5. Adolescenza aperta (1886-1887)
Santa Teresa di Lisieux

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La grazia del Natale
1886 - Zelo per le anime e prima conquista -Attrazione per la storia e
le scienze - Pie letture - Colloqui con Celina al «belvedere» - Disegno
di entrare al Carmelo a 15 anni - Consenso del babbo - Ostacoli da
parte dello zio Guérin e del superiore del monastero -Infruttuoso
tentativo presso il Vescovo di Bayeux.
132 - Se il Cielo mi colmava di grazie, non era già perché io le
meritassi, ero ancora tanto imperfetta! Avevo, è vero, un gran
desiderio di praticare la virtù, ma lo facevo in un buffo modo, ecco un
esempio: poiché ero l'ultima, non ero avvezza a servirmi, Celina faceva
la camera ove dormivamo e io non facevo nessun lavoro domestico; dopo
che Maria fu entrata nel Carmelo, mi accadeva talvolta, per far piacere
al buon Dio di rifarmi il letto, oppure, in assenza di Celina,
rimettere dentro, a sera, i suoi vasi da fiori: come ho detto, era per
il buon Dio solo che facevo quelle cose, perciò non avrei dovuto
attendere il grazie delle creature. Ahimè! Le cose andavano ben
diversamente; se per disgrazia Celina non aveva l'aspetto felice e
stupito per i miei servizietti, non ero contenta, e glielo provavo con
le lacrime. Ero veramente insopportabile per la mia sensibilità
eccessiva. Così, se mi accadeva di dare involontariamente un po' di
dispiacere a qualcuno cui volessi bene, invece di dominarmi e non
piangere, ciò che ingrandiva il mio errore anziché attenuarlo, piangevo
come una Maddalena, e quando cominciavo a consolarmi della cosa in sé,
piangevo per aver pianto... Tutti i ragionamenti erano inutili e non
potevo arrivare a correggermi di questo brutto difetto.
133 - Non so come io mi cullassi nel pensiero caro di entrare nel
Carmelo, trovandomi ancora nelle fasce dell’infanzia! Bisognò che il
buon Dio facesse un piccolo miracolo per farmi crescere in un momento,
e questo miracolo lo compì nel giorno indimenticabile di Natale; in
quella notte luminosa che rischiara le delizie della Trinità Santa,
Gesù, il Bambino piccolo e dolce di un'ora, trasformò la notte
dell'anima mia in torrenti di luce... In quella notte nella quale egli
si fece debole e sofferente per amor mio, mi rese forte e coraggiosa,
mi rivesti delle sue armi, e da quella notte benedetta in poi, non fui
vinta in alcuna battaglia, anzi, camminai di vittoria in vittoria, e
cominciai, per così dire, una «corsa da gigante». La sorgente delle mie
lacrime fu asciugata e non si apri se non raramente e difficilmente, e
ciò giustificò la parola che mi era stata detta: «Piangi tanto nella
tua infanzia, ché più tardi non avrai più lacrime da versare!». Fu il
25 dicembre 1886 che ricevetti la grazia di uscire dall'infanzia, in
una parola la grazia della mia conversione completa. Tornavamo dalla
Messa di mezzanotte durante la quale avevo avuto la felicità di
ricevere il Dio forte e potente. Arrivando ai Buissonnets mi rallegravo
di andare a prendere le mie scarpette nel camino, quest'antica usanza
ci aveva dato tante gioie nella nostra infanzia, che Celina voleva
continuare a trattarmi come una piccolina, essendo io la più piccola
della famiglia... A Papà piaceva vedere la mia felicità, udire i miei
gridi di gioia mentre tiravo fuori sorpresa su sorpresa dalle «scarpe
incantate» e la gaiezza del mio Re caro aumentava molto la mia
contentezza; ma Gesù, volendomi mostrare che dovevo liberarmi dai
difetti dell'infanzia, mi tolse anche le gioie innocenti di essa;
permise che Papà, stanco dalla Messa di mezzanotte, provasse un senso
di noia vedendo le mie scarpe nel camino, e dicesse delle parole che mi
ferirono il cuore: «Bene, per fortuna che è l'ultimo anno!...». Io
salivo in quel momento la scala per togliermi il cappello; Celina,
conoscendo la mia sensibilità, e vedendo le lacrime nei miei occhi,
ebbe voglia di piangere anche lei, perché mi amava molto, e capiva il
mio dispiacere. «Oh, Teresa! - disse -, non discendere, ti farebbe
troppa pena guardare subito nelle tue scarpe». Ma Teresa non era più la
stessa, Gesù le aveva cambiato il cuore! Reprimendo le lacrime, discesi
rapidamente la scala, e comprimendo i battiti del cuore presi le
scarpe, le posai dinanzi a Papà, e tirai fuori gioiosamente tutti gli
oggetti, con l'aria beata di una regina. Papà rideva, era ridiventato
gaio anche lui, e Celina credeva di sognare! Fortunatamente era una
dolce realtà, la piccola Teresa aveva ritrovato la forza d'animo che
aveva perduta a quattro anni e mezzo, e da ora in poi l'avrebbe
conservata per sempre!
134 - In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia vita,
più bello degli altri, più colmo di grazie del Cielo. In un istante
l'opera che non avevo potuto compiere in dieci anni, Gesù la fece
contentandosi della mia buona volontà che non mi mancò mai. Come i suoi
apostoli avrei potuto dirgli: «Signore, ho pescato tutta la notte senza
prender nulla»; più misericordioso ancora per me che non per i suoi
discepoli, Gesù prese egli stesso la rete, la gettò e la tirò su piena
di pesci. Fece di me un pescatore di uomini, io sentii un desiderio
grande di lavorare alla conversione dei peccatori, un desiderio che mai
avevo provato così vivamente... Sentii che la carità mi entrava nel
cuore, col bisogno di dimenticare me stessa per far piacere agli altri,
e da allora fui felice! Una domenica, guardando una immagine di Nostro
Signore in Croce, fui colpita dal sangue che cadeva da una mano sua
divina, provai un dolore grande pensando che quel sangue cadeva a terra
senza che alcuno si desse premura di raccoglierlo; e risolsi di tenermi
in ispirito a piè della Croce per ricevere la divina rugiada,
comprendendo che avrei dovuto, in seguito, spargerla sulle anime... Un
grido di Gesù sulla Croce mi echeggiava continuamente nel cuore: «Ho
sete!». Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e
vivissimo... Volli dare da bere all'Amato, e mi sentii io stessa
divorata dalla sete delle anime. Non erano ancora le anime dei
sacerdoti che mi attraevano, ma quelle dei grandi peccatori, bruciavo
dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne...
135 - Per eccitare il mio zelo, Dio mi mostrò che i miei desideri gli
piacevano. Intesi parlare d'un grande criminale, che era stato
condannato a morte per dei delitti orribili, tutto faceva prevedere
ch'egli morisse nell'impenitenza. Volli a qualunque costo impedirgli di
cadere nell'inferno, e per arrivarci usai tutti i mezzi immaginabili;
consapevole che da me stessa non potevo nulla, offersi al buon Dio
tutti i meriti infiniti di Nostro Signore, i tesori della santa Chiesa,
finalmente pregai Celina di far dire una Messa secondo la mia
intenzione, non osando chiederla io stessa per timore d'essere
costretta a confessare ch'era per Pranzini, il grande criminale. Non
volevo dirlo nemmeno a Celina, ma lei mi fece domande così tenere e
pressanti, che le confidai il mio segreto; ben lungi dal prendermi in
giro, mi chiese di aiutarmi a convertire il mio peccatore; accettai con
riconoscenza, perché avrei voluto che tutte le creature si unissero con
me per implorare la grazia a favore del colpevole. Sentivo in fondo al
cuore la certezza che i desideri nostri sarebbero stati appagati; ma,
per darmi coraggio e continuare a pregare per i peccatori, dissi al
buon Dio che ero sicura del suo perdono per lo sciagurato Pranzini: e
che avrei creduto ciò anche se quegli non si fosse confessato e non
avesse dato segno di pentimento, tanta fiducia avevo nella misericordia
infinita di Gesù, ma che gli chiedevo solamente «un segno» di
pentimento per mia semplice consolazione... La mia preghiera fu
esaudita alla lettera! Nonostante la proibizione che Papà ci aveva
posta di leggere giornali, non credetti disobbedire leggendo le notizie
su Pranzini. il giorno seguente alla sua esecuzione capitale mi trovo
in mano il giornale: «La Croix». L'apro con ansia, e che vedo? Ali, le
mie lacrime tradirono la mia emozione, e fui costretta a nascondermi.
Pranzini non si era confessato, era salito sul patibolo e stava per
passare la testa nel lugubre foro, quando a un tratto, preso da una
ispirazione subitanea, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote
gli presentava, e bacia per tre volte le piaghe divine! Poi l'anima sua
va a ricevere la sentenza misericordiosa di Colui che dice: «Ci sarà
più gioia in Cielo per un solo peccatore il quale faccia penitenza che
per novantanove giusti i quali non ne hanno bisogno...».
136 - Avevo ottenuto «il segno» richiesto, e quel segno era la
riproduzione fedele delle grazie che Gesù mi aveva fatte per attirarmi
a pregare in favore dei peccatori. Non era davanti alle piaghe di Gesù,
vedendo cadere il suo Sangue divino, che la sete delle anime mi era
entrata nel cuore? Volevo dar loro da bere quel Sangue immacolato che
avrebbe purificato le loro macchie, e le labbra del «mio primo figlio»
andarono a posarsi sulle piaghe sante!!! Quale risposta dolcissima! Ah,
dopo quella grazia unica, il mio desiderio di salvare anime crebbe
giorno per giorno; mi pareva udire Gesù che mi dicesse, come alla
Samaritana: «Dammi da bere». Era un vero scambio di amore; alle anime
davo il Sangue di Gesù, a Gesù offrivo quelle anime stesse rinfrescate
dalla rugiada divina; mi pareva così di dissetano, e più gli davo da
bere più la sete della mia povera anima cresceva, ed era quella sete
ardente che egli mi dava come la bevanda più deliziosa del suo amore.
137 - In poco tempo il Signore aveva saputo trarmi fuori dal circolo
angusto entro il quale mi dibattevo senza sapere come uscirne. Vedendo
il cammino che mi fece percorrere, la mia riconoscenza e grande, ma
bisogna bene che ne convenga, se il passo più importante era fatto, mi
restavano ancora molte cose da lasciare. Liberato dagli scrupoli, dalla
sensibilità eccessiva, lo spirito mio si sviluppò. Avevo amato sempre
il grande, il bello, ma a quel tempo fui presa da un desiderio estremo
di sapere. Senza contentarmi delle lezioni e dei compiti che mi dava la
mia maestra, mi dedicavo da sola a studi speciali di storia e di
scienze. Gli altri studi mi lasciavano indifferente, ma questi due rami
attraevano tutta la mia attenzione; così, in pochi mesi, acquistai più
nozioni che durante anni di studi. Ah, ciò non era che vanità e
afflizione di spirito. Il capitolo della Imitazione che parla di
scienze mi tornava spesso alla mente, ma io trovavo il modo per
continuare ugualmente, e dicevo a me stessa che, essendo in età di
studiare, non c'era male nel farlo. Credo di non avere offeso il buon
Dio (nonostante che riconosca di aver speso in queste cose un tempo
inutile), perché impegnavo nello studio soltanto un limitato numero di
ore, e per mortificare il mio desiderio troppo vivo di sapere, volevo
non superare questo limite. Ero nell'età più pericolosa per le
giovanette, ma il Signore ha fatto per me ciò che racconta Ezechiele
nelle sue profezie: «Passandomi vicino, Gesù ha visto che il tempo era
venuto per me di essere amata, ha fatto alleanza con me, e sono
divenuta sua. Ha spiegato sopra di me il suo manto, mi ha lavata in
profumi preziosi, mi ha ricoperta di vesti ricamate, abbigliandomi di
collane e ornamenti inestimabili... Mi ha nutrita della farina più
pura, di miele e d'olio in abbondanza... allora sono divenuta bella
agli occhi di lui, ed egli ha fatto di me una regina potente!...».
138 - Si, Gesù ha fatto per me tutto questo, potrei riprendere ciascuna
parola che ho scritto, e provare che si è avverata in mio favore, ma le
grazie che ho raccontato poco fa offrono una prova sufficiente; parlerò
soltanto del nutrimento che mi è stato prodigato «in abbondanza». Da
lungo tempo mi nutrivo della «pura farina» contenuta nella Imitazione,
era l'unico libro che mi facesse del bene, perché non avevo ancora
trovato i tesori nascosti nel Vangelo. Sapevo a memoria quasi tutti i
capitoli della mia cara Imitazione, questo libretto non mi abbandonava
mai; d'estate lo portavo in tasca, d'inverno nel manicotto, in tal modo
era divenuto tradizionale; in casa della zia si divertivano molto
aprendolo a caso, e facendomi recitare il capitolo che si trovava
davanti agli occhi. A quattordici anni, dato il mio desiderio di
scienza, il buon Dio giudicò necessario unire alla «pura farina»,
«miele ed olio in abbondanza». Quel miele e quell'olio me li fece
trovare nelle conferenze del reverendo Don Arminjon sulla fine del
mondo presente e i misteri della vita futura. Questo libro l'avevano
prestato a Papà le mie care Carmelitane, e così, contrariamente alle
mie abitudini (perché non leggevo i libri di Papà), chiesi di leggerlo.
Quella lettura fu anch'essa una delle grazie più grandi della mia vita,
la feci accanto alla finestra della mia stanza da studio, e
l'impressione che ancora ne risento è troppo intima e dolce perché io
possa esprimerla. Tutte le grandi verità della religione, i misteri
dell'eternità, immergevano l'anima mia in una felicità che non era di
questa terra... Presentivo ciò che Dio riserva a coloro che l'amano
(non già con l'occhio dell'uomo, bensì con quello del cuore), e vedendo
che le ricompense eterne non hanno proporzione alcuna con i leggeri
sacrifici della vita, volevo amare, amare Gesù con passione, dargli
mille prove d'amore finché lo potevo ancora. Copiai vari passi sul
perfetto amore e sull'accoglienza che il buon Dio farà ai suoi eletti
nel momento in cui egli stesso diverrà la loro grande, eterna
ricompensa; ripetevo continuamente le parole d'amore che mi avevano
incendiato il cuore.
139 - Celina era divenuta la confidente intima dei miei pensieri; dal
Natale in poi, potevamo capirci, la distanza di età non esisteva più,
poiché ero divenuta grande di statura e soprattutto in grazia. Prima di
quel tempo mi lamentavo spesso di non conoscere i segreti di Celina,
lei mi diceva che ero troppo piccola, bisognava ch'io crescessi quanto
«l'altezza di un panchettino» perché lei potesse aver fiducia in me. Mi
piaceva di salire su quel prezioso panchettino quando ero accanto a
lei, e le dicevo di parlarmi intimamente, ma il mio stratagemma era
inutile, una certa distanza ci separava ancora! Gesù, che voleva farci
progredire insieme, formò nei nostri cuori dei vincoli più forti di
quelli del sangue. Ci fece diventare sorelle d'anima, in noi si
tradussero in pratica queste parole del Cantico di san Giovanni della
Croce (parlando al suo Sposo, la sposa esclama): «Seguendo le tue orme,
le giovani percorrono con passo lieve il cammino, il contatto con la
scintilla, il vino aromatico, suscitano in esse delle aspirazioni
divinamente profumate». Sì, con passo ben lieve noi seguivamo le orme
di Gesù; le scintille d'amore che egli seminava a piene mani nelle
anime nostre, il vino delizioso e forte che ci dava da bere, faceva
sparire ai nostri occhi le cose passeggere, e dalle nostre labbra
uscivano aspirazioni d'amore da lui stesso ispirate. Com'erano dolci le
conversazioni che avevamo ogni sera nel belvedere! Lo sguardo
abbandonato alle lontananze, contemplavamo la luna bianca che si alzava
lenta dai grandi alberi... i riflessi argentei che diffondeva sulla
natura addormentata... le stelle che scintillavano nell'azzurro
profondo, il soffio lieve della brezza nella tarda sera faceva
fluttuare le nuvole nevose, tutto elevava le anime nostre verso il
Cielo, il Cielo bello del quale ancora non vedevamo se non il «rovescio
limpido». Non so se sbaglio, ma mi pare che l'abbandono delle nostre
anime somigliasse a quello di santa Monica con suo figlio quando, al
porto di Ostia, restavano perduti nell'estasi alla vista delle
meraviglie operate dal Creatore! Mi sembra che ricevevamo grazie di un
ordine tanto elevato come quelle concesse ai grandi santi. Come dice
l'Imitazione, il Signore si comunica talvolta in mezzo a un vivo
splendore, oppure «velato dolcemente sotto ombre o simboli»; era in
questo modo che si degnava manifestarsi alle nostre anime, ma com'era
trasparente e leggero il velo che ci nascondeva Gesù! il dubbio non era
possibile, già la fede e la speranza non erano più necessarie, l'amore
ci faceva trovare sulla terra colui che cercavamo. “Avendolo trovato
solo, egli ci aveva dato il suo bacio, affinché nell’avvenire nessuno
potesse disprezzarci”.
140 - Grazie tanto grandi non dovevano rimanere prive di frutti, e
questi anzi furono abbondanti, la pratica della virtù ci divenne dolce
e naturale; dapprincipio il mio viso tradiva spesso il combattimento,
ma a poco a poco quella espressione scomparve; e la rinuncia mi divenne
facile anche dal primo istante. Gesù l'ha detto: «A colui che possiede,
verrà dato ancora, e sarà nell'abbondanza». Per una grazia ricevuta
fedelmente, egli me ne concedeva molte altre... Si dava egli stesso a
me nella santa Comunione più spesso di quanto avrei osato sperare.
Avevo preso per regola di condotta di fare, senza ometterne una sola,
le Comunioni che il confessore mi avrebbe permesse, ma di lasciare che
egli ne stabilisse il numero, senza mai chiedergliele. A quel tempo non
avevo affatto l'audacia che possiedo ora, altrimenti avrei agito in
modo diverso, perché sono ben sicura che un'anima deve dire al
confessore quale attrattiva provi per ricevere il suo Dio; non è per
restare nel ciborio d'oro che egli discende ogni giorno dal Cielo, ma è
per trovare un altro Cielo che gli è infinitamente più caro del primo:
il Cielo dell'anima nostra, fatta a immagine sua, il tempio vivo
dell'adorabile Trinità! Gesù vedeva il mio desiderio e la dirittura del
mio cuore; permise che durante il mese di maggio il confessore mi
dicesse di fare la santa Comunione quattro volte la settimana, e
passato quel bel mese ne aggiunse una quinta per ogni volta che
capitasse una festa. Quando uscii dal confessionale, piangevo con tanta
dolcezza; mi pareva che Gesù stesso volesse darsi a me, perché la mia
confessione era breve, non dicevo mai una parola dei miei sentimenti
intimi, essendo così dritta la via su cui camminavo, e così luminosa
che non mi occorreva altra guida se non Gesù. Paragonavo i direttori a
specchi fedeli che riflettessero Gesù nelle anime, e dicevo che per me
il buon Dio non si serviva d'intermediario, bensì agiva direttamente!
lasciarlo sospeso all'albero, bensì per presentano sopra una tavola
servita brillantemente. Con una intenzione simile Gesù prodigava le sue
grazie all'umile fiore. Gesù che, ai tempi della sua vita terrena,
esclamava in un impeto di gioia: «Padre mio, ti benedico perché hai
nascosto queste cose ai saggi e ai potenti, e le hai rivelate ai più
piccoli!», voleva far rifulgere in me la sua misericordia; perché ero
piccola e debole si abbassava verso me, m'istruiva in segreto delle
cose del suo amore. Ah, se i sapienti, dopo aver passato la loro vita
negli studi, fossero venuti a interrogarmi, senza dubbio sarebbero
rimasti meravigliati vedendo una fanciulla di quattordici anni capire i
segreti della perfezione, segreti che tutta la loro scienza non può
scoprire, poiché per possederli bisogna essere poveri di spirito! Come
dice san Giovanni della Croce nel suo Cantico: «Non avevo né guida, né
luce, fuorché quella che mi splendeva nel cuore, quella luce mi guidava
più sicuramente che il fulgore meridiano al luogo ove mi attendeva
Colui che mi conosce perfettamente» 20 Quel luogo, era il Carmelo;
prima di «riposarmi all'ombra di Colui che desideravo», dovevo passare
per tante prove, ma la chiamata divina era così pressante che, se anche
avessi dovuto traversare le fiamme, l'avrei fatto per essere fedele a
Gesù...
142 - Per incoraggiarmi nella vocazione trovai una sola anima, quella
della mia Madre cara... il cuore mio trovò nel suo una eco fedele, e
senza di lei certamente non sarei arrivata alla riva benedetta che
aveva accolto anche lei cinque anni prima sopra una terra permeata di
rugiada celeste. Si, da cinque anni ero lontana da lei, Madre cara,
credevo di averla perduta, ma al momento della prova fu la mano sua che
m'indicò il cammino. Avevo bisogno di questo conforto, perché le mie
conversazioni al Carmelo mi erano divenute più e più penose, non potevo
parlare del mio desiderio d'entrare senza sentirmi respinta. Maria,
pensando che fossi troppo giovane, faceva tutto il possibile per
impedire il mio ingresso; lei stessa, Madre, per provarmi, tentava
qualche volta di attenuare il mio ardore; insomma, se non avessi avuto
davvero la vocazione, mi sarei fermata fin dall'inizio, perché
incontravo ostacoli appena cominciavo a rispondere alla chiamata di
Gesù. Non volli dire a Celina il mio desiderio di entrare così giovane
nel Carmelo, e ciò mi fece soffrire di più perché mi era ben difficile
nasconderle qualche cosa... La sofferenza non durò a lungo, ben presto
la mia sorella cara seppe la mia decisione, e lungi dal tentare di
dissuadermi, accettò con coraggio mirabile il sacrificio che il buon
Dio le chiedeva; per capire quanto fu grande, bisognerebbe sapere fino
a che punto eravamo unite. Era, per così dire, la stessa anima che ci
faceva vivere; da pochi mesi godevamo insieme la vita più dolce che due
giovanette possano sognare; tutto, intorno a noi, rispondeva ai nostri
gusti, la libertà più grande ci era concessa, insomma io dicevo che la
nostra vita sulla terra era l'ideale della felicita'... Avevamo avuto
appena il tempo per gustare questo ideale di felicita' che bisognava
distoglierci da esso liberamente, e la mia Celina non si ribellò
nemmeno per un attimo. Eppure, non era lei che Gesù chiamava per prima,
e perciò ella avrebbe potuto lamentarsi; avendo la mia stessa
vocazione, stava a lei partire: ma, come ai tempi dei martiri, quelli
che restavano nella prigione davano gioiosamente il bacio di pace ai
fratelli i quali partivano primi per combattere nell'arena, e si
consolavano col pensiero che forse essi erano riservati a certami
ancora più grandi; così Celina lasciò che la sua Teresa si allontanasse
e restò sola per la gloriosa e sanguinosa prova alla quale Gesù la
destinava come privilegiata del suo amore!
143 - Celina divenne dunque la confidente delle mie lotte e dei miei
patimenti, e prese parte ad essi come se si fosse trattato della
vocazione sua; da parte di lei non avevo da temere opposizione, ma non
sapevo che strada prendere per dare l'annuncio a Papà. Come parlargli
di lasciar la sua regina, a lui che aveva sacrificato le sue tre
maggiori? Ah, i conflitti intimi che ho sofferto prima di sentirmi il
coraggio di parlare! E tuttavia bisognava che mi decidessi; avevo
quattordici anni e mezzo, sei mesi soltanto ci separavano dalla bella
notte di Natale nella quale avevo deciso di entrare, nell'ora stessa in
cui, l'anno precedente, avevo ricevuto la «mia grazia». Per fare la mia
grande rivelazione scelsi il giorno di Pentecoste; per tutta la
giornata supplicai i santi Apostoli di pregare per me, di ispirarmi le
parole che dovevo dire... Toccava pure loro di aiutare la bambina
timida che Dio destinava a divenire l'apostolo degli apostoli per mezzo
della preghiera e del sacrificio! Soltanto nel pomeriggio, tornando dai
vespri, trovai l'occasione per parlare al mio Babbo carissimo; era
andato a sedersi sul bordo della vasca, e, con le mani giunte,
contemplava le meraviglie della natura; il sole con la sua luce
raddolcita dorava le cime dei grandi alberi ove gli uccelli cantavano
gioiosi la loro preghiera della sera. il bel volto di Papà aveva una
espressione celeste, sentivo che la pace gli inondava il cuore; senza
dire una parola mi sedetti accanto a lui, gli occhi pieni di pianto; mi
guardò con tenerezza, mi prese la testa e l'appoggiò sul suo cuore,
dicendomi: «Che cos'hai, reginetta? Confidamelo». Poi, alzandosi come
per nascondere la propria emozione, camminò lentamente tenendomi sempre
la testa appoggiata sul suo cuore. Tra le lacrime gli confidai che
desideravo entrare nel Carmelo; allora le lacrime sue si unirono alle
mie, ma non disse una parola per distogliermi dalla mia vocazione; si
contentò di farmi osservare che ero molto giovane per prendere una
decisione tanto grave. Ma io difesi la mia causa tanto bene che Papà,
con la sua natura semplice e dritta, fu convinto ben presto che il mio
desiderio era di Dio stesso, e, nella sua fede profonda, esclamò che
Dio gli faceva un grande onore chiedendogli così le sue figlie.
Continuammo a lungo la nostra passeggiata; il cuore mio, sollevato
dalla bontà con la quale era stata accolta la sua rivelazione dal Padre
mio incomparabile, si apriva dolcemente nel cuore di lui. Pareva che
Papà godesse di quella gioia tranquilla che dà il sacrificio consumato,
mi parlò come un santo, e vorrei ricordare le sue parole per scriverle
qui, ma ho conservato di esse un ricordo troppo profumato perché si
possa tradurlo. Mi ricordo perfettamente l'azione simbolica che il mio
Re compì senza saperlo. Si avvicinò ad un muricciolo, mi mostrò dei
fiorellini bianchi che crescevano su di esso simili a gigli in
miniatura, poi ne prese uno e me lo dette, spiegandomi con quanta cura
il buon Dio l'aveva fatto nascere e l'aveva custodito fino a quel
giorno; ascoltando, io credevo di udire la storia mia, tanta era la
somiglianza tra quello che Gesù aveva fatto per il mughetto umile e per
la piccola Teresa. Ricevetti quel fiore come una reliquia, e vidi che,
cogliendolo, Papà aveva divelto tutte le radici esili senza spezzarle;
quasi affinché vivesse ancora in un'altra terra più fertile del muschio
tenero nel quale erano trascorsi i suoi primi giorni. Era proprio
questo medesimo atto che Papà aveva fatto per me qualche istante prima,
permettendomi di salire la montagna del Carmelo e lasciare la vallata
dolce nella quale avevo mosso i primi passi. Posi il tenue calice
bianco nella mia Imitazione, al capitolo intitolato: «Che bisogna amare
Gesù al disopra di tutto», ed è ancora li, soltanto lo stelo si è
spezzato proprio in un punto vicino alla radice, e il buon Dio sembra
voglia dire con ciò che romperà presto i legami del suo fiorellino, e
non lo lascerà appassire sulla terra
144 - Dopo avere ottenuto il consenso di Papà, credevo di potere
entrare senza timore al Carmelo, ma delle vicende molto dolorose
dovevano ancora mettere alla prova la mia vocazione. Tremando confidai
allo zio la risoluzione presa. Mi rispose con tutta la possibile
tenerezza, ma non mi dette il consenso alla partenza, anzi, mi proibì
di riparlargli di vocazione prima di avere diciassette anni. Era
contrario alla prudenza umana - diceva - fare entrare nel Carmelo una
bambina di quindici anni; la vita di carmelitana essendo agli occhi del
mondo una vita da filosofi, si farebbe gran torto alla religione
permettendo ad una fanciulla priva di esperienza di abbracciarla. Tutti
ne parlerebbero, ecc. ecc. Disse perfino che per decidere lui a farmi
partire sarebbe stato necessario un miracolo. Vidi bene che tutti i
ragionamenti erano inutili, perciò mi ritirai, col cuore immerso
nell'amarezza più profonda. Unica mia consolazione: la preghiera.
Supplicavo Gesù di fare il miracolo richiesto, poiché soltanto a quel
prezzo avrei potuto rispondere al suo appello. Passò un tempo assai
lungo prima che osassi parlare nuovamente allo zio; mi costava
sommamente andare da lui; da parte sua pareva ch'egli non pensasse più
alla mia vocazione, ma ho saputo più tardi che la mia grande tristezza
gli fece una impressione profonda a mio favore. Prima di far splendere
sull'anima mia un raggio di speranza, piacque al Signore di mandarmi un
martirio molto doloroso che durò tre giorni, Oh, mai ho capito tanto
bene come durante quella prova, il dolore della Vergine Santissima e di
san Giuseppe alla ricerca di Gesù Bambino. Ero in un deserto triste, o
piuttosto l'anima mia era simile allo scafo fragile privo di nocchiero,
in balìa della tempesta. Lo so, Gesù era presente, assopito nella mia
barchetta, ma la notte era così nera che non potevo vederlo; niente
m'illuminava, nemmeno un lampo che solcasse le nuvole oscure. Certo, è
ben triste il bagliore dei lampi, ma almeno, se il temporale fosse
scoppiato apertamente, avrei potuto forse intravedere Gesù per un
attimo... invece, la notte, profonda notte dell'anima... Come Gesù nel
giardino dell'agonia mi sentivo sola, non trovavo consolazione né in
terra, né dalla parte del Cielo, pareva che il buon Dio mi avesse
abbandonata! E pareva anche che la natura prendesse parte alla mia
tristezza amara; durante quei tre giorni il sole non ebbe un raggio, e
la pioggia cadde a torrenti. (Ho notato che, in tutte le circostanze
gravi della mia vita, la natura era l'immagine dell'anima mia. Nei
giorni di pianto, il Cielo piangeva con me, nei giorni di gioia, il
sole splendeva e l'azzurro era puro). Finalmente il quarto giorno, un
sabato, giorno consacrato alla dolce Regina dei Cieli, andai a trovare
lo zio. Come rimasi sorpresa vedendo che mi guardava e mi faceva
entrare nel suo studio senza che io gli avessi detto nulla! Cominciò
col farmi dolci rimproveri perché avevo paura di lui, e poi mi disse:
«Non è necessario chiedere un miracolo, ho soltanto pregato il Signore
che mi dia "un semplice orientamento del cuore" e sono stato esaudito».
Ah! io non fui più tentata di implorare un miracolo perché, secondo me,
il miracolo era già concesso, lo zio non era più lui. Senza più alcuna
allusione alla «prudenza umana» mi disse: «Tu sei un fiorellino che Dio
vuole cogliere, e io non mi oppongo più».
145 - Questa risposta definitiva era degna davvero di lui. Per la terza
volta questo cristiano di altri tempi permetteva che una figlia
adottiva del suo cuore andasse a seppellirsi lontana dal mondo. La zia
fu mirabile anche lei per tenerezza e prudenza; non ricordo che,
durante la mia prova, ella abbia detto una sola parola tale da
aumentarmi la sofferenza, vedevo invece che aveva grande compassione
della povera piccola Teresa, così, quand'ebbi ottenuto il consenso
dello zio tanto caro, lei mi dette il suo, ma non senza mostrarmi in
mille modi che la mia partenza l'avrebbe addolorata. Ahimè! i nostri
cari parenti erano ben lungi da prevedere che avrebbero dovuto
rinnovare per due volte ancora il medesimo sacrificio. Ma, tendendo la
mano per chiedere sempre, il buon Dio non la presentò vuota: i suoi
amici poterono attingere in abbondanza la forza e il coraggio
necessari... Ma ecco il cuore che mi trascina lungi dal mio soggetto,
ci ritorno quasi con rincrescimento: dopo la risposta dello zio, lei
capisce, Madre, con quale allegrezza ripresi la via dei Buissonnets,
sotto «il bel cielo, da cui le nubi si erano completamente dissipate!».
Anche nell'anima mia la notte era finita. Gesù svegliandosi mi aveva
ridato la gioia, il fragore delle ondate si era placato: invece del
vento della prova, un soffio lieve gonfiava la mia vela e io credevo di
arrivare ben presto alla riva benedetta che scorgevo tanto vicina. In
realtà era vicina, ma più di un temporale doveva ancora sorgere e,
offuscando la vista del faro, farmi temere di essermi allontanata,
senza ritorno, dalla spiaggia ambita.
146 - Pochi giorni dopo avere ottenuto il consenso dello zio, venni a
trovarla, Madre mia cara, e le dissi la mia gioia che tutte le prove
fossero passate; ma quale sorpresa ebbi, e quale dolore, sapendo da lei
che il Superiore non acconsentiva al mio ingresso prima dei miei ventun
anni! Nessuno aveva pensato a questa opposizione, più invincibile delle
altre; tuttavia, senza perdermi di coraggio, andai io stessa con Papà e
Celina da Nostro Padre, per cercare di commuoverlo, dimostrandogli che
avevo, sì, la vocazione al Carmelo! Ci ricevette molto freddamente; il
mio Babbo ineguagliabile ebbe un bell'unire le sue istanze alle mie,
niente poté mutare la sua disposizione. Mi disse che non c'erano
pericoli nell'attesa, che potevo ben fare vita carmelitana nella mia
casa, che se non avessi preso la disciplina niente si sarebbe perduto,
ecc. ecc. e finì per aggiungere che egli era soltanto il delegato di
Monsignore e che, se Monsignore stesso avesse voluto permettermi di
entrare nel Carmelo, lui non avrebbe avuto più nulla da dire... Uscii
tutta in lacrime dalla canonica, fortunatamente ero nascosta sotto
l'ombrello, perché la pioggia cadeva a torrenti. Papà non sapeva come
consolarmi... Mi promise di condurmi a Bayeux appena lo desiderassi
perché ero risoluta a raggiungere il mio scopo, e dissi che sarei
andata perfino dal Santo Padre, se Monsignore non mi avesse permesso di
entrare nel Carmelo a quindici anni.
147 - Molti eventi accaddero prima del mio viaggio a Bayeux; al di
fuori la vita mia pareva la stessa, studiavo, prendevo lezioni di
disegno con Celina, e la mia abile maestra mi attribuiva molta
disposizione per quell'arte. Soprattutto crescevo nell'amore del buon
Dio, sentivo nel mio cuore degli slanci sconosciuti fino allora,
talvolta avevo dei veri impeti d'amore. Una sera, non sapendo come dire
a Gesù che lo amavo, e quanto desideravo ch'egli fosse amato e
glorificato dovunque, pensai con dolore ch'egli non avrebbe mai potuto
ricevere un solo atto d'amore dall'inferno; allora dissi al buon Dio
che, per fargli piacere, avrei acconsentito a vedermi sprofondata là,
affinché egli fosse amato eternamente in quel luogo di bestemmia...
Sapevo che questo non avrebbe potuto glorificare Dio, poiché egli
desidera la nostra felicità, ma, quando si ama, si prova il bisogno di
dire mille follie; parlavo in quel modo, non già perché non avessi la
brama del Cielo, ma allora il mio Cielo, proprio mio, non era altro che
l'Amore, e sentivo come san Paolo che niente avrebbe potuto distaccarmi
da Dio che mi aveva rapita.
148 - Prima di lasciare il mondo, il buon Dio mi dette la consolazione
di contemplare da vicino delle anime di bimbi; essendo la più piccola
in famiglia, non avevo mai avuto questa gioia, ed ecco le tristi
circostanze che me la procurarono: una povera donna, parente della
nostra cameriera, morì nel fiore dell'età lasciando tre figli
piccolissimi; durante la malattia di lei prendemmo a casa nostra le due
piccine - la maggiore non aveva sei anni! -; io me ne occupai per tutta
la giornata, ed era un gran piacere per me vedere come esse credessero
tutto quello che dicevo io. Bisogna pure che il santo Battesimo deponga
nelle anime un germe ben profondo delle virtù teologali, poiché si
rivelano fin dall'infanzia, e poiché la speranza dei beni futuri basta
per fare accettare dei sacrifici. Quando volevo vedere le mie due
bimbette molto concilianti una verso l'altra, invece di promettere
giocattoli e dolci a quella che avrebbe ceduto di fronte alla sorella,
parlavo loro delle ricompense eterne che Gesù Bambino avrebbe dato, nel
Cielo, ai bambini buoni; la maggiore, il cui intelletto cominciava a
svilupparsi, mi guardava con occhi brillanti di gioia, mi faceva mille
domande deliziose su Gesù Bambino e il suo Cielo bello, e mi prometteva
con entusiasmo di cedere sempre a sua sorella; diceva che mai in vita
sua avrebbe dimenticato ciò che le aveva detto la «signorina grande»,
mi chiamava così. Vedendo da vicino quelle anime innocenti, ho capito
quale sventura sia di non formarle bene fin dal loro risveglio,
allorché somigliano a una cera molle sulla quale si può imprimere la
virtù, ma anche il male... ho capito ciò che Gesù ha detto nel Vangelo:
«Che sarebbe meglio essere buttati in mare piuttosto che scandalizzare
uno solo di quei bimbi». Ah! quante anime arriverebbero alla santità se
fossero ben dirette!
149 - Lo so bene, il Signore non ha bisogno di nessuno per far l'opera
sua, ma come permette a un giardiniere abile di coltivare piante rare e
delicate, e gli dà le cognizioni necessarie per far ciò, riservando a
sé la cura di fecondarle, così Gesù vuole essere aiutato nella sua
divina cultura delle anime. Che cosa accadrebbe se un giardiniere
maldestro non innestasse bene i suoi arbusti? Se non sapesse
riconoscere la natura di ciascuno e volesse far sbocciare delle rose
sopra un pesco? Farebbe morir l'albero che tuttavia era buono e atto a
produrre frutti. Così bisogna sapere riconoscere fin dall'infanzia ciò
che il buon Dio chiede alle anime, e assecondare l'azione della sua
grazia, senza mai precorrerla né rallentarla. Come gli uccellini
imparano a cantare ascoltando i loro genitori, così i figli imparano la
scienza della virtù, il canto sublime dell'amor divino, dalle anime che
dovranno formarli alla vita. Ricordo che tra i miei uccellini c era un
canarino che cantava a meraviglia e avevo anche un piccolo fanello al
quale prodigavo le mie cure materne, poiché l'avevo adottato prima che
avesse potuto godere della libertà. Questo povero prigioniero piccino
piccino non aveva genitori che gli insegnassero a cantare, ma,
ascoltando da mattina a sera il suo compagno canarino che gorgheggiava
gioiosamente, volle imitarlo. Era un'impresa difficile per un fanello,
e così la sua voce dolce ebbe un bel daffare per accordarsi con la voce
vibrante del musico maestro. Era incantevole assistere ai tentativi del
piccolino, eppure da ultimo ebbero un buon successo, perché il canto
suo, pur conservando una ben maggiore dolcezza, fu assolutamente lo
stesso di quello del canarmo. Oh, Madre mia cara! E lei che mi ha
insegnato a cantare... è la voce sua che mi ha affascinata fin
dall'infanzia ed ora ho la consolazione di sentir dire che le somiglio!
So quanto ne sono ancora lontana, ma spero, nonostante la mia
debolezza, ripetere eternamente lo stesso cantico suo.
150 - Prima che entrassi al Carmelo, ebbi ancora varie esperienze
riguardo alla vita e alle miserie del mondo, ma questi particolari mi
trascinerebbero troppo lontana; riprenderò il racconto della mia
vocazione. Il 31 ottobre fu il giorno fissato per il mio viaggio a
Bayeux. Partii sola con Papà, pieno il cuore di speranza, ma anche di
emozione per la prospettiva di presentarmi al vescovado. Per la prima
volta in vita mia avevo da fare una visita senza essere accompagnata
dalle mie sorelle, e si trattava della visita a un Vescovo. Io, che non
provavo mai il bisogno di parlare se non per rispondere alle domande
rivoltemi, dovevo spiegare io stessa lo scopo della mia visita,
chiarire le ragioni che mi facevano chiedere l'ingresso nel Carmelo;
insomma, dovevo dimostrare la solidità della mia vocazione. Quanto mi
costò fare quel viaggio! Bisognò che il buon Dio mi concedesse una
grazia ben particolare perché io potessi superare la mia grande
timidezza. È vero altresì che «mai l’Amore trova impossibile, perché si
crede tutto possibile e tutto permesso». Era davvero il solo amore di
Gesù che poteva farmi vincere quelle difficoltà e quelle che seguirono,
perché egli si compiacque di farmi pagare la vocazione a prezzo di
grandi prove. Oggi che godo la solitudine del Carmelo («riposandomi
all’ombra di Colui che ho desiderato con tanto ardore»), mi pare di
aver conseguito la mia felicità a prezzo lievissimo, e sarei pronta a
sopportare sofferenze molto più gravi per conquiderla, se non la
possedessi ancora!
151 - Pioveva a torrenti quando arrivammo a Bayeux; Papà non voleva
veder la sua reginetta entrare nel vescovado con la sua bella toilette
tutta intrisa, e perciò la fece salire sopra un omnibus, fino alla
cattedrale. Là cominciarono i guai: Monsignore e tutto il clero
assistevano a un funerale solenne. La chiesa era piena di signore in
lutto e tutti guardavano me, il mio vestito chiaro e il cappello
bianco; avrei voluto uscir dalla chiesa, ma non c'era da pensarci a
causa della pioggia, e per umiliarmi ancor più il buon Dio permise che
Papà, nella sua semplicità patriarcale, mi facesse arrivare fino in
cima alla cattedrale; non volendo fargli dispiacere, mi risolsi a farlo
con buon garbo e procurai quella distrazione ai bravi abitanti di
Bayeux che avrei desiderato non aver mai incontrati... Potei finalmente
respirare a modo mio in una cappella dietro all'altar maggiore, e mi ci
trattenni lungo tempo, pregando con fervore, mentre aspettavamo che
spiovesse, e ci fosse possibile uscire. Attraversando di nuovo la
chiesa, Papà mi fece ammirare la bellezza dell'architettura, lo spazio
pareva più ampio ora che era vuoto, ma quanto a me, un pensiero unico
mi dominava, e io non potevo prender gusto a nulla. Andammo
direttamente da Mons. Révérony, il quale era edotto del nostro arrivo,
poiché aveva fissato egli stesso il giorno del viaggio; ma non c'era.
Fummo costretti, perciò, a vagare per le strade, che mi parvero ben
tristi; finalmente ritornammo verso la curia, e Papà mi fece entrare in
un bell'albergo ove non feci onore al bravo cuoco. Povero caro Babbo
mio, aveva per me una tenerezza quasi incredibile, mi diceva di non
affliggermi, ché certamente Monsignore avrebbe acconsentito.
152 - Ci riposammo, poi tornammo da Mons. Révérony; nello stesso tempo
arrivò un signore, ma il vicario generale gli chiese gentilmente di
volere attendere, e ci fece entrare per primi nel suo studio (quel
povero signore ebbe il tempo di annoiarsi, perché la visita fu lunga).
Mons. Révérony si mostrò molto amabile, ma credo che il motivo del
nostro viaggio lo meravigliò assai; dopo avermi guardata sorridendo, e
avermi fatto qualche domanda, ci disse: «Vi presenterò a Monsignor
Vescovo, vogliate seguirmi». Vedendo che avevo le lacrime agli occhi,
mi disse: «Ah!... vedo dei diamanti... non bisogna mostrarli a
Monsignor Vescovo!». Ci fece attraversare varie stanze ampie, ornate da
ritratti di vescovi; vedendomi in quei saloni, mi facevo l'effetto di
una formica piccina piccina, e mi domandavo cosa avrei saputo dire a
Monsignor Vescovo; egli passeggiava in mezzo a due sacerdoti in una
galleria, vidi Mons. Révérony che gli diceva qualche parola, poi
tornarono verso noi. Noi attendevamo nello studio; tre poltrone enormi
erano collocate davanti al camino, e il fuoco era vivace ed alto.
Vedemmo entrare Sua Eccellenza, Papà si inginocchiò accanto a me per
ricevere la benedizione, poi Monsignor Vescovo fece accomodare Papà in
una poltrona, si mise egli stesso di faccia a lui, e Mons. Révérony
volle farmi occupare la poltrona in mezzo; rifiutai gentilmente, ma
insistette, dicendomi di far vedere se sapevo obbedire; mi sedetti
subito senza altre riflessioni ed ebbi la confusione di vedere che lui
prendeva una sedia, mentre io mi trovavo sprofondata in un seggio nel
quale sarebbero state comodamente ben quattro come me (più comode di
me, perché io ero ben lungi dal sentirmi tale!). Speravo che Papà
cominciasse a parlare, ma invece mi disse di spiegare io stessa a
Monsignore lo scopo della nostra visita; lo feci con tutta la possibile
eloquenza, ma “a Grandeur”, abituato all'eloquenza non parve gran che
commosso dai miei ragionamenti; in sostituzione di questi, una parola
sola del reverendo superiore mi avrebbe giovato di più; sventuratamente
non ne potevo produrre, ed anzi l'opposizione di lui non patrocinava
certo la mia causa.
153 - Monsignor Vescovo mi domandò se da lungo tempo aspiravo al
Carmelo. «Oh, si, Eccellenza, da ben lungo tempo». - «Vediamo - rispose
ridendo Mons. Révérony - non potrà dirci che ha questo desiderio da
quindici anni». - «E vero - risposi sorridendo anch'io - ma non ci sono
molti anni da defalcare, perché ho desiderato farmi religiosa fin dal
risveglio del mio intelletto, e ho desiderato il Carmelo, appena l'ho
conosciuto bene, perché trovavo che, in quell'Ordine, sarebbero
appagate tutte le aspirazioni dell'anima mia». Non so, Madre mia, se
dissi proprio così, credo di essermi spiegata anche peggio, ma insomma
il senso era questo. Monsignor Vescovo, credendo di far piacere a Papà,
cercò di farmi trattenere ancora qualche anno presso di lui, e rimase
non poco stupito ed edificato vedendo che Papà stesso abbracciava la
mia causa e intercedeva affinché ottenessi il permesso di volar via a
quindici anni. Tuttavia, tutto fu vano; il Vescovo disse che, prima di
decidere, gli era necessario un colloquio col Superiore del Carmelo. Io
non potevo ascoltare parola più penosa, perché conoscevo l'opposizione
netta di Nostro Padre, perciò, senza tener conto della raccomandazione
di Mons. Révérony, feci ben più che mostrare i miei diamanti a
Monsignor Vescovo, gliene detti e quanti! Vidi che era commosso: mi
fece appoggiare la testa sulla sua spalla e mi confortò con tanta bontà
come - pare - non aveva fatto mai con nessun altro. Mi disse che tutto
non era perduto, che egli era ben contento del mio viaggio a Roma:
avrei potuto assodare la mia vocazione, e intanto dovevo rallegrarmi
invece di piangere; aggiunse che la settimana seguente egli stesso,
poiché doveva andare a Lisieux, avrebbe parlato col reverendo parroco
di San Giacomo, e certamente io avrei ricevuto la sua risposta in
Italia. Capii che era inutile insistere, del resto non avevo altro da
dire, poiché avevo esaurito tutte le risorse della mia eloquenza.
154 - Monsignor Vescovo ci riaccompagnò fino al giardino, Papà lo
divertì molto raccontandogli che mi ero fatta tirar su i capelli per
sembrargli più grande di età... (E ciò non andò perduto perché
Monsignor Vescovo non parla della sua «figlioletta» senza raccontare la
storia dei capelli...). Mons. Révérony ci volle accompagnare fino in
fondo al giardino, e disse a Papà che una cosa simile non si era mai
vista: «Un padre altrettanto premuroso di dar sua figlia al Signore,
quanto questa fanciulla lo era di offrir se stessa!». Papà gli domandò
varie spiegazioni riguardo al pellegrinaggio, tra l'altro in qual modo
bisognava vestirsi per comparire dinanzi al Santo Padre. Lo vedo ancora
voltarsi a Mons. Révérony dicendogli: «Sto abbastanza bene così?...».
Aveva anche detto a Monsignor Vescovo che, se non mi avesse permesso di
entrare nel Carmelo, io avrei chiesto questa grazia al Sommo Pontefice.
Era ben semplice nelle parole e nei modi, il mio caro Re, ma era tanto
bello... aveva una distinzione proprio naturale che dovette piacere
molto a Monsignor Vescovo, avvezzo a vedersi circondato da personaggi i
quali conoscevano tutte le regole in uso nei salotti, ma non il «Re di
Francia e di Navarra» in persona, con la sua «reginetta».
155 - Quando mi trovai per la strada, le lacrime ricominciarono, non
tanto a causa del dispiacere mio, quanto perché vedevo il mio Babbo
carissimo che aveva fatto un viaggio inutile. Lui si sarebbe fatta una
festa di mandare al Carmelo un telegramma per annunciare la risposta
favorevole di Monsignor Vescovo: e ora, invece, era costretto a
rincasare senza risposta alcuna... Com'ero addolorata! Mi pareva che
l'avvenire fosse spezzato per sempre; più mi avvicinavo al termine, più
vedevo le faccende imbrogliarsi. L’anima era sommersa nell'amarezza, ma
anche nella pace, perché cercavo soltanto la volontà di Dio. Appena
arrivata a Lisieux, andai a cercar conforto al Carmelo, e lo trovai da
lei, Madre mia cara. Oh, non dimenticherò mai tutto quello che lei ha
sofferto per causa mia. Se non temessi di profanarle, userei le parole
che Gesù rivolgeva agli Apostoli, la sera della Passione: «Siete voi
che siete stati sempre con me in tutte le mie prove...». Le mie dilette
sorelle mi offersero delle dolci consolazioni.