Un misterioso convito
I sogni di don Bosco
San Giovanni Bosco

La notte dall’8 al 9 agosto del 1880 Don Bosco, trovandosi nel la sua
casa di San Benigno Canavese, ebbe questo sogno, che raccontò la sera
del 10 a tutta la comunità.
« Sognai — disse — di trovarmi in una grande sala sfarzosamente
illuminata. In essa vi erano molti giovani seduti intorno alle mense, ma
non mangiavano. Le posate, le tovaglie, i tovaglioli erano così bianchi
che i nostri più candidi, messi vicino a quelli, sembrerebbero sudici.
Posate, bicchieri, bottiglie, piatti erano tutti così lucenti e belli
che io sospettai di sognare e dicevo tra me:
— Ma io sogno! Mai più in San Benigno tante ricchezze! Pure sono qui e non sogno.
Intanto osservavo quei giovani che stavano a mensa, ma non mangiavano. Domandai:— Che cosa fanno lì che non mangiano?
Mentre dicevo questo, tutti si misero a mangiare. Io vedevo tanti
giovani e domandavo alla mia Guida che mi dicesse che cosa significasse
tutto quello, ed egli mi rispose:
— Sta’ attento e capirai tutto il mistero.
Mentre la Guida proferiva queste parole, comparve una luce ancor più
splendida e, con essa, una schiera di giovani belli come angeli, che
tenevano in mano un giglio; e si misero a passeggiare sopra la tavola
senza toccarla con i piedi. I commensali si alzarono e col sorriso sulle
labbra stavano osservando. Quegli angeli distribuivano gigli qua e là,
e coloro che li ricevevano si sollevavano anch’essi da terra, come se
fossero spiriti. Osservando i giovani che ricevevano i gigli, io li
conoscevo: essi apparivano così belli e risplendenti che non mi sarei
immaginato di trovare di meglio in paradiso. Domandai che cosa
significassero quei giovani che portavano il giglio; mi fu risposto:
— Non hai predicato tante volte la virtù della purezza?
— Sì — risposi —, la predicai e la insinuai tanto nel cuore dei miei giovani.
— Ebbene — ripigliò la Guida —, quelli che vedi col giglio in mano sono
appunto coloro che seppero conservarla.
Standomi pieno di meraviglia, vidi comparire un’altra schiera di giovani
che passeggiavano sulla tavola senza toccarla e aveva no in mano tante
rose e andavano distribuendole; e chi le riceveva acquistava uno
splendore bellissimo in volto.
Domandai alla mia Guida che cosa volesse significare quest’altra schiera di giovani che avevano le rose, ed egli mi rispose:
— Sono i giovani infiammati di amor di Dio.
Vidi allora che tutti avevano scritto sulla fronte a caratteri d’oro il
proprio nome; feci per prenderne nota, ma essi d’un tratto sparirono.
Con loro scomparve pure la luce, sicché io rimasi in una oscurità, che
però permetteva di vedere ancora alquanto. Vidi facce rosse come di
fuoco: erano quelli che non avevano ricevuto né il giglio nè le rose.
Vidi pure alcuni che si affaticavano attorno a una corda limacciosa
pendente dall’alto e si sforzavano di arrampicarsi e andare in alto; ma
la corda cedeva sempre e veniva giù un poco, di modo che quei poverini
erano sempre a terra con le mani e la persona infangata.
Meravigliato di vedere quello strano gioco, ne domandai il significato. Mi fu risposto:
— La corda è la confessione, alla quale chi sa bene attaccarsi arriverà
certamente al cielo; e questi sono i giovani che vanno ancora sovente a
confessarsi e si attaccano a questa corda per poter si innalzare, ma
vanno a confessarsi senza le disposizioni necessarie, con poco dolore e
con poco proponimento, e perciò non possono arrampicarsi; quella corda
si rompe sempre e non possono mai innalzarsi, ma scivolano giù e sono
sempre allo stesso piano.
Io volevo prendere il nome anche di quelli, ma ebbi appena il tempo di
scriverne due o tre, che essi sparirono dai miei occhi. Con essi sparì
pure quel po’ di luce e io rimasi in una totale oscurità.
In mezzo a quel buio vidi uno spettacolo ancor più desolante. Certi
giovani dall’aspetto tetro avevano attorcigliato al collo un gran
serpentaccio, che con la coda andava al cuore e sporgeva in nanzi la
testa e la posava vicino alla bocca del giovane, come per mordergli la
lingua, se mai aprisse le labbra. La faccia di quei giovani era così
brutta che mi faceva paura: gli occhi erano stravolti; la loro bocca era
torta ed essi erano in una posizione da mettere spavento. Tutto
tremante, ne domandai il significato, e mi fu detto:
— Non vedi? Il serpente antico stringe la gola con doppio giro a quegli
infelici per non lasciarli parlare in confessione, e con le fauci
avvelenate sta pronto, se aprono la bocca, per morderli. Poveretti! Se
parlassero, farebbero una buona confessione e il demonio non potrebbe
più far niente contro di loro. Ma per rispetto umano non parlano,
tengono i loro peccati sulla coscienza, torna no più e più volte a
confessarsi senza mai mettere fuori il veleno che racchiudono nel cuore.
Allora dissi alla mia Guida:
— Dammi il nome di tutti costoro affinché io possa ricordarli.
— Su, su, scrivi — mi rispose.
Mi posi a scrivere, ma ne scrissi pochi, perché tutti sparirono dai miei occhi. E la Guida mi disse:
— Va’, di’ ai tuoi giovani che stiano attenti e racconta loro ciò che hai visto.
— Dammi un segno — risposi —, affinché io possa persuadermi che questo
non è semplicemente un sogno, ma un avvertimento che il Signore vuol
darmi per i miei giovani.
— Bene — mi disse —, sta’ attento!
Allora ricomparve la luce e ricomparvero i giovani che avevano i gigli e
le rose. La luce cresceva a ogni istante, sicché potei osservare che
quei giovani erano tutti contenti: una gioia d’angeli splendeva sul loro
volto.
Osservavo con una meraviglia indescrivibile; intanto la luce cre sceva
sempre più e crebbe tanto che poi dette in una forte detona zione. A
quel fragore mi svegliai e mi trovai nel mio letto, tanto stanco che
ancora adesso mi risento di quella stanchezza».
Don Bosco concluse: «Ieri sera e anche quest’oggi ho voluto fare degli
esperimenti e, indagando, ho trovato che il mio sogno non era tutto un
sogno, e che soltanto una misericordia straordinaria del Signore può
salvare certi disgraziati».