3. Educanda presso le benedettine (1881-1883)
Storia di un'anima
Santa Teresa di Lisieux

Anni tristi - Le cugine
Guérin - Intimità con Celina - Dolorosa separazione da Paolina - Strana
malattia - Sorriso incantevole e miracoloso della Vergine.
74 - Avevo otto anni e mezzo quando Leonia uscì dal collegio, e io
presi il suo posto all'Abbazia. Spesso ho inteso dire che il tempo
passato in collegio è il migliore e il più dolce della vita; per me non
fu così; i cinque anni che passai lì furono i più tristi per me; se non
avessi avuto accanto la mia Celina cara, non avrei potuto rimanerci un
mese solo senza ammalarmi. Povero fiorellino, che era stato abituato ad
addentrare le sue radici fragili in una terra scelta, fatta apposta per
lui! Gli parve ben duro vedersi in mezzo a fiori di ogni sorta, alcuni
dalle radici ben poco delicate! Ed essere costretto a trovare in una
terra comune la linfa necessaria per l'esistenza.
75 - Lei mi aveva istruita così bene, Madre mia cara, che arrivando in
collegio ero la più avanti tra le bimbe della mia età; mi misero in una
classe di scolare tutte più grandi di me, una di loro, fra i tredici e
i quattordici anni, era poco intelligente, ma si sapeva imporre alle
compagne ed anche alle maestre. Vedendomi tanto giovane, quasi sempre
la prima della classe, e benvoluta da tutte le religiose, dovette
provare una gelosia ben perdonabile a una collegiale e mi fece scontare
in mille modi i miei piccoli successi. Con la mia natura timida e
delicata, non sapevo difendermi, e mi contentavo di piangere senza
parlare, nemmeno con lei mi lamentavo per ciò che soffrivo, ma non
avevo abbastanza virtù per elevarmi al disopra di queste miserie della
vita, e il mio povero cuore soffriva tanto. Per fortuna che ogni sera
ritrovavo il focolare paterno, allora il cuore si apriva, io saltavo
sulle ginocchia del mio re, e gli dicevo i voti che mi erano stati
dati, e il suo bacio mi faceva dimenticare tutte le mie pene. Con quale
gioia annunciavo il risultato del mio primo componimento (un
componimento di Storia Sacra), mi mancava un solo punto per avere il
massimo, perché non avevo saputo il nome del padre di Mosè. Ero dunque
la prima, e avevo conseguito una bella decorazione d'argento. Per
premiarmi, Papà mi dette una monetina da quattro soldi che collocai in
una scatola destinata a ricevere quasi ogni giovedì una moneta nuova,
sempre della stessa grandezza (pescavo in quella scatola quando volevo
fare, in certe feste grandi, un'elemosina di tasca mia alla questua, o
per la propagazione della Fede, o per opere simili). Paolina, rapita
per il successo della sua scolara, le regalò un bel cerchio per
incoraggiarla ad essere ben studiosa. La povera piccina aveva un reale
bisogno di quelle gioie della famiglia; senza esse, la vita di collegio
le sarebbe stata troppo dura.
76 - Ogni giovedì si aveva vacanza nel pomeriggio, ma non era come le
vacanze di Paolina, non ero nel belvedere con Papà. Bisognava giocare
non con la mia Celina, ciò che mi piaceva quand'ero sola con lei, ma
con le mie cuginette e le piccole Maudelonde. Era una vera pena per me,
perché non sapevo giocare come gli altri bimbi, non ero una compagna
gradevole, eppure facevo del mio meglio per imitare le altre senza
riuscirci, e mi annoiavo molto, soprattutto quando bisognava passare
tutto un pomeriggio a ballare la quadriglia. La sola cosa che mi
piaceva era andare al giardino della stella, allora ero la prima
dappertutto, cogliendo fiori a profusione, e sapendo trovare i più
belli eccitavo l'invidia delle mie piccole compagne.
77 - Mi piaceva anche se per caso restavo sola con la piccola Maria,
senza che ci fosse più Celina Maudelonde per indurla a giochi comuni;
lei mi lasciava libera di scegliere, e io sceglievo un gioco affatto
nuovo. Maria e Teresa diventavano due eremiti e non avevano che una
povera capanna, un campicello di grano e un po' di ortaggi da
coltivare. La loro esistenza trascorreva in una contemplazione
ininterrotta, cioè a dire che uno dei due solitari sostituiva l'altro
nell'orazione quando bisognava occuparsi di vita attiva. Tutto veniva
fatto con una intesa, un silenzio e dei modi religiosi che erano una
perfezione. Quando la zia veniva a prenderci per la passeggiata, il
nostro gioco continuava anche per la strada. I due romiti recitavano
insieme il rosario, servendosi delle dita per non rivelare la loro
devozione al pubblico indiscreto; ma ecco che un giorno il solitario
più giovane ebbe un istante di distrazione: aveva ricevuto un dolce per
merenda e prima di mangiarlo fece un gran segno di croce, al che tutti
i profani del secolo si misero a ridere.
78 - Maria ed io eravamo sempre dello stesso parere, avevamo a tal
segno i medesimi gusti, che una volta la nostra unione di volontà passò
i limiti. Tornando una sera dall'Abbazia, dissi a Maria: «Conducimi tu,
io chiudo gli occhi». - «Li chiudo anch'io», disse lei. Detto fatto,
senza più discutere ognuna fece come volle. Eravamo sul marciapiede,
non c'era da temere le vetture; dopo una gradevole passeggiata di
qualche minuto, e dopo aver assaporato le delizie di camminare senza
vederci, le due piccole stordite caddero insieme sulle casse deposte
alla porta d'un magazzino, o piuttosto le fecero cadere. il bottegaio
uscì furibondo per rialzare le sue merci, le due cieche volontarie si
erano ben rialzate da sé e sgattaiolavano via a grandi passi, con gli
occhi spalancati, ascoltando i giusti rimproveri di Giovanna, la quale
era arrabbiata non meno del bottegaio. Tanto è vero che, per punirci,
decise di separarci, e da quel giorno in poi Maria e Celina andarono
insieme, mentre io facevo la strada con Giovanna. Questo mise fine alla
nostra troppo grande unione di volontà e non fu un male per le due
maggiori che invece non erano mai del medesimo parere, e discutevano
per tutta la strada. Così la pace fu completa.
79 - Non ho ancora detto nulla delle mie relazioni intime con Celina,
ah! se dovessi raccontare tutto, non frinirei mai... A Lisieux le parti
erano cambiate, Celina era diventata un furicchio furbetto, e Teresa
non era più se non una bimbetta dolce, ma piagnucolona fin troppo. Ciò
non impediva che Celina e Teresa si volessero sempre più bene; a volte
c'erano piccole discussioni, ma non gravi, e in fondo erano tutte due
dello stesso parere. Posso dire che mai la mia sorella cara mi ha dato
dispiacere e che invece è stata per me un raggio di sole, mi ha
rallegrata e confortata sempre. Chi potrà dire con quale intrepidezza
mi difendeva all'Abbazia quand'ero accusata? Prendeva tanta cura della
mia salute che talvolta mi dava noia. Quello che non mi tediava affatto
era vederla giocare: allineava tutta la squadra delle nostre bambole e
le istruiva, da maestra abile; soltanto aveva sempre cura che le figlie
sue fossero buone e brave, mentre le mie venivano spesso messe alla
porta a causa della loro cattiva condotta... Mi diceva tutte le cose
nuove che aveva imparate a scuola, e ciò mi divertiva molto; io la
consideravo come un pozzo di scienza. Avevo ricevuto la qualifica di
«figlioletta di Celina», e perciò quando lei si indisponeva con me, il
più grave segno del suo malcontento era: «Non sei più figlia mia, è
finita, me ne ricorderò sempre!». Allora non mi restava che piangere
come una Maddalena, supplicandola di considerarmi ancora figliolina
sua, poco dopo lei mi abbracciava e mi prometteva di non ricordare più
nulla! Per consolarmi, prendeva una delle sue bambole e le diceva:
«Tesoro, abbraccia la zia». Una volta la bambola mi abbracciò con tanto
zelo e tenerezza che m'infilò due braccini nel naso. Celina che non
l'aveva davvero fatto apposta mi guardava stupefatta. La bambola mi
pendeva dal naso; ma ecco, la zia non tardò molto a svincolarsi dalle
strette troppo tenere della nipote; e si mise a ridere con tutto il
cuore di un'avventura tanto singolare.
80 - La parte più divertente era di vederci insieme nel bazar a
comprare le strenne; ci nascondevamo con gran cura una all'altra.
Avevamo dieci soldi da spendere, e ci occorreva-no almeno cinque o sei
oggetti diversi, perciò facevamo a chi comprava le cose più belle.
Felici dei nostri acquisti, sospiravamo il primo dell'anno per poterci
offrire i nostri magnifici regali. Quella che si svegliava prima
dell'altra si affrettava ad augurarle il buon anno, poi ci davamo le
strenne, e ciascuna si estasiava sui tesori da dieci soldi! Quei
regalini quasi ci facevano piacere quanto i bei regali dello zio, e,
del resto, era soltanto l'inizio delle gioie. Quel giorno ci vestivano
in fretta, e ciascuna di noi stava all'agguato per potersi gettare al
collo di Papà; appena usciva dalla camera sua erano gridi di gioia in
tutta la casa, e quel povero Babbo caro pareva felice di vederci tanto
contente... Le strenne che Maria e Paolina davano alle loro figliolette
non erano di gran pregio, ma suscitavano ugualmente una gioia grande.
81 - La verità è che a quell'età non eravamo annoiate della vita, le
anime nostre in tutta la loro freschezza si aprivano come i fiori alla
guazza mattinale. Un medesimo soffio faceva ondeggiare le nostre
corolle, e ciò che portava gioia o pena ad una la portava anche
all'altra. Indivise erano le nostre gioie, e l'ho ben sentito nel
giorno della prima Comunione della mia Celina. Non mi trovavo ancora
all'Abbazia perché avevo appena sette anni, ma ho conservato nel cuore
il ricordo dolcissimo della preparazione che lei, Madre cara, aveva
fatto fare a Celina; sera per sera la prendeva sulle ginocchia e le
parlava del grande atto che stava per compiere; io ascoltavo avida di
prepararmi anch'io, ma spesso lei mi diceva di andarmene perché ero
troppo piccina, allora il cuore mi si gonfiava e io pensavo che non
erano troppi quattro anni per prepararsi a ricevere il buon Dio... Una
sera la intesi che diceva: «Dopo la prima Comunione bisogna cominciare
una nuova vita». Subito presi la risoluzione di non attendere quel
giorno, ma di rinnovarmi insieme a Celina. Mai avevo sentito tanto di
amarla quanto lo sentii durante il ritiro di tre giorni che ella fece;
per la prima volta, mi trovai lontana da lei, non dormii nel suo letto.
Il primo giorno avevo dimenticato che non sarebbe tornata, avevo
serbato un mazzetto di ciliege che Papà mi aveva comperato, perché
volevo mangiarlo con lei; quando non la vidi arrivare, ebbi un gran
dispiacere. Papà mi consolò dicendomi che mi avrebbe condotto
all'Abbazia il giorno dopo per vedere la mia Celina, e che avrei
portato un altro mazzetto di ciliege. il giorno della prima Comunione
di Celina mi lasciò una impressione quasi fosse la mia; la mattina,
svegliandomi sola sola, mi sentii inondata di gioia: «É oggi!», non mi
stancavo di ripetere queste parole. Mi pareva d'essere io a far la
prima Comunione. Credo d'aver ricevuto grandi grazie in quel giorno, e
lo considero come uno dei più belli della vita.
82 - Ho fatto un passo indietro per rievocare quel dolce, delizioso
ricordo, ora debbo parlare della prova dolorosa che venne a spezzare il
cuore di Teresa piccina, quando Gesù le prese la sua cara mamma
Paolina, amata così teneramente. Un giorno avevo detto a Paolina che
sarei stata volentieri eremita, e mi sarebbe piaciuto andarmene con lei
in qualche deserto lontano, e lei mi aveva risposto: il mio desiderio è
il tuo, attenderò che tu sia abbastanza grande per partire». Senza
dubbio, ciò non era stato detto seriamente, ma Teresa, invece, l'aveva
preso sul serio; e quale non fu il dolore di lei quando un giorno
intese Paolina che parlava con Maria della sua prossima entrata nel
Carmelo! Non sapevo che cosa fosse il Carmelo, ma capivo che Paolina mi
avrebbe lasciata per entrare in un convento, capivo che non mi avrebbe
attesa, e che stavo per perdere la mia seconda mamma! Come dire la mia
angoscia? In un attimo capii che cosa è la vita; fino allora non
l'avevo vista così triste, ma ora mi apparve in tutta la sua realtà,
vidi che era soltanto sofferenza e separazione continua. Piansi
amaramente, perché non comprendevo ancora la gioia del sacrificio, ero
debole, così debole che considero una grande grazia aver potuto
sopportare una prova la quale pareva molto al disopra delle mie forze!
Se avessi saputo a poco a poco la partenza della mia Paolina carissima,
forse non avrei sofferto tanto, ma avendola saputa di sorpresa, fu come
una spada che mi si conficcasse nel cuore.
83 - Ricorderò sempre, Madre mia cara, con quale tenerezza lei mi
consolò. Poi mi spiegò la vita del Carmelo che mi parve così bella!
Ripassando nello spirito tutto quello che lei mi aveva detto, sentii
che il Carmelo era il deserto nel quale il Signore voleva che mi
nascondessi. Lo sentii con tanta forza che non rimase il minimo dubbio
in me: non era un sogno di bambina che si lasci trascinare, bensì la
certezza d'una chiamata divina; volevo andare al Carmelo non per
Paolina, ma per Gesù solo... Pensai molte cose che le parole non
possono rendere, ma che mi lasciarono una grande pace nell'anima. Un
giorno dopo confidai il mio segreto a Paolina la quale, considerando i
miei desideri come la volontà del Cielo, mi disse che ben presto sarei
andata a trovare la madre Priora del Carmelo, e che avrei dovuto dirle
ciò che il Signore mi faceva sentire. Venne scelta una domenica per
questa visita solenne, e il mio impaccio fu grande quando seppi che
Maria G. doveva rimanere con me, perché, essendo ancora abbastanza
piccola, poteva vedere le carmelitane; bisognava tuttavia che trovassi
il modo di rimaner sola, ed ecco che cosa escogitai: dissi a Maria che,
avendo il privilegio di vedere la Madre Priora, bisognava essere ben
gentili e bene educate, per questo dovevamo confidarle i nostri
segreti, perciò ognuna di noi doveva uscire un momento e lasciar
l'altra sola. Maria mi credette sulla parola e, nonostante la sua
ripugnanza a confidare dei segreti che non aveva, rimanemmo sole, una
dopo l'altra, presso Nostra Madre. Dopo avere ascoltato le mie grandi
confidenze madre Maria Gonzaga credette alla mia vocazione, mi disse
tuttavia che non si ricevono postulanti di nove anni, e che bisognava
attendere i miei sedici anni... Mi rassegnai nonostante il desiderio
vivo di entrare prima possibile, e di fare la mia prima Comunione nel
giorno della vestizione di Paolina. In quel giorno ricevetti dei
complimenti per la seconda volta. Suor Teresa di Sant'Agostino venne a
vedermi, e non si stancava di dire che ero carina... io non contavo di
venire al Carmelo per ricevere lodi, e perciò, uscita dal parlatorio
non finivo più di ripetere a Dio che volevo farmi carmelitana per lui
solo.
84 - Cercai di profittare ben bene della mia cara Paolina durante le
poche settimane ch'ella passò ancora nel mondo; ogni giorno, Celina ed
io compravamo un dolce e delle caramelle pensando che ben presto non ne
avrebbe mangiati più; eravamo sempre intorno a lei, senza lasciarle un
minuto di respiro. Finalmente arrivò il 2 ottobre, giorno di lacrime e
di benedizioni, nel quale Gesù colse il primo dei suoi fiori, che
doveva divenire la madre di quelle che l'avrebbero raggiunto entro
pochi anni. Vedo ancora il luogo preciso in cui ebbi l'ultimo bacio di
Paolina, poi la zia ci condusse tutte a Messa mentre Papà andava sulla
montagna del Carmelo per offrire il suo primo sacrificio. .. Tutta la
famiglia era in lacrime, cosicché le persone che ci vedevano entrare in
chiesa ci guardavano con stupore, ma a me importava ben poco e non
m'impediva di piangere; credo che se tutto mi fosse crollato intorno,
non me ne sarei curata affatto; guardavo il bel cielo limpido e mi
meravigliavo che il sole splendesse con tanto fulgore quando l'anima
mia era inondata dalla tristezza! Forse, Madre cara, lei trova che io
esageri il dolore che ho provato? Mi rendo ben conto che non avrebbe
dovuto essere tanto grave, poiché avevo la speranza di ritrovare lei al
Carmelo; ma l'anima mia era lungi dall'essere matura, io dovevo passare
attraverso molte prove prima di attendere il fine desiderato.
85 - Il 2 ottobre era il giorno fissato per rientrare all'Abbazia,
bisognò dunque andarci, nonostante la mia tristezza. Nel pomeriggio la
zia venne a prenderci per condurci al Carmelo, e io vidi la mia Paolina
cara dietro le grate... Quanto ho sofferto in quel parlatorio del
Carmelo! Poiché scrivo la storia dell'anima mia, devo dire tutto alla
mia cara Madre, e confesso che il mio patire prima che lei entrasse nel
Carmelo fu un nulla a paragone di quello che seguì. Tutti i giovedì
andavamo, a famiglia riunita, al Carmelo, e io, avvezza a intrattenermi
«cuore a cuore» con Paolina, ottenevo a mala pena due o tre minuti alla
fine della conversazione, e beninteso li passavo a piangere per
andarmene poi col cuore a pezzi. Non capivo come per delicatezza verso
la zia lei rivolgesse di preferenza la parola a Giovanna e a Maria
invece che alle sue figlioline; non capivo, e dicevo nel fondo di me
stessa: «Paolina è perduta per me!». E sorprendente vedere quanto il
mio spirito si sviluppò nella sofferenza; si sviluppò a tal segno che
dopo breve tempo mi ammalai.
86 - La malattia che mi colpì veniva certamente dal demonio; furioso
perché lei era entrata nel Carmelo, volle vendicarsi su me del torto
che la nostra famiglia doveva fargli nell'avvenire, ma non sapeva che
la dolce Regina del Cielo vegliava sul suo fiorellino fragile, che gli
sorrideva dall'alto del suo trono, e si disponeva a far cessare la
tempesta proprio nel momento in cui il povero fiore si sarebbe spezzato
senza rimedio. Verso la fine dell'anno fui presa da un mal di testa
continuo, ma che quasi non mi faceva soffrire; ero in grado di
proseguire i miei studi, e nessuno si preoccupava di me; ciò durò fino
alla festa di Pasqua del 1883. Papà essendo andato a Parigi con Maria e
Leonia, la zia mi prese in casa sua con Celina. Una sera lo zio mi
tenne con sé, e mi parlò di Mamma, e di tanti ricordi con una bontà che
mi commosse profondamente e mi fece piangere; allora disse che ero
troppo sensibile, che mi occorreva molta distrazione, e decise con la
zia di procurarci cose piacevoli durante le vacanze di Pasqua. Quella
sera dovevamo andare al circolo cattolico, ma, trovando che ero troppo
stanca, la zia mi fece andare a letto; mentre mi spogliavo fui presa da
un tremito strano; credendo che avessi freddo, la zia mi avviluppò tra
le coperte e le bottiglie calde, ma niente poté attenuare la mia
agitazione che durò quasi tutta la notte. Lo zio, tornato dal circolo
cattolico con le mie cugine e Celina, fu ben sorpreso trovandomi in
quello stato che giudicò assai grave, ma non volle dirlo per non
spaventare la zia. Il giorno dopo andò a trovare il dottor Notta il
quale giudicò, come mio zio, che avevo una malattia molto grave, dalla
quale una bambina tanto giovane mai era stata colpita. Tutti erano
costernati, la zia fu costretta a tenermi presso di sé, e mi curò con
una premura veramente materna. Quando Papà tornò da Parigi con le
sorelle più grandi, Amata li ricevette con una faccia così triste che
Maria mi credette morta. Ma quella malattia non era perché morissi, era
piuttosto come quella di Lazzaro, affinché Dio fosse glorificato. Lo fu
realmente, per la rassegnazione mirabile del mio caro Babbo, il quale
credette che «la sua bambina impazzisse o morisse»: e per la
rassegnazione di Maria! Ah, quanto ha sofferto per causa mia, quanto le
sono grata per le cure che mi usò con tanto sacrificio: il cuore le
dettava ciò che mi era necessario, e veramente un cuore di madre è ben
più sapiente che quello di un medico, sa indovinare ciò che conviene
alla malattia della sua bimba.
87 - Povera Maria che fu costretta a venire a installarsi presso la
zia, perché era impossibile allora di trasportarmi ai Buissonnets.
Intanto, la vestizione di Paolina si avvicinava; evitavano di parlarne
in presenza mia sapendo la pena che provavo per non poterci andare, ma
io ne parlavo spesso, dicendo che sarei stata abbastanza bene per
andare a vedere la mia Paolina cara. In realtà il Signore non volle
negarmi questa consolazione, o piuttosto volle confortare la sua cara
fidanzata che aveva sofferto tanto per la malattia della figlioletta.
Ho notato che Gesù non vuol mettere alla prova le sue figlie nel giorno
del fidanzamento, questa festa dev'essere senza nubi, un anticipo della
gioia del Paradiso, non l'ha già dimostrato cinque volte? Potei dunque
abbracciare la mia cara Mamma, sedermi sulle ginocchia di lei, e
colmarla di carezze. Potei contemplarla così incantevole sotto il
bianco abito di fidanzata... Ah, fu un giorno bello in mezzo alla mia
prova cupa, ma passò rapido. Ben presto dovetti salire sulla carrozza
che mi portò ben lungi da Paolina e ben lungi dal mio Carmelo amato.
88 - Arrivando ai Buissonnets mi misero a letto, nonostante che io
affermassi d'essere guarita perfettamente e di non aver più bisogno di
cure. Ahimè! Ero soltanto all'inizio delle mie prove! L’indomani fui
ripresa dal disturbo che avevo avuto, e la malattia divenne così grave
che non avrei dovuto guarire, secondo le previsioni umane. Non so come
descrivere un malessere tanto strano, sono persuasa ch'era opera del
demonio, ma per lungo tempo dopo la guarigione ho creduto d'aver fatto
apposta ad essere malata, ed è stato, questo, un vero martirio per
l'anima mia. Lo dissi a Maria che mi rassicurò come meglio poté con la
sua consueta bontà, lo dissi in confessione, e anche il confessore
tentò di quietarmi dicendo che non era possibile aver finto d'essere
ammalata al punto in cui lo ero. Dio misericordioso che voleva senza
dubbio purificarmi, e soprattutto umiliarmi, mi lasciò questo martirio
intimo fino al mio ingresso nel Carmelo, ove il Padre delle nostre
anime mi tolse tutti i dubbi quasi con un gesto della mano, e da allora
sono perfettamente tranquilla.
89 - Non è sorprendente che io abbia avuto il timore di essere sembrata
ammalata senza esserlo veramente, perché dicevo e facevo cose che non
pensavo, quasi sempre apparivo in delirio, pronunciavo parole che non
avevano senso, e tuttavia sono sicura di non essere stata priva nemmeno
un istante dell'uso della ragione. Parevo spesso svenuta, non facevo
più il minimo movimento, e allora mi sarei lasciata fare qualsiasi
cosa, anche uccidere, e tuttavia udivo tutto quello che veniva detto
intorno a me, e mi ricordo ancora di tutto. Mi è accaduto una volta di
restare a lungo senza poter aprire gli occhi, e di aprirli un attimo
quando mi trovavo sola.
90 - Credo che il demonio avesse ricevuto un potere esteriore su me, ma
che non potesse avvicinarsi alla mia anima, al mio spirito se non per
ispirarmi certi spaventi forti dinanzi a determinate cose, per esempio,
di fronte a medicine molto semplici che tentavano inutilmente di farmi
accettare. Ma se Dio permetteva al demonio di avvicinarsi a me, mi
mandava anche degli angeli visibili. Maria era sempre intorno al mio
letto, mi curava e mi confortava con la tenerezza di una madre, senza
mai manifestare il minimo senso di noia, eppure io le davo tanto
disturbo, non permettendo che si allontanasse da me. D'altra parte,
bisognava pure ch'ella andasse a tavola con Papà, ma io non cessavo di
chiamarla tutto il tempo ch'era andata via; Vittoria che mi custodiva
era costretta, a volte, a cercare la mia cara «mamma», come la chiamavo
io. Quando Maria voleva uscire, bisognava che fosse per andare a Messa,
oppure per andare da Paolina, allora non dicevo nulla.
91 - Lo zio e la zia erano tanto buoni anch'essi con noi; cara buona
zia, veniva tutti i giorni a trovarmi, e mi portava mille cose buone.
Altri amici della famiglia vennero a trovarmi, ma io supplicai Maria di
avvertire che non volevo ricevere visite: mi dispiaceva di vedere
persone sedute intorno al mio letto, file di cipolle, che mi guardavano
come una bestia rara. La sola visita che mi piacesse era quella degli
zii. Da quella malattia non so dire quanto sia aumentato il mio affetto
per loro, capii sempre meglio che per noi non erano parenti come tutti
gli altri. Povero Babbo caro, aveva ben ragione quando ci ripeteva le
parole che ho scritte ora. Più tardi toccò con mano che non si era
ingannato, ed ora egli certamente protegge e benedice coloro che gli
prodigarono cure tanto affettuose. Io sono ancora nell'esilio, e, non
sapendo come dimostrare la mia riconoscenza, ho un mezzo solo per
sfogarmi: pregare per i congiunti che amo, e che furono e sono ancora
tanto buoni verso me!
92 - Leonia era anche lei molto buona con me, faceva di tutto per
distrarmi e divertirmi; io qualche volta le facevo dispiacere perché
lei capiva bene che Maria era l'insostituibile per me.
E la mia Celina cara, che cosa non fece per la sua Teresa? La domenica
invece di andare a passeggiare veniva a rinchiudersi per ore ed ore con
una povera ragazzina che somigliava a un'idiota; realmente ci voleva
molto amore per non fuggirmi. Ah, care sorelline, quanto vi ho fatto
soffrire: nessuno vi ha procurato tanto dolore quanto io, e nessuno ha
ricevuto tanto amore quanto voi me n'avete prodigato. Fortunatamente
avro il Cielo per vendicarmi, il mio Sposo è ricchissimo e io attingerò
nei tesori d'amore per restituirvi al centuplo tutto quello che avete
sofferto per causa mia.
93 - La mia consolazione più grande quand'ero malata era di ricevere
una lettera di Paolina. La leggevo e rileggevo fino a saperla a
memoria. Una volta, Madre cara, lei mi mandò una clessidra e una delle
mie bambole vestita da carmelitana; dire la mia gioia è cosa
impossibile. Lo zio non era contento, diceva che, invece di farmi
pensare al Carmelo, bisognava allontanarlo dal mio spirito, ma io
sentivo, al contrario, che era la speranza di essere carmelitana a
farmi vivere. Il mio piacere era lavorare per Paolina, le facevo delle
cosine in carta bristol, e l'occupazione mia più grande era intrecciar
corone di margherite e di myosotis per la Vergine Santa; eravamo nel
mese bello di maggio, tutta la natura si ornava di fiori e spirava
letizia, soltanto il «fiorellino» languiva, e pareva appassito per
sempre. Eppure avevo un sole presso di me, e quel sole era la statua
miracolosa della Santa Vergine che aveva parlato per due volte a Mamma,
e spesso, molto spesso, mi volgevo a lei. Un giorno vidi Papà entrare
nella camera di Maria ove io ero coricata: a Maria dette parecchie
monete d'oro con una espressione di grande tristezza, e le disse di
scrivere a Parigi e chiedere delle Messe presso Nostra Signora delle
Vittorie affinché facesse guarire la sua povera figlioletta. Ah, come
mi commossi vedendo la fede e l'amore del mio re caro! Avrei voluto
dirgli: «sono guarita!», ma gli avevo già dato troppe gioie false, e
non erano i miei desideri a poter fare un miracolo, perché un miracolo
ci voleva per guarirmi. Ce ne voleva uno, e lo fece Nostra Signora
delle Vittorie. Una domenica (durante la novena delle Messe), Maria
uscì in giardino lasciandomi con Leonia la quale leggeva accanto alla
finestra; in capo a qualche minuto mi misi a chiamare a bassa voce:
«Mamma... Mamma...». Leonia era abituata a intendermi chiamare sempre
così, non ci fece caso. La cosa durò a lungo, allora chiamai più forte,
e finalmente Maria tornò, vidi perfettamente quando entrò, ma non
potevo dire che la riconoscevo, e continuai a chiamare sempre più
forte: «Mamma». Soffrivo molto di quella lotta forzata e inspiegabile,
e Maria ne soffriva forse più di me; dopo vani sforzi per dimostrarmi
che era vicina a me, si mise in ginocchio accanto al mio letto con
Leonia e Celina, si volse alla Vergine Santa e pregò col fervore di una
madre la quale chiedesse la vita del figlio: in quel momento ottenne
quello che desiderava.
94 - Non trovando soccorso sulla terra, la povera Teresa si era rivolta
anche lei alla Madre del Cielo, la pregava con tutto il cuore perché
avesse finalmente pietà di lei... A un tratto la Vergine Santa mi parve
bella, tanto bella che non avevo visto mai cosa bella a tal segno, il
suo viso spirava bontà e tenerezza ineffabili, ma quello che mi penetrò
tutta l'anima fu «il sorriso stupendo della Madonna». Allora tutte le
mie sofferenze svanirono, delle grosse lacrime mi bagnarono le guance,
ma erano lacrime di una gioia senza ombre. Ah, pensai, la Vergine Santa
mi ha sorriso, come sono felice! Ma non lo dirò a nessuno, perché
altrimenti la mia felicità scomparirebbe. Senza alcuno sforzo abbassai
gli occhi e vidi Maria che mi guardava con amore, pareva commossa,
quasi capisse il favore che la Madonna mi aveva concesso. Ah! era
proprio a lei, alle commoventi preghiere di lei, che io dovevo la
grazia del sorriso da parte della Regina dei Cieli. Vedendo il mio
sguardo fisso sulla Vergine Santa, ella pensò: «Teresa è guarita!». Sì
il fiore umile stava per rinascere alla vita, il raggio splendido che
l'aveva riscaldato non doveva interrompere i propri benefizi: agi non
in modo subitaneo, bensì gradatamente, dolcemente, risollevò il fiore e
lo rafforzò a tal segno che cinque anni dopo si aprì sulla montagna
benedetta del Carmelo.
95 - Come ho detto, Maria aveva intuito che la Santa Vergine mi aveva
concesso qualche grazia nascosta, perciò, appena fui sola con lei, mi
chiese che cosa avevo visto e io non potei resistere alle sue domande
così tenere e premurose; stupita vedendo il mio segreto scoperto senza
che io l'avessi rivelato, lo confidai tutto intero a Maria. Ahimè! Come
avevo presentito, la mia felicità scomparve e si mutò in amarezza; per
quattro anni il ricordo della grazia ineffabile che avevo ricevuta fu
per me una vera pena d'animo, dovevo ritrovare la mia gioia soltanto ai
piedi di Nostra Signora delle Vittorie, allora mi venne restituita in
tutta la sua pienezza... riparlerò più tardi di questa seconda grazia
della Santa Vergine Maria. Ora debbo dirle, Madre mia cara, in qual
modo la gioia si cambiò in tristezza. Maria dopo aver inteso il
racconto ingenuo e sincero della «mia grazia», mi chiese il permesso di
dirlo al Carmelo, io non potevo dire di no. Alla mia prima visita
all'amato Carmelo, fui piena di gioia vedendo la mia Paolina con
l'abito della Vergine: che momento bello e dolce per noi due! C'erano
tante cose da dire che non riuscivo a dir nulla, avevo il cuore troppo
pieno. La buona madre Maria Gonzaga c'era anche lei, e mi dimostrò
mille prove d'affetto; vidi ancora altre religiose e in presenza loro
fui interrogata riguardo alla grazia che avevo avuta, e se la Vergine
portava il Bambino Gesù, se c'era molta luce, e così via. Tutte quelle
domande mi turbarono e mi fecero dispiacere, io potevo dire una cosa
sola: «la Vergine Santa mi era sembrata bellissima, e l'avevo vista che
mi sorrideva». Soltanto il volto di lei mi aveva colpita, così, vedendo
che le carmelitane s'immaginavano tutt'altra cosa (e d'altra parte già
cominciavano le mie sofferenze d'animo riguardo alla mia malattia), mi
figurai d'aver mentito. Senza dubbio, se avessi custodito il mio
segreto, avrei anche conservato la mia felicità, ma la Vergine Santa ha
permesso questo tormento per il bene dell'anima mia; forse avrei avuto,
altrimenti, qualche pensiero di vanità, mentre così, trovandomi nella
umiliazione, non potevo guardarmi senza un sentimento di profondo
orrore. Ah! quello che ho sofferto, lo potrò dire soltanto in Cielo!