Secondo sogno missionario: attraverso l’America
San Giovanni Bosco

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Questo secondo sogno missionario che Don Bosco fece a San Benigno
Canavese nel 1883, è una rappresentazione allegorica, ricca di elementi
profetici, dell’avvenire delle Missioni Salesiane nell’America del Sud.
Don Bosco lo raccontò il 4 settembre ai membri del Terzo Capitolo
Generale. Don Lemoyne lo mise subito per iscritto e Don Bosco lo
completò e lo ritoccò.
Se ne possono distinguere tre grandi sequenze:
1. Dopo una breve introduzione, Don Bosco dice di trovarsi in una grande
sala, dove parecchie persone sconosciute parlano delle Missioni. Qui è
riconosciuto dal figlio del Conte Colle di Tolone.’
2. Nella forma più strana il giovane gli fa contemplare, da quel la
sala, l’esteso campo di missione dell’America del Sud preparato per i
Salesiani.
3. In compagnia del giovane, Don Bosco fa un viaggio attraverso tutta
l’America del Sud, fino alla Patagonia, dove trova al lavoro i Salesiani
e le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Data la lunghezza, lo presentiamo alquanto ridotto.
Chiudiamo tra parentesi quadre le aggiunte posteriori, fatte da Don Lemoyne dopo aver udito chiarimenti da Don Bosco.
«Era la notte che precedeva la festa di S. Rosa da Lima (30 Agosto) e io
ho fatto un sogno. Mi pareva di entrare in una sala di trattenimento,
dove erano molte persone che parlavano della moltitudine di selvaggi,
che nell’Australia, nelle Indie, nella Cina, nel l’Africa e più
particolarmente nell’America sono tuttora sepolti nell’ombra della
morte.
Luigi Colle, figlio del conte Luigi Fleury Colle di Tolone, morto ivi
neI 1882, in tenera età. Giovane angelico che, ricevuti gli ultimi
sacramenti, sorridendo aveva esclamato:
«Vado in paradiso; me l’ha detto Don Bosco». Dopo la sua santa morte,
apparve più volte a Don Bosco, che ne scrisse la vita, uscita l’anno
dopo la morte col titolo: Biographie du jeune Luis Fleury Colle par Jean
Bosco, prétre.
Disse uno:
— Che quantità di idolatri vivono infelici e lontani dalla conoscenza
del vangelo nella sola America! Gli uomini si pensano (e i geografi
s’ingannano) che le Cordigliere di America siano come un muro che divide
quella gran parte del mondo. Non è così. Quelle lunghissime catene di
alte montagne fanno molti seni di mille e più chilometri in sola
lunghezza.
In essi vi sono selve non mai visitate, vi sono piante, animali, e poi
vi sono pietre di cui colà si scarseggia. Carbon fossile, petrolio,
piombo, rame, ferro, argento e oro stanno nascosti in quelle montagne,
nei siti dove furono collocati dalla mano potente del Creatore a
beneficio degli uomini, O Cordigliere, Cordigliere! Quanto mai è ricco
il vostro Oriente!
In quel momento mi sentii preso da vivo desiderio di chiedere
spiegazione di più cose, e di interrogare chi fossero quelle persone
colà raccolte, e in quale luogo io mi trovassi. Perciò chiesi:
— Ditemi, di grazia: siamo a Torino, a Londra, a Madrid, a Parigi? E voi chi siete?
Ma tutti quei personaggi rispondevano vagamente discorrendo delle Missioni.
In quel mentre si avvicinò a me un giovanotto sui 16 anni, ama bile per
sovrumana bellezza e tutto raggiante di viva luce più chiara di quella
del sole. Il suo vestito era intessuto con celestiale ricchezza e il suo
capo era cinto di un berretto a foggia di corona, tempestato di
brillantissime pietre preziose. Fissandomi con sguardo benevolo, mi
dimostrava un interesse speciale. Il suo sorriso esprimeva un affetto di
irresistibile attraenza. Mi chiamò per nome, mi prese per mano e
incominciò a parlarmi della Congregazione Salesiana
Io ero incantato al suono di quella voce. A un certo punto l’interruppi:
— Con chi ho l’onore di parlare? Favoritemi il vostro nome.
— ve lo direi il mio nome se facesse bisogno; ma non occorre perché mi dovete conoscere.
Così dicendo sorrideva.
Fissai meglio quella fisionomia cinta di luce. Oh, quanto era bella! E
riconobbi allora in lui il figlio del Conte Fiorito Colle di Tolone,
insigne benefattore della nostra casa e specialmente delle nostre
Missioni Americane.
Questo giovinetto era morto poco tempo prima.
— Luigi! — esclamai chiamandolo per nome —. E tutti costoro chi sono?
— Sono amici dei vostri Salesiani, e io come amico vostro e dei Salesiani, a nome di Dio, vorrei darvi un po’ di lavoro.
— Vediamo di che si tratta.
— Mettetevi qui a questo tavolo e poi tirate giù questa corda.
In mezzo a quella sala vi era un tavolo, sul quale stava aggomitolata
una corda, che era segnata come il metro, con linee e numeri. Più tardi
mi accorsi anche come quella sala fosse posta nell’America del Sud,
proprio sulla linea dell’Equatore, e come i numeri stampati sulla corda
corrispondessero ai gradi geografici di latitudine.
Io presi dunque l’estremità di quella corda, la guardai e vidi che sul
principio aveva segnato il numero zero. E quell’angelico giovinetto:
— Osservate! Che cosa sta scritto sopra la corda?
— Numero zero.
— Tirate un po’.
Tirai alquanto la corda, ed ecco il numero 1.
— Tirate ancora e fate un gran rotolo di quella corda.
Tirai e vennero fuori i numeri 2, 3, 4, fino al 20.
— Basta? — dissi io.
— No, più in su, più in su! Andate finché troverete un nodo
— rispose quel giovinetto.
Tirai fino al numero 47, dove trovai un grosso nodo. Da quel punto la
corda continuava ancora, ma divisa in tante cordicelle che si
sparpagliavano a Oriente, a Occidente, a Mezzodì.
— Basta? — replicai.
— Che numero è? — interrogò quel giovane.
— È il numero 47.
— 47 più 3 quanto fa?
— 50!
— E più 5?
— 55!
— Notate: cinquantacinque.
E poi mi disse:
— Tirate ancora.
— Sono alla fine! — io risposi.
— Ora dunque voltatevi indietro e tirate la corda dall’altra parte.
Tirai la fune dalla parte opposta fino al numero 10. E quel giovane:
— Tirate ancora.
— C’è più niente!
— Come? C’è più niente? Osservate ancora. Che cosa c’è?
— C’è dell’acqua! — risposi.
Infatti in quell’istante si operava in me un fenomeno straordi nario,
quale non è possibile descrivere. Io mi trovavo in quella stanza, tiravo
quella corda, e nello stesso tempo si svolgeva sotto i miei occhi come
un panorama immenso, che io dominavo quasi a volo d’uccello, e che si
stendeva con lo stendersi della corda.
Dal primo O al numero 55 era una terra sterminata che, dopo uno stretto
di mare, in fondo si frastagliava in cento isole, di cui una assai
maggiore delle altre. A quelle isole pareva alludessero le cordicelle
sparpagliate, che partivano dal gran nodo. Ogni cordicella faceva capo a
un’isola. Alcune di queste erano abitate da indigeni abbastanza
numerosi; altre sterili, nude, rocciose, disabitate; altre tutte coperte
di neve e ghiaccio. A occidente gruppi numerosi di isole abitate da
molti selvaggi.
[ che il nodo posto sul numero o grado 47 figurasse il luo go di
partenza, il centro salesiano, la Missione principale donde i missionari
nostri si diramavano alle isole Malvine, alla Terra del Fuoco e alle
altre isole di quei paesi dell’America].
Dalla parte opposta poi, cioè dallo zero al 10, continuava la stessa
terra e finiva in quell’acqua da me vista per l’ultima cosa. Mi par ve
essere quell’acqua il mare delle Antille, che vedevo allora in un modo
così sorprendente, da non essere possibile che io spieghi a parole quel
modo di vedere.
Or dunque avendo io risposto:
— C’è dell’acqua! —, quel giovanetto disse:
— Ora mettete insieme 55 più 10. A che cosa è uguale?
— Somma 65.
— Ora mettete tutto insieme e ne farete una corda sola.
— E poi?
— Da questa parte che cosa c’è?
E mi accennava un punto sul panorama.
— All’Occidente vedo altissime montagne, e all’Oriente c’è il mare.
[ qui che allora io vedevo in compendio, come in miniatura, tutto ciò
che poi vidi, come dirò, nella sua reale grandezza ed estensione; e i
gradi segnati sulla corda, corrispondenti con esattezza ai gradi
geografici di latitudine, furono quelli che mi permisero di ritenere a
memoria per vari anni i successivi punti che visitai viaggiando nella
seconda parte di quello stesso sogno].
Il giovane mio amico proseguiva:
— Orbene: queste montagne sono come una sponda, un confine. Fin qui, fin
là è la messe offerta ai Salesiani. Sono migliaia e milioni di abitanti
che attendono il vostro aiuto, attendono la Fede.
Queste montagne sono le Cordigliere dell’America del Sud e quel mare l’Oceano Atlantico.
— E come fare? — io ripresi —; come riusciremo a condurre tanti popoli all’ovile di Cristo?
— Col sudore e col sangue — rispose — i selvaggi diventeranno graditi al
Padrone della vita. Questo avvenimento sarà compiuto prima che si
compia la seconda generazione.
— E quale sarà la seconda generazione?
— Questa presente non si conta. Sarà un’altra e poi un’altra.
Io parlavo confuso e quasi balbettando nell’ascoltare i magnifici
destini che sono riservati alla nostra Congregazione, e domandai:
— Ma ognuna di queste generazioni quanti anni comprende?
— Sessant’anni.
— E dopo?
— Volete vedere quello che sarà? Venite!
E senza sapere come, mi trovai a una stazione di ferrovia. Qui vi era
radunata molta gente. Salimmo sul treno. Io domandai do ve fossimo. Quel
giovane rispose:
— Guardate: noi andiamo in viaggio lungo le Cordigliere. Ave te la
strada aperta anche all’Oriente, fino al mare. È un altro dono del
Signore.
— E a Boston, dove ci attendono, quando andremo?
— Ogni cosa a suo tempo.
Così dicendo trasse fuori una carta, dove era rilevata in grande la diocesi di Cartagena.
[ questo il punto di partenza].
Mentre io guardavo quella carta, la macchina mandò un fischio e il treno
si mise in moto. Viaggiando, il mio amico parlava molto; e io imparai
cose bellissime
e nuove sull’astronomia, sulla nau tica, sulla meteorologia, sulla
mineralogia, sulla fauna, sulla flora, sulla topografia di quelle
contrade, che mi spiegava con meravigliosa precisione. Condiva le sue
parole con una contegnosa e, nello stesso tempo, tenera familiarità, che
dimostrava quanto mi amasse. Fin dal principio mi aveva preso per mano e
mi tenne sempre così affettuosamente stretto fino alla fine del sogno.
Io portavo talora l’altra mia mano sulla sua, ma questa sembrava
sfuggire di sotto alla mia, quasi svaporasse, e la mia sinistra
stringeva solamente la mia destra. Il giovane rideva al mio inutile
tentativo.
Io frattanto guardavo dai finestrini del carrozzone e vedevo passare
innanzi svariate, stupende regioni. Boschi, montagne, pianure, fiumi
lunghissimi e maestosi, che io non credevo così grandi in regioni tanto
distanti dalle foci. Per più di mille miglia abbia mo costeggiato il
lembo di una foresta vergine, oggigiorno ancora inesplorata. Il mio
sguardo acquistava una potenza visiva meravigliosa. Non solo vedevo le
cordigliere anche quando ero lontano, ma anche le catene di montagne,
isolate in quei piani immensurabili, erano da me contemplate con ogni
loro più piccolo accidente.
[ della Nuova Granata, di Venezuela, delle tre Guiane; quelle del Brasile e della Bolivia, fino agli ultimi confini].
Potei quindi verificare la giustezza di quelle frasi udite al principio
del sogno nella gran sala posta sul grado zero. Io vedevo nelle viscere
delle montagne e nelle profonde latebre delle pianure. Avevo sott’occhio
le ricchezze incomparabile di questi Paesi, che un giorno verranno
scoperte. Vedevo miniere numerose di metalli preziosi, cave inesauribili
di carbon fossile, depositi di petrolio così abbondanti quali mai
finora si trovarono in altri luoghi. Ma ciò non era tutto. Tra il grado
15 e il 20 vi era un seno assai largo e assai lungo che partiva da un
punto ove si formava un lago. Allora una voce disse ripetutamente:
— Quando si verrà a scavare le miniere nascoste in mezzo a questi monti,
apparirà qui la terra promessa fluente latte e miele. Sarà una
ricchezza inconcepibile.
Ma ciò che maggiormente mi sorprese fu il vedere in vari siti le
Cordigliere che, rientrando in se stesse, formavano vallate, delle quali
i presenti geografi neppur sospettano l’esistenza, immaginan dosi che
in quelle parti le falde delle montagne siano come una specie di muro
diritto. In questi seni e in queste valli, che talora si stendevano fino
a 1000 chilometri, abitavano folte popolazioni non ancora venute a
contatto con gli Europei; nazioni ancora pienamente sconosciute.
Il convoglio intanto continuava a correre, e va e va, e gira di qua e
gira di là, finalmente si fermò. Quivi discese una gran parte di
viaggiatori, che passava sotto le Cordigliere, andando verso occidente.
[ Bosco accennò la Bolivia. La stazione era forse La Paz, ove una
galleria, aprendo un passaggio al litorale del Pacifico, può mettere in
comunicazione il Brasile con Lima, per mezzo di un’altra linea di via
ferrata].
Il treno di bel nuovo si mise in moto, andando sempre avanti. Come nella
prima parte del viaggio, attraversavamo foreste, penetravamo in
gallerie, passavamo sopra giganteschi viadotti, ci in ternavamo fra gole
di montagne, costeggiavamo laghi e paludi sui ponti, valicavamo fiumi
larghi, correvamo in mezzo a praterie e a pianure. Siamo passati sulle
sponde dell’Uruguay. Pensavo che fosse un fiume di poco conto, invece è
lunghissimo. In un punto vidi il fiume Paranà, che si avvicinava
all’Uruguay, come se an dasse a portargli il tributo delle sue acque,
invece dopo essere corso per un tratto quasi parallelamente, se ne
allontanava facendo un largo gomito. Tutti e due questi fiumi erano
larghissimi.
E il treno andava sempre in giù, e gira da una parte e gira da un’altra,
dopo un lungo spazio di tempo, si fermò la seconda volta. Quivi molta
altra gente scese dal convoglio e passava essa pure sotto le Cordigliere
andando verso occidente.
[ Bosco indicò nella Repubblica Argentina la provincia di Mendoza.
Quindi la stazione era forse Mendoza, e quella galleria metteva a
Santiago, capitale della Repubblica del Cile].
Il treno riprese la sua corsa attraverso le Pampas e la Patago nia. I
campi coltivati e le case sparse qua e là indicavano che la civiltà
prendeva possesso di quei deserti.
Sul principio della Patagonia oltrepassammo una diramazione del Rio Colorado ovvero del Rio Chubut [ forse del Rio Negro?].
Non potevo vedere da qual parte andasse la sua corrente, se verso le
Cordigliere o verso l’Atlantico. Cercavo di sciogliere questo mio
problema, ma non potevo orizzontarmi.
Finalmente giungemmo allo stretto di Magellano. Io guardavo. Scendemmo.
Avevo innanzi Punta Arenas. Il suolo per varie miglia era tutto ingombro
di depositi di carbon fossile, di tavole, di travi, di legna, di mucchi
immensi di metallo, parte greggio, parte lavorato. Lunghe file di
vagoni per mercanzie stavano sui binari. Il mio amico mi accennò a tutte
queste cose. Allora domandai:
— E adesso che cosa vuoi dire con questo?
Mi rispose:
— Ciò che adesso è in progetto un giorno sarà realtà. Questi selvaggi in
futurp saranno così docili da venire esse stessi per ricevere
istruzione, religione, civiltà e commercio.
— Ho visto abbastanza — io conclusi —; ora conducimi a vedere i miei Salesiani in Patagonia.
Ritornammo alla stazione e risalimmo sul treno per tornare. Dopo aver
percorso un lunghissimo tratto di via, la macchina si fermò innanzi a un
borgo considerevole. [ forse sul grado 47, ove sul principio del sogno
avevo visto quel grosso nodo della corda]. Alla stazione non vi era
alcuno ad aspettarmi. Discesi e trovai subito i Salesiani. Vi erano
molte case con abitanti in gran numero; più chiese, scuole e vari ospizi
per giovanetti e adulti, artigiani e coltivatori, e un collegio di
ragazze che si occupavano in svariati lavori domestici. I nostri
missionari guidavano insieme giovanetti e adulti.
Io andai in mezzo a loro. Erano molti, ma io non li conoscevo e fra loro
non vi era alcuno degli antichi miei figli. Tutti mi guar davano
stupiti, come se fossi persona nuova, e io dicevo loro:
— Non mi conoscete? Non conoscete Don Bosco?
— Oh, Don Bosco! Noi lo conosciamo di fama; l’abbiamo vi sto solo nei ritratti. Di persona no, certo!
— E Don Fagnano, Don Costamagna, Don Lasagna, Don Milanesio, dove sono?
— Noi non li abbiamo conosciuti. Sono i primi Salesiani che arrivarono
in questi paesi dall’Europa. Ma oramai sono passati tanti anni da che
sono morti.
A questa risposta io pensavo meravigliato: Ma questo è un sogno o una
realtà? E battevo le mani una contro l’altra, mi toccavo le braccia, mi
scuotevo, mentre realmente udivo il suono delle mie mani e mi persuadevo
di non essere addormentato.
Questa visita fu cosa di un istante. Visto il meraviglioso progresso
della Chiesa Cattolica, della nostra Congregazione e della civiltà in
quelle regioni, io ringraziavo la Divina Provvidenza che si fosse
degnata di servirsi di me come strumento della sua gloria e della salute
di tante anime.
Il giovanetto Colle frattanto mi fece segno che era tempo di ri tornare
indietro: quindi salutai i miei Salesiani e ritornammo alla stazione,
ove il convoglio era pronto per la partenza. Risalimmo, fischiò la
macchina, e via verso il Nord.
Mi procurò meraviglia una novità che mi cadde sotto gli occhi. Il
territorio della Patagonia, nella parte più vicina allo stretto di
Magellano, tra le Cordigliere e l’Atlantico, era meno largo di quello
che si crede comunemente dai geografi.
Il treno avanzava nella sua corsa velocissima, e mi parve che
percorresse le province della Repubblica Argentina che ora sono già
civilizzate.
Per lunghissime ore si avanzò sulle sponde di un fiume larghissimo. E
ora il treno correva sulla sponda destra e ora sulla sinistra di questo.
Intanto su quelle rive comparivano di tratto in tratto numerose tribù
di selvaggi. Tutte le volte che vedevamo queste tribù, il giovanetto
Colle andava ripetendo:
— Ecco la messe dei Salesiani! Ecco la messe dei Salesiani!
Entrammo poi in una regione piena di animali feroci e di rettili
velenosi, di forme strane e orribili. Gli uni sembravano cani che
avessero le ali ed erano panciuti straordinariamente [ lussuria,
superbia]. Gli altri erano rospi grossissimi che mangiavano rane. Queste
varie specie di animali erano mischiati insieme e grugnivano sordamente
come se volessero mordersi. Il mio compagno mi rivolse anche qui la
parola e, accennandomi quelle belve, esclamò:
— I salesiani le renderanno mansuete.
Il treno intanto si avvicinava al luogo della prima partenza e ne
eravamo poco lontani. Il giovanetto Colle trasse allora fuori una carta
topografica di una bellezza stupenda e mi disse:
— Volete vedere il viaggio che avete fatto?
— Volentieri! — risposi io.
Allora spiegò quella carta nella quale era disegnata con esattezza
meravigliosa tutta l’America del Sud. Di più ancora, ivi era
rappresentato tutto ciò che fu, tutto ciò che è, tutto ciò che sarà in
quelle regioni, ma senza confusione; anzi con una lucidezza tale che con
un colpo d’occhio si vedeva tutto.
Mentre io osservavo quella carta, aspettando che il giovanetto
aggiungesse qualche spiegazione, essendo io tutto agitato per la
sorpresa di ciò che avevo sott’occhi, mi sembrò che Quirino [ sagrestano di Maria Ausiliatrice] suonasse l’Ave Maria dell’alba; ma,
svegliatomi, mi accorsi che erano i tocchi delle campane della
parrocchia di San Benigno. Il sogno era durato tutta la notte».
Don Bosco terminò il suo racconto dicendo:
«Con la dolcezza di San Francesco di Sales i Salesiani porte ranno a
Gesù Cristo le popolazioni dell’America. Sarà cosa difficilissima
moralizzare i selvaggi, ma i loro figli obbediranno con tutta facilità
alle parole dei Missionari, e con essi si fonderanno colonie, la civiltà
prenderà il posto della barbarie e cosi molti selvaggi verranno a far
parte dell’ovile di Gesù Cristo».
Parlando del sogno Don Bosco affermò: «Quando si conosceranno le immense
ricchezze che fanno preziosa la Patagonia, questo territorio avrà uno
sviluppo di commercio straordinario. Nel le gole dei monti stan nascoste
preziose miniere; nella catena delle Ande fra il grado 100 e il 20° vi
sono miniere di piombo, di oro e di cose ancor più preziose dell’oro».
Il valore di questo sogno sta nel fatto che in esso Don Bosco ci offre
un complesso di dati positivi, dei quali egli non poteva aver avuto
notizia né da viaggiatori nè da geografi, non essendosi ancora fatta
esplorazione di sorta in quelle estreme latitudini né a scopo turistico
nè con finalità economiche o scientifiche. A questi elementi se ne
aggiungono altri di natura profetica circa l’avvenire dell’Opera
Salesiana in quelle terre.
Interessante la descrizione che Don Bosco fa delle Cordigliere.
Da tutti si pensava che fossero un muro divisorio, una catena omogenea,
un cordone unico per elevazione e corso. In vece le esplorazioni e gli
studi posteriori a sogno hanno dimostrato che le Ande sono, come le
descrive Don Bosco, sezionate da numerosi e profondi seni, valli e
conche lacustri, e suddivise in gruppi di catene differenti tra loro per
caratteri geologici e orografici.
« Neppure il più autorevole cultore di studi geografici avrebbe potuto,
in quegli anni, lanciare un’affermazione tanto recisa e particolareggiata come fa Don Bosco; una sì chiara e precisa visione di
quei luoghi è dovuta senza dubbio a un potere che oltrepassa i limiti
umani» (E. Cena).
Quanto all’affermazione che straricche miniere di carbon fossi le, di
petrolio, di piombo e di metalli anche preziosi stanno nascoste nelle
viscere di quelle montagne, si sa che di anno in anno si vengono
scoprendo nuovi depositi di minerali in tutta la zona cordiglierana e
lungo la costa dell’Atlantico.
È noto che il 21 Aprile 1960 venne inaugurata nel Brasile la nuova
capitale Brasilia. Questa città è nata sotto l’egida e la protezione di
Don Bosco.
Quando, dopo lungo studio, se ne stabilì il luogo nello stato di Goids,
gli ingegneri, avendo sentito parlare di una profezia del Santo, la
vollero esaminare e si convinsero che egli ne faceva cenno nella sua
visione profetica, là dove indica i gradi di latitudine 19 e 20, in cui
sarebbe scorso latte e miele, vicino a un grande lago. Brasilia si trova
precisamente tra il 150 e il 200 grado di latitu dine, il lago è stato
creato artificialmente e la regione, per la ubertosità del terreno,
promette di diventare un giardino.
Miniere di petrolio si stanno scoprendo un po’ dappertutto, sicchè pare
proprio che questa nuova capitale sia destinata a diventare il centro di
una delle zone più ricche del Brasile.
A Don Bosco è stato dedicato un intero quartiere e intitolata una delle
vie principali; e nell’Aprile 1963 venne proclamato Patrono principale
di Brasilia, allo stesso titolo di Nostra Signora Aparecida.