Il trattato del Purgatorio
Santa Caterina da Genova
Santa Caterina da Genova

1. Quest' anima santa ancora in carne, trovandosi posta nel Purgatorio
dell' affocato divino Amore, il quale tutta la bruciava e purificava di
quanto era in lei da purificare, acciocché, passando di questa vita,
potesse esser presentata innanzi al cospetto del suo dolce Amore Iddio,
per mezzo di questo amoroso fuoco, comprendeva nell' anima sua come
stavano l' anime de' fedeli nel luogo del Purgatorio, per purgare ogni
ruggine e macchia di peccato, che in questa vita ancora non avessero
purgato. E così come essa posta nel Purgatorio amoroso del divin fuoco
stava unita a esso divino Amore, e contenta di tutto quello ch' egli in
lei operava, così comprendeva delle anime che sono nel Purgatorio. E
diceva:
2. L' anime che sono nel Purgatorio (secondo che mi par comprendere)
non possono avere altra elezione che di essere in esso luogo; e questo è
per l' ordinazione di Dio, il quale ha fatto questo giustamente.
Né si possono più voltare verso se stesse, né dire: Io ho fatto tali
peccati per li quali merito di star qui. Né possono dire: Io non li
vorrei aver fatti, perché me n' andrei ora in Paradiso. Né dire: Quegli
n' esce più presto di me; ovvero: Io n' uscirò più presto di quello. Non
possono avere alcuna memoria propria, né d' altri parimente, in bene o
in male, che in loro faccia maggior afflizione del suo ordinario. Ma
hanno un tanto contento di essere nell' ordinazione di Dio, e ch' egli
adoperi tutto quello che gli piace, e come gli piace, che di lor
medesime non possono pensare con maggior loro pena. E solamente veggono
l' operazione della divina bontà, la quale ha tanta misericordia all'
uomo per condurlo a sé, che di pena o di bene che possa accadere in
proprietà, non si può da esse niente vedere; e se'l potesser vedere, non
sarebbero in carità pura. Non possono vedere altresì che sieno in
quelle pene per li loro peccati, e non possono tener quella vista nella
mente; imperciocché ciò sarebbe una imperfezione attiva, la qual non può
essere in detto luogo, perché non vi si può attualmente più peccare. La
causa del Purgatorio che hanno in loro, la veggono una sol volta nel
passare di questa vita: e poi mai più non la veggono; perché altrimenti
vi sarebbe una proprietà.
3. Essendo perciò quell' anime in carità, e da quella non potendo più
deviare con attual difetto, non possono più volere né desiderare se non
il puro volere della pura carità; ed essendo in quel fuoco purgatorio,
sono nell' ordinazione divina. La qual' è carità pura; e non possono più
in alcuna cosa da quella deviare, perché son private così di
attualmente peccare, come il sono di attualmente meritare.
4. Non credo che si possa trovar contentezza da comparare a quella di
un' anima di Purgatorio, eccetto quella de' Santi del Paradiso. E questa
contentezza cresce ogni giorno, per l' influsso di Dio in esse anime;
il quale va crescendo siccome va consumando l' impedimento dell'
influsso. La ruggine del peccato è l' impedimento; e il fuoco va
consumando la ruggine: e così l'anima sempre più si va discoprendo al
divino influsso. Siccome appunto una cosa coperta non può corrispondere
alla riverberazione del sole, non per difetto del sole, che di continuo
luce, ma per l' opposizione della copertura, se si consumerà dunque la
copertura, si discoprirà la cosa al sole. E tanto più corrisponderà alla
riverberazione, quanto la copertura più s' andrà consumando. Così la
ruggine (cioè il peccato) è la copertura delle anime; e nel Purgatorio
si va consumando per lo fuoco; e quanto più si consuma, tanto sempre più
corrisponde al vero sole Iddio. Però tanto cresce la contentezza,
quanto manca la ruggine, e si discopre l' anima al divin raggio. E così
l' un cresce e l' altro manca, sin che sia finito il tempo. Non manca
però la pena, ma solo il tempo di stare in essa pena. E per quanto s'
aspetta alla volontà di quell' anime, esse non possono mai dire che
quelle pene sien pene: tanto si contentano dell' ordinazione di Dio,
colla quale è unita la lor volontà in pura carità.
5. Dall' altra parte poi hanno una pena tanto estrema, che non si
trova lingua che il possa narrare, né intelletto che possa capirne una
minima scintilla, se Dio non gliela mostrasse per grazia speciale. La
quale scintilla Dio per grazia la mostrò a quest'anima; ma colla lingua
io non la posso esprimere. E questa vista che mi mostrò il Signore, mai
più non s' è partita dalla mia mente. Io ve ne dirò quello ch' io potrò;
e intenderanno quelli a quali il Signore si degnerà l' intelletto
aprire.
6. Il fondamento di tutte le pene si è il peccato, originale od
attuale. Dio ha creata l' anima pura, semplice, e netta d'ogni macchia
di peccato, con un certo istinto beatifico verso di lui; dal quale
istinto il peccato originale, ch' essa trova, l' allontana. Poi quando
vi si aggiunge l'attuale, ancora più ella se ne allontana; e, quanto più
se ne discosta, tanto più diventa maligna; imperciocché Dio meno le
corrisponde. E perché tutte le bontà che possano essere, sono per
participazione di Dio. Il quale corrisponde nelle creature irrazionali,
come vuole e come ha ordinato, e non manca loro mai; all' anima poi
razionale corrisponde più e meno, secondo che la trova purificata dall'
impedimento del peccato. Perciò, quando si trova un' anima che si
accosti alla sua prima creazione pura e netta, quell' istinto beatifico
se le va discoprendo, e crescendo tuttavia, con tanto impeto, e con tal
veemenza di fuoco di carità (il quale la tira al suo ultimo fine) che le
par cosa insopportabile l' essere impedita, e quanto più vede, tanto l'
è più estrema pena.
7. E perché l' anime, che sono nel Purgatorio, sono senza colpa di
peccato, perciò non hanno impedimento tra Dio e loro, se non quella
pena, la quale le ha ritardate, sicché l' istinto non ha potuto aver la
sua perfezione. Così veggendo esse per certezza quanto importi ogni
minimo impedimento, ed esser per necessità di giustizia ritardato esso
istinto, quindi nasce in loro un estremo fuoco, simile a quello dell'
Inferno, se si eccettui la colpa, la qual' è quella che fa la volontà
maligna a' dannati dell' Inferno, a' quali Dio non corrisponde colla sua
bontà. E perciò essi restano in quella disperata maligna volontà contra
la volontà di Dio.
8. Quindi vedesi esser manifesto, che la perversa volontà contra la
volontà di Dio è quella che fa la colpa e, perseverando la mala volontà,
persevera la colpa. E, per esser quelli dell' Inferno passati da questa
vita colla mala volontà, la loro colpa non è rimessa, né si può
rimettere; perché più non si possono mutare di volontà, poiché con
quella son passati da questa vita. Nel qual passo si stabilisce l' anima
in bene o in male, come si trova colla volontà deliberata; siccom' è
scritto: Ubi te invenero, cioè, nell' ora della morte, con qual volontà, o di peccare o malcontento e pentito del peccato, ibi te iudicabo .
Al qual giudizio non è poi remissione, imperciocché, dopo la morte, la
libertà del libero arbitrio non è più convertibile, ma sta fermata in
quello, in ch' ella si trova al punto della morte. Quelli dell' Inferno,
per esser trovati al punto della morte colla volontà di peccare, hanno
con seco la colpa infinitamente, e la pena. Non però tanta quanta
meritano, ma pur quella che hanno è senza fine. Ma quelli del Purgatorio
han solamente la pena, perciocché la colpa fu cancellata nel punto
della morte, essendo stati essi trovati malcontenti e pentiti de' lor
peccati. E così essa pena è finita, e va sempre mancando, quanto al
tempo, com' è detto. Oh miseria sopra ogni miseria! E tanto più quanto
non è considerata dall' umana cecità.
9. La pena de' dannati non è già infinita in quantità, imperciocché la
dolce bontà di Dio spande il raggio della sua misericordia ancora nell'
Inferno. Perché l' uomo, morto in peccato mortale, merita pena
infinita, e tempo infinito di essa pena. Ma la misericordia di Dio ha
fatto solo il tempo della pena infinito, e la pena terminata in
quantità: imperciocché giustamente gli avrebbe potuto dar molto maggior
pena che non gli ha dato. Oh quanto è pericoloso il peccato fatto con
malizia! Perché l' uomo con difficoltà se ne pente; e non pentendosi
esso, sempre sta la colpa; la quale tanto persevera, quanto l' uomo sta
nella volontà del peccato commesso, o di commetterlo.
10. Ma l' anime del Purgatorio hanno in tutto conforme la lor volontà
con quella di Dio. E però Dio corrisponde loro colla sua bontà, ed esse
restan contente, quanto per volontà, e purificate dal peccato originale
ed attuale, quanto alla colpa. Restan così purificate quell' anime come
quando Dio le creò. E per esser passate da questa vita malcontente e
confessate di tutti i loro peccati commessi, con volontà di più non
commetterne, Iddio subito perdona loro la colpa; e non resta loro se non
la ruggine del peccato, della quale poi si purificano nel fuoco con
pena. E così, purificate d' ogni colpa e unite a Dio per volontà,
veggiono chiaramente Dio secondo il grado ch' egli fa lor conoscere; e
veggiono ancora quanto importi la fruizione di Dio, e che l' anime sono
state create a questo fine. Trovano ancora una tanta conformità unitiva
con esso lor Dio, la qual tira tanto a sé (per l' istinto naturale dell'
anima verso Dio), che non possono addursi ragioni, figure od esempi che
sieno sufficienti a chiarir questa cosa, in quel modo che la mente la
sente in effetto e comprende per interior sentimento. Nondimeno io ne
dirò uno, che alla mente mi s' appresenta.
11. Se, in tutto il mondo, non vi fosse se non un pane, il qual
dovesse levar la fame a tutte le umane creature, e che solamente
veggendolo, le creature si saziassero; avendo l' uomo per natura, quando
è sano, istinto di mangiare, se non mangiasse, e non si potesse
infermare né morire, quella fame sempre crescerebbe; perché l' istinto
di mangiare mai non gli manca. E sapendo l' uomo allora, che solo il
detto pane il può saziare, e, non avendolo, la fame non si potrebbe
levare, e perciò resterebbe l' uomo in pena intollerabile. Ma quanto più
se gli avvicinasse non potendolo vedere, tanto più in lui s'
accenderebbe il desiderio naturale, il quale per suo istinto sarebbe
tutto raccolto verso esso pane, dove consisterebbe tutto il contento
suo. E se fosse certo di non aver giammai a vedere il pane, in quel
punto avrebbe l' Inferno compito, a somiglianza dell' anime dannate, le
quali son prive d' ogni speranza di mai poter vedere il pane Dio, vero
Salvatore. Ma l' anime del Purgatorio hanno speranza di veder esso pane,
e in tutto saziarsene. Perciò tanto solamente patiscono fame, e tanto
stanno in pena, quanto staranno a potersi saziare di quel pane, Gesù
Cristo, vero Dio Salvatore, Amor nostro.
12. Siccome lo spirito netto e purificato non trova luogo, eccetto
Dio, per suo riposo, per essere stato a questo fine creato, così l'
anima in peccato non ha altro luogo se non l' Inferno, avendole ordinato
Dio quel luogo per fin suo. Però, in quell' istante che lo spirito vien
separato dal corpo, l' anima va all' ordinato luogo suo senz' altra
guida, eccetto quella che ha la natura del peccato; partendosi però l'
anima dal corpo in peccato mortale. E se l' anima non trovasse in quel
punto quella ordinazione, procedente dalla giustizia dì Dio, rimarrebbe
in maggiore Inferno che non è quello, per ritrovarsi fuori di essa
ordinazione, la quale partecipa della divina misericordia, perché non dà
all' anime condannate tanta pena, quanta esse meritano. Perciò, non
trovando luogo più conveniente, né di minor male per loro, spinte dall'
ordinazione di Dio, vi si gettan dentro, come nel suo proprio luogo.
13. Così, al proposito nostro del Purgatorio, l' anima separata dal
corpo, la quale non si trova in quella nettezza in cui fu creata,
veggendosi avere l' impedimento, e che non le può esser levato, se non
per mezzo del Purgatorio, presto vi si getta dentro, e volentieri. Che
se non trovasse questa ordinazione atta a levarle quell' impaccio, in
quell'istante in lei si genererebbe un Inferno peggiore del Purgatorio,
veggendo essa di non poter giungere (per l' impedimento) al suo fine
Dio. Il quale tanto importa che, in comparazione di un tal fine, il
Purgatorio non è da stimare: benché, siccome si è detto, sia simile all'
Inferno. Ma in quella comparazione è quasi niente.
14. Più ancora dico. Ch' io veggio, quanto per parte di Dio, il
Paradiso non abbia porta: ma chi vuole entrare vi entra, perché Dio è
tutto misericordia, e sta verso noi colle braccia aperte per riceverne
nella sua gloria. Ma ben veggio, altresì, quella divina essenza esser di
tanta (e molto più che immaginar si possa) purità e nettezza, che l'
anima, la quale in sé abbia tanta imperfezione quanto sarebbe un minimo
bruscolo, si getterebbe più presto in mille Inferni, che trovarsi in
presenza della divina maestà con quella macchia. E perciò, veggendo essa
il Purgatorio ordinato per levarle esse macchie, vi si getta dentro; e
le par trovare una gran misericordia, per potersi levare quell'
impedimento.
15. Di quanta importanza sia il Purgatorio, né lingua il può
esprimere, né mente capire; se non ch' io il veggio essere di tanta pena
come l' Inferno. E nientedimeno, io veggio l' anima, la qual' in sé
sente una minima macchia d' imperfezione, riceverlo per misericordia
(come si è detto), non facendone in un certo modo stima, in comparazione
di quella macchia impeditiva del suo amore. E parmi vedere la pena
dell' anime del Purgatorio esser più per vedersi avere in sé cosa che
dispiaccia a Dio, e averla fatta volontariamente contra tanta bontà, che
per niun altro tormento che sentano in esso Purgatorio. Questo è
perché, essendo quell' anime in grazia, veggiono la verità e l'
importanza dell' impedimento, il quale non le lascia approssimare a Dio.
16. Tutte queste cose, che si son dette per comparazione di quello ch'
io ne son certificata nella mente mia (per quanto io n' ho potuto
comprendere in questa vita), son di tanta estremità, che ogni vista,
ogni parola, ogni sentimento, ogn' immaginazione, ogni giustizia, ogni
verità, mi paion bugie, e cose da niente. Resto ancora confusa, per non
saper trovare vocaboli più estremi. Io veggio sì gran conformità di Dio
coll' anima, che quando egli la vede in quella purità in cui Sua Maestà
la creò, le dà un certo modo attrattivo d' affocato amore, sufficiente
per annichilarla, bench' ella sia immortale. E la fa stare tanto
trasformata in sé suo Dio, che non si vede esser altro che Dio, il qual
continuamente la va tirando e affocando, né mai la lascia, sin che l'
abbia condotta a quell' essere nel qual' è uscita dalle mani di lui,
cioè in quella pura nettezza che fu creata.
17. Quando l' anima, per interior vista, si vede così da Dio tirare
con tanto amoroso fuoco, allora per quel calore dell' affocato amore del
suo dolce Signore e Dio, che sente ridondare nella sua mente, tutta si
liquefà. Veggendo poi nel divin lume siccome Dio non cessa mai di
tirarla e condurla all' intera sua perfezione, con tanta cura e continua
provvisione; che il fa solo per puro amore; ed essa, per aver l'
impedimento del peccato, non poter seguire quell' attrazione fatta da
Dio, cioè quell' unitivo sguardo che Dio le ha dato per tirarla a sé;
veggendo ancora quanto le importi l' esser ritardata da non poter vedere
il divin lume: aggiuntovi l' istinto dell' anima la qual vorrebbe esser
senza impedimento, per esser tirata da esso unitivo sguardo: dico, la
vista delle predette cose esser quella che genera all' anime la pena la
quale hanno nel Purgatorio. Non che facciano stima della lor pena
(benché sia però grandissima), ma fanno più stima assai dell'
opposizione che si trovano aver contra la volontà di Dio, il quale
veggiono chiaramente acceso d' un estremo e puro amore verso di loro.
Questo amore, con quell' unitivo sguardo, tira sì forte di continuo,
come se altro che questo non avesse a fare. Perciò l' anima, questo
veggendo, se trovasse un altro Purgatorio sopra quello, per potersi
levar più presto tanto impedimento, ben tosto visi getterebbe dentro,
per l' impeto di quell' amor conforme tra Dio e l' anima.
18. Veggio, ancora, procedere da quel divino amore verso l' anima
certi raggi e lampi affocati, tanto penetranti e forti, che pare debbano
annichilare non solo il corpo, ma ancor essa anima, se fosse possibile.
Questi raggi fanno due operazioni: per la prima purificano; colla
seconda annichilano. Vedi l' oro: quanto più tu il fondi, tanto più
divien migliore: e tanto il potresti fondere, che annichileresti in esso
ogn' imperfezione. Questo effetto fa il fuoco nelle cose materiali. Ma
l' anima non si può annichilare in Dio, ma sibbene in se stessa: e
quanto più la purifichi, tanto più in essa l' annichili; ed al fine in
Dio resta purificata. L' oro quando è purificato per fino a ventiquattro
carati, non si consuma poi più, per fuoco che tu gli possa dare; perché
non si può consumare se non la sua imperfezione. Così fa il divin fuoco
nell' anima. Dio la tiene tanto al fuoco, che le consuma ogn'
imperfezione e la conduce alla perfezione di ventiquattro carati (ognuno
però in suo grado): e quando ella è purificata, resta tutta in Dio,
senza alcuna cosa in sé propria. Ed il suo esser è Dio. Il quale, quando
ha condotta a sé l' anima così purificata, allora ella resta
impassibile, perché più non le resta da consumare. E se, pur così
purificata, ella fosse tenuta al fuoco, questo non le sarebbe penoso;
anzi le sarebbe fuoco di divino amore, come vita eterna, senz' alcuna
contrarietà.
19. L' anima è stata creata con tutte quelle buone condizioni, delle
quali ella era capace, per arrivare alla perfezione. Vivendo però come
Dio le ha ordinato, non contaminandosi d' alcuna macchia di peccato. Ma,
essendosi contaminata per lo peccato originale, perde i suoi doni e le
grazie, e resta morta; né si può risuscitare se non da Dio. E quando
ella è risuscitata per lo Battesimo, le resta la mala inclinazione, la
quale l' inclina e conduce (s' ella non fa resistenza) al peccato
attuale; per lo quale di nuovo muore. Dio poi ancora la risuscita con
un' altra grazia speciale, imperciocché ella resta così imbrattata, e
conversa verso se stessa, che per rivocarla al suo primo stato, come Dio
la creò, le bisognano tutte le sopraddette divine operazioni, senza le
quali giammai ella non vi potrebbe ritornare. E quando l' anima si trova
in via di ritornarvi, tanto è l' accendimento di doversi trasformare in
Dio, che quello è il suo Purgatorio. Non che ella possa guardare al
Purgatorio siccome a Purgatorio; ma quell' istinto acceso ed impedito è
quello che le fa il Purgatorio. Quest' ultimo atto d' amore è quello che
fa quest' opera senza l' uomo; trovandosi nell' anima tante
imperfezioni occulte, che s' ella le vedesse, vivrebbe disperata: ma
quest' ultimo stato le va consumando tutte. E poiché son consumate, Dio
le mostra e lei, acciocché l' anima vegga l' operazion divina, che le
causa il fuoco d'amore, il qual consuma quelle imperfezioni che son da
consumare.
20. E sappi che quello che l' uomo giudica in sé perfezione, innanzi a
Dio resta difetto: imperciocché tutto ciò che l'uomo opera di cose, le
quali abbiano apparenza di perfezione, come pur le vede, le sente, le
intende, le vuole, ovvero ne ha memoria, senza riconoscerle da Dio, in
tutto si contamina egli ed imbratta. Perché, dovendo l' operazioni esser
perfette, bisogna che sieno operate in noi senza noi, quanto come
agenti principali, e che l' operazione di Dio sia in Dio, senza l' uomo
primo operante. Queste tali operazioni son quelle che fa Dio nell'
ultima operazione dell' amor puro e netto, da sé solo, senza merito
nostro: le quali sono tanto penetranti ed affocate all' anima, che il
corpo, il quale è intorno ad essa, par che vada arrabbiando. In quel
modo come chi stesse in un gran fuoco, poiché non s' acqueterebbe
giammai fino alla morte. È vero che l' amor di Dio, il qual ridonda
nell' anima (secondo ch' io veggio), le dà una contentezza sì grande,
che non si può esprimere, ma questa contentezza, all' anime che sono in
Purgatorio, non leva scintilla di pena. Anzi quell' amore, il quale si
trova ritardato, è quello che fa loro la pena: e tanto lor fa pena
maggiore, quanta è la perfezione dell' amore del quale Iddio l' ha fatte
capaci. Sicché l' anime in Purgatorio han contento grandissimo, e pena
grandissima: e l' una cosa non impedisce l' altra.
21. Se l' anime di Purgatorio potessero purgarsi per contrizione, in
un istante pagherebbero tutto il debito loro. Tanto affocato impeto di
contrizione verrebbe ad esse, e questo per lo chiaro lume che hanno
dell' importanza di quell' impedimento, che non le lascia congiungere
col fine loro ed Amor Dio. E sappi certo che, del pagamento a quelle
anime, pur un minimo danaro non si perdona, essendo così stabilito dalla
divina giustizia. E questo è quanto per parte di Dio. Per parte poi
dell' anime, esse non hanno più propria elezione, e non possono più
vedere se non quanto vuol Dio; né altro vorrebbero, imperciocché così
sono stabilite.
22. E se alcuna limosina è fatta loro da quelli che sono al mondo, la
quale minuisca loro il tempo, quanto ad esse, non si possono più voltare
con affetto per vederle; eccetto sotto quella giustissima bilancia
della volontà divina, in tutto lasciando fare a Dio, il quale si paga,
come alla sua infinita bontà piace. E se si potessero voltare in vedere
esse limosine fuori di essa divina volontà, ciò sarebbe loro una
proprietà, che lor leverebbe la vista del divin volere; il che sarebbe
ad esse un Inferno. Perciò stanno immobili a tutto quello che Dio dà
loro, così di piacere e contentezza, come di pena: e mai più a se stesse
proprie non si posson voltare. Tanto son' intime e trasformate nella
volontà di Dio e si contentano in tutto dell' ordinazione sua
santissima.
23. E quando un' anima fosse presentata alla visione di Dio, avendo
ancora un poco da purgare, se le farebbe una grande ingiuria, e ciò le
sarebbe maggior passione che dieci Purgatori. Perciocché quella pura
bontà e somma giustizia non la potrebbe sopportare: sarebbe cosa
inconveniente per parte di Dio; ed a quell' anima, ch' ella vedesse
Iddio non essere pienamente ancora da lei satisfatto, in modo che le
mancasse pure un sol batter d' occhio di purgazione. Ciò le sarebbe cosa
intollerabile e, per levarsi quella poca ruggine, andrebbe più presto
in mille Inferni (quando se li potesse eleggere), che star innanzi alla
divina presenza non purificata in tutto ancora.
24. E così quell' anima benedetta, veggendo le sopraddette cose nel
divin lume, disse: Viemmi voglia di gridare un sì forte grido che
spaventasse tutti gli uomini che sono sopra la terra, e dir loro: O
miseri, perché vi lasciate così accecare da questo mondo, che a una
tanta e così importante necessità, come troverete al punto della morte,
non date provvisione alcuna? Tutti state coperti sotto la speranza della
misericordia di Dio, la qual dite esser tanto grande, ma non vedete che
tanta bontà di Dio vi sarà in giudizio, per aver fatto contra la
volontà d' un tanto buon Signore. La sua bontà vi dovrebbe costringere a
far tutta la sua volontà e non darvi speranza di far male impunemente:
perciocché la sua giustizia ancora non può mancare, ma bisogna che in
alcun modo sia satisfatta appieno. Non ti confidare dicendo: Io mi
confesserò, e poi prenderò la Indulgenza plenaria, e sarò in quel punto
purgato di tutti i miei peccati; e così sarò salvo. Pensa che la
confessione e contrizione, la qual' è di bisogno per essa Indulgenza
plenaria, è cosa tanto difficile ad avere che, se tu il sapessi,
tremeresti per gran paura, e saresti più certo di non averla, che di
poterla avere.
25. Io veggio quelle anime star nelle pene del Purgatorio colla vista
di due operazioni. La prima è che patiscono volentieri quelle pene, e
pare ad esse vedere che Dio abbia fatta loro gran misericordia,
considerando quello che meritavano, e conoscendo quanto Dio importa.
Imperciocché se la sua bontà non temperasse la giustizia colla
misericordia, satisfacendola col prezioso sangue di Gesù Cristo, un sol
peccato meriterebbe mille perpetui Inferni. E perciò patiscono questa
pena così volentieri, che non se ne leverebbero un sol carato, parendo
loro di giustamente meritarla, e ch' essa sia ben' ordinata. In modo che
tanto si lamentano di Dio (quanto alla volontà) come se fossero in vita
eterna. L' altra operazione è un contento, il qual' hanno veggendo
l'ordinazione di Dio, coll' amore, e colla misericordia che opera verso
l' anime. Queste due viste Iddio le imprime in quelle menti in un
istante; e, perch' elle sono in grazia, le intendono e capiscono così
come sono, secondo la loro capacità. E perciò ne ricevono un gran
contento, il quale non manca lor mai, anzi va in esse crescendo tanto,
quanto più si approssimano a Dio. E quelle anime non lo veggiono in
loro, né per lor proprie, ma il veggiono in Dio; nel quale sono assai
più intente, che nelle pene da lor patite, e del quale fanno assai più
stima, senza comparazione. Perciocché ogni poca vista, che si possa aver
di Dio, eccede ogni pena e ogni gaudio che l' uomo può capire: e benché
la ecceda, non leva però ad esse una scintilla di gaudio, o di pena.
26. Questa forma purgativa ch' io veggio delle anime del Purgatorio,
la sento nella mente mia, massime da due anni in qua; e ogni giorno la
sento e veggio più chiara. Veggio star l' anima mia in questo corpo come
in un Purgatorio, conforme e consimile al vero Purgatorio, colla misura
però che il corpo possa sopportare, acciocché non muoia; sempre
nondimeno crescendo a poco a poco, fino a tanto ch' esso pur muoia.
Veggio lo spirito alienato da tutte le cose, anche spirituali, che gli
possono dar nutrimento, come sarebbe allegrezza, dilettazione, o
consolazione. Ed egli non ha possanza di gustare alcuna cosa, sia
temporale o spirituale, per volontà, per intelletto, né per memoria; in
tal modo ch' io possa dire: Mi contento più di questa cosa, che di
quell' altra.
27. Trovasi l' interior mio in modo assediato, che di tutte quelle
cose dove si refrigerava la vita spirituale, e la corporale, tutte a
poco a poco gli sono state levate. E poiché gli son levate, esso conosce
tutte essere state cose da pascersi e confortarsi: ma come sono dallo
spirito conosciute, tanto sono odiate da esso ed abborrite, che se ne
vanno tutte senza alcun riparo. Questo è perché lo spirito ha in sé l'
istinto di levarsi ogni cosa impeditiva della sua perfezione, e con
tanta crudeltà, ch' egli quasi lascerebbe mettersi nell' Inferno, per
venire all' intento suo. E perciò va levando tutte le cose onde l' uomo
interiore si possa pascere, e l' assedia tanto per sottile, che non vi
può passare così minimo bruscolo d' imperfezione, il quale non sia da
lui veduto ed abborrito.
28. Quanto alla parte esteriore, perché lo spirito non le corrisponde,
resta ancor' essa tanto assediata, che non trova cosa in terra dove si
possa refrigerare, secondo il suo umano istinto. Non le resta altro
conforto che Dio, il qual' opera tutto questo per amore, e con gran
misericordia, per satisfare alla sua giustizia. Questa vista a detta
parte esteriore dà gran pace e contentezza; ma questa contentezza non
minuisce però la pena, né l' assedio; né se le potrebbe dar si gran
pena, ch' essa volesse uscire da quella divina ordinazione. Non si parte
di prigione, né ancora cerca d' uscirne, fino a tanto che Dio faccia
quello che sarà bisogno. Il mio contento è che Dio sia satisfatto; né
potrei trovar maggior pena come di uscir fuori dell' ordinazione di Dio,
tanto giusta la veggio, e con gran misericordia. Tutte le predette cose
io le veggio e tocco, ma non so trovar vocaboli convenienti per
esprimere quanto vorrei dire; e quello ch' io ne ho detto, il sento
operar dentro spiritualmente; e però l' ho detto.
29. La prigione nella quale mi par d' essere, è il mondo; il legame,
il corpo. E l' anima, illuminata dalla grazia, è quella che conosce la
importanza di esser ritenuta o ritardata, per qualche impedimento, di
non poter conseguire il fin suo: e però ciò le dà gran pena, per esser
ella molto delicata. Riceve ancora da Dio, per grazia, una certa
dignità, la quale la fa simile ad esso Dio; anzi la fa con seco una cosa
medesima, per participazione della sua bontà. E siccome a Dio è
impossibile che accader possa alcuna pena, così interviene all' anime,
che si approssimano a lui; e quanto più gli si approssimano, tanto più
della proprietà di lui ricevono. La ritardazione dunque che trova l'
anima le causa pena intollerabile; la pena e il ritardo la fan difforme
da quelle proprietà che essa ha per natura, e che per grazia le son
mostrate. E non potendole avere, ed essendone capace, resta colla pena
tanto grande, quanto ella stima Dio. La stima è poi tanto maggiore,
quanto l' anima più conosce; e tanto più conosce, quanto è più senza
peccato. Ma l' impedimento resta più terribile, massime che l' anima
resta tutta raccolta in Dio e, per non avere alcun' esterno impedimento,
conosce senza errore.
30. Siccome l' uomo, che si lascia ammazzare prima che offender Dio,
sente il morire e gli dà pena, ma il lume di Dio gli dà uno zelo, il
quale gli fa più stimare il divino onore che la morte corporale, così l'
anima, conoscendo l' ordinazione di Dio, stima più quella ordinazione
che non fa tutti i tormenti interiori ed esteriori, per terribili che
possan' essere. E questo, perché Dio, per lo quale si fa quest' opera,
eccede ogni cosa che sentire e immaginar si possa. E conciossiacché l'
occupazione che Dio dà all' anima di sé, per poca che sia, la tenga
tanto in Sua Maestà occupata, ch' ella d' altro non può fare stima,
perciò perde ogni proprietà, né più vede, parla, né conosce, danno o
pena in sé propria: ma il tutto (come di sopra si è detto) conosce in un
istante quando passa da questa vita. E finalmente, per conclusione,
intendiamo, che Dio fa perdere tutto quello ch' è dell' uomo; e che il
Purgatorio lo purifica