Viaggio alla città del fuoco
I sogni di don Bosco
San Giovanni Bosco

La sera del 3 maggio 1868 Don Bosco ripigliò il racconto di quanto aveva visto nei sogni di quei giorni.
S’introdusse così: « Debbo raccontarvi un altro sogno che si può dire
conseguenza dei precedenti. Questi sogni mi lasciarono affranto in modo
da non poter più reggere. Vi ho detto di un rospo spaventevole che nella
notte del 17 aprile minacciava di ingoiarmi e che, al suo scomparire,
udii questa voce: “Perché non parli?”. Io mi volsi dalla parte donde era
partita la voce e vidi a fianco del mio letto un personaggio distinto
(la Guida).
— E che cosa devo dire? — gli chiesi.
— Ciò che hai visto e ti fu detto negli ultimi sogni e quel di più che ti sarà svelato la notte ventura».
Don Bosco continua dicendo che lo riempiva di terrore l’idea di dover
vedere ancora altri spettacoli paurosi e che non si decise di andare a
letto se non dopo la mezzanotte. Ed ecco che, appena addormentato, la
solita Guida si avvicina al suo letto e gli intima:
— Alzati e vieni con me.
Lo condusse in una pianura vastissima e arida, un vero deserto senza un
filo d’acqua. Fu un viaggio lungo e triste, anche se la strada per cui
si inoltrarono era bella, larga, spaziosa e ben selciata. La
fiancheggiavano due magnifiche siepi verdi coperte di bellissimi fiori. A
prima vista sembrava una strada pianeggiante, ma in realtà scendeva; e
Don Bosco e la Guida camminavano con una rapidità tale che sembrava loro
di volare.
«Dietro di noi — racconta Don Bosco — vidi tutti i giovani del
l’Oratorio con moltissimi compagni da me mai veduti. Mentre avanzavano,
vidi che or l’uno or l’altro cadevano ed erano immediatamente trascinati
da una forza invisibile verso una paurosa discesa, che s’intravedeva
in lontananza. Domandai alla mia Guida:
— Che cosa è che fa cadere questi giovani?
— Avvicinati un po’ di più.
Vidi allora che i giovani passavano fra molti lacci, alcuni stesi
rasente a terra, altri sospesi in aria all’altezza del capo. Erano quasi
invisibili, perciò molti giovani restavano presi a quei lacci: chi per
la testa, chi per il collo, chi per le mani, chi per un braccio, chi per
una gamba, chi per i fianchi. Non appena si stringeva il laccio,
venivano all’istante trascinati giù.
Volli esaminarne uno e lo tirai verso di me; ma non potendo smuoverlo,
decisi di seguire il filo fino al capo legato in qualche posto o tenuto
da qualcuno. Giunsi così sulla soglia di una orribile caverna e avendo
ancora dato uno strattone al filo, vidi uscire un brutto e grande mostro
che faceva ribrezzo. Con i suoi unghioni teneva l’estremità di una
fune, alla quale erano legati tutti quei lacci.
Impressionato da quella visione, ritornai presso la mia Guida, la quale mi disse:
— Ora sai chi è che trascina i giovani nel precipizio.
— Oh, sì che lo so! È il demonio che tende quei lacci per far cadere i miei giovani nell’inferno.
Mi accorsi allora che ogni laccio portava una scritta: superbia,
disubbidienza, invidia, impurità, furto, gola, accidia, ira, ecc. Notai
pure che i lacci che facevano maggiori vittime erano quelli
dell’impurità, della disubbidienza e della superbia. A quest’ultimo
erano legati gli altri due.
Molti giovani sapevano però fortunatamente evitare la presa del laccio;
altri poi se ne liberavano passando accanto a coltelli infissi nel
terreno, che tagliavano o rompevano il laccio. Erano simbolo della
Confessione, della preghiera e di altre virtù o devozioni. Due grandi
spade rappresentavano la devozione a Gesù Sacramentato e a Maria
Santissima».
A questo punto Don Bosco racconta che proseguì il cammino, sempre più
aspro, per una via che scendeva sempre più ripida e scoscesa, sparsa di
buche, di ciottoli e di macigni. Ed ecco comparire in fondo un edificio
immenso e tenebroso. Sopra una porta
altissima c’era una scritta spaventosa: «Qui non c’è redenzione». Erano
giunti alle porte dell’inferno.
— Guarda! — gli gridò a un tratto la Guida afferrandolo per un braccio.
«Tremante — afferma il Santo —, volsi gli occhi in su e vidi a gran
distanza uno che scendeva precipitosamente. Di mano in mano che
scendeva, riuscivo a distinguerne la fisionomia; era uno dei miei
giovani. I capelli scarmigliati, parte ritti sul capo, parte svolazzanti
indietro; le braccia tese in avanti, come per proteggersi nella caduta.
Voleva fermarsi e non poteva. Io volevo correre ad aiutarlo, a
porgergli una mano salvatrice, ma la Guida non me lo permise:
— Credi — mi disse — di poter fermare uno che fugge dall’ira di Dio?
Intanto quel giovane, guardando indietro con occhi folli di terrore,
andò a sbattere contro la porta di bronzo, che si spalancò. Dietro di
essa se ne aprirono contemporaneamente, con un lungo boato assordante,
due, dieci, cento, mille altre, spinte dall’urto del giovane,
trasportato come da un turbine invisibile, irresistibile, velocissimo.
Tutte quelle porte di bronzo per un istante rimasero aperte, e io vidi
in fondo, lontanissimo, come una bocca di fornace, e da quella voragine,
mentre il giovane sprofondava, sollevarsi globi di fuoco. Le porte
tornarono a chiudersi con la stessa rapidità con la quale si erano
aperte. Ed ecco precipitare altri tre giovani delle nostre case, che
rotolavano rapidissimi come tre macigni, uno dietro l’altro. Avevano le
braccia aperte e urlavano per lo spavento. Giunsero in fondo e andarono a
sbattere contro la prima porta che si aperse, e dietro di essa le altre
mille.
Molti altri caddero. Un poveretto venne spinto a urtoni da un perfido
compagno. Io li chiamavo affannosamente, ma essi non mi udivano.
— Ecco una causa principale di tante dannazioni! — esclamò la mia Guida
—. I compagni, i libri cattivi, le abitudini perverse.
Vedendone cadere tanti, esclamai con accento disperato:
— Ma dunque è inutile che noi lavoriamo nei nostri collegi, se tanti giovani fanno questa fine!
La Guida rispose:
— Questo è il loro stato attuale e se morissero verrebbero senz’altro qui».
In quel momento Don Bosco vide precipitare un altro gruppo di giovani e quelle porte restarono aperte per un istante.
— Vieni dentro anche tu — gli disse la Guida —; imparerai tante cose.
Entrarono in quello stretto e orribile corridoio e giunsero a un tetro e
brutto sportello sul quale era scritto: «Ibuni impii in ignem aeternum»
(gli empi andranno al fuoco eterno).
La Guida prese per mano Don Bosco, aperse lo sportello e lo introdusse.
«Lo spettacolo che mi si offerse — racconta Don Bosco — mi gettò in
preda a un terrore indescrivibile. Una specie di immensa caverna andava
perdendosi in anfrattuosità incavate nelle viscere dei monti, tutte
piene di fuoco, non già come noi lo vediamo sulla terra con le fiamme
guizzanti, ma tale che tutto là dentro era arroventato e bianco per il
grande calore. Mura, volta, pavimento, ferro, pietre, legno, carbone,
tutto era bianco e smagliante. Certo quel fuoco sorpassava mille e mille
gradi di calore; e non inceneriva nulla, non consumava nulla. Mi
mancano le parole per descrivervi quella spelonca in tutta la sua
spaventosa realtà.
Mentre guardavo atterrito, ecco da un varco venire a tutta furia un
giovane che, mandando un urlo acutissimo, precipita nel mezzo, si fa
bianco come tutta la caverna, e resta immobile, mentre risuona ancora
per un istante l’eco della sua voce morente. Pieno di orrore guardai
quel giovane e mi parve uno dell’Oratorio, uno dei miei figliuoli.
— Ma costui non è uno dei miei giovani, non è il tale? — chiesi alla Guida.
— Purtroppo sì — mi rispose.
Dopo questo arrivarono altri, e il loro numero aumentava sempre più, e
tutti mandavano lo stesso grido e diventavano immobili, arroventati,
come coloro che li avevano preceduti.
Cresceva in me lo spavento e chiesi alla mia Guida:
— Ma costoro non lo sanno che vengono qui?
— Oh, sì che lo sanno di andare al fuoco eterno; furono avvisati mille
volte, ma cadono qui, e volontariamente, per il peccato che non vollero
abbandonare. Essi disprezzarono e respinsero la misericordia di Dio, che
li chiamava incessantemente a pentimento.
— Quale deve essere la disperazione di questi disgraziati che non hanno più speranza di uscirne! — esclamai.
Allora la Guida mi ordinò:
— Ora bisogna che vada anche tu in mezzo a quella regione di fuoco che hai visto!
— No, no! — risposi esterrefatto —. Per andare all’inferno bisogna prima
andare al giudizio di Dio, e io non fui ancora giudicato. Dunque non
voglio andare all’inferno!
— Dimmi — osservò la Guida —: ti pare meglio andare all’inferno e
liberare i tuoi giovani, oppure startene fuori e lasciarli tra tanti
strazi?
Sbalordito a questa proposta, risposi:
— Oh, i miei giovani io li amo molto e li voglio tutti salvi. Ma non
potremmo fare in modo da non andare là dentro, né io né gli altri?
— Eh — mi rispose la Guida —, sei ancora in tempo, e lo sono essi pure, purché tu faccia tutto quello che puoi.
Il mio cuore si allargò e dissi subito:
— Poco importa il lavorare, purché io possa liberare da quei tormenti questi miei cari figliuoli.
— Dunque vieni dentro — proseguì la Guida.
Mi prese per mano per introdurmi nella caverna. Mi trovai subito in una
grande sala con porte di cristallo. Su queste pendevano larghi veli, i
quali coprivano altrettanti vani comunicanti con la caverna. La Guida mi
indicò uno di quei veli sul quale era scritto: “Sesto Comandamento”, ed
esclamò:
— La trasgressione di questo: ecco la causa della rovina eterna di tanti giovani.
— Ma non si sono confessati?
— Si sono confessati, ma le colpe contro la purezza le hanno confessate
male o le hanno taciute affatto. Vi sono di quelli che ne hanno commesso
una nella fanciullezza ed ebbero sempre vergogna a confessarla; altri
non ebbero il dolore e il proponimento. Anzi taluni, invece di far
l’esame, studiavano il modo di ingannare il confessore. E ora vuoi
vedere perché la misericordia di Dio ti ha condotto qui?
Alzò il velo e io vidi un gruppo di giovani dell’Oratorio che conoscevo,
condannati per quella colpa. Fra essi ce n’erano di quelli che ora
tengono buona condotta.
— Che cosa devo dir loro per aiutarli a salvarsi?
— Predica dappertutto contro l’impurità.
Vedemmo allo stesso modo altri giovani condannati per altri peccati. Poi
la Guida mi fece uscire da quella sala. Attraversato in un attimo quel
lungo corridoio d’entrata, prima di lasciare la soglia dell’ultima porta
di bronzo, si volse di nuovo a me ed esclamò:
— Adesso che hai veduto i tormenti degli altri, bisogna che anche tu provi un poco l’inferno. Prova a toccare questa muraglia.
Io non ne avevo il coraggio e volevo allontanarmi, ma egli mi trattenne dicendo:
— Eppure bisogna che tu provi!
Mi afferrò risolutamente il braccio e mi trasse vicino al muro continuando a dire:
— Una volta sola toccala, almeno per poter capire che cosa sarà
dell’ultima muraglia, se così terribile è la prima. Vedi questo muro? È
il millesimo prima di giungere dov’è il vero fuoco dell’inferno. Sono
mille i muri che lo circondano. Ogni muro è di mille misure di spessore e
distano l’uno dall’altro mille miglia; è distante quindi un milione di
miglia dal vero fuoco dell’inferno, e per ciò è un minimo principio
dell’inferno stesso.
Ciò detto, afferrò la mia mano, l’aperse per forza e me la fece battere
sulla pietra di quest’ultimo millesimo muro. In quell’istante sentii un
bruciore così intenso e doloroso che, balzando indietro e mandando un
fortissimo grido, mi svegliai.
Mi trovai seduto sul letto, e sembrandomi che la mia mano mi bruciasse,
la stropicciavo con l’altra per far passare quella sensazione. Fattosi
giorno, osservai che la mano era realmente gonfia e in seguito la pelle
della palma della mano si staccò e si cambiò».
Don Bosco concluse: «Notate che io non vi ho detto queste cose in tutto
il loro orrore, nel modo come le vidi e come mi fecero impressione, per
non spaventarvi troppo. Per più notti in appresso non ho più potuto
addormentarmi a causa dello spavento pro vato».
C’è chi, per non urtare la sensibilità moderna, fa del Vangelo un
‘antologia dolciastra, scegliendo i passi da cui risulta la bontà
infinita di Dio ed eliminando quelli che parlano della sua giustizia,
pure infinita. Ma « Cristo ieri, oggi e nei secoli». E Gesù non ha fatto
così; la Madonna a Fatima non ha fatto così; Don Bosco non ha fatto
così. Lo Spirito Santo presenta i «Novissimi» come efficace antidoto
contro il peccato: «Ricorda le tue ultime realtà (morte, giudizio,
inferno, paradiso), e non peccherai in eterno » (Siracide 7,36).