Scrutatio

Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

LXXXIX - De la differenzia d’esse lagrime, discorrendo per li predecti stati dell’anima.

Santa Caterina da Siena

LXXXIX - De la differenzia d’esse lagrime, discorrendo per li predecti stati dell’anima.
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— Io voglio che tu sappi che ogni lagrima procede dal cuore, perché neuno membro è nel corpo che voglia tanto satisfare al cuore quanto l’occhio. Se egli ha dolore, l’occhio el manifesta; e se egli è dolore sensitivo, gitta lagrime cordiali che generano morte, perché procedevano dal cuore, perché l’amore era disordinato fuore di me; e perché egli è disordinato, però è con offesa di me e riceve mortale dolore e lagrime. È vero che la gravezza della colpa e pianto è piú grave e meno, secondo la misura del disordinato amore. Questi sonno quelli primi che hanno lagrime di morte, de’ quali Io t’ho decto e dirò. Ora comincia a vedere le lagrime che cominciano a dare vita, cioè di coloro che, cognoscendo le colpe loro, per timore della pena cominciano a piangere. Queste sonno lagrime cordiali e sensitive, cioè che, non essendo ancora al perfectissimo odio della colpa commessa per l’offesa facta a me, levansi con uno cordiale dolore per la pena che lo’ séguita doppo el peccato commesso; e però l’occhio piagne perché vuole satisfare al dolore del cuore.

Ed exercitandosi l’anima a la virtú, comincia a perdere il timore, perché cognosce che solo el timore non è sufficiente a darli vita etterna, si come nel secondo stato dell’anima Io ti narrai. E però si leva con amore a cognoscere se medesima e la mia bontá in sé, e comincia a pigliare speranza della misericordia mia, nella qualeil cuore sente allegrezza. Mescolato el dolore della colpa con allegrezza della speranza della divina mia misericordia, l’occhio alora comincia a piangere: la quale lagrima esce della fontana del cuore. Ma perché ancora non è gionta a la grande perfeczione, spesse volte gitta lagrime sensuali. Se tu mi dimandi: — Per che modo? — rispondoti: Perché la radice de l’amore proprio di sé non è d’amore sensitivo (che giá v’è levato per lo modo decto), ma è uno amore spirituale quando l’anima appetisce le spirituali consolazioni, delle quali distesamente ti dixi la imperfeczione loro, o mentali o con mezzo d’alcuna creatura amata di spirituale amore. Quando è privata di quella cosa che ama, cioè delle consolazioni o dentro o di fuore (dentro, per consolazione che abbi tracta da me; o di fuore, della consolazione che aveva dalla creatura), e sopravenendo le temptazioni o persecuzioni dagli uomini, el cuore ha dolore: e subbito l’occhio, che sente il dolore e la pena del cuore, comincia a piangere d’uno pianto tenero e compassionevole a se medesima, d’una compassione spirituale di proprio amore, perché non è ancora conculcata e annegata la propria volontà in tucto. Per questo modo gitta lagrime sensuali, cioè di spirituale passione.

Ma, crescendo ed exercitandosi nel lume del cognoscimento di sé, concipe uno dispiacimento in se medesima e odio perfecto di se medesima, unde traie uno cognoscimento vero della mia bontá con uno fuoco d’amore, e comincia a unirsi e conformare la volontà sua con la mia. E cosí comincia a sentire gaudio e compassione: gaudio in sé per l’affetto de l’amore, e compassione al proximo, si come nel terzo stato Io ti narrai. Subbito l’occhio, che vuole satisfare al cuore, gemenella caritá mia e del proximo suo con cordiale amore, dolendosi solo de l’offesa mia e del dapno del proximo e non di pena né danno proprio di sé, perché non pensa di sé, ma solo pensa di potere rendere gloria e loda al nome mio; e con espasimato desiderio si diletta di prendere il cibo in su la mensa della sanctissima croce, cioè conformandosi con l’umile, paziente e inmaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo, del quale feci ponte, come detto è.

Poi che cosí dolcemente è ita per lo ponte, seguitando la doctrina della dolce mia Verità, e passata per questo Verbo, sostenendo con vera e dolce pazienzia ogni pena e molestia, secondo che Io ho permesso per la salute sua, ella virilmente l’ha ricevute, none eleggendole a suo modo ma a mio; e non tanto che porti con pazienzia, come Io ti dixi, ma con allegrezza sostiene. E recasi in una gloria d’essere perseguitata per lo nome mio, pure che abbia di che patire. Alora viene l’anima a tanto diletto e tranquillità di mente, che non è lingua sufficiente a poterlo narrare.

Passata col mezzo di questo Verbo (cioè per la doctrina de l’unigenito mio Figliuolo), fermato l’occhio de l’intelletto in me, dolce prima Verità, veduta la cognosce, e cognoscendo l’ama. Tratto l’affetto dietro a l’ intelletto, gusta la Deitá mia etterna, la quale cognosce, e vede essa natura divina unita con la vostra umanità. Riposasi alora in me, mare pacifico. EI cuore è unito per affetto d’amore in me, si come nel quarto unitivo stato ti dixi. Nel sentimento di me, Deitá etterna, l’occhio comincia a versare lagrime di dolcezza, che drittamente sonno uno latte che nutrica l’anima in vera pazienzia. Queste lagrime sonno uno unguento odorifero che gicta odore di grande soavità.

O dilettissima figliuola mia, quanto è gloriosa quella anima che cosí realmente ha saputo trapassare dal mare tempestoso a me, mare pacifico, e impíto el vaso del cuore suo nel mare di me, somma ed etterna Deitá ! E però l’occhio, ch’è uno condotto, s’ingegna, come egli ha tracto del cuore, di satisfarli; e cosí versa lagrime.

Questo è quello ultimo stato dove l’anima sta beata e dolorosa: beata sta per l’unione che ha fatta meco per sentimento, gustando l’amore divino; dolorosa sta per l’offesa che vede fare a me, bontá e grandezza mia, la quale ha veduta e gustata nel cognoscimento di sé e di me, per lo quale cognoscimento di sé e di me gionse al’ultimo stato. E non è però impedito lo stato unitivo (che dá lagrime di grande dolcezza), per lo conoscimento di sé, nella caritá del proximo, nella quale trovò pianto d’amore della divina mia misericordia e dolore de l’offesa del proximo: piangendo con coloro che piangono e godendo con coloro che godono (ciò sonno coloro che vivono in carità, de’ quali l’anima gode vedendo rendere gloria e loda a me da’ servi miei). Si che ‘l pianto secondo (cioè il terzo) non impedisce l’ultimo, (cioè il quarto), Punitivo secondo; anco condisce l’uno l’altro. Ché se l’ultimo pianto, dove l’anima ha trovata tanta unione, non avesse tracto dal secondo (cioè dal terzo stato della caritá del proximo), non sarebbe perfetto. Si che è di bisogno che si condisca l’uno con l’altro, altrementi verrebbe a presumpzione, nella quale intrarrebbe uno vento sottile d’una propria reputazione, e cadrebbe da l’altezza infino a la bassezza del primo vomito. E però è bisogno di portare e tenere continuo la caritá del proximo suo con vero cognoscimento di sé.

Per questo modo nutricarà el fuoco della mia caritá in sé, perché la caritá del proximo è tratta da la caritá mia, cioè da quello cognoscimento che l’anima ebbe conoscendo sé e la bontá mia in sé, unde ella si vidde amare da me ineffabilemente. E però con questo medesimo amore che vide in sé essere amata, ama ogni creatura che ha in sé ragione; e questa è la ragione che l’anima si distende, subbito che conosce me, ad amare il proximo suo. Unde, perché vidde, l’ama ineffabilemente, si che ama quella cosa che vidde che lo piú amavo.

Poi cognobbe che a me non poteva fare utilitá né rendermi quel puro amore con che si sente essere amata da me; e però si pone a rendermi amore con quello mezzo che Io v’ho posto, cioè il proximo suo, che è quel mezzo a cui dovete fare utilitá (si come Io ti dixi che ogni virtú si faceva col mezzo del proximo a ogni creatura in comune e in particulare), secondo le diverse grazie ricevute da me, dandovele a ministrare. Amare dovete di quel puro amore che Io ho amati voi: questo non si può fare verso di me, perch’ Io v’amai senza essere amato e senza veruno rispecto. E però che v’ho amati senza essere amato da voi, prima che voi fuste (anco l’amore mi mosse a crearvi a la imagine e similitudine mia), non el potete rendere a me, ma dovetelo rendere alla creatura che ha in sé ragione, amandoli senza essere amato da loro; e amare senza alcuno rispecto di propria utilitá o spirituale o temporale, ma solo amare a gloria e loda del nome mio, perché è amata da me. Cosí adempirete il comandamento della legge: d’amare me sopra ogni cosa e il proximo come voi medesimi.

Bene è dunque vero che a quella altezza non si può giognere senza questo secondo stato, cioè che viene el terzo stato e il secondo a l’unione. Né, poi che è gionto, si può conservare se si partisse da quello affecto unde pervenne a le seconde lagrime decte; si come non si può adempire la legge di me, Dio etterno, senza quella del proximo vostro, perché sonno due piei de l’affecto per cui s’observano e’ comandamenti e i consigli (si com’Io ti dixi) che vi die’ la mia Verità, Cristo crocifixo.

Cosí questi due stati, de’ quali è facto uno, notricano l’anima nelle virtú, crescendola nella perfeczione delle virtú e de l’unitivo stato. Non che muti altro stato, poi che è gionto a questo; ma questo medesimo cresce la ricchezza della grazia in nuovi e in diversi doni e amirabili elevazioni di mente, si come Io ti dixi, con uno cognoscimento di veritá che quasi, essendo mortale, pare immortale: perché’l sentimento della propria sensualità è mortificato, e la volontà è morta per l’unione che ha facta in me.

Oh, quanto è dolce questa unione a l’anima che la gusta! che, gustandola, vede le segrete cose mie, onde spesse volte riceverà spirito di profezia in sapere le cose future. Questo fa la mia bontá, benché l’anima umile sempre le debba spregiare: none l’affecto della mia caritá che do, ma l’appetito delle proprie consolazioni, reputandosi indegna della pace e quiete della mente, per notricare la virtú dentro ne l’anima sua. E none sta nel secondo stato, ma torna a la valle del conoscimento di sé. Questo le permecto, per grazia, di darle questo lume acciò che sempre cresca, perché l’anima non è tanto perfecta in questa vita che non possa crescere a maggiore perfeczione, cioè a perfeczione d’amore. Solo el dilecto unigenito mio Figliuolo, capo vostro, fue quello a cui non poté crescere alcuna perfeczione perché Egli era una cosa con meco e Io con lui; l’anima sua era beata per l’unione della natura mia divina. Ma voi, perregrini membri, sempre sète apti a crescere in maggiore perfeczione. Non però ad altro stato, come decto è, poi che sète gionti a l’ultimo; ma potete crescere quello ultimo medesimo con quella perfeczione che sarà di vostro piacere, mediante la grazia mia.