4. Progresso nello studio e fervore religioso (1883~1886)
Santa Teresa di Lisieux

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Al parlatorio delle
Carmelitane - Attrazione per le letture - Ritorno ad Alencon - Primo
incontro con Gesù Eucaristico - Cresima - Penosa vita di collegio -
Malattia degli scrupoli - Uscita di collegio e lezioni private - Stanza
di studio - Leonia - Maria entra nel Carmelo - Risposta celeste.
96 - Parlando delle visite alle carmelitane, ricordo la prima, la quale
ebbe luogo poco tempo dopo che Paolina era entrata. Ho dimenticato di
parlarne, ma c'è un particolare che non debbo omettere. La mattina
nella quale dovevo andare al parlatorio, mentre riflettevo sola sola
nel mio letto (perché era li che facevo le mie orazioni più profonde,
e, contrariamente alla Sposa dei cantici, vi trovavo sempre il mio
Amato), mi domandai quale nome avrei avuto nel Carmelo; sapevo che
c'era una suor Teresa di Gesù, e tuttavia il mio bel nome di Teresa non
poteva essermi tolto. A un tratto pensai a Gesù Bambino che amavo
tanto, e dissi a me stessa: «Oh, come sarei felice di chiamarmi Teresa
di Gesù Bambino!». Non dissi nulla in parlatorio del sogno che avevo
fatto da sveglia, ma alla buona madre Maria di Gonzaga, mentre
domandava alle suore quale nome avrebbero potuto darmi, venne in mente
di chiamarmi col nome che avevo sognato. Grande fu la mia gioia, e quel
felice incontro di pensieri mi parve una delicatezza del mio diletto
Gesù Bambino.
97 - Ho omesso anche alcuni minimi particolari della mia infanzia prima
che lei entrasse nel Carmelo; non le ho parlato del mio amore per le
immagini e per la lettura. Eppure, Madre mia cara, debbo alle belle
immagini che lei mi mostrava come ricompensa, una delle gioie più dolci
e delle impressioni più forti che mi abbiano incitata a praticare la
virtù. Dimenticavo il tempo mentre le guardavo, per esempio: l'umile
fiore del Prigioniero divino mi diceva tante cose che mi diventava
facile immergermi nel raccoglimento. Vedendo che il nome di Paolina era
scritto sotto il piccolo stelo fiorito, avrei voluto che ci fosse anche
quello di Teresa, e mi offrivo a Gesù per essere il fiore suo.
98 - Non sapevo giocare, però mi piaceva molto la lettura, e avrei
passato la vita leggendo; fortunatamente avevo, per guidarmi, degli
angeli sulla terra, i quali mi sceglievano libri tali da divertirmi
nutrendomi spirito e cuore, e poi dovevo passare soltanto un tempo
limitato a leggere, ciò che mi costava sacrifici gravi: a volte dovevo
interrompere proprio in mezzo al passo più avvincente. Questa
attrattiva per la lettura è durata fino a quando sono entrata nel
Carmelo. Dire il numero di libri che mi è passato per le mani non
sarebbe possibile, e tuttavia il Signore non ha mai permesso che ne
leggessi uno solo capace di farmi del male. E vero che, leggendo certi
racconti cavallereschi, non sempre intendevo, in un primo momento, il
vero senso della vita; ma ben presto il Signore mi faceva sentire che
la gloria vera è quella che durerà eterna, e che per arrivare ad essa
non è necessario compiere opere sfolgoranti, bensì nascondersi e
praticar la virtù sì che la mano sinistra ignori ciò che fa la destra...
99 - Così, leggendo le gesta patriottiche delle eroine di Francia, in
particolare quelle della Venerabile Giovanna d'Arco, avevo gran
desiderio d'imitarle, mi pareva di sentire in me lo stesso ardore dal
quale erano animate, la medesima ispirazione celeste. Allora ricevetti
una grazia che ho sempre considerata come una delle maggiori per me,
perché a quell'età non ricevevo luci come ora che ne sono inondata.
Pensai che ero nata per la gloria e cercando il mezzo di raggiungerla,
il Signore m'ispirò i sentimenti che ho scritti qui sopra. Mi fece
capire altresì che la mia gloria non apparirà agli occhi degli uomini,
e consisterà nel divenire una grande santa!!! Questo desiderio potrà
sembrar temerario se si considera quanto ero debole e imperfetta, e
quanto lo sono ancora dopo sette anni passati in religione, tuttavia
sento ancora la stessa fiducia ardita di diventare una grande santa,
perché non conto sui meriti miei non avendone alcuno, ma spero in colui
che è la Virtù, la Santità stessa. Lui solo, contentandosi dei miei
deboli sforzi, mi eleverà fino a sé e, coprendomi dei suoi meriti
infiniti, mi farà santa. Non pensavo allora che bisogna soffrire molto
per arrivare alla santità, ma il Signore non tardò a mostrarmelo,
mandandomi le prove che ho raccontato prima. Ora debbo riprendere il
mio racconto al punto in cui l'ho lasciato.
100 - Tre mesi dopo che fui guarita, Papà ci fece fare il viaggio di
Alencon. Era la prima volta che ritornavo là, e la mia gioia fu grande
quando rividi i luoghi nei quali era trascorsa la mia infanzia,
soprattutto quando potei pregare sulla tomba di Mamma e chiederle di
proteggermi sempre. il Signore mi ha fatto la grazia di non conoscere
la società mondana se non quel tanto da potere disprezzarla e tenermi
lontana da essa. Potrei dire che proprio durante il soggiorno in
Alencon feci il mio primo ingresso nel mondo. Tutto era gioia, felicità
intorno a me, ero festeggiata, carezzata, ammirata; in una parola, la
vita mia per quindici giorni fu disseminata di fiori. Confesso che
questa vita aveva un fascino per me. La Saggezza ha ben ragione quando
dice che «la malia delle futilità mondane seduce anche lo spirito
alieno dal male». A dieci anni il cuore si lascia abbagliare
facilmente, e perciò considero una grande grazia di non essere rimasta
ad Alencon; gli amici che avevamo là erano troppo mondani, sapevano
troppo intrecciare le gioie della terra col servizio a Dio. Non
pensavano abbastanza alla morte, e tuttavia la morte è venuta a
visitare un gran numero di persone che ho conosciuto, giovani, ricche,
felici! Mi piace tornare col pensiero ai luoghi incantatori dove esse
hanno vissuto, e domandarmi dove sono, che cosa giovano loro i
castelli, i parchi nei quali le ho viste godere le comodità della vita?
E vedo che tutto è vanità e afflizione di spirito sotto il sole... e
che l'unico bene è amare Dio con tutto il cuore, ed essere, quaggiù,
poveri di spirito.
101 - Forse Gesù ha voluto mostrarmi il mondo innanzi alla prima visita
che mi avrebbe fatta, affinché io scegliessi più liberamente la via
sulla quale mi sarei impegnata con lui. Al tempo della mia prima
Comunione mi è rimasto impresso nel cuore come un ricordo sgombro da
nuvole; mi pare che non avrei potuto avere disposizioni migliori, e le
mie pene d'anima mi lasciarono per quasi un anno. Gesù voleva farmi
gustare una gioia più perfetta che fosse possibile in questa valle di
lacrime.
102 - Si ricorda, Madre mia cara, dell'incantevole libretto che lei mi
aveva composto tre mesi avanti la mia prima Comunione? Proprio quelle
pagine mi aiutarono a preparare il cuore in modo conseguente e rapido,
perché, se da lungo tempo già lo preparavo, bisognava ben dargli uno
slancio nuovo, empirlo di fiori nuovi affinché Gesù potesse riposarsi
in lui gradevolmente. Ogni giorno facevo un gran numero di «pratiche»,
che formavano altrettanti fiori, facevo un numero anche più grande di
aspirazioni che lei aveva scritte nel mio libriccino per ogni giorno, e
quegli atti d'amore formavano i bocci. Ogni settimana lei mi scriveva
una cara lettera che mi empiva l'anima di pensieri profondi e mi
aiutava a praticare la virtù, era una consolazione per la sua
figliolina la quale faceva un sacrificio tanto grande accettando di non
essere preparata sera per sera sulle ginocchia di lei, Madre mia,
com'era stata preparata Celina.
103 - Maria sostituiva Paolina per me: mi sedevo in grembo a lei e
ascoltavo avidamente ciò che mi diceva, mi pare che tutto il cuore di
lei, tanto grande, tanto generoso, si versasse in me. Come i guerrieri
illustri insegnano ai loro figli il mestiere delle armi, così Maria mi
parlava dei combattimenti della vita, e della palma riservata ai
vittoriosi. E ancora mi parlava delle ricchezze immortali che è facile
ammassare ogni giorno, e della sciagura che è passare senza allungare
la mano per cogliere quei tesori, poi mi indicava il modo per essere
santa per mezzo della fedeltà alle cose minime; mi dette il foglietto
«Della rinuncia» che io meditavo con delizia. Com'era eloquente, la mia
Madrina cara! Avrei voluto non essere sola per ascoltare i suoi
insegnamenti profondi, mi sentivo così commossa da credere, nella mia
ingenuità, che i più grandi peccatori si sarebbero commossi come me e
che, abbandonando le ricchezze caduche, avrebbero cercato soltanto
quelle del Cielo.
104 - A quel tempo nessuno ancora mi aveva insegnato a fare orazione,
eppure io ne avevo gran desiderio; senonché Maria mi trovava già
abbastanza pia, e mi permetteva soltanto le mie preghiere solite. Un
giorno una maestra dell'Abbazia mi domandò cosa facessi nei giorni di
vacanza quando mi trovavo sola. Le risposi che andavo dietro il mio
letto in un po' di posto vuoto che c'era, e che potevo chiudere con la
tenda: lì, «pensavo». - «Ma a che cosa pensi?» - mi domandò ancora.
-«Penso al buon Dio, alla vita... all'eternità, insomma, penso!». La
buona religiosa rise molto di me, più tardi le piaceva di ricordarmi il
tempo in cui pensavo, e mi domandava. - «Pensi ancora?...». Capisco ora
che facevo orazione senza saperlo, e che già Dio misericordioso
m'istruiva in segreto.
105 - I tre mesi di preparazione passarono rapidi, ben presto dovetti
entrare in ritiro e per questo diventare collegiale interna, dormendo
all'Abbazia. Non posso dire il ricordo dolce che mi ha lasciato quel
ritiro; veramente, se ho molto sofferto in collegio, sono stata
largamente compensata dalla felicità ineffabile di quei pochi giorni
passati nell'attesa di Gesù. Non credo che si possa gustare quella
gioia fuori dalle comunità religiose; essendo poche le bambine, era
facile occuparsi di ciascuna in particolare, e veramente le nostre
maestre ci prodigavano in quel momento delle cure materne. Si
occupavano ancor più di me che delle altre, ogni sera la prima maestra
veniva, con la sua lucernetta, ad abbracciarmi nel mio letto,
mostrandomi grande affetto. Una sera, commossa per la bontà di lei, le
dissi che le avrei confidato un segreto, e tirando fuori
misteriosamente il mio libretto prezioso che era sotto il guanciale,
glielo mostrai con gli occhi che brillavano di gioia. La mattina,
trovavo bello di veder tutte le scolare che si alzavano appena sveglie,
e di fare anch'io come loro, ma non ero abituata a vestirmi e
sistemarmi da sola. Maria non era li per farmi i riccioli, perciò ero
costretta a presentare timidamente il mio pettine alla maestra della
stanza ove ci si vestiva, che rideva vedendo una figliolona di undici
anni che non sapeva sbrogliarsi; tuttavia mi pettinava, ma non con la
dolcezza di Maria, e io non osavo gridare, ciò che mi accadeva tutti i
giorni sotto la mano delicata della mia madrina. Ebbi modo di
costatare, durante il ritiro, che ero una bambina carezzata e curata
come ce ne sono poche sulla terra, soprattutto fra quelle rimaste prive
di mamma! Ogni giorno Maria e Leonia venivano a trovarmi con Papà, il
quale mi colmava di pensierini cari, cosicché non soffersi per la
privazione della famiglia, e niente oscurò il cielo bello del mio
ritiro.
106 - Ascoltavo con grande attenzione gli insegnamenti che ci dava il
reverendo Don Domin, ed anche li riassumevo scrivendoli; riguardo ai
miei pensieri non ne volli scrivere alcuno pensando che me li sarei
ricordati bene, ciò che fu vero. Era per me gran felicità di andare con
le suore a tutte le funzioni; mi facevo notare in mezzo alle compagne
per un grande crocifisso che Leonia mi aveva regalato, e che io passavo
nella mia cintola come fanno i missionari; quel crocifisso suscitava
ammirazione nelle buone religiose le quali pensavano che io,
portandolo, volessi imitare la mia sorella carmelitana. Era ben verso
lei che sciamavano i miei pensieri, sapevo che la mia Paolina era in
ritiro com'ero io, non già perché Gesù si desse a lei, bensì perché lei
si dava a Gesù e perciò questa solitudine passata nell'attesa mi era
doppiamente cara.
107 - Ricordo che una mattina mi avevano fatto andare all'infermeria
perché tossivo molto (da quando ero stata malata, le mie maestre
facevano una grande attenzione a me, per un leggero mal di testa mi
mandavano a prendere aria o a riposarmi nell'infermeria, e lo stesso se
mi vedevano più pallida del solito). Vidi entrare la mia Celina cara,
aveva ottenuto il permesso di venire a vedermi nonostante il ritiro,
per offrirmi un'immagine che grandi tanto, era «il fiore del divino
Prigioniero». Come fu dolce per me ricevere questo ricordo dalla mano
di Celina! Quanti pensieri d'amore ho avuto per merito di lei!
108 - La vigilia del gran giorno ricevetti l'assoluzione per la seconda
volta, la mia confessione generale mi lasciò una grande pace
nell'anima, e il buon Dio permise che nessuna nube venisse a turbarla.
Nel pomeriggio chiesi perdono a tutta la famiglia che venne a trovarmi,
ma riuscii a parlare soltanto con le lacrime, ero troppo commossa...
Paolina non c'era, tuttavia sentivo che era vicina a me col cuore; mi
aveva mandato una bella immagine per mezzo di Maria, non mi stancavo
d'ammirarla e farla ammirare da tutti. Avevo scritto al buon padre
Pichon per raccomandarmi alle sue preghiere, dicendogli anche che ben
presto sarei stata carmelitana, e che allora sarebbe stato lui il mio
direttore. (E ciò accadde davvero quattro anni dopo, poiché gli aprii
l'anima quando fui al Carmelo). Maria mi dette una lettera di lui,
realmente ero troppo felice! Tutte le gioie mi arrivavano insieme. Più
di tutto mi fece piacere nella lettera di lui questa frase: «Domani
salirò all'altare per lei e per la sua Paolina!». Paolina e Teresa
furono l'8 maggio più che mai unite, poiché Gesù pareva le confondesse
inondandole con le sue grazie...
109 - Un «giorno bello tra tutti» arrivò finalmente. Quali ricordi
intraducibili mi hanno lasciato nell'anima i particolari minimi di
quella giornata di Cielo! il risveglio gioioso dell'aurora, i baci
rispettosi e teneri delle maestre e delle compagne grandi. La stanza
piena di fiocchi di neve di cui ciascuna bimba veniva rivestita a
turno. Soprattutto l'entrata nella cappella e il canto mattinale
dell'inno tanto bello «O santo Altare che gli Angeli circondano!». Ma
non voglio entrare nei particolari, ci sono cose che perdono il loro
profumo appena esposte all'aria, ci sono pensieri dell'anima che non si
possono tradurre in linguaggio terreno senza perdere il loro senso
intimo e celeste; sono come quella “Pietra bianca che sarà data al
vincitore, e sulla quale è scritto un nome che nessuno conosce se non
colui che la riceve”. Ah, come fu dolce il primo bacio di Gesù
all'anima mia! Fu un bacio d'amore, mi sentivo amata, e dicevo anche:
«Vi amo, mi do a Voi per sempre». Non ci furono domande, non lotte, non
sacrifici; da lungo tempo Gesù e la povera piccola Teresa si erano
guardati e si erano capiti... Quel giorno non era più uno sguardo, ma
una fusione, non erano più due, Teresa era scomparsa come la goccia
d'acqua nell'oceano. Gesù restava solo, era il padrone, il re. Teresa
gli aveva pur chiesto di toglierle la libertà, perché la libertà le
faceva paura, lei si sentiva così debole, così fragile, che voleva
unirsi per sempre alla Forza divina! La sua gioia era troppo grande,
troppo profonda perché lei potesse contenerla, lacrime deliziose la
inondarono ben presto, con grande stupore delle compagne le quali più
tardi dicevano una all'altra: «Perché ha pianto? Aveva qualche cosa che
le dispiaceva?». - «No, era piuttosto per non avere la Mamma con sé, o
la sorella che lei ama tanto e che è carmelitana». Non capivano che
tutta la gioia del Cielo venendo in un cuore, questo cuore esiliato non
poteva sopportarla senza spargere lacrime. Oh no, l'assenza di Mamma
non mi dava dolore nel giorno della prima Comunione, non c'era forse il
Cielo nell'anima mia? E Mamma non aveva lì il suo posto da gran tempo?
Non piangevo l'assenza di Paolina: senza dubbio sarei stata felice di
vedermela accanto, ma da lungo tempo il mio sacrificio era accettato;
in quel giorno, soltanto la gioia mi empiva il cuore, io mi univo a
colei che si dava irrevocabilmente a Gesù: e Gesù si dava a me con
tanto amore!
110 - Nel pomeriggio fui io a pronunciare l'atto di consacrazione alla
Madonna; era ben giusto che io parlassi a nome delle mie compagne alla
mia Mamma del Cielo, io che ero rimasta priva così giovane della Mamma
terrena. Misi tutto il cuore nel parlarle, nel consacrarmi a lei, come
una bambina che si getta nelle braccia di sua madre, e le chiede di
vegliare su lei. Mi pare che la Vergine Santa dovette guardare il suo
fiorellino e sorridergli, non era lei che l'aveva guarito con un
sorriso visibile? Non aveva proprio lei deposto nel calice dell'umile
fiore il suo Gesù, il Fiore dei campi, il Giglio della valle?
111 - La sera di quel bel giorno ritrovai la mia famiglia terrena; già
il mattino, dopo la Messa, avevo abbracciato Papà e tutti i miei cari
parenti, ma allora fu il vero riunirsi; Papà prendendo la mano della
sua piccola regina si avviò verso il Carmelo. Allora vidi la mia
Paolina divenuta la sposa di Gesù, la vidi col velo bianco come il mio,
con la corona di rose... Ah, la mia gioia fu senza amarezza, speravo di
raggiungerla presto e attendere con lei il Cielo! Non fui insensibile
alla festa di famiglia che ebbe luogo la sera della mia prima
Comunione; l'orologio bello che mi regalò il mio re mi fece gran
piacere, ma la gioia era tranquilla e niente turbò la mia pace intima.
Maria mi prese con sé nella notte che segui quel bel giorno, perché i
giorni più radiosi sono seguiti da tenebre, soltanto il giorno della
prima, unica, eterna Comunione del Cielo sarà senza tramonto!
112 - Il giorno dopo fu bello anch'esso, ma improntato di malinconia.
Il vestito che Maria mi aveva comprato, tutti i regali che avevo
ricevuti non mi colmavano il cuore, soltanto Gesù poteva contentarmi,
sospiravo il momento nel quale avrei potuto riceverlo una seconda
volta. Un mese circa dopo la prima Comunione andai a confessarmi per
l'Ascensione, e osai chiedere il permesso di fare la santa Comunione.
Al disopra di tutte le speranze, il sacerdote me la permise ed ebbi la
felicità d'inginocchiarmi alla balaustra fra Papà e Maria; che ricordo
dolce ho conservato di quella seconda visita di Gesù! Le lacrime mi
caddero ancora con indicibile soavità, ripetevo tutto il tempo a me
stessa le parole di san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Gesù che
vive in me». Dopo quella Comunione, il mio desiderio di ricevere il
buon Dio divenne più e più grande, ottenni il permesso per tutte le
feste principali. La vigilia di quei giorni felici Maria mi prendeva la
sera sulle ginocchia e mi preparava come l'aveva fatto per la prima
Comunione; ricordo una volta in cui mi parlò del dolore, dicendomi che
forse non avrei camminato su quella via, ma che Dio mi porterebbe
sempre come un bambino.
113 - Un giorno dopo, le parole di Maria mi tornarono alla mente,
sentii nascere in me un gran desiderio di soffrire, e al tempo stesso
l'intima sicurezza che Gesù mi riservava un gran numero di croci; mi
sentii inondata di consolazioni così grandi che la considero come una
delle grazie maggiori nella mia vita. Soffrire divenne il mio ideale,
aveva un fascino che mi rapiva senza che io lo conoscessi bene. Fino
allora avevo sofferto senza amare la sofferenza, da quel giorno ne
provai un vero amore. Sentivo anche il desiderio di amare soltanto il
buon Dio, di non trovar gioia che in lui. Spesso durante le mie
comunioni ripetevo le parole della Imitazione: «O Gesù! Dolcezza
ineffabile cambiate per me in amarezze tutte le consolazioni della
terra!» Questa preghiera usciva dalle mie labbra senza sforzo, senza
costrizione; mi pareva di ripeterla non per mio volere, ma come una
bambina la quale ripeta parole suggeritele da una persona amica. Più
tardi le dirò, Madre mia cara, in qual modo Gesù si è compiaciuto di
attuare il mio desiderio, e come lui solo fu sempre la mia dolcezza
ineffabile; se ne parlassi subito sarei costretta ad anticipare il
tempo della mia vita di giovane, mentre ho ancora da darle molti
particolari riguardo all'infanzia.
114 - Poco tempo dopo la prima Comunione entrai nuovamente in ritiro
per la Cresima. Mi ero preparata con grande cura a ricevere la visita
dello Spirito Santo, non capivo che non si desse grande importanza a
ricevere questo sacramento d'Amore. Comunemente si praticava un solo
giorno di ritiro per la Cresima, ma poiché Monsignore non poté venire
nel giorno stabilito, ebbi la consolazione di due giorni in solitudine.
Per distrarci la nostra maestra ci condusse a Monte Cassino, e là colsi
a piene mani le grandi margherite per la festa del Corpus Domini. Come
era gioiosa l'anima mia! A somiglianza degli apostoli attendevo con
felicità la visita dello Spirito Santo. Mi rallegravo al pensiero di
essere ben presto perfetta cristiana, e soprattutto di avere sulla
fronte eternamente la croce misteriosa che il Vescovo traccia dando il
sacramento. Finalmente arrivò il momento felice, non sentii un vento
impetuoso nella discesa dello Spirito Santo, ma piuttosto quella brezza
lieve, della quale il profeta Elia intese il murmure sul monte Horeb.
In quel giorno ricevetti la forza per offrire, perché ben presto il
martirio dell'anima mia doveva cominciare. Mi fu madrina la mia cara
Leonia, era così commossa che non poté trattenersi dal piangere tutto
il tempo della cerimonia. Con me ricevette la santa Comunione, perché
io ebbi ancora la felicità di unirmi a Gesù in quel bel giorno.
115 - Dopo le deliziose indimenticabili feste, la mia esistenza rientrò
nel quotidiano, cioè dovetti riprendere la vita di collegiale che mi
era così penosa. Nel momento della mia prima Comunione amavo quella
convivenza con bambine della mia età, tutte piene di buona volontà, le
quali avevano preso come me la risoluzione di praticare seriamente la
virtù; ma bisognava riprendere i contatti con delle scolare ben
diverse, distratte, riottose alla regola, e ciò mi rendeva infelice.
Ero un carattere gaio, ma non sapevo lanciarmi nei giochi dell'età mia;
spesso durante la ricreazione mi appoggiavo ad un albero, e da là
contemplavo il colpo d'occhio, abbandonandomi a riflessioni serie!
Avevo inventato un gioco che mi piaceva, cioè di seppellire i poveri
uccellini morti che trovavo sotto gli alberi; varie scolare vollero
aiutarmi, cosicché il nostro cimitero divenne graziosissimo, piantato
d'alberi e di fiori, il tutto proporzionato alle dimensioni dei nostri
piccoli implumi. Mi piaceva anche di raccontare novelle di mia
invenzione, via via che mi venivano in mente, allora le mie compagne mi
circondavano premurosamente, e talvolta delle scolare grandi si univano
al gruppo delle ascoltatrici. La medesima storia durava per parecchi
giorni perché mi piaceva di renderla sempre più interessante, a mano a
mano che vedevo le impressioni che suscitava e che si manifestavano sul
viso delle mie compagne, ma presto la maestra mi proibì di continuare
la mia professione di oratore, volendoci veder correre e non discorrere.
116 - Ricordavo con facilità il senso delle cose che imparavo, ma
duravo fatica a imparare parola per parola; così per il catechismo
durante l'anno che precedette la mia prima Comunione, chiesi quasi
tutti i giorni il permesso d'imparano durante la ricreazione; i miei
sforzi ottennero buon successo, e fui quasi sempre la prima. Se per
caso, per una sola parola dimenticata, perdevo il mio posto, il mio
dispiacere si manifestava con lacrime amare che il reverendo Don Domin
non sapeva come calmare. Era ben contento di me (non quando piangevo),
e mi chiamava il suo dottorino, a causa del mio nome di Teresa. Una
volta la scolara che mi seguiva non seppe fare alla sua compagna la
domanda di catechismo. Il reverendo Padre, avendo fatto il giro di
tutte le scolare, ritornò a me, e disse che voleva vedere se meritavo
davvero il mio posto di prima. Nella mia profonda umiltà, non aspettavo
altro; mi alzai e dissi con sicurezza quello che mi era stato richiesto
senza fare uno sbaglio, con grande stupore di tutte. Dopo la mia prima
Comunione, il mio zelo per il Catechismo continuò fino a quando uscii
dal collegio. Riuscivo benissimo nei miei studi, ero quasi sempre la
prima, i più grandi successi miei erano la storia e lo stile. Tutte le
mie maestre mi consideravano come una scolara molto intelligente, ma lo
stesso non accadeva presso lo zio, ove passavo per una piccola
ignorante, buona e dolce, dotata di un giudizio dritto, ma incapace e
maldestra...
117 - Non mi sorprende questa opinione che gli zii avevano e che senza
dubbio hanno ancora nei miei confronti, non parlavo quasi mai, essendo
timidissima; quando scrivevo, la calligrafia da gatto e l'ortografia
molto... naturale non erano fatte per sedurre. Nei lavoretti di cucito,
ricamo e altri, riuscivo bene, è vero, secondo le mie maestre, ma il
modo goffo e maldestro con cui tenevo il mio lavoro giustificava
l'opinione poco vantaggiosa che avevano di me. Io considero ciò come
una grazia; il buon Dio volendo per sé solo tutto il mio povero cuore,
esaudiva già la mia preghiera «cambiando in amarezza le consolazioni
della terra». Ne avevo tanto più bisogno in quanto non sarei stata
insensibile alle lodi. Spesso vantavano dinanzi a me l'intelligenza
degli altri, mai la mia, allora io conclusi che non ne avevo, e mi
rassegnai a vedermene privata.
118 - Il cuore mio sensibile e affettuoso si sarebbe dato facilmente se
avesse trovato un altro cuore atto a capirlo. Cercai di fare amicizia
con le bambine dell'età mia, soprattutto con due, volevo loro bene, e
da parte loro esse mi amavano quanto sapevano e potevano; ma ahimè!
com'è angusto e volubile il cuore delle creature! Ben presto vidi che
il mio affetto non era compreso. Una delle amiche dovette rientrare in
famiglia, e tornò qualche mese dopo; durante la sua assenza io avevo
pensato a lei conservando preziosamente un anellino che mi aveva
regalato. Quando la rividi, la gioia mia fu grande, ma ahimè! ottenni
soltanto uno sguardo indifferente... Il mio amore non era stato capito,
lo sentii, e non mendicai un'affezione che mi veniva rifiutata, ma il
buon Dio mi ha dato un cuore così amante e sensibile che, quando ha
voluto bene puramente, vuol bene sempre, e così continuai a pregare per
la mia compagna, e l'amo ancora.
119 - Vedendo che Celina voleva bene ad una delle nostre maestre, volli
imitarla, ma, non sapendo ingraziarmi le creature, non ci riuscii. Oh,
felice ignoranza! Quanti mali mi ha evitati! Come ringrazio Gesù di
avermi fatto trovare «soltanto amarezze nelle amicizie della terra»!
Con un cuore come il mio, mi sarei lasciata prendere e tagliare le ali,
allora in qual modo avrei potuto «volare e riposarmi»? Un cuore
abbandonato agli affetti delle creature come può unirsi intimamente con
Dio? Sento che questo non è possibile. Senz'aver bevuto alla coppa
avvelenata dell'amore troppo ardente delle creature, sento che non
posso ingannarmi; ho visto tante anime sedotte da quella falsa luce
volare come povere farfalle e bruciarsi le ali, poi tornare verso la
vera dolce luce dell'amore che dava ad esse ali nuove più brillanti e
più leggere, affinché potessero volare a Gesù, Fuoco divino «che brucia
senza consumare» Ah, lo sento, Gesù mi sapeva troppo debole per espormi
alla tentazione. Forse mi sarei lasciata bruciare tutta dalla luce
ingannatrice se l'avessi vista brillare ai miei occhi... Non è stato
così, ho incontrato solamente amarezza là dove anime più forti
incontrano la gioia e se ne distaccano per fedeltà. Io non ho dunque
alcun merito per non essermi abbandonata all'amore delle creature,
poiché da esso fui preservata per grande misericordia del Signore!
Riconosco che senza lui avrei potuto cadere in basso quanto santa
Maddalena, e la profonda parola di Nostro Signore a Simone mi echeggia
nell'anima con grande dolcezza.
120 - Lo so, «colui al quale si rimette meno, ama meno» ma so anche che
Gesù mi ha rimesso più che a santa Maddalena perché mi ha rimesso in
anticipo, impedendomi di cadere. Ah, come vorrei poter chiarire ciò che
sento! Ecco un esempio che spiegherà il mio pensiero. Suppongo che il
figlio d'un medico abile incontri sul suo cammino una pietra che lo
faccia cadere; cadendo, egli si rompe un arto, e subito il padre corre
a lui, lo rialza con amore, cura le ferite impegnando tutte le risorse
della sua arte, e ben presto il figlio completamente guarito gli
dimostra la propria riconoscenza. Certamente questo figlio ha ben
ragione d'amare suo padre! Ma farò ancora un'altra ipotesi. Il padre,
avendo saputo che sulla strada di suo figlio si trova una pietra, si
affretta, va innanzi a lui, la rimuove senza che nessuno lo veda.
Certamente questo figlio, oggetto della sua tenerezza previdente, non
sapendo la sventura dalla quale è liberato per mezzo di suo padre, non
testimonierà a lui la propria riconoscenza e l'amerà meno che se fosse
stato guarito da lui. Ma se viene a conoscere il pericolo al quale è
stato sottratto, non amerà di più suo padre? Ebbene, io sono quel
figlio, oggetto dell'amore previdente di un Padre il quale non ha
mandato il Verbo a riscattare i giusti bensì i peccatori. Vuole che io
lo ami perché mi ha rimesso non già molto, bensì tutto. Non ha atteso
che io lo amassi molto, come santa Maddalena, ma ha voluto che io
sappia com'egli mi ha amata d'un amore d'ineffabile previdenza,
affinché ora io ami lui alla follia! Ho inteso dire che non si è mai
incontrata un'anima pura la quale ami più di un'anima penitente; ah!
come vorrei smentire questa parola!
121 - Mi accorgo di essere ben lontana dal mio soggetto, e perciò mi
affretto di tornare ad esso. L'anno che seguì la mia prima Comunione
trascorse quasi tutto senza prove intime per l'anima mia, fu durante il
mio ritiro per la seconda Comunione che mi vidi assalita dalla
terribile malattia degli scrupoli. Bisogna essere passati attraverso
questo martirio per capirlo bene: dire quanto ho sofferto per un anno e
mezzo, mi sarebbe impossibile. Tutti i miei pensieri e le mie azioni
più semplici divenivano per me oggetto di turbamento; non avevo riposo
se non dicendoli a Maria, e ciò mi costava molto, perché mi credevo
obbligata a dire i pensieri stravaganti che avevo riguardo a lei
stessa. Appena deposto il fardello, gustavo un attimo di pace, ma
questa pace passava come un lampo, e ben presto il martirio
ricominciava. Che pazienza è stata necessaria a Maria cara, per
ascoltarmi e non darmi segni di noia! Appena tornavo dall'Abbazia, lei
si metteva ad arricciarmi i capelli per il giorno dopo (perché tutti i
giorni, per far piacere a Papà, la piccola regina aveva i capelli
arricciati, con grande stupore delle compagne e soprattutto delle
maestre le quali non vedevano bambine così curate dai loro genitori),
durante la seduta non smettevo di piangere e di raccontare tutti i miei
scrupoli. Alla fine dell'anno Celina, avendo finito i suoi studi,
rientrò a casa, e la povera Teresa, obbligata a tornare sola a scuola,
non tardò ad ammalarsi: l'unica attrattiva che la tratteneva trì
collegio era vivere con la sua Celina inseparabile, senza lei la
«figlioletta» non poté restarci.
122 - Uscii dunque dall'Abbazia all'età di tredici anni, e continuai la
mia istruzione prendendo varie lezioni per settimana da «Madame
Papinau». Era un'ottima persona erudita, ma aveva un po' il tono della
zitella; viveva con sua madre, ed era incantevole vedere il ménage che
facevano in tre (perché la gatta era di famiglia ed io avevo da
tollerare che mi facesse le fusa sopra i quaderni, e mi toccava anche
ammirare la sua eleganza). Avevo il vantaggio di vivere nell'intimità
della famiglia; i Buissonnets essendo troppo lontani per le gambe un
po' invecchiate della mia docente, lei aveva chiesto che andassi a casa
sua. Quando arrivavo, generalmente trovavo soltanto la vecchia signora
Cochain la quale mi guardava «con i suoi grandi occhi chiari», e poi
chiamava con voce calma e sentenziosa: «M.me Papinau... Ma..
.d'mòizelle Thè.. .rèse è qui». La figlia rispondeva prontamente con
voce infantile: «Eccomi, Maman». E la lezione cominciava.
123 - Queste lezioni avevano in più il vantaggio (oltre all'istruzione
che ricevevo) di farmi conoscere il mondo... Chi l'avrebbe creduto! In
quella stanza arredata all'antica, ingombra di libri e quaderni,
assistevo spesso a visite di ogni genere: preti, signore, giovanette,
ecc. La signora Cochain faceva il più possibile le spese della
conversazione per lasciare alla figlia il modo di darmi lezione, ma in
quei giorni non imparavo molto; col naso nel libro udivo tutto ciò che
dicevano, ed anche quello che sarebbe stato meglio per me non udire; la
vanità s'insinua tanto facilmente nel cuore! Una signora diceva che
avevo bei capelli... un'altra, uscendo, e credendo di non essere
intesa, domandava chi fosse quella giovanetta così carina; e così tali
parole, tanto più lusinghiere quanto meno erano dette in presenza mia,
mi lasciavano nell'anima una compiacenza dalla quale capivo facilmente
di essere piena di amor proprio.
124 - Oh, come ho compassione delle anime che si perdono! E così facile
smarrirsi nei sentieri fioriti di questo mondo... senza dubbio per
un'anima un poco elevata, la dolcezza che il mondo offre è mescolata
con amarezza, e il vuoto immenso dei desideri non potrebbe essere
colmato dalle lodi d'un istante... Ma se il mio cuore non fosse stato
innalzato verso Dio fin dal primo risveglio, se il mondo mi avesse
sorriso fin dal mio entrare nella vita, che sarei divenuta? Oh, Madre
mia cara, con quanta riconoscenza canto le misericordie del Signore!
Egli mi ha, come dice la Sapienza, «ritirata dal mondo prima che il mio
spirito fosse corrotto dalla sua malizia e che le sue apparenze
ingannevoli avessero sedotta l'anima mia». La Vergine Santa vegliava
anche lei sul suo fiore umile, e non voleva vederlo appassire al
contatto delle cose terrene, perciò lo portò sopra il suo monte prima
che esso sbocciasse. Aspettando quel momento felice la piccola Teresa
cresceva in amore verso la sua Mamma del Cielo; per provarle questo
amore ella fece un atto che le costò molto, e che io cercherò di
raccontare brevemente, nonostante la lunghezza di esso.
125 - Quasi subito dopo il mio ingresso nell'Abbazia, ero stata
ricevuta nell'Associazione dei santi Angeli; mi piacevano molto le
pratiche di devozione che essa imponeva, poiché provavo un'attrattiva
particolare a pregare gli spiriti beati del Cielo e soprattutto quello
che il buon Dio mi ha dato come compagno nel mio esilio. Qualche tempo
dopo la mia prima Comunione, il nastro d'aspirante alle Figlie di Maria
sostituì quello dei santi Angeli, ma io lasciai l'Abbazia quando ancora
non ero stata accolta nell'associazione della Santa Vergine. Essendo
uscita prima di aver compiuto i miei studi, non avevo il permesso di
entrare come ex-allieva; confesso che questo privilegio non eccitava il
mio desiderio, ma pensando che tutte le mie sorelle erano state «Figlie
di Maria», temetti di essere meno di loro figlia della mia Madre dei
Cieli, e andai molto umilmente (benché mi costasse), a chiedere di
essere ricevuta nell'associazione della Santa Vergine all'Abbazia. La
prima maestra non volle rifiutarmi, ma mise come condizione che io
rientrassi due giorni per settimana nel pomeriggio per dimostrare se
ero degna di essere ammessa. Ben lungi dal farmi piacere, questo
permesso mi costò moltissimo; non avevo come le altre ex-allieve, una
maestra amica con la quale passare varie ore; così mi contentavo di
andare a salutare la maestra, poi lavoravo in silenzio per tutta la
lezione di cucito o ricamo. Nessuno faceva attenzione a me, e così
salivo alla tribuna della cappella, e rimanevo davanti al Santissimo
fino al momento in cui Papà veniva a prendermi; era la sola
consolazione: Gesù non era forse il mio unico amico? Non sapevo parlare
che a lui, le conversazioni con le creature, perfino le conversazioni
pie, mi stancavano l'anima. Sentivo che è meglio parlare a Dio che di
Dio, perché si mescola tanto amor proprio nelle conversazioni
spirituali! Ah, proprio per la Santa Vergine soltanto venivo
all'Abbazia... talvolta mi sentivo sola, molto sola, come nei giorni
della mia vita di collegio quando passeggiavo triste e malata nel
cortile grande, ripetevo le parole che mi facevano sempre rinascere nel
cuore la pace e la forza: «La vita è la tua nave e non la tua dimora».
Già da piccolissima ritrovavo coraggio in questo verso; ancora oggi,
nonostante gli anni che cancellano tante impressioni di pietà
infantile, l'immagine della nave affascina l'anima mia e l'aiuta a
sopportare l'esilio. Anche la Sapienza dice che: «La vita è come la
nave che rompe le acque agitate e non lascia dietro sé traccia del
proprio passaggio». Quando penso a queste cose, l'anima ia s'immerge
nell'infinito, mi sembra già di toccare la riva eterna. Mi pare di
ricevere l'abbraccio di Gesù, di vedere la mia Madre del Cielo venirmi
incontro con Papà... Mamma... i quattro angeli... Credo di godere
finalmente e per sempre della vera, dell'eterna vita in famiglia...
126 - Prima di veder la famiglia riunita al focolare paterno dei Cieli,
dovevo passare attraverso tante separazioni! L'anno nel quale fui
accolta tra le Figlie della Vergine Santa, mi rapì la mia cara Maria,
l'unico sostegno della mia anima... Era Maria che mi guidava, mi
consolava, mi aiutava a praticare la virtù; era il mio solo oracolo.
Senza dubbio, Paolina m'era rimasta bene addentro nel cuore, ma Paolina
era lontana, così lontana da me! Avevo sofferto il martirio per
assuefarmi a vivere senza lei, per accettare tra lei e me dei muri
impenetrabili; ma finalmente avevo riconosciuto la triste realtà.
Paolina era perduta per me, quasi allo stesso modo come se fosse morta.
Mi amava ancora, pregava per me, ma, agli occhi miei, la mia Paolina
cara era divenuta una Santa, la quale non doveva più capire le cose
della terra; e le miserie della povera Teresa, se lei le avesse
conosciute, avrebbero dovuto farla stupire e impedirle di amar tanto la
sorellina. D'altra parte, quand'anche avessi voluto confidarle i miei
pensieri come ai Buissonnets, non avrei potuto farlo, i «parlatori»
erano riservati a Maria. Celina ed io avevamo il permesso di venire
alla fine, appena in tempo per sentirci stringere il cuore... Così
avevo realmente Maria sola, ella mi era indispensabile, dicevo i miei
scrupoli unicamente a lei, ed ero tanto obbediente che il mio
confessore non ha conosciuto mai la mia brutta malattia; gli dicevo
soltanto il numero di peccati che Maria mi aveva permesso di
confessare, non uno di più, e in tal modo avrei potuto passare per
l'anima meno scrupolosa della terra, nonostante che lo fossi all'ultimo
grado. Maria sapeva dunque tutto ciò che accadeva nell'anima mia,
conosceva anche il desiderio di entrare nel Carmelo, e io l'amavo tanto
che non potevo vivere senza lei.
127 - Tutti gli anni la zia c'invitava a turno da lei a Trouville, a me
sarebbe piaciuto tanto andarci, ma con Maria! Quando non ce l'avevo, mi
annoiavo molto. Tuttavia una volta ebbi veramente piacere a Trouville,
fu l'anno del viaggio di Papà a Costantinopoli; per distrarci un poco
(perché eravamo tanto dispiaciute sapendo Papà così lontano), Maria ci
mandò, Celina e me, a passare quindici giorni in riva al mare. Mi ci
divertii molto perché avevo la mia Celina. La zia ci procurò tutti i
piaceri possibili: passeggiate sul somaro, pesca delle triglie, e così
via. Ero ancora molto bambina, nonostante i miei dodici anni e mezzo;
ricordo la mia gioia quando mi misi dei bei nastri azzurro-cielo che la
zia mi aveva regalato per i capelli; ricordo anche di essermi
confessata proprio a Trouville di quel piacere fanciullesco che mi
pareva un peccato. Una sera ebbi un'esperienza che mi sorprese molto.
Maria (Guérin) la quale era quasi sempre malaticcia, piangiucchiava
spesso; allora la zia l'accarezzava, le dava i nomi più teneri, e la
cara cuginetta continuava, nonostante ciò, a dire lacrimando che aveva
mal di capo. Io che avevo mal di testa quasi ogni giorno, e non me ne
lamentavo, una sera volli imitare Maria, e mi sentii in dovere di
lacrimare sopra una poltrona in un angolo del salotto. Subito Giovanna
e la zia si occuparono di me: «Che cos'hai?». - «Ho mal di testa». Ma
pare che non mi si addicesse lamentarmi, non potei mai persuaderle che
il mal di capo mi facesse piangere; invece di coccolarmi, mi parlarono
come a una persona grande, e Giovanna mi rimproverò la poca fiducia
nella zia, perché pensava che avessi una inquietudine di coscienza:
insomma, fui pagata a mie spese, ben risoluta a non imitar più gli
altri, e capii la favola «dell'asino e del canino». Ero l'asino che,
viste le carezze prodigate al canino, era venuto a mettere le sue
povere zampe sulla tavola per ricevere la sua parte di baci; ahimè! se
non ricevetti le bastonate come il povero animale, ricevetti davvero il
soldino adatto per me, e quel soldino mi guarì per sempre dalla voglia
d'attirar l'attenzione; l'unico sforzo che avevo fatto per questo scopo
mi era costato troppo! L'anno seguente, cioè quello in cui la mia cara
Madrina partì, la zia m'invitò ancora, ma questa volta sola, e mi
trovai tanto spaesata, che entro due o tre giorni ero malata, e bisognò
che mi riconducessero a Lisieux; la malattia che temevano fosse grave,
in realtà era soltanto nostalgia dei Buissonnets, appena ebbi messo
piede a casa, tornò la salute... Ed era a quella bimba li che il buon
Dio stava per togliere l'unico appoggio che l'attaccasse alla vita!
128 - Appena seppi la decisione di Maria, risolsi di non prendere più
svago né piacere su questa terra. Da quando ero uscita dal collegio, mi
ero installata nella ex stanza di pittura di Paolina e l'avevo
accomodata a gusto mio. Era un vero bazar, un'accozzaglia di pietà e di
curiosità, un giardino e una voliera... Così, sul fondo si stagliava
una grande croce di legno nero senza il Cristo, alcuni disegni che mi
piacevano; sopra un altro muro, un canestro guarnito di mussola e di
nastri rosa con erbe fini e fiori; sulla quarta parete troneggiava,
solo, il ritratto di Paolina a dieci anni; sotto esso c era una tavola
sulla quale era posata una gabbia ampia che racchiudeva un gran numero
di uccelletti, e questi, col loro cinguettio melodioso rompevano il
capo ai visitatori, ma non già alla loro padroncina che li amava tanto.
C'era anche il «mobiletto bianco» pieno di libri miei di studio,
quaderni, ecc... Su quel mobile era posata una statua della Vergine
Santa con dei vasi sempre ornati di fiori naturali, e dei candelieri;
intorno varie piccole statue di santi e sante, panierini in conchiglie,
scatole di carta bristol, ecc.! Finalmente il mio giardino era sospeso
davanti alla finestra nella quale curavo alcuni vasi da fiori (i più
rari che potessi trovare); avevo ancora una giardiniera nell'interno
del «mio museo», e ci mettevo la mia pianta privilegiata. Davanti alla
finestra era situata la mia tavola coperta con un tappeto verde, e su
quel tappeto avevo posto, proprio in mezzo, una clessidra, una
statuetta di san Giuseppe, un porta-orologi, dei panieri di fiori, un
calamaio, ecc... Alcune seggiole zoppe, e l'incantevole letto per la
bambola di Paolina completavano tutto il mio arredamento. Davvero
quella povera soffitta era un mondo per me, e come il signore de
Maistre potrei comporre un libro chiamandolo «Viaggio intorno alla mia
stanza». In questo ambiente restavo sola per ore intere studiando e
meditando davanti alla bella vista che mi si stendeva dinanzi.
129 - Quando seppi della partenza di Maria, la mia stanza perse per me
tutto il suo fascino, non volevo lasciare un solo attimo la sorella
carissima che sarebbe partita presto. Quanti atti di pazienza le ho
fatto fare! Ogni volta che passavo davanti alla porta di camera sua,
bussavo fino a farmi aprire, e l'abbracciavo con tutto il cuore, volevo
far provvista di baci per tutto il tempo che dovevo rimanerne priva. Un
mese prima che lei entrasse nel Carmelo, Papà ci condusse ad Alencon,
ma questo viaggio non somigliò lontanamente al primo, tutto fu
tristezza e amarezza per me. Non posso dire le lacrime che piansi sulla
tomba di Mamma, perché avevo dimenticato di portare un mazzo di
fiordalisi colti per lei. Mi addoloravo veramente per tutto! Ero il
contrario di ora! perché il buon Dio mi ha fatto la grazia di non
abbattermi per veruna cosa passeggera. Quando ricordo il passato,
l'anima mia trabocca di riconoscenza vedendo i favori ricevuti dal
Cielo, in me si è operato un cambiamento tale che non sono
riconoscibile. E vero che desideravo la grazia «di avere un dominio
pieno sulle mie azioni, di essere la padrona di me, e non la schiava».
Queste parole della Imitazione mi commuovevano profondamente, ma io
dovevo acquistare direi quasi con i miei desideri questa grazia
inestimabile; ero ancora soltanto una bambina la quale pareva non
avesse altra volontà se non quella degli altri, e ciò faceva dire alla
gente di Alencon che ero debole di carattere…
130 - Fu durante quel viaggio che Leonia compì un tentativo presso le
clarisse; a me fece dispiacere il suo ingresso straordinario perché
l'amavo molto, e non avevo potuto abbracciarla prima che partisse. Mai
dimenticherò la bontà e l'impaccio del mio carissimo Babbo quando ci
annunciò che Leonia aveva già l'abito di clarissa. Come noi trovava che
la cosa era assai strana, ma non voleva dir niente, vedendo quanto
Maria era scontenta. Ci condusse al convento e là sentii una stretta al
cuore come mai avevo provato all'aspetto di un monastero, provavo
l'effetto opposto a quello del Carmelo, ove tutto mi dilatava l'anima.
La vista delle religiose non mi disse gran che di più, e non fui
tentata di rimanere fra loro; quella cara Leonia era carina davvero nel
suo nuovo abito, ci disse di guardar bene i suoi occhi perché non li
avremmo più rivisti (le clarisse non si fanno vedere se non a occhi
bassi), ma il buon Dio si contentò di due mesi di sacrificio, e Leonia
tornò a mostrare i suoi occhi blu spesso velati di lacrime. Lasciando
Alencon credevo che sarebbe rimasta con le Clarisse e perciò mi
allontanai col cuore grosso grosso dalla triste via della Mezzaluna.
Eravamo tre sole, ormai, e ben presto la nostra cara Maria ci avrebbe
lasciate anche lei... Il 15 ottobre fu il giorno della separazione
Della gioiosa e numerosa famiglia dei Buissonnets rimanevano soltanto
le due ultime... Le colombe erano fuggite dal nido paterno, quelle che
restavano avrebbero voluto sciamare con loro, ma le ali erano ancor
troppo deboli perché potessero spiccare il volo. Il buon Dio che voleva
chiamare a sé la più piccola e debole di tutte, si affrettò a
svilupparle le ali. Lui che si compiace di mostrare la sua bontà e la
sua potenza servendosi degli strumenti meno degni, volle ben chiamarmi
prima di Celina la quale senza dubbio meritava più di me questo favore;
ma Gesù sapeva quanto ero debole, e perciò mi nascose per prima nel
cavo della roccia.
131 - Quando Maria entrò nel Carmelo ero ancora molto scrupolosa. Non
potendo più confidarmi con lei, guardai verso il Cielo. Mi rivolsi ai
quattro angeli che mi avevano preceduta lassù, perché pensavo che
quelle anime innocenti non avendo mai conosciuto turbamenti né timori,
dovevano aver pietà della loro sorellina la quale soffriva sulla terra.
Parlai loro con semplicità di bambina, feci notare che, essendo
l'ultima della famiglia, ero stata sempre la più amata, la più colmata
di tenerezza da parte delle sorelle; che se fossero rimasti essi sulla
terra, mi avrebbero certamente dato altrettante prove di affetto... La
loro partenza per il Cielo non mi pareva una buona ragione per
dimenticarmi, anzi, trovandosi essi a potere attingere dai tesori
divini, dovevano prendere per me la pace, e dimostrarmi così che in
Cielo si sa ancora amare! La risposta non si fece attendere, ben presto
la pace inondò l'anima mia con le sue acque deliziose, e capii che, se
ero amata sulla terra, lo ero anche nel Cielo... Da quel momento in poi
la devozione crebbe verso i miei fratellini e sorelline, e mi piace di
conversare spesso con loro parlando delle tristezze di questo esilio...
del desiderio di raggiungerli presto nella Patria celeste!