Visioni di cielo
I sogni di don Bosco
San Giovanni Bosco

Sul finire del maggio 1867 Don Bosco fece un sogno, nel quale ebbe la gioia di godere visioni di cielo.
Gli parve di trovarsi in una pianura che si estendeva a vista d’occhio.
In essa un numero sterminato di grosse pecore, divise in greggi,
pascolavano in vasti prati. Don Bosco rivolse varie domande al pastore,
che rispose:
— Tu non sei destinato per loro; ti condurrò io a vedere il gregge del quale devi prenderti cura.
— Ma tu chi sei? — chiese Don Bosco.
— Sono il Padrone; vieni con me.
E lo condusse in un altro punto della pianura dove erano migliaia e
migliaia di agnellini, così magri che camminavano a stento. Il prato era
secco, arido e sabbioso, senza un filo d’erba fresca, senza un
ruscello. Ogni pascolo era stato interamente distrutto dagli stessi
agnelli. Si vedeva a prima vista che quei poveri agnelli, coperti di
piaghe, avevano molto sofferto e soffrivano ancora. Don Bosco chiese
spiegazione, e il Pastore lo compiacque e disse:
— Ascolta e saprai tutto. Quella pianura è il mondo. I pascoli verdi la
Parola di Dio e la grazia. I luoghi sterili e aridi sono quelli in cui
non si ascolta la Parola di Dio e si cercano i piaceri del mondo. Le
pecore sono gli uomini fatti, gli agnellini sono i giovani, e per questi
Dio ha mandato Don Bosco. Questo luogo così arido figura lo stato di
peccato.
Don Bosco continua: « Mentre io ascoltavo e osservavo ogni cosa, ecco
nuova meraviglia. Tutti quegli agnelli cambiarono aspetto. Alzatisi
sulle gambe posteriori, tutti presero la forma di altrettanti
giovanetti. Io mi avvicinai per vedere se ne conoscessi alcuno. Erano
tutti giovani dell’Oratorio. Moltissimi io non li avevo mai veduti, ma
tutti si dichiaravano figli del nostro Oratorio.
Mentre con pena osservavo quella moltitudine, il Pastore mi disse:
— Vieni con me e vedrai altre cose.
E mi condusse in un angolo remoto della valle, circondato da collinette,
cinto da una siepe di piante rigogliose, con un grande prato
verdeggiante, ripieno di ogni sorta di erbe odorose, sparso di fiori
campestri, con freschi boschetti e correnti di limpide acque. Qui trovai
un altro grandissimo numero di giovani, tutti allegri, i quali con i
fiori del prato si erano formati una vaghissima veste.
— Almeno hai costoro che ti danno grandissima consolazione.
— E chi sono? — interrogai.
— Sono quelli che si trovano in grazia di Dio.
Ah! Io posso dire di non avere mai veduto persone così belle e splendenti, né mai avrei potuto immaginare tali splendori.
Mi era però riservato uno spettacolo assai più sorprendente.
— Vieni, vieni con me — mi disse la Guida — e ti farò vedere una scena
che ti darà una gioia e una consolazione maggiore. E mi condusse in un
altro prato smaltato di fiori più vaghi e più odorosi dei già veduti.
Aveva l’aspetto di un giardino princi pesco. Qui si scorgeva un numero
di giovani non tanto grande, ma che erano di così straordinaria bellezza
e splendore da far scom parire quelli da me ammirati poc’anzi. Alcuni
sono già qui all’Oratorio, altri verranno più tardi.
— Costoro — mi disse il Pastore — sono quelli che conservano il bel
giglio della purezza. Questi sono ancora vestiti della stola
dell’innocenza.
Io li guardavo estatico. Quasi tutti portavano in capo una corona di
fiori di indescrivibile bellezza. Questi fiori erano composti di altri
piccolissimi fiorellini di una gentilezza sorprendente e i loro colori
erano di una vivezza e varietà che incantavano. Più di mille colori in
un sol fiore, e in un sol fiore si vedevano più di mille fiori. Scendeva
ai loro piedi una veste di una bianchezza smagliante, anch’essa tutta
intrecciata di ghirlande di fiori, simili a quelli della corona. La luce
incantevole che partiva da quei fiori rivestiva tutta la persona e
specchiava in essa la propria gaiezza.
I fiori si riflettevano l’uno negli altri, e quelli delle corone in
quelli delle ghirlande, riverberando ciascuno i raggi che erano emessi
dagli altri. Un raggio di un colore, rifrangendosi con un raggio di un
altro colore, formava raggi nuovi, diversi, scintillanti; quindi a ogni
raggio si riproducevano sempre nuovi raggi, sicché io non avrei mai
potuto credere esservi in paradiso un incanto così molteplice. Ciò non è
tutto. I raggi e i fiori della corona degli uni si specchiavano nei
raggi e nei fiori della corona di tutti gli altri; così pure le
ghirlande e la ricchezza della veste degli uni si riflettevano nelle
ghirlande e nelle vesti degli altri. Gli splendori poi del viso di un
giovane, rimbalzando, si fondevano con quelli del volto dei compagni e,
riverberandosi centuplicati su tutte quelle innocenti e rotonde faccine,
producevano tanta luce da abbagliare la vista e impedire di fissarvi lo
sguardo.
Così in uno solo si accumulavano le bellezze di tutti i compagni con un’armonia di luce ineffabile. Era la gloria dei santi.
Non vi è nessuna immagine umana per descrivere anche languida mente
quanto divenisse bello ciascuno di quei giovani in mezzo a quell’oceano
di splendori. Fra questi ne osservai alcuni in parti colare che adesso
sono qui nell’Oratorio, e sono certo che se po tessero vedere almeno la
decima parte della loro attuale bellezza, sarebbero pronti a soffrire il
fuoco, a lasciarsi tagliare a pezzi, ad andare insomma incontro a
qualunque più atroce martirio, piuttosto che perderla.
Appena potei riavermi alquanto da quel celeste spettacolo, mi volsi al
Pastore e gli dissi:
— Ma dunque, fra tanti miei giovani, sono così pochi gli innocenti? Sono
così pochi coloro che non hanno mai perduto la grazia di Dio?
Mi rispose:
— Non ti pare abbastanza grande questo numero? Del resto quelli che
hanno avuto la disgrazia di perdere il bel giglio della purezza, e con
questo l’innocenza, possono ancora seguire i loro compagni nella
penitenza. Vedi là? In quel prato si trovano ancora molti fiori; ebbene
essi possono tessersi una corona, una veste bellissima e seguire gli
innocenti nella gloria.
— Suggeriscimi ancora — io soggiunsi — qualche cosa da dire ai miei giovani.
— Ripeti ai tuoi giovani che se essi conoscessero quanto sono preziose e
belle agli occhi di Dio l’innocenza e la purezza, sarebbero disposti a
fare qualunque sacrificio per conservarle. Di’ loro che si facciano
coraggio a praticare questa candida virtù, perché i casti sono quelli
che crescunt tanquam lilia in conspectu Domini (crescono come gigli al
cospetto di Dio)».
Don Bosco conclude il suo racconto dicendo che, attratto dallo splendore
di quei giovani, volle slanciarsi in mezzo a loro, ma inciampò nel
terreno e si svegliò. Due giorni dopo, tornò a parlare del sogno e, tra
l’altro, disse:
« Uno mi domandò se era fra gli innocenti, e io gli dissi di no. Mi
domandò ancora se aveva delle piaghe e io gli dissi di sì.
— E cosa significano quelle piaghe? — egli soggiunse.
— Non temere — risposi —, sono rimarginate, spariranno; queste piaghe
ora non sono più disonorevoli, come non sono disonorevoli le cicatrici
di un combattente, il quale, malgrado le tante ferite e l’incalzare del
nemico, seppe vincere e riportare vittoria. Sono dunque cicatrici
onorevoli!.... Ma è più onorevole chi, combattendo valorosamente in
mezzo ai nemici, non riporta nessuna ferita. La sua incolumità eccita la
meraviglia di tutti»