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Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

CLVIII - Per che modo si viene da l’obedienzia generale a la particulare. E de la excellenzia de le religioni.

Santa Caterina da Siena

CLVIII - Per che modo si viene da l’obedienzia generale a la particulare. E de la excellenzia de le religioni.
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— L’anima che con amore ha preso il giogo de l’obbedienzia de’ comandamenti, seguitando la doctrina della mia Verità, per lo modo che decto t’ho, con l’exercizio exercitandosi in virtú in questa generale obbedienzia, verrà alla seconda con quello lume medesimo che venne alla prima. Perché col lume della sanctissima fede avara cognosciuto nel sangue de l’umile Agnello la mia veritá, l’amore ineffabile che Io gli ho e la fragilità sua, che non risponde, con quella perfeczione che debba, a me.

Va cercando con questo lume in che luogo e in che modo possa rendermi il debito, e conculcare la propria fragilità e uccidere la volontà sua. Raguardando, ha trovato il luogo col lume della fede, cioè la sancta religione. La quale è fatta dallo Spirito sancto, posta come navicella per ricevere l’anime che vogliono còrrire a questa perfeczione, e conducerle a porto di salute. El padrone di questa navicella è lo Spirito sancto, che in sé non manca mai per difecto di veruno subdito religioso che trapassasse l’ordine suo: non può offendere questa navicella, ma offende se medesimo. È vero che, per difecto di colui che tenesse il timone, la fa andare a onde; e questi sonno e’ gattivi e miserabili pastori, prelati posti dal padrone di questa navicella. Ella è di tanto dilecto in se medesima, che la lingua tua noi potrebbe narrare.

Dico che questa anima, cresciuto il fuoco del desiderio, con odio sancto di sé avendo trovato il luogo, col lume della fede v’entra dentro morta, se egli è vero obbediente, cioè che perfectamente abbi observata l’obbedienzia generale. E se egli v’entra inperfecto, non è però che non possa giognere alla perfeczione: anco vi giogne, volendo exercitare in sé la virtú de l’obbedienzia. Anco la maggiore parte di quegli che v’entrano sonno inperfecti: chi v’entra con perfeczione, chi v’entra per fanciullezza, chi v’entra per timore, chi per pena e chi per lusinghe. Ogni cosa sta poi in exercitarsi nella virtú e in perseverare infino alla morte; ché per l’entrare veruno giudicio non si può ponere, ma solo nella perseveranzia. Però che molti sonno paruti che sieno andati perfecti, che hanno poi voltato el capo adietro, o stati ne l’ordine con molta inperfeczione. Si che il modo e facto, con che entrano nella navicella (che sono tucti ordinati da me, chiamandoli in diversi modi), non si può giudicare; ma solo l’affecto di colui che dentro vi persevera con vera obbedienzia.

Questa navicella è ricca, che non bisogna al subdito che abbi pensiero veruno di quello che gli bisogni né spiritualmente né temporalmente; però che, se egli è vero obbediente e observatore de l’ordine, egli è proveduto dal padrone dello Spirito sancto, come tu sai ch’ Io ti dixi, quando ti parlai della providenzia mia, che i servi miei, se essi erano povari, non erano mendichi cosí costoro; si che trovavano la loro necessità. Bene la pro vavano e pruovano quegli che sonno observatori de l’ordine. Unde vedi che, ne’ tempi che gli ordini si reggevano in fiore di virtú con vera povertà e con caritá fraterna, non lo’ venne mai meno la substanzia temporale, ma avevanne piú che non richiedeva il loro bisogno. Ma, perché e’ ci è intrata la puzza de l’amore proprio in vivere in particulare, ed è mancata l’obbedienzia, lo’ viene meno la sustanzia temporale. E quanta piú ne posseggono; in maggiore mendicaggine si truovano. Giusta cosa è che, infino alle cose minime, pruovino che frutto lo’ dá la disobbedienzia; ché, se fussero obbedienti, observarebbero il voto della povertà e non terrebbero proprio, né vivarebbero in particulare.

Truovaci la ricchezza delle sancte ordinazioni, poste con tanto ordine e con tanto lume da coloro che erano fatti tempio di Spirito sancto. Raguarda Benedetto con quanto ordine ordinò la navicella sua. Raguarda Francesco con quanta perfeczione e odore di povertà, con le matgarite delle virtú, egli ordinò la navicella de l’ordine suo, dirizzandoli nella via dell’alta perfeczione; ed egli fu il primo che la fece, dando lo’ per sposa la vera e sancta povertà, la quale aveva presa per se medesimo, abbracciando le viltà. Spiacendo a se medesimo, non disiderava di piacere a veruna creatura fuore della volontà mia; anco desiderava d’essere avilito nel mondo, macerando il corpo suo e uccidendo la volontà, vestitosi degli obrobri, pene e vitopèri per amore de l’umile Agnello, col quale egli s’era confitto e chiavellato per affecto d’amore in su la croce: intantoché, per singulare grazia, nel corpo suo apàrbero le piaghe della mia Verità, mostrando nel vasello del corpo quello che era ne l’affetto de l’anima sua. Si che egli lo’ fece la via.

Ma tu mi dirai: — E non sonno fondate in questo medesimo l’altre? — Si; ma in ogniuno non è principale (poniamo che tutte sieno fondate in questo), ma adiviene come delle virtú: tutte le virtú hanno vita dalla carità; e nondimeno, come in altri luoghi t’ho detto, a cui è propria l’una, e a cui è propria l’altra, e nondimeno tutti stanno in caritá. Cosí questi: a Francesco povarello gli fu propria la vera povertà, facendo il suo principio della navicella, per affecto d’amore, in essa povertà, con molto ordine stretto, da gente perfetta e non comune, da pochi e buoni. «Pochi» dico, perché non sonno molti quelli che eleggono questa perfeczione; ma per li difecti loro sonno moltiplicati in gente e venuti meno in virtú: non per difecto della navicella, ma per li disobbedienti subditi e gattivi governatori.

E se tu raguardi la navicella del padre tuo Domenico, diletto mio figliuolo, egli l’ordinò con ordine perfetto, ché volse che attendessero solo a l’onore di me e salute de l’anime col lume della scienzia. Sopra questo lume volse fare il principio suo; non essendo però privato della povertà vera e volontaria. Anco l’ebbe, e, in segno ch’egli l’aveva e dispiacevali il contrario, lassa per testamento a’ figliuoli suoi per eredità la maladiczione sua e la mia, se essi posseggono o tengono possessione veruna in particulare o in generale, in segno ch’ egli aveva eletta per sua sposa la reina della povertà. Ma per piú proprio suo obietto prese il lume della scienzia, per stirpare gli errori che a quello tempo erano levati. Egli prese l’officio del Verbo, unigenito mio Figliuolo. Drittamente nel mondo pareva uno apostolo: con tanta veritá e lume seminava la parola mia, levando la tenebre e donando la luce. Egli fu uno lume, che Io porsi al mondo col mezzo di Maria, messo nel corpo mistico della sancta Chiesa come stirpatore de l’eresie.

Perché dixi «col mezzo di Maria»? Perché Maria gli die’ l’abito: commesso fu l’officio a lei dalla mia bontá. In su che mensa fa mangiare e’ figliuoli suoi col lume della scienzia? Alla mensa della croce, in su la quale croce è posta la mensa del sancto desiderio, dove si mangia anime per onore di me. Egli non vuole che’ figliuoli suoi attendano ad altro se non a stare in su questa mensa col lume della scienzia, a cercare solo la gloria e loda del nome mio e la salute de l’anime. E, acciò che non attendano ad altro, tolle la cura delle cose temporali, ché vuole che sieno poveri. Vero è che egli mancava in fede, temendo che non fussero proveduti? Non mancava, ché egli era vestito delle fede, ma con ferma speranza sperava nella providenzia mia.

Vuole che observino l’obbedienzia, sieno obbedienti a fare quello che sonno posti. E perché il vivere inmondamente obfusca l’occhio de l’intelletto; e non tanto de l’intelletto, ma per questo miserabile vizio ne manca il vedere corporale; unde egli non vuole che lo’ sia inpedito questo lume, col quale lume meglio e piú perfectamente acquistano el lume della scienzia: però pone il terzo voto della continenzia, e in tucti vuole che l’observino con vera e perfécta obbedienzia. Bene che al di d’oggi male s’Observi; anco la luce della scienzia pervertono in tenebre con la tenebre della superbia: non che questa luce in sé riceva tenebre, ma quanto a l’anime loro. Dove è superbia non può essere obbedienzia; e giá ti dixi che tanto era umile quanto obbediente, e tanto obbediente quanto umile. E, trapassando il voto de l’obbedienzia, rade volte è che non trapassi quel della continenzia, o mentalmente o actualmente.

Si che egli ha ordinata la navicella sua legata con questi tre funicelli: con obbedienzia, continenzia e vera povertà. Egli la fece tucta reale, non strignendola ad colpa di peccato mortale. Alluminato da me, vero lume, con providenzia providde a quegli che fussero meno perfecti; ché, benché tucti quegli che observano l’ordine sieno perfecti, nondimeno anco in vita è piú perfecto uno che un altro; e, perfecti e non perfecti, tucti ci stanno bene in questa navicella. Egli s’acostò con la mia Verità, mostrando di non volere la morte del peccatore, ma che si convertisse e vivesse. Tucta larga, tucta gioconda, tucta odorifera, uno giardino dilectosissimo in sé; ma e’ miseri non observatori de l’ordine, ma trapassatori, l’hanno tucto insalvatichito, tucto ingrossato con poco odore di virtú e lume di scienzia in quegli che si notricano al pecto de l’ordine. Non dico «ne l’ordine», che in sé, com’ Io ti dixi, ha ogni dilecto; ma non era cosí nel principio suo, che egli era uno fiore: anco c’erano uomini di grande perfeczione: parevano uno sancto Pavolo, con tanto lume, che a l’occhio loro non si parava tenebre d’errore che non si dissolvesse.

Raguarda il glorioso Tommasso, che con l’occhio de l’intellecto suo tucto gentile si specolava nella mia Verità, dove acquistò lume sopranaturale e scienzia infusa per grazia; unde egli l’ebbe piú col mezzo de l’orazione che per studio umano. Questi fu una luce ardentissima, che rende lume ne l’ordine suo e del corpo mistico della sancta Chiesa, spegnendo le tenebre de l’eresie.

Raguardami Pietro vergine e martire, che col sangue suo die’ lume nelle tenebre delle molte eresie; che tanto l’ebbe in odio, che se ne dispose a lassarvi la vita. E, mentre che visse, l’exercizio suo non er’altro che orare, predicare, disputare con gli eretici e confessare, annunziando la veritá e dilatando la fede senza veruno timore. Ché non tanto ch’egli la confessasse nella vita sua, ma infine a l’ultimo della vita. Unde, nella extremità della morte, venendoli meno là voce e lo ‘nchiostro, avendo ricevuto il colpo, egli intinse il dito nel sangue suo: non ha carta questo glorioso martire, e però s’inchina e scrive in terra confessando la fede, cioè il «Credo in Deum». El cuore suo ardeva nella fornace della mia carità, e però non allentò e’ passi voltando il capo adietro, sapendo che doveva morire (però che, prima che egli morisse, gli revelai la morte sua); ma, come vero cavaliere, senza timore servile, egli esce fuore in sul campo della bactaglia.

E cosí molti te ne potrei contiare, e’ quali, perché non avessero il martirio actualmente, l’avevano mentalmente, si come ebbe Domenico. Odi lavoratori, che questo padre misse nella vigna sua a lavorare, extirpando le spine de’ vizi e piantando le virtú ! Veramente Domenico e Francesco sonno stati due colonne nella sancta Chiesa: Francesco con la povertà, che principalmente gli fu propria, come decto è; e Domenico con la scienzia.