al termine vostro, di me, vita etterna.

Né orazioni né limosine né verun’aitra operazione lor vale: essi sono membri tagliati dal corpo della divina mia carità, perché, mentre che vissero, non volsero essere uniti a l’obbedienzia de’ sanai miei comandamenti nel corpo mistico della sancta Chiesa e nella dolce sua obbedienzia, unde traete il sangue dello immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo. E però ricevono el fructo de l’ecterna dannazione con pianto e stridore di denti.

Questi sonno quelli martiri del dimonio, de’ quali lo ti dixi; si che ‘l dimonio lo’ dá quello fructo che ha per sé. Adunque vedi che questo pianto dá fructo di pene in questo tempo finito, e ne l’ultimo lo’ dá la infinita conversazione delle dimonia.