7. Postulante e novizia nel Carmelo (1888-1890)
Storia di un'anima
Santa Teresa di Lisieux

Straziante separazione
dai propri cari - Nell'arca benedetta - Pace profonda - Le prime prove
- Vestizione religiosa - Regalo della neve - Angoscia per la malattia
del padre - Pratica della povertà e delle «piccole» virtù
191 - Lunedì 9 aprile, giorno nel quale il Carmelo celebrava la festa
dell'Annunciazione, rimandata a causa della quaresima, fu scelto come
data del mio ingresso. La sera avanti tutta la famiglia era riunita
intorno alla tavola alla quale io sedevo per l'ultima volta. Ah, come
sono lancinanti quelle riunioni intime! Quando si vorrebbe vedersi
dimenticate, ci vengono prodigate le carezze, le parole più tenere, che
ci fanno sentire il sacrificio della separazione. Papà non diceva quasi
nulla, ma il suo sguardo si fissava su me con amore. La zia piangeva di
quando in quando, e lo zio mi usava mille premure affettuose. Giovanna
e Maria erano altrettanto piene dì riguardi per me, soprattutto Maria
la quale, prendendomi in disparte, mi chiese perdono dei dispiaceri che
credeva di avermi dati. E infine la mia cara Leonia, tornata a casa da
qualche mese dalla Visitazione, mi colmava più ancora di baci e di
carezze. Soltanto di Celina non ho parlato, ma lei intuisce, Madre mia
cara, in quale modo trascorse l'ultima notte che abbiamo passata
insieme...
192 - La mattina del gran giorno, dopo aver dato un ultimo sguardo ai
Buissonnets, nido grazioso della mia infanzia che non avrei rivisto mai
più, partii al braccio del mio caro Re per salire la montagna del
Carmelo... Come la vigilia, tutta la famiglia si trovò riunita per
ascoltare la santa Messa e ricevere la Comunione. Appena Gesù discese
nel cuore dei miei cari, intorno a me non intesi altro che singhiozzi,
io sola non piansi, ma il cuore mi batteva con tanta violenza che mi
parve impossibile fare un passo quando ci accennarono di avviarci verso
la porta conventuale; mi mossi, tuttavia, pur domandandomi se non sarei
morta, tanto mi martellava il cuore. Che momento fu quello! Bisogna
esserci passati per sapere che cos'è.
193 - La mia emozione non si tradì all'esterno: dopo avere abbracciato
tutti i miei cari, m'inginocchiai dinanzi al mio incomparabile Padre,
chiedendogli la benedizione; per darmela, si mise egli stesso in
ginocchio e mi benedisse piangendo. Fu uno spettacolo che dovette far
sorridere gli angeli, quel vegliardo il quale presentava al Signore la
figlia ancora nella primavera della vita. Dopo qualche istante, le
porte dell'arca santa si chiusero dietro di me, e là ricevetti gli
abbracci delle sorelle care le quali mi erano state mamme, e che da
allora in poi avrei prese come modelli per le mie azioni. Finalmente i
miei desideri erano compiuti, l'anima mia provava una pace così dolce e
profonda che mi sarebbe impossibile esprimerla, e da sette anni e mezzo
questa pace mi è rimasta, non mi ha abbandonata in mezzo alle prove più
serie.
194 - Come tutte le postulanti, appena entrata fui condotta in coro:
era nella penombra, a causa del Santissimo esposto e quello che mi
colpì come prima cosa furono gli occhi della nostra santa madre
Genoveffa che si fissarono su me; rimasi per un attimo in ginocchio ai
piedi di lei, ringraziando il buon Dio del favore che mi concedeva di
conoscere una santa, e poi seguii madre Maria di Gonzaga nei diversi
ambienti del monastero: tutto mi pareva incantevole, mi credevo
trasportata in un deserto, soprattutto la nostra celletta mi
affascinava, ma la gioia che provavo era calma; non un soffio, sia pur
lieve, ondulava le acque sulle quali vogava la mia navicella, non
c'erano nubi nel mio cielo limpido... Ah! ero pienamente ricompensata
di tutte le mie prove. Con quale gioia profonda ripetevo queste parole:
«Per sempre, sono qui per sempre!...».
195 - Felicità non effimera, che non sarebbe svanita con «le illusioni
dei primi giorni». Le illusioni... Dio mi ha fatto la grazia di non
averne entrando nel Carmelo; ho trovato la vita religiosa tal quale me
l'ero figurata, nessun sacrificio mi ha meravigliata, eppure, Madre mia
cara, lei lo sa, i miei primi passi hanno incontrato più spine che
rose! Sì, la sofferenza mi ha teso le braccia, e mi ci sono gettata con
amore. Quello che venivo a fare nel Carmelo lo dichiarai ai piedi di
Gesù Ostia, nell'esame che precedette la mia professione: «Sono venuta
per salvare le anime, e soprattutto a pregare per i sacerdoti». Quando
si vuole conseguire uno scopo, occorre prendere i mezzi adeguati: Gesù
mi fece capire che voleva darmi delle anime per mezzo della croce e la
mia attrattiva per il dolore crebbe in proporzione con la sofferenza.
Per cinque anni quella fu la mia strada; ma al di fuori niente rivelava
il mio patire, tanto più doloroso in quanto lo conoscevo io sola. Ah,
quali sorprese avremo, alla fine del mondo, leggendo la storia delle
anime! Quanti stupiranno vedendo per quale via è stata condotta l'anima
mia!
196 - Ciò è tanto vero che, due mesi dopo il mio ingresso, il padre
Pichon, essendo venuto per la professione di suor Maria del Sacro
Cuore, rimase sorpreso vedendo ciò che il buon Dio operava nell'anima
mia, e mi disse che il giorno prima mi aveva osservata mentre pregavo
nel coro, e aveva creduto che il mio fervore fosse infantile e la mia
via ben facile e dolce. Il mio colloquio col buon Padre fu per me una
consolazione grande, ma velata di lacrime a causa delle difficoltà che
provavo nell'aprire l'anima mia. Tuttavia feci una confessione generale
quale non avevo fatta mai: alla fine il Padre mi disse queste parole,
le più consolanti che abbiano mai echeggiato nell'anima mia: «In
presenza di Dio, della Vergine Santa e di tutti i Santi, dichiaro che
mai lei ha commesso un solo peccato mortale». Poi aggiunse: «ringrazi
il buon Dio di ciò che fa per lei, perché, se l'abbandonasse, invece di
essere un piccolo angelo, lei diverrebbe un piccolo demonio». Ah! non
duravo fatica a crederlo, sentivo fino a che punto ero debole e
imperfetta, ma la riconoscenza mi colmava l'anima; avevo tanto timore
di aver macchiato la veste del mio Battesimo che una tale assicurazione
uscita dalla bocca di un direttore come lo desiderava la nostra santa
Madre Teresa, cioè tale che unisse la scienza alla virtù, mi pareva
uscita dalla bocca stessa di Gesù... Il buon Padre mi disse ancora
queste parole che mi sono rimaste impresse dolcemente nel cuore:
«Figlia mia, che Nostro Signore sia sempre il suo Superiore e il suo
Maestro di noviziato». Lo fu, infatti, ed anche «il mio Direttore».
197 - Non voglio dire, con ciò, che l'anima mia fosse chiusa alle mie
superiore, ah! ben lungi da ciò, ho sempre cercato che fosse per loro
un libro aperto; ma nostra Madre, spesso ammalata, aveva poco tempo per
occuparsi di me. So che mi amava molto e diceva di me tutto il bene
possibile, tuttavia il buon Dio permetteva che, senza accorgersene,
fosse molto severa, non potevo incontrarla senza baciar terra, e lo
stesso accadeva nei rari colloqui di direzione che avevo con lei. Che
grazia inestimabile! Come agiva visibilmente il buon Dio in colei che
faceva le sue veci! Cosa sarei divenuta io se, come credevano le
persone del mondo, fossi stata il «giocattolo» della comunità? Forse,
anziché vedere Nostro Signore nelle mie superiore, non avrei
considerato se non le persone, e il cuore mio, così bene custodito nel
mondo, si sarebbe attaccato umanamente nel chiostro. Fortunatamente fui
preservata da tale sventura. Senza dubbio amavo molto nostra Madre, ma
di un'affezione pura che mi innalzava verso lo Sposo dell'anima mia...
Maestra era una vera santa, il perfetto esemplare delle prime
carmelitane; tutto il giorno stavo con lei, perché ella mi insegnava a
lavorare. La sua bontà verso me era illimitata, e tuttavia l'anima mia
non si dilatava. Soltanto con sforzo mi era possibile di «fare»
direzione, poiché non ero avvezza a parlar dell'anima mia, non sapevo
come esprimere ciò che in essa accadeva. Una buona Madre anziana capì
ciò che provavo, e un giorno mi disse ridendo in ricreazione: «Bambina
mia, mi pare che non dobbiate aver gran che da dire alle vostre
superiore». «Perché, Madre mia?». - «Perché la vostra anima è
sommamente semplice, ma quando sarete perfetta, sarete ancora più
semplice, più ci avviciniamo a Dio, più ci facciamo semplici». - La
buona Madre aveva ragione: tuttavia, la difficoltà che provavo
nell'aprire l'anima mia pur provenendo dalla mia semplicità, era una
vera prova; lo riconosco ora, perché senza cessare di essere semplice,
esprimo i miei pensieri molto facilmente.
199 - Ho detto che Gesù era stato «il mio Direttore». Entrando nel
Carmelo feci conoscenza con colui che doveva compiere quell'ufficio,
ma, appena mi ebbe accolta tra le sue figlie, partì per l'esilio. In
tal modo l'avevo conosciuto soltanto per rimanerne priva. Ridotta a
ricevere da lui una lettera l'anno su dodici che gliene scrivevo, il
cuore mio si volse ben presto verso il Direttore dei direttori, e fu
lui a istruirmi in quella scienza nascosta ai sapienti e ai saggi che
egli si degna rivelare ai più piccoli.
200 - L’umile fiore trapiantato sulla montagna del Carmelo doveva
aprirsi all'ombra della Croce; le lacrime, il Sangue di Gesù divennero
rugiada, il Volto adorabile velato di lacrime fu il sole. Fino allora
non avevo approfondito i tesori nascosti nel Volto Santo e fu per mezzo
di lei, Madre mia cara, che imparai a conoscerli; allo stesso modo in
cui, un tempo, lei ci aveva precedute tutte nel Carmelo, similmente era
penetrata per prima nei misteri d'amore celati nel Volto del Nostro
Sposo; allora lei mi chiamò, e io capii. Capii quale era la vera
gloria. Colui il cui regno non è di questo mondo mi mostrò che la
saggezza vera consiste nel «volere essere ignorati e considerati nulla»
e nel «porre la propria gioia nel disprezzo di sé». Ah, come il Volto
di Gesù, volevo che «il mio fosse veramente nascosto, che sulla terra
nessuno mi riconoscesse». Avevo sete di soffrire e di essere
dimenticata. Quanto misericordiosa è la via per la quale il buon Dio mi
ha sempre guidata, mai mi ha fatto desiderare qualche cosa senza
darmela, così il suo calice amaro mi parve delizioso.
201 - Dopo le feste radiose del mese di maggio, professione e velazione
della nostra sorella cara, Maria, (la maggiore della famiglia che la
più piccola ebbe l'onore di coronare nel giorno delle nozze), bisognava
bene che la prova ci visitasse... L’anno prima, nel mese di maggio,
Papà era stato colpito da un attacco di paralisi alle gambe, eravamo
state in ansia grave, ma il temperamento forte del mio caro Re aveva
preso ben presto il sopravvento, e i timori erano scomparsi; tuttavia
più d'una volta, durante il viaggio a Roma, avevamo notato che si
stancava facilmente, e non era più gaio come al solito. Quello che
avevo accertato in modo particolare, era il progresso che Papà faceva
nella perfezione; sull'esempio di san Francesco di Sales, era arrivato
a padroneggiare la sua vivacità naturale a tal segno da sembrar la
natura più dolce del mondo. Pareva che le cose della terra lo
sfiorassero appena, prendeva facilmente il sopravvento sulle
contrarietà, e in definitiva il Signore lo inondava di consolazioni;
durante le sue visite quotidiane al santissimo Sacramento gli occhi
suoi si empivano spesso di lacrime, e il suo viso respirava una
beatitudine celeste... Quando Leonia uscì dalla Visitazione, egli non
si afflisse, non fece alcun rimprovero al buon Dio per non esser stato
esaudito nelle preghiere che gli aveva rivolte per ottenere la
vocazione della sua cara figlia, anzi, andò a prenderla con una certa
gioia. Ecco con quale fede Papà accettò la separazione dalla sua
reginetta: l'annunciò in questi termini ai suoi amici di Alencon: «Cari
amici, Teresa, la mia reginetta, è entrata ieri nel Carmelo! Dio solo
può esigere un sacrificio come questo... Non mi compiangete, perché il
mio cuore sovrabbonda di gioia».
202 - Era tempo che un servo tanto fedele ricevesse il premio delle sue
fatiche, era giusto che il suo compenso somigliasse a quello che Dio
dette al Re del Cielo, suo Figlio unico... Papà aveva offerto da poco
tempo a Dio un altare; fu lui la vittima scelta per essere immolata con
l'Agnello senza macchia. Lei conosce, Madre mia cara, le nostre
amarezze del mese di giugno, soprattutto del 24, nell'anno 1888, quei
ricordi sono impressi troppo profondamente nei nostri cuori perché sia
necessario scriverli... Oh Madre mia, quanto abbiamo sofferto! Ed era
solamente l'inizio della nostra prova. Tuttavia il tempo della mia
vestizione era giunto: fui ricevuta dal capitolo, ma come pensare a
fare una cerimonia? Già parlavano di darmi il santo abito senza farmi
uscire, quando venne deciso di attendere. Contro ogni previsione il
nostro caro Babbo si rimise dal suo secondo attacco, e Monsignor
Vescovo stabilìla cerimonia al 10 gennaio.
203 - L'attesa era stata lunga, ma pure che bella festa! Niente mancò,
niente, nemmeno la neve... Non so se le ho già parlato del mio amore
per la neve? Quand'ero molto piccola, il suo candore mi rapiva; uno dei
piaceri più grandi era passeggiare sotto i fiocchi bianchi. Donde mi
veniva quel gusto della neve? Forse dal fatto che, essendo io un
fiorellino d’inverno, il primo splendore della natura che videro i miei
occhi dovette essere il suo manto bianco. Avevo sempre desiderato che
nel giorno della mia vestizione la natura fosse, come me, vestita di
bianco. Il giorno prima guardavo tristemente il cielo grigio dal quale
sfuggiva ogni tanto un po' di pioggia fine, e la temperatura era così
mite che non speravo più la neve. Il mattino dopo, il cielo non era
cambiato; tuttavia la festa fu incantevole, e il fiore più bello fu il
mio caro Re. Mai era stato più bello, più degno. Formò l'ammirazione di
tutti, quel giorno fu il suo trionfo, l'ultima sua festa quaggiù. Aveva
dato tutti i suoi figli al buon Dio, poiché avendogli anche Celina
confidato la propria vocazione, lui aveva pianto di gioia, ed era
andato a ringraziare Colui che «gli faceva l'onore di prendere tutte le
sue figlie».
204 - Alla fine della cerimonia Monsignor Vescovo intonò il Te Deum, un
sacerdote cercò di far notare che quell'inno veniva cantato soltanto
alle professioni, ma l'avvio era dato, e il cantico del ringraziamento
continuò fino alla fine. Non doveva essere completa quella festa,
poiché in essa si riunivano tutte le altre? Dopo aver abbracciato
un'ultima volta il mio Re caro, rientrai nella clausura, e la prima
cosa che vidi nel chiostro fu «il mio Gesù Bambino rosa» che mi
sorrideva in mezzo ai fiori e alle luci, e poi subito il mio sguardo si
posò su dei fiocchi di neve: il cortile era bianco come me. Che
delicatezza di Gesù! Prevenendo i desideri della sua piccola fidanzata,
le regalava la neve... Della neve! Quale è dunque l'uomo, potente
quanto si voglia, che riesca a far cadere dal cielo la neve per far
piacere alla sua amata? Forse, le persone del mondo si posero questa
domanda, certo si è che la neve della mia vestizione parve loro un
piccolo miracolo, e tutta la città ne stupì. Trovarono che avevo uno
strano gusto poiché mi piaceva la neve. Tanto meglio! ciò fece
risaltare ancor più l'incomprensibile condiscendenza dello Sposo delle
vergini, di colui che ama i gigli bianchi come la neve!
205 - Monsignore entrò dopo la cerimonia, fu di una bontà davvero
paterna verso me. Era fiero di vedere che avevo - perseverato, diceva a
tutti che ero la «sua figlioletta». Ogni volta che tornò dopo quella
bella festa, sua Eccellenza fu sempre tanto buono con me, mi ricordo
soprattutto della sua visita nel centenario di san Giovanni della
Croce. Mi prese la testa tra le mani, mi fece tante carezze, mai ero
stata tanto onorata! Nello stesso tempo il buon Dio mi fece pensare
alle carezze che vorrà prodigarmi dinanzi agli angeli e ai Santi, e
delle quali mi dava una debole immagine fin da questo mondo, così la
consolazione che provai fu grande.
206 - Come ho detto, la giornata del 10 gennaio fu il trionfo del mio
Re, io la paragono all'entrata di Gesù in Gerusalemme nel giorno delle
Palme; come quella del nostro Divino Maestro, la gloria di un giorno fu
seguita da una passione dolorosa, e questa passione non fu per lui
solo; come i dolori di Gesù trafissero con una spada il cuore della sua
Madre divina, così i nostri cuori sentirono le sofferenze di colui che
noi amavamo più teneramente di ogni altro sulla terra. Ricordo che nel
giugno 1888, nel momento delle nostre prime prove, dicevo: «Soffro
molto, ma sento che posso sopportare prove più grandi». Non pensavo
allora a quelle che mi erano riservate. Non sapevo che il 12 febbraio,
un mese dopo la mia vestizione, il nostro Babbo amato avrebbe bevuto
alla coppa più amara e più umiliante. Ah, quel giorno non ho detto che
avrei potuto soffrire di più! Le parole non riescono ad esprimere le
nostre angosce, perciò non cercherò di descriverle. Un giorno, in
Cielo, ci piacerà di parlare delle nostre prove gloriose, non siamo già
felici per averle sofferte? Sì, i tre anni del martirio di Papà mi
sembrano i più amabili, i più fruttuosi di tutta la nostra vita, io non
li darei per tutte le estasi e le rivelazioni dei Santi, il cuore mio
trabocca di gratitudine pensando a quel tesoro inestimabile che deve
causare una santa invidia agli Angeli della corte celeste.
207 - Un mio desiderio di sofferenze era colmato, tuttavia l'attrattiva
verso il dolore non diminuiva in me, tanto che l'anima mia condivise
presto le sofferenze del cuore. L’aridità era il mio pane quotidiano,
e, privata di qualsiasi consolazione, ero tuttavia la creatura più
felice, poiché tutti i miei desideri erano soddisfatti. Oh, Madre mia
cara! Com'è stata dolce la nostra grande prova, poiché da tutti i
nostri cuori sono usciti solamente sospiri d'amore e di riconoscenza!
Noi non camminavamo più sui sentieri della perfezione, volavamo tutte e
cinque! Le due povere esiliate di Caen, pur essendo ancora nel mondo,
non erano già più del mondo. Ah, quali meraviglie ha operato la prova
nell'anima della mia cara Celina! Tutte le lettere scritte da lei in
quel periodo sono pervase di rassegnazione e d'amore. E chi potrà dire
dei colloqui che avevamo? Lungi dal separarci, le grate del Carmelo
univano più fortemente le nostre anime, avevamo gli stessi pensieri,
gli stessi desideri, lo stesso amore di Gesù e delle anime! Quando
Celina e Teresa parlavano tra loro, mai una parola delle cose terrene
si mescolava alle loro conversazioni che già erano tutte nel Cielo.
Come un tempo nel «belvedere», sognavamo le cose dell'eternità e, per
godere ben presto di quel gaudio senza fine, sceglievamo quaggiù come
nostra unica parte «la sofferenza e il disprezzo».
208 - In tal modo passò il tempo del mio fidanzamento: fu ben lungo per
la povera Teresa! Alla fine del mio anno di noviziato Nostra Madre mi
disse di non chiedere la professione, ché certamente il Superiore
respingerebbe la mia istanza, dovetti attendere ancora otto mesi... Al
primo momento mi fu ben difficile accogliere quel grande sacrificio, ma
ben presto la luce mi si fece nell'anima; meditavo allora i «Fondamenti
della vita spirituale» del Padre Surin; un giorno, durante l'orazione,
capii che il mio desiderio vivo di far professione era mescolato con un
grande amor proprio; poiché mi ero data a Gesù per fargli piacere,
consolarlo, non dovevo obbligarlo a fare la mia volontà invece della
sua; capii allora che una fidanzata dev'essere ornata nel giorno delle
nozze, e che io non avevo fatto nulla a questo scopo, allora dissi a
Gesù: «O Dio mio! non vi chiedo di pronunciare i miei santi voti,
attenderò quanto vorrete voi, soltanto non voglio che per colpa mia la
mia unione con voi sia differita, perciò mi metterò con tutto l'impegno
a prepararmi una bella veste ricca di gemme; quando la troverete
abbastanza ornata, sono sicura che nessuna creatura vi impedirà di
scendere verso di me per unirmi con voi per sempre, o mio Amato!».
209 - Dopo la mia vestizione avevo già ricevuto luci abbondanti sulla
perfezione religiosa, principalmente riguardo al voto di povertà.
Durante il mio postulantato ero contenta di avere delle cose graziose
per mio uso, e di trovare sotto mano tutto ciò che mi occorreva. «il
mio Direttore» sopportava ciò pazientemente, perché non gli piace
mostrare alle anime tutto nello stesso momento. Generalmente dà la sua
luce a poco a poco. (All'inizio della mia vita spirituale, verso l'età
dai tredici ai quattordici anni, mi chiedevo ciò che più tardi avrei
avuto da acquistare perché credevo che mi fosse impossibile capire
meglio la perfezione; ho riconosciuto ben presto che, più si va avanti
su quel cammino, più ci crediamo lontani dalla meta, così ora mi
rassegno a vedermi sempre imperfetta, e trovo in ciò la mia gioia...).
Ritorno alle lezioni che mi dette «il mio Direttore». Una sera, dopo
Compieta, cercai inutilmente la nostra piccola lampada sulle tavole
destinate a quell'uso, era gran silenzio, impossibile reclamare. Capii
che una suora, credendo di prendere la sua lampada, aveva preso la
nostra, di cui avevo gran bisogno; invece di provar dispiacere
essendone privata, fui ben felice, sentendo che la povertà consiste nel
vedersi privi non soltanto delle cose piacevoli, bensì anche delle
indispensabili, così nelle tenebre esteriori fui illuminata
interiormente. Fui presa in quel tempo da un vero e proprio amore per
gli oggetti più brutti e meno comodi, così vidi con gioia che mi veniva
tolta la bella brocchina della nostra cella, e che mi veniva data una
brocca grossa e tutta sbocconcellata.
210 - Facevo anche veri sforzi per non giustificarmi, cosa che mi
pareva ben difficile, specie con la nostra Maestra, alla quale non
avrei voluto tacere alcunché. Ecco la mia prima vittoria, non è molto
grande, ma mi è costata molto: un vasetto collocato dietro una finestra
venne trovato rotto; la nostra Maestra, credendo che l'avessi fatto
cadere io, me lo mostrò, dicendomi di far più attenzione un'altra
volta. Senza dir nulla baciai terra, poi promisi che nell'avvenire
sarei stata più ordinata. A causa della mia scarsa virtù quelle
pratiche mi costavano molto, e avevo bisogno di pensare che nel
giudizio universale tutto sarebbe stato rivelato, perché facevo questa
osservazione: quando si fa il proprio dovere senza mai giustificarsi,
nessuno lo sa; al contrario, le imperfezioni appaiono subito.
211 - M'impegnavo soprattutto a praticare le virtù piccole, non avendo
il destro per praticare le grandi, così mi piaceva ripiegare le cappe
dimenticate dalle consorelle, e rendere a queste ultime tutti i piccoli
servigi che potevo. Mi fu dato anche l'amore della mortificazione e fu
tanto più grande in quanto niente mi era permesso per soddisfarlo. La
sola piccola mortificazione che facevo nel mondo, e che consisteva nel
non appoggiare il dorso quand'ero seduta, mi fu proibita a causa della
mia propensione a curvarmi. Ahimè! il mio ardore certamente non sarebbe
stato di lunga durata se mi avessero concesso molte penitenze... Quelle
che mi permisero senza che io le chiedessi consistevano nel mortificare
il mio amor proprio, ciò che mi procurava molto maggior vantaggio che
non le penitenze corporali.
212 - Il refettorio, che fu il mio ufficio subito dopo la vestizione,
mi offerse più d'una occasione per mettere il mio amor proprio al posto
che gli spetta, cioè sotto i piedi. E’ vero che provavo grande
consolazione perché ero nello stesso ufficio suo, Madre mia cara, e
potevo contemplare da vicino le sue virtù, ma questo ravvicinamento mi
era causa di sofferenza; non mi sentivo, come un tempo, libera di dire
a lei tutto, c'era la regola da osservare, non potevo aprirle l'anima
mia; insomma, ero al Carmelo, e non più ai Buissonnets sotto il tetto
paterno!
213 - Tuttavia la Santa Vergine mi aiutava a preparare la veste
dell'anima mia; appena fu compiuta, gli ostacoli svanirono da sé.
Monsignor Vescovo mi mandò il permesso che avevo chiesto, la comunità
mi ricevette e la mia professione fu fissata all'8 settembre. Tutto
quello che ho scritto in poche parole richiederebbe molte pagine di
particolari, ma queste pagine non verranno mai lette sulla terra;
presto, Madre mia cara, le parlerò di tutte queste cose nella nostra
casa paterna, nel Cielo bello al quale salgono i sospiri dei nostri
cuori! La mia veste nuziale era pronta, impreziosita dai gioielli
antichi che mi aveva dati il mio Fidanzato, ma ciò non bastava alla sua
generosità. Voleva darmi un diamante nuovo dai riflessi innumerevoli.
La prova di Papà era, con tutte le sue circostanze dolorose, i gioielli
antichi, e il nuovo fu una prova ben piccola in apparenza, ma che mi
fece soffrire molto.
214 - Da qualche tempo, poiché il nostro povero caro Babbo si sentiva
un po' meglio, lo facevano uscire in carrozza, e si pensava perfino di
farlo viaggiare in treno per venire a trovarci. Naturalmente Celina
pensò subito che bisognava scegliere il giorno della mia velazione.
«Per non stancarlo - diceva lei - non lo farò assistere a tutta la
cerimonia, solamente alla fine andrò a prenderlo, e lo condurrò
dolcemente fino alla grata, affinché Teresa riceva la sua benedizione».
Ah, riconosco bene il cuore della mia Celina cara... è pur vero che
«l'amore non pone mai pretesti d'impossibilità perché crede tutto
possibile e tutto permesso». Invece, la prudenza umana trema a ciascun
passo, e non osa, per così dire, posare il piede; così il buon Dio che
voleva provarmi si servì di lei come di uno strumento docile, e il
giorno delle mie nozze fui veramente orfana: non avevo più Padre sulla
terra, ma potevo guardare al Cielo con fiducia e dire con piena verità:
«Padre Nostro, che sei nei Cieli».