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Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

L'anima e la sua origine - Libro secondo

Sant'Agostino d'Ippona

L'anima e la sua origine - Libro secondo
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AL PRESBITERO PIETRO AL SIGNORE, FRATELLO DILETTISSIMO E COMPRESBITERO PIETRO, IL VESCOVO AGOSTINO SALUTE NEL SIGNORE


L'occasione di questo libro: l'accoglienza di Pietro ai libri di Vincenzo Vittore.

1. 1. Mi sono giunti due libri di Vincenzo Vittore, che egli ha scritti alla tua santità. Me li ha mandati il nostro fratello Renato, il quale, sebbene laico, è però prudentemente e scrupolosamente preoccupato della fede sua e delle persone che ama. Dalla loro lettura mi sono accorto che si tratta d'uno scrittore senza dubbio fluido nel discorrere, non solo fino a bastare, ma anche fino a straripare: con la riserva tuttavia che non è ancora ben preparato, come si richiede, nei problemi sui quali ha voluto parlare. Se una tale preparazione gli sarà concessa per munificenza del Signore, egli potrà giovare a molti. Non è davvero piccola la sua capacità d'esporre e d'abbellire le proprie sentenze, se prima di tutto si adopera d'aver giuste sentenze. Sono infatti molto pericolosi gli errori esposti elegantemente, perché alle persone meno provviste sembra che portando una veste elegante portino anche la verità. In qual modo però tu stesso abbia accolto quei medesimi libri io non lo so, ma tuttavia, se è vero quanto ho sentito, si dice che alla fine della loro lettura sei saltato così dalla gioia che, dopo aver baciato sulla testa tu vecchio quel giovane, tu presbitero quel laico, l'hai ringraziato d'averti insegnato quello che ignoravi. E qui io non disapprovo certamente la tua umiltà, anzi al contrario ti lodo anche dell'onore che hai reso a chi si è fatto tuo maestro: e non è nemmeno un uomo, ma la Verità stessa che si è degnata di parlarti per mezzo di lui, purché ti sia possibile indicare quali verità tu abbia apprese per mezzo di lui. Vorrei pertanto che nella tua risposta tu insegnassi a me quali siano le verità che costui ha insegnate a te. Lungi infatti da me la vergogna d'imparare da un presbitero, se tu non hai avuto vergogna d'imparare da un laico, con umiltà da encomiare e da imitare, se è la verità che tu hai imparata.

Nozioni secondarie sulla distinzione tra anima e spirito nelle quali si è esercitato Vincenzo Vittore.

2. 2. La ragione per cui, o fratello dilettissimo, io desidero conoscere che cosa tu abbia imparato da lui è questa: congratularmi per te se è verità già conosciuta da me, imparare da te se invece è verità non conosciuta da me. Quello che tu ignoravi è forse che sono due realtà distinte l'anima e lo spirito, secondo le parole della Scrittura: Hai ritirato dal mio spirito la mia anima 1? E che ambedue appartengono alla natura dell'uomo, cosicché l'uomo nella sua completezza sia spirito, anima e corpo, ma che talvolta la parola " anima " comprende queste due realtà insieme, come nel testo: E l'uomo diventò un'anima vivente 2? Qui è sottinteso appunto lo spirito. Similmente che talvolta ambedue sono compresi nella parola spirito, come nel passo: E, chinato il capo, rese lo spirito 3? E qui si deve intendere anche l'anima. E che ambedue sono di una sola sostanza? Io penso che queste verità ti fossero già note. Se invece le ignoravi, sappi che non hai imparato delle verità che si ignorino con grande pericolo. E se qui c'è da fare a tal proposito qualche distinzione più sottile, è meglio farla con lui stesso, del quale conosciamo già anche la terminologia: se, dicendo anima così da sottintendere anche spirito, l'una e l'altro siano l'anima e invece lo spirito sia una qualche parte dell'anima; se con questo nome d'anima si indichi, come sembra a costui, il tutto per mezzo d'una sua parte oppure se lo spirito sia ambedue le realtà, ma sia una parte dello spirito quella che si dice propriamente anima, o se quando si dice spirito così da sottintendere insieme l'anima, si adoperi anche in questo caso la parte per indicare il tutto: così infatti piace a costui. La verità è che queste sottigliezze, come ho detto, e si discutono e si ignorano senza nessun pericolo o certamente senza un grande pericolo.

I sensi del corpo e i sensi dell'anima.

2. 3. Ugualmente mi stupirei se ti avesse insegnato che altri sono i sensi del corpo e altri invece i sensi dell'anima: e tu, uomo di tale età e dignità, prima d'aver ascoltato costui, credevi che fossero una sola e medesima facoltà quella con la quale si distingue il bianco dal nero, come sanno fare con noi anche i passeri, e quella con la quale si giudica il bene e il male, come li vedeva Tobia, anche dopo aver perduto le luci della carne 4. Se è così, allora quando leggevi o sentivi: Illumina i miei occhi, perché non mi addormenti mai nella morte 5, non pensavi che agli occhi della carne. O se questo è un testo oscuro, quando ripensavi alle parole dell'Apostolo: Gli occhi illuminati del vostro cuore 6, credevi certo che noi avessimo il cuore sotto la fronte e sopra la bocca. Non sia mai che io pensi questo di te. Nemmeno questo dunque ti ha insegnato costui.

Teme Agostino che Vincenzo Vittore abbia guadagnato Pietro al suo errore.

2. 4. O se per caso tu prima della dottrina di costui, che ti rallegri d'aver trovata adesso, pensavi che la natura dell'anima fosse una porzione di Dio, di questo, sì, ignoravi la falsità con terribile pericolo. E se da costui hai imparato che l'anima non è una porzione di Dio, ringrazia quanto puoi Dio di non essere emigrato dal corpo prima d'averlo imparato. Ne saresti infatti emigrato da grande eretico e da orrendo bestemmiatore. In nessun modo tuttavia io potrei pensare di te nemmeno questo: che tu, cattolico come sei e presbitero non immeritevole, ritenessi che la natura dell'anima sia una porzione di Dio. Perciò confesso alla tua dilezione il mio timore che forse costui ti abbia invece insegnato qualcosa che sia contrario alla fede che avevi.

L'errore circa la creazione dell'anima.

3. 5. Come infatti non penso che nella Cattolica tu abbia mai ritenuto che l'anima sia una porzione di Dio, o che in nessun modo la natura dell'anima e di Dio sia la medesima natura, così temo che, se mai, tu abbia aderito all'errore di costui che dice: "Dio non creò l'anima dal nulla, ma essa proviene così da Dio da essere emanata da lui ". Anche questa parola infatti egli ha messa tra le altre con le quali è uscito nella presente questione fuori di strada in un immane precipizio. Ma se è questo che ti ha insegnato, non voglio che tu lo insegni a me, anzi voglio pure che tu disimpari quello che hai imparato da lui. Non basta non credere e non dire che l'anima sia una parte di Dio. Non diciamo nemmeno del Figlio e dello Spirito Santo che siano una parte di Dio e tuttavia diciamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola e medesima natura. Non basta dunque che non diciamo che l'anima sia una parte di Dio, ma bisogna anche dire che essa e Dio non sono d'una sola e medesima natura. Costui al riguardo dice sì, giustamente, che " le anime sono stirpe di Dio per munificenza divina e non per natura ", e quindi non le anime di tutti gli uomini, ma le anime dei fedeli: tuttavia è ricaduto di nuovo nell'errore che aveva evitato e ha detto che Dio e l'anima sono della stessa natura. Non proprio in questi termini, ma con sentenza aperta e manifesta. Poiché infatti dire che l'anima proviene così da Dio da non averla egli creata né da un'altra natura, né dal nulla, bensì da se stesso, che altro tenta di far accettare se non quello che nega con altre sue parole, cioè che l'anima è della medesima natura di Dio? Ogni natura appunto o è Dio, che non ha nessuno come autore, o è da Dio perché ha Dio stesso come autore. Ma la natura, che ha Dio come autore che la fa esistere, o è natura che non è stata fatta o è natura che è stata fatta. Ora, la natura che non è stata fatta e tuttavia proviene da Dio: o è generata da Dio o procede da Dio. La natura generata è l'unico Figlio, la natura procedente è lo Spirito Santo, e questa Trinità è d'una sola e medesima natura. I Tre infatti sono una sola essenza, ed ognuno dei Tre è Dio, e tutti insieme sono un unico Dio, immutabile, eterno, senza nessun inizio di tempo o termine. La natura invece che è stata fatta si chiama creatura, mentre si dice Creatore Dio, cioè la Trinità. Si dice dunque che la creatura proviene così da Dio da non essere stata fatta di natura divina. La ragione infatti per cui si dice che la creatura proviene da Dio è che ha Dio come autore che la fa esistere, non così da esser nata da Dio o da esser proceduta da Dio, ma così da esser stata creata, costituita, fatta da Dio: per alcune creature senza partire da nessun'altra natura, cioè partendo assolutamente dal nulla; per esempio il cielo e la terra o meglio tutta la materia dell'intera mole dell'universo creata insieme al mondo; per altre creature partendo da un'altra natura già creata precedentemente e già chiamata all'esistenza: per esempio l'uomo maschio dal fango, la donna dall'uomo maschio, l'uomo in genere dai suoi genitori. Tuttavia ogni creatura proviene da Dio, ma creante o dal nulla o da qualcosa, non generante o producente dalla sua propria natura.

Dio non ha fatto l'anima dalla sua propria essenza.

3. 6. Io parlo così con un cattolico, più per ricordare che per insegnare. Non penso che siano verità nuove per te, o verità già udite, sì, ma tuttavia non credute, e piuttosto, com'è mia convinzione, tu leggi la mia lettera con tale attenzione da riconoscere in essa anche la tua fede, che è comune a noi nella Chiesa cattolica come dono del Signore. Se dunque, come avevo cominciato a dire, parlo così con un cattolico, da dove pensi tu, ti prego di dirmi, che venga l'anima, non dico quella di ciascuno di noi, ma la prima data al primo uomo? Se dal nulla, e tuttavia fatta ed ispirata da Dio, credi tu quello che credo io. Se al contrario pensi che venga da una qualche altra creatura, la quale abbia servito quasi da materia all'arte di Dio per fare l'anima, come la polvere per fare Adamo, o la costola di lui per fare Eva, o le acque per fare i pesci e gli uccelli, o la terra per fare tutte le specie d'animali terrestri 7, questo non è cattolico, non è vero. Se poi pensi, e ciò non sia mai, che Dio non abbia fatto o non faccia le anime né dal nulla né da un'altra qualsiasi natura, ma da se stesso, cioè dalla sua propria natura, questo, sì, l'hai imparato da lui, ma non mi rallegro con te, né mi compiaccio: sei uscito ben lontano dall'orbita della fede cattolica con Vincenzo Vittore. Più tollerabile sarebbe, per quanto sia falso, ma più tollerabile sarebbe, come dicevo, che tu credessi l'anima creata da Dio per derivazione da qualche altra creatura già fatta da Dio, piuttosto che dalla natura di Dio, per non riportare con orrenda bestemmia alla natura di Dio il fatto che essa è mutevole, il fatto che pecca, il fatto che diventa empia, il fatto pure che, se continuerà ad essere empia fino alla fine, sarà condannata senza fine. Butta via, o fratello, butta via, ti prego, quest'opinione, che non è davvero la nostra fede, ma un errore d'esecranda empietà, perché non ti accada, uomo grave sedotto da un giovane e presbitero da un laico, ritenendo che questa sia la fede cattolica, d'esser radiato dal numero dei fedeli: e il Signore tenga lontana da te questa sventura! Perché, con te non ci si deve comportare come con Vincenzo Vittore, né cotesto tuo errore tanto orrendo è degno in te della stessa indulgenza che in quel giovane, sebbene sia da lui che è passato in te. Costui è una matricola entrata da poco a curarsi nell'ovile cattolico, tu appartieni all'albo dei pastori cattolici. Non vogliamo che ad una pecorella ulcerosa, venuta dall'errore al gregge del Signore, si lasci, prima d'esser medicata, rovinare un pastore con pestifera infezione.

Pietro ha il dovere di scrivere per chiarire la sua posizione.

3. 7. Se dici: - Non è stato lui a convincermi di ciò, né ho aderito in nessun modo a cotesto suo errore, sedotto dalla soavità di uno stile eloquente ed elegante quanto si voglia -, io ne rendo grandi grazie a Dio. Ma chiedo che cosa, dopo averlo baciato in testa, come si va dicendo, te l'abbia fatto ringraziare d'aver imparato da lui quello che ignoravi fino al momento d'ascoltare la sua dissertazione, o, se è falso che tu abbia fatto e detto quanto ti si attribuisce, ti chiedo che ti degni di notificarci proprio questo, perché con la tua lettera si faccia tacere il vano rumore. Se poi è vero che con quel gesto d'umiltà ti sei mostrato riconoscente a lui, sono pronto a godere, se egli non ti ha insegnato quell'errore che più sopra ti ho dimostrato quanto sia da detestare e da evitare.

4. 7. E non ti riprendo d'essere stato grato con tanta umiltà ad un maestro, se da lui, benché in qualche punto discorresse in modo diverso dalla fede, tu hai imparato qualcosa di vero e di utile, ma domando che cosa sia: forse che l'anima non è spirito, ma corpo? Non reputo certamente che sia un gran danno di dottrina cristiana ignorare simili cose, e, se si discute con sottigliezza delle specie dei corpi, ciò che s'impara ha un costo di difficoltà che è superiore alla sua utilità. Ma se il Signore vorrà che io, come desidero, scriva a quello stesso giovane, forse la tua dilezione imparerà in quel mio scritto come Vincenzo Vittore non ti abbia insegnato nemmeno questo: se tuttavia è questo che ti rallegri d'aver imparato da lui. Ma chiedo che non ti rincresca di rispondere, perché non si tratti eventualmente di qualche altra verità, che risulti utile o che appartenga alla fede necessaria.

Gl'insegnamenti della parabola dell'epulone e del povero.

4. 8. È forse questo finalmente quello che tu stesso ignoravi, quello che costui crede rettissimamente e molto salutarmente, cioè che le anime sono giudicate appena escono dai corpi, prima d'andare a quel giudizio dal quale devono essere giudicate, quando saranno già stati restituiti i corpi, per essere tormentate o glorificate nella stessa carne con la quale vissero qui? Chi potrebbe essere stato tanto sordo per ostinazione mentale contro il Vangelo da non sentirsi dire queste verità o da non credere ad esse, pur sentendosele dire, in quel povero che fu portato dopo la morte nel seno di Abramo e in quel ricco di cui si descrive il supplizio nell'inferno 8? Ma ti ha forse insegnato costui in qual modo l'anima senza il suo corpo poteva desiderare una stilla d'acqua dal dito del povero, quando lo stesso Vincenzo Vittore ha confessato che l'anima non cerca gli alimenti materiali se non per rincalzare le rovine del suo corpo corruttibile? Sono queste le sue parole: " Forse perché l'anima cerca le vivande o le bevande, noi crediamo che il pasto vada a finire ad essa? ". E poco dopo: " Da qui si capisce e si dimostra che il sostentamento dei cibi non riguarda l'anima, ma il corpo. A questo si provvede, oltre il cibo e per la medesima ragione, anche il vestito: la somministrazione degli alimenti appare necessaria al medesimo corpo cui competono pure i vestiti". Illustra questa sua sentenza, già esposta con sufficiente chiarezza, anche con una similitudine, dicendo: " In che modo provvede un qualsiasi inquilino alla propria abitazione? Se sente tremare il tetto o vacillare le pareti o cedere le fondamenta, non cerca forse puntelli, non ammassa cataste per poter sorreggere con ogni cura e premura quella casa che minaccia di rovinare su se stessa, perché il pericolo dell'abitazione non sia una minaccia pendente sull'abitatore? Così devi dunque riconoscere" conclude costui " che anche l'anima desidera il cibo per la sua carne e che dalla carne le sorge senza dubbio lo stesso desiderio ". Questi appunto i pensieri che quel giovane espone con parole luminosissime e abbondantissime, asserendo che gli alimenti non si cercano per l'anima, ma per il corpo, certo grazie alla premura dell'anima, ma perché abitatrice della casa e puntellatrice con provvida refezione delle imminenti rovine della sua carne moribonda. E allora spieghi costui che cosa di rovinoso desiderava di puntellare l'anima di quel ricco, che non aveva più il suo corpo mortale, e ugualmente soffriva la sete, e desiderava una gocciola d'acqua dal dito di quel povero. Ha dove esercitarsi cotesto maestro dei vecchi: cerchi e, se gli sarà possibile, troverà per quale sua necessità quell'anima mendicasse negli inferi l'umido alimento, pur in misura tanto esigua, sebbene fosse già fuori dalla sua rovinosa abitazione.

La stranezza dell'insegnamento di Vincenzo Vittore.

5. 9. Il fatto che costui creda nell'incorporeità di Dio mi porta a congratularmi con lui che per questo almeno si distacchi dai deliramenti di Tertulliano. Questi ha sostenuto appunto che, come l'anima, anche Dio è corporeo 9. Ma Vincenzo Vittore, pur dissentendo da Tertulliano su questo punto, tenta di persuadere i lettori di affermazioni ancora più strabilianti: cioè che l'incorporeo Dio non fa dal nulla l'alito corporeo, ma lo esala dalla sua stessa natura. Oh dottrina degna che ogni età le tenda gli orecchi, degna d'avere per discepoli uomini gravi di anni e perfino presbiteri! Legga, legga in assemblea quanto ha scritto, inviti alla sua proclamazione persone conosciute e persone sconosciute, dotte e non dotte. O vecchi, accorrete a gara con i giovani, imparate ciò che ignoravate, udite quello che mai udiste. Ecco, lo insegna costui: non da qualcosa che esista in qualche modo, né da ciò che non esiste in nessun modo Dio crea l'alito; ma da ciò che Dio è in se stesso, sebbene egli sia incorporeo, ispira un corpo. Dio stesso dunque muta in corpo la propria natura, prima che essa si muti nel corpo del peccato. Oppure, costui dice che Dio non muta alcunché della sua natura, quando crea l'alito? Allora, non lo crea da ciò che Dio è in se stesso, perché tra lui e la sua natura non c'è differenza. Chi, anche se fosse malatissimo di mente, lo vorrebbe pensare? Se dice che Dio crea l'alito traendolo così dalla propria natura da rimanere integro in se stesso, ciò non fa questione: il problema è invece se ciò che non proviene da un'altra creatura, né dal nulla, ma da Dio, non sia proprio lo stesso che è Dio, cioè della sua medesima natura ed essenza. Dio infatti rimane integro anche dopo aver generato il Figlio, ma poiché l'ha generato da se stesso, non ha generato altro che ciò che egli è in se stesso. A parte infatti che il Verbo ha assunto l'uomo e si è fatto carne 10, il Verbo Figlio di Dio è, sì, un altro distinto dal Padre, ma non altro: ossia è un'altra persona, ma non una natura diversa. E quale è la ragione di ciò se non perché non è stato creato per derivazione da un'altra creatura o dal nulla, ma è nato da Dio stesso, non perché fosse migliore di quello che era, ma semplicemente perché fosse e perché fosse ciò che è il Padre dal quale è nato, ossia d'una sola e medesima natura, uguale, coeterno, pari a lui in tutto, ugualmente immutabile ugualmente invisibile, ugualmente incorporeo, ugualmente Dio, assolutamente tutto ciò che è il Padre, tranne che egli è il Figlio e non il Padre? Se invece [dice che] Dio, pur rimanendo integro in se stesso, crea, non dal nulla né da un'altra creatura ma da se stesso, qualcosa diverso da sé e a sé inferiore, e un corpo emani così dall'incorporeo Dio, questo è un errore che mai un cuore cattolico dovrebbe bere: non è infatti una polla della fonte divina, ma una balla del cuore umano.

Altro è imparare, altro è credere di avere imparato.

6. 10. Quanto maldestramente poi costui si affanni a sottrarre l'anima che reputa corporea alle sofferenze del corpo, discutendo sull'infanzia dell'anima, sui paralitici e sugli impedimenti dei sensi dell'anima, sull'amputazione delle membra del corpo che non taglia l'anima, non lo devo trattare con te, ma piuttosto con lui: è lui appunto che deve sudare per rendere conto delle sue affermazioni, perché non sembri che della superficialità d'un giovane vogliamo affaticare la gravità d'un vecchio. Che poi costui non faccia provenire dal seme dell'anima le somiglianze dei costumi che si riscontrano nei figli è un modo di sentire senza dubbio coerente per tutti coloro che negano la propaggine delle anime, ma nemmeno coloro che la sostengono fanno leva su questo particolare per la loro asserzione. Vedono infatti anche dei figli differenti dai genitori nei costumi e giudicano che ciò dipenda dal fatto che anche una medesima persona ha spesso altri costumi diversi dai suoi costumi, non certo per aver ricevuto un'altra anima, ma per aver mutato la sua vita in meglio o in peggio. Così ammettono la possibilità che un'anima non abbia i medesimi costumi dell'anima da cui è propagata, dal momento che lei stessa, pur essendo la medesima, può avere costumi diversi in tempi diversi. Perciò se è questo che credi d'aver imparato da lui, cioè che l'anima non viene per trasmissione, volesse il cielo che tu in questo avessi imparato la verità: io con immenso piacere mi affiderei a te come mio maestro. Ma altro è imparare e altro è credere d'aver imparato. Se dunque credi d'aver imparato quello che non sai ancora, vuol dire che non hai imparato seriamente, ma hai creduto temerariamente ciò che hai ascoltato graditamente e con la loro soavità le parole t'hanno iniettato nell'animo la loro falsità. Non ti dico questo perché io mi senta già certo della falsità dell'opinione che le anime vengano ispirate nuove piuttosto che tratte dalla radice dei genitori: ciò è precisamente quello che stimo si debba chiedere ancora a coloro che sono in grado d'insegnarlo; ma te lo dico perché costui ha trattato di questo problema non solo in modo da non risolvere una questione che è ancora in discussione, ma anche in modo da sfornare tali opinioni che sulla loro falsità non c'è ombra di dubbio. Volendo infatti provare opinioni dubbie ha osato fare affermazioni che senza nessun dubbio sono da riprovare.

L'anima non esisteva prima di unirsi al corpo.

7. 11. Oppure, dubiterai tu forse di riprovare che costui parlando dell'anima dica: " Tu non vuoi che l'anima contragga dalla carne del peccato la sua infermità, mentre vedi che la santità a sua volta arriva all'anima passando attraverso la carne, per restaurare la sua condizione con la medesima carne con la quale aveva perduto il suo merito? Oppure, perché il battesimo lava il corpo, non può arrivare all'anima o allo spirito quanto si crede conferito dal battesimo? L'anima ricupera giustamente mediante la carne la sua condizione originale, che è sembrato per poco avesse perduta a causa della carne: comincia a rinascere mediante la medesima carne per la quale aveva meritato d'esser macchiata". Conta quanti errori in queste parole abbia commessi cotesto tuo maestro. Dice: " L'anima ricupera la sua condizione con la medesima carne a causa della quale aveva perduto il suo merito ". Dunque l'anima aveva un qualche modo di essere e un qualche merito buono prima della carne, merito che costui vuole ricuperato da essa mediante la carne, quando la carne si lava con il lavacro della rigenerazione. L'anima pertanto era già vissuta in qualche posto prima della carne, in uno stato buono e in un merito buono, stato e merito che venne a perdere dopo che venne nella carne. Dice costui: " L'anima ricupera mediante la carne la sua condizione originale che è sembrato per poco avesse perduta a causa della carne". L'anima dunque aveva una condizione antica prima della carne: questo significa " originale "; e tale condizione quale poteva essere se non una condizione beata e lodevole? È di questa condizione che costui assicura il ricupero da parte dell'anima mediante il sacramento del battesimo, poiché costui non vuole che l'anima tragga origine per propaggine da quell'anima che risulta essere stata un tempo felice nel paradiso. Come fa dunque a dichiarare in un altro passo: " Convintamente asserisco che l'anima non viene per trasmissione né dal nulla, né da se stessa, né prima del corpo "? Ecco, nel passo di sopra vuole che le anime vivano prima del corpo in qualche posto tanto beatamente che quella stessa beatitudine venga restituita ad esse mediante il battesimo. E come se si fosse di nuovo dimenticato di se stesso, aggiunge: " Comincia a rinascere mediante la medesima carne per la quale aveva meritato d'esser macchiata ". Precedentemente aveva fatto capire che a causa della carne era stato perduto un merito buono, adesso invece suppone un merito cattivo che abbia fatto venire o mandare l'anima nella carne, dicendo: " Per la quale aveva meritato d'esser macchiata ". Se l'anima infatti merita di macchiarsi, non si tratta certamente di un merito buono. Dica quale peccato abbia commesso l'anima, prima d'esser macchiata dalla carne, così da meritare d'esser macchiata dalla carne. Dica, se può, quello che non può in nessun modo, perché non può trovare qui in modo assoluto che cosa dire di vero.

Contraddizioni chiarissime.

8. 12. Similmente scrive poco dopo: " Se l'anima che non poteva esser peccatrice meritò d'esser peccatrice, non rimase tuttavia nel peccato, perché, modellata sul Cristo, non doveva esser nel peccato come non lo poteva essere ". Ti prego, o fratello, dimmi: non è forse vero che hai letto queste parole e le hai meditate almeno dopo, e hai pensato che cosa fosse quello che avevi lodato nel suo proclamare, o che cosa te l'avesse fatto ringraziare alla fine del suo proclamare? Dimmi, per favore, qual è il senso della proposizione: " L'anima che non poteva esser peccatrice meritò d'esser peccatrice "? Che cosa significano le parole: " Meritò " e: " Non poteva ", dal momento che non avrebbe potuto meritare ciò se non fosse già stata peccatrice, ma non lo sarebbe stata se non avesse potuto esserlo, perché peccando prima d'ogni demerito si facesse con il peccato un demerito per cui giungere per abbandono da parte del Signore ad altri peccati? Ha detto forse: " Non poteva esser peccatrice ", perché non avrebbe potuto esser peccatrice se non veniva nella carne? Che cosa dunque fece per meritarsi di essere inviata là dove potesse diventare peccatrice, dal momento che se non ci fosse venuta, non avrebbe potuto altrove diventare peccatrice? Dica: che cosa fece per meritarlo? Se infatti meritò d'esser peccatrice, vuol dire che aveva già peccato in qualche modo per meritare d'esser peccatrice ancora di nuovo. Se però non aveva peccato in nessun modo, come poté meritare di essere peccatrice? Ma forse questi rilievi sembreranno oscuri o si faranno per pretesto passare come oscuri, mentre sono apertissimi. Non doveva infatti scrivere costui che l'anima, della quale non potrà trovare prima della carne nessun merito, né buono né cattivo, meritò di essere peccatrice a causa della carne.

Un testo biblico male applicato da Vincenzo Vittore.

9. 13. Ma veniamo a testi ancora più chiari. Si trovava costui in grandi angustie nello spiegare come il vincolo del peccato originale tenga strette le anime se esse non traggono origine da quella che peccò per prima, ma vengono ispirate da Dio nella carne peccatrice assolutamente pure da ogni contagio e propagazione di peccato. Perché non gli si obietti che è Dio che ispirando così le anime le fa diventare colpevoli, ha tentato dapprima di proteggere questa sua opinione con la prescienza di Dio, perché egli ha preparato ad esse la redenzione. Nel sacramento di questa redenzione si battezzano i bambini, perché sia lavato il peccato originale che le loro anime hanno contratto dalla carne, quasi che Dio corregga il proprio operato, avendole fatte macchiare quando erano innocenti. Ma, arrivato il momento di parlare di quelli che non vengono soccorsi con tale mezzo e spirano prima d'esser battezzati, ha detto: " In questo caso non mi voglio impegnare come un innovatore, ma cerco d'orientarmi in qualche modo attraverso un'analogia. Diciamo che bisogna tenere conto di questi bambini che, predestinati al battesimo, sono prevenuti dal tramonto della vita presente prima che rinascano nel Cristo. È di essi infatti che leggiamo scritto: È stato rapito, perché la malizia non ne muti i sentimenti o l'inganno non ne travii l'animo. Per questo lo ha tolto in fretta da un ambiente malvagio, perché la sua anima era gradita al Signore 11. E ancora: Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera 12 ". Chi si rifiuterebbe d'avere un tanto maestro? I bambini dunque che la gente in maggioranza vuol far battezzare e muoiono mentre si corre al sacramento, se venissero trattenuti per pochi istanti di più in questa vita così da morire subito dopo il battesimo, verrebbero ad esser corrotti dalla malizia nei loro sentimenti e traviati nell'animo dall'inganno, e perché questo non accadesse a loro si è venuti in loro aiuto con il rapimento prima che con il sacramento del battesimo? Dunque è nello stesso battesimo che si sarebbero corrotti, e sarebbero rimasti ingannati se fossero stati rapiti dopo il battesimo. Oh dottrina da applaudire e da seguire! Piuttosto, oh dottrina da detestare e da esecrare! Ma proprio questo costui pretese dalla sapienza di voi che foste presenti quando egli proclamò i suoi volumi e soprattutto dalla sapienza di te a cui scrisse e consegnò i libri declamati: confidò che foste pronti a credere scritto per i bambini non battezzati ciò che è stato scritto per tutti i santi che sono morti in età prematura e che gli stolti stimano maltrattati, quando sono stati rapiti in fretta da questa vita, senza aver potuto raggiungere gli anni che gli uomini si augurano come una grande munificenza divina. Che senso ha poi la proposizione: " I bambini predestinati al battesimo sono prevenuti dal tramonto della vita presente prima che rinascano nel Cristo ", come se una qualche forza della sorte o del fato o di qualsiasi altra specie non consenta a Dio di portare a termine quello che ha predestinato? E com'è possibile che li rapisca Dio stesso, perché gli sono piaciuti? È forse Dio stesso che per un verso li predestina al battesimo e per l'altro verso non permette che si compia ciò che ha predestinato?

Paradiso e Regno dei cieli.

10. 14. Ma considera che cosa ardisca ancora costui, al quale nella profondità tanto grande dell'attuale questione dispiace la nostra esitazione più cauta che saputa. Scrive: " Oserei dire che costoro possono giungere all'indulgenza dei peccati originali, non così però da essere introdotti nel regno celeste, come al ladrone, credente certo ma non battezzato, il Signore non diede il regno dei cieli, sibbene il paradiso 13, avendo egli già detto: Chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli 14. Tanto più che il Signore dichiara che sono parecchie le abitazioni presso il suo Padre 15, designando nelle abitazioni i molti e diversi meriti degli abitatori: chi non è battezzato viene condotto all'indulgenza, chi è battezzato viene condotto alla palma che è preparata mediante la grazia ". Ti accorgi che costui separa dal regno dei cieli il paradiso e le abitazioni che esistono presso il Padre, perché anche per i non battezzati ci sia abbondanza di posti nella felicità eterna. Né si avvede, mentre lo dice, d'essere tanto deciso a non separare dal regno dei cieli il soggiorno di qualsiasi bambino battezzato da non temere di separare dal medesimo regno dei cieli la stessa casa di Dio Padre o alcune sue parti. Il Signore Gesù non dice infatti: " Nell'universo della creazione " o " in una qualsiasi parte dell'universo ", ma dice: Nella casa del Padre mio vi sono molti posti 16. Come potrà trovarsi nella casa di Dio Padre chi non è battezzato, dal momento che non può avere Dio come padre se non chi è rinato? Non sia costui ingrato a Dio che si è degnato di liberarlo dallo scisma dei donatisti o dei rogatisti, non cerchi di dividere la stessa casa di Dio Padre e di porne qualche parte fuori dal regno dei cieli, dove possano abitare i non battezzati. E con che diritto presume costui d'entrare nel regno dei cieli, dal quale separa, per la parte che vuole, la casa dello stesso Re? Ma è dall'episodio di quel ladrone che, crocifisso accanto al Signore, sperò nel Signore ugualmente crocifisso, e dall'episodio di Dinocrate, fratello di santa Perpetua, che costui argomenta che anche ai non battezzati può essere data l'indulgenza dei peccati e un soggiorno tra i beati, come se qualcuno a cui sia empio non credere gli abbia rivelato che quei due non furono battezzati. Su di essi però ho esposto con più ampiezza il mio pensiero nel libro che ho scritto al nostro fratello Renato. Lo potrà conoscere la tua dilezione, se non disdegnerai di leggere quel libro, perché non lo potrà negare a chi glielo chiederà.

Il sacrificio eucaristico non si può offrire per i bambini non battezzati.

11. 15. Ansima tuttavia costui e si sente soffocare in strette paurose. Valuta forse infatti più attentamente di te il male della sua affermazione, cioè che senza il battesimo del Cristo si scioglie nei bambini il peccato originale. Da ultimo per ricorrere in qualche modo, almeno in ritardo, su questo problema ai sacramenti della Chiesa scrive: " Decreto senz'altro che si offrano per essi assidue oblazioni e continui sacrifici da parte di santi sacerdoti ". Costui, se ti piace, abbitilo anche come censore, se era poco averlo come dottore, perché tu offra il sacrificio del corpo del Cristo anche per coloro che non sono stati incorporati al Cristo. Nell'osare appunto d'introdurre con i suoi libri una novità tanto nuova, estranea alla disciplina ecclesiastica e alla regola della verità, non dice " Penso ", non dice " Stimo ", non dice " Ritengo ", non dice nemmeno " Suggerisco ", o " Dico ", ma dice " Decreto ", perché evidentemente, se ci sentissimo feriti dalla novità o dalla perversità della sua dottrina, ci sentissimo atterriti dall'autorità del suo decreto censorio. Te la vedrai tu, o fratello, come ti sia possibile sopportare cotesto tuo docente, ma tuttavia non sia mai che i sacerdoti cattolici, fedeli alla sana dottrina, e tra loro bisogna contare anche te, si arrendano quietamente ad ascoltare come censente uno che piuttosto desiderano resipiscente, dolente e con salutarissima correzione penitente per aver concepito e anzi per aver perfino scritto cotesti errori. " Ma che si debba fare questo " prosegue Vincenzo Vittore " lo sostengo con l'esempio dei Maccabei caduti in battaglia. Dopo che essi si furono furtivamente appropriati di oggetti proibiti e caddero nello stesso combattimento, troviamo che fu presa dai sacerdoti questa decisione: un'oblazione di sacrifici riparasse per le anime di coloro che si erano resi colpevoli della trasgressione 17". Lo dice così, come se avesse letto che quei sacrifici furono offerti per persone non circoncise, alla stessa maniera in cui ha decretato che si offrano questi nostri sacrifici per persone non battezzate. La circoncisione era appunto il sacramento di quel tempo che prefigurava il battesimo del nostro tempo.

Vincenzo Vittore si pronunzia apertamente contro la rivelazione.

12. 16. Tuttavia costui, paragonato a quello che egli stesso è apparso successivamente, erra ancora in maniera abbastanza tollerabile. Infatti, come se si fosse pentito non di quello di cui avrebbe dovuto pentirsi, cioè d'aver osato affermare che ai non battezzati è rimesso il peccato originale e concessa l'indulgenza di tutti i peccati per esser mandati nel paradiso, ossia nel luogo di tanta felicità, e meritare d'aver soggiorni beati nella casa di Dio Padre, ma piuttosto come se si fosse pentito d'aver concesso ad essi sedi d'una beatitudine minore fuori dal regno dei cieli, aggiunge e dice: " Oppure, se qualcuno non si contentasse eventualmente di credere che alle anime del ladrone e di Dinocrate sia stato concesso provvisoriamente e temporaneamente il paradiso - poiché secondo lui ci sarà ancora per essi nella risurrezione il premio del regno dei cieli, sebbene a ciò si opponga quella solenne sentenza del Principe: Chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli 18 - si abbia nondimeno in questa parte anche il mio non ostile consenso, atteso che si tratta d'amplificare e l'effetto e l'affetto della misericordia e della prescienza divina ". Ho trascritto queste parole come le ho lette nel suo secondo libro. Sarebbe mai possibile a qualcuno avere in questa causa un'audacia, una temerarietà, una presunzione ancora più ampia nell'errore? Egli stesso ricorda, egli stesso cita, egli stesso riporta nel suo scritto l'affermazione del Signore, egli stesso dice: " Sebbene a ciò si opponga quella solenne sentenza del Principe: Chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli ", e nondimeno osa levare la cervice del proprio decreto censorio contro la sentenza del Principe! " Abbia " dice " anche il mio non ostile consenso " chi ritiene che le anime dei non battezzati meritano provvisoriamente il paradiso - è per esse infatti che ricorda il ladrone e Dinocrate, quasi usando d'una prescrizione o meglio d'una pregiudiziale - e chi ritiene che nella risurrezione costoro saranno trasferiti in condizioni migliori e riceveranno il premio del regno dei cieli: " sebbene " dice " a ciò si opponga la sentenza del Principe ". E qui considera dunque da te stesso, te ne prego, o fratello: chiunque presta il suo assenso a chiunque contro l'autorità della sentenza del nostro Principe, quale sentenza meriterà dal medesimo Principe?

Peggio dei pelagiani.

12. 17. L'autorità dei Concili cattolici e della Sede Apostolica ha condannato giustissimamente i novelli eretici Pelagiani, perché hanno osato concedere ai bambini non battezzati un luogo di pace e di salvezza, sebbene fuori dal regno dei cieli. Non l'avrebbero osato, se non avessero negato nei bambini la presenza del peccato originale, che fosse necessario assolvere mediante il sacramento del battesimo. Costui al contrario dice come cattolico che i bambini sono avvinti dal peccato originale, e tuttavia li assolve da tale vincolo senza il lavacro della rigenerazione, e dopo la morte li manda con la sua misericordia nel paradiso, ma dopo la risurrezione con una sua misericordia ancora maggiore li introduce pure nel regno dei cieli. Altrettanta misericordia parve bene a Saul di dover avere quando risparmiò il re che Dio aveva comandato d'uccidere 19, ma meritamente la disobbedienza misericordiosa o la misericordia disobbediente fu riprovata e condannata perché l'uomo eviti che l'uomo meriti misericordia dall'uomo contro la sentenza di colui che ha fatto l'uomo. Tuona con la bocca del proprio corpo la Verità: Chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio 20. E per escludere da questa sentenza i martiri, ai quali sia accaduto d'essere uccisi per il nome del Cristo prima di esser lavati dal battesimo del Cristo, dice in un altro passo: Chi avrà perduto la sua anima per causa mia la troverà 21. E perché a nessuno che non sia rinato con il lavacro della fede cristiana si prometta la cancellazione del peccato originale, grida l'Apostolo: Per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna 22. Contro la qual condanna additando il Signore l'unico rimedio di salvezza: Chi avrà creduto e sarà stato battezzato, dice, sarà salvo, ma chi non avrà creduto sarà condannato 23. Questo misterioso credere si compie nei bambini mediante la risposta di coloro che li portano, perché non vadano, se ciò non avvenisse, tutti alla condanna per la colpa di uno solo. E tuttavia, contro voci tanto manifeste, con le quali canta all'unisono la Verità, esce fuori allo scoperto la vanità di un uomo più furioso che misericordioso a dire: " Non solo non vanno alla dannazione i bambini, anche se nessun lavacro della fede cristiana li assolve dal vincolo del peccato originale, ma godono pure della felicità del paradiso provvisoriamente dopo la morte e possederanno dopo la risurrezione anche la felicità del regno dei cieli ". Questi spropositi costui oserebbe forse mai dirli contro la fondatissima fede cattolica, se non osasse tentare di risolvere la questione dell'origine dell'anima, che è superiore alle sue forze?

Troppa presunzione.

13. 18. Costui infatti è rimasto bloccato dentro gole orrende da quelli che obiettano: " Perché Dio ha colpito l'anima con una pena tanto ingiusta da volerla relegare nel corpo del peccato, dove per l'unione con la carne comincia ad esser peccatrice lei che non avrebbe potuto esser peccatrice? ". Dicono proprio così: " L'anima non avrebbe potuto esser peccatrice, se Dio non l'avesse associata alla sorte della carne peccatrice ". Costui non poteva scoprire con quale giustizia Dio l'abbia fatto, soprattutto riguardo alla dannazione eterna dei bambini che muoiono senza battesimo e quindi senza essere stati purificati dal peccato originale; né poteva scoprire la ragione per cui un Dio giusto e buono, pur prevedendo che a queste anime di fanciulli non sarebbe venuto in soccorso il sacramento della grazia cristiana, le abbia mandate, quando erano libere da ogni macchia di propaggine, nel corpo che si trae da Adamo e le abbia avvinte con il laccio del peccato originale, rendendole in tal modo meritevoli della dannazione eterna. Poiché però costui non voleva neppure dire che anch'esse traggono origine peccatrice da quell'unica anima, ha preferito uscire dalla sua drammatica situazione con un miserabile naufragio piuttosto che frenare con provvida deliberazione, ammainate le vele e fermati i remi della sua discussione, la sua temeraria navigazione. Vile è apparso appunto agli occhi di questo giovane il nostro tentennamento senile, come se a questa molestissima e pericolosissima questione fosse più necessario lo slancio della eloquenza che il consiglio della prudenza. E l'ha previsto anche da se stesso, ma inutilmente. Sul punto infatti di proporsi queste obiezioni, come se gli fossero mosse dagli avversari, dice: " Di qui altre ingiurie incalzano da parte di gente che abbaia con queruli borbottamenti, e noi, sbattuti da una specie di turbine, andiamo a fracassarci proprio tra scogli immani ". Detto questo, si è proposta la sopraddetta scogliosissima questione, dove è naufragato dalla fede cattolica, a meno che con la penitenza non ripari le sue falle. Io, per evitare quel turbine e quegli scogli, non ho voluto avventurare tra di essi la mia navicella e ho scritto su questo argomento in tal modo da giustificare il mio tentennamento piuttosto che far mostra di un temerario e presuntuoso atteggiamento. Costui, trovata presso di te una mia opera, l'ha derisa e si è buttato tra quegli scogli con una baldanza più avventata che avveduta. Ma penso che tu veda adesso dove l'abbia condotto cotesta sua eccessiva fiducia in se stesso, ma ringrazio Dio ancora di più, se tu lo hai visto già prima. Poiché infatti costui non voleva frenare la sua pazza corsa, dopo un corso dubitoso è incorso in un risultato disastroso, asserendo che ai bambini defunti senza rigenerazione cristiana Dio concede e al presente il paradiso e nell'avvenire il regno dei cieli.

L'origine dell'anima è una questione dove la Scrittura non aiuta.

14. 19. Quanto poi alle testimonianze d'ogni genere che ha riferite dalle Scritture e con le quali si è come provato a provare che Dio non trae le anime dalla propaggine della prima anima, ma alla stessa maniera di quella prima le ispira una per una per tutte e singole le persone, quelle testimonianze, per quanto si attiene alla presente questione, sono tanto incerte e ambigue da potersi prendere facilissimamente anche in un senso diverso da quello che vuole costui. L'ho già dimostrato sufficientemente, penso, in quel libro che ho mandato al nostro amico ricordato sopra. I testi usati da Vincenzo Vittore, nei quali si legge che Dio dà o fa o forma le anime, non indicano con che cosa le dia o le faccia o le formi: se con la propaggine della prima o se ispirandole come la prima. Al contrario costui per lo stesso fatto che nella Scrittura si legge che Dio dà o fa o forma le anime crede subito che nella Scrittura sia negata la propaggine delle anime, mentre per testimonianza della stessa Scrittura Dio dà o fa o forma anche i corpi, che tuttavia nessuno dubita esser dati, fatti, formati da Dio attraverso la propaggine del seme.

Sono necessarie ancora delle ricerche.

14. 20. Ugualmente nel testo dove si legge che Dio fece tutto il genere umano da un unico sangue 24 e nel testo dove Adamo esclama: Questa volta è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne 25, poiché nel primo caso non è detto: " Da un'unica anima ", e nel secondo non è detto: " Anima dalla mia anima ", costui stima che si neghi l'origine delle anime dei figli dai genitori e l'origine dell'anima di Eva dal marito. Come se dicendo non " Da un unico sangue ", ma " Da un'unica anima " s'intendesse altro che l'uomo intero, senza negare la propagazione del corpo. Così pure se fosse stato detto: " Anima dalla mia anima ", non si negherebbe certo la carne che risultava presa da Adamo. La Scrittura infatti indica il più delle volte il tutto con la parte, come la parte con il tutto. Certamente se in quel passo citato da costui, invece che " Da un unico sangue ", fosse stato scritto che il genere umano è stato fatto da un unico uomo, non verrebbero danneggiati coloro che negano la propaggine delle anime, sebbene l'uomo non sia soltanto anima, né soltanto corpo, ma ambedue. Risponderebbero infatti che la Scrittura poteva indicare la parte con il tutto, cioè la sola carne dell'uomo con la parola uomo. Così dunque a loro volta coloro che difendono la propaggine delle anime, sostengono che nella frase: " Da un unico sangue " il sangue indica l'uomo, ossia la parte indica il tutto. Se dunque sembrano avvantaggiati gli uni dalla frase: " Da un unico sangue " al posto di: " Da un unico uomo ", gli altri sembrano avvantaggiati dal testo: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato in lui 26, al posto di dire: " In lui ha peccato la carne di tutti ". Similmente se i primi sono favoriti dal testo: Questa volta è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne 27, perché si dice la parte e non il tutto, a loro volta i secondi sono favoriti da quanto segue immediatamente: Questa si chiamerà donna, perché è stata tratta dall'uomo 28. Avrebbe dovuto dire, osservano: " Perché la sua carne è stata presa dall'uomo ", se dall'uomo non fosse stata presa tutta la donna, cioè anche l'anima, ma solo la sua carne 29. Ora, udite le due parti, chi giudica imparzialmente vede bene che né contro i difensori della propaggine delle anime sono proponibili quei testi dove si nomina una sola parte dell'uomo, perché la Scrittura ha potuto indicare il tutto con la parte (come quando leggiamo: Il Verbo si fece carne 30 certamente non intendiamo soltanto la carne, ma tutto l'uomo); né contro coloro che negano la propaggine delle anime sono proponibili i testi dove non si parla di una sola parte dell'uomo, ma dell'uomo intero, perché la Scrittura ha potuto in essi indicare la parte con il tutto, come confessiamo la sepoltura del Cristo, mentre fu sepolta soltanto la sua carne. In conclusione diciamo che la propaggine delle anime non si deve né affermare arbitrariamente, né negare arbitrariamente, ma avvertiamo che sono da cercarsi altre testimonianze che non risultino ambigue.

Rimane da spiegare il contegno di Pietro.

15. 21. Insomma io non so ancora che cosa ti abbia insegnato costui, né di che cosa tu l'abbia ringraziato. Rimane com'era la questione sull'origine delle anime: se Dio le dia, le faccia, le formi con la propaggine di quell'unica che ispirò nel primo uomo, o se con il suo alito come al primo uomo. Che le dia, che le faccia, che le formi non c'è dubbio per la fede cristiana. Nel tentativo di risolvere tale questione, senz'aver l'intuizione delle proprie forze, costui, rifiutando la propaggine delle anime e asserendo che il Creatore le ispira immuni da ogni contagio di peccato non dal nulla, ma da se stesso, per un verso ha infamato la natura di Dio con l'ingiuriosa attribuzione ad essa della mutevolezza, cosa che non sarebbe stata necessaria, e per l'altro verso, volendo giustificare Dio, perché non lo si creda ingiusto se impiglia nel laccio del peccato originale le anime pure da ogni peccato, anche quelle che egli non redime con la rigenerazione cristiana, ha insegnato tali errori che voglio non imparati da te alla sua scuola. Costui infatti assegna ai bambini non battezzati tanto di salvezza e di felicità quanto non ha potuto nemmeno l'eresia pelagiana. E tuttavia, delle tante migliaia di bambini che nascono dagli empi e muoiono tra gli empi, non di quei bambini ai quali gli uomini non possono venire in aiuto con il battesimo, pur volendolo, ma di quelli che nessuno ha potuto o potrà nemmeno pensare di battezzare, di quelli per i quali nessuno ha offerto od offrirà il sacrificio che costui ha decretato d'offrire anche per i non battezzati, costui non ha trovato che cosa dire. Dei quali bambini se gli si chiederà in che cosa le anime abbiano demeritato, perché Dio le immetta nella carne peccatrice, senza che debbano essere né lavate dal battesimo, né espiate dal sacrificio del corpo e del sangue del Cristo e debbano essere condannate in eterno, costui o rimarrà addirittura a bocca aperta e almeno in ritardo approverà la nostra esitazione, oppure decreterà che il corpo del Cristo si offra ugualmente per tutti i bambini che su tutta la terra muoiono senza il battesimo cristiano, anche taciuti i loro nomi, perché sconosciuti nella Chiesa del Cristo, e non incorporati nel corpo del Cristo.

Pietro non si comporti peggio di Vincenzo Vittore.

16. 22. Lungi da te, o fratello, che ti piacciano questi errori, lungi da te o che tu goda d'averli imparati o che tu presuma di farli imparare ad altri: in caso contrario si troverà costui di gran lunga migliore di te. Infatti costui nel preambolo del primo libro ha fatto delle dichiarazioni modeste ed umili, dicendo: " Mentre desidero obbedire a te, mi espongo all'accusa di presunzione". E poco dopo: " Quanto alla possibilità che si approvino le affermazioni che farò, io non credo nemmeno a me stesso, e sto sempre attento a non difendere neppure la mia sentenza, qualora appaia non approvabile, e mi sta a cuore di seguire piuttosto pareri che siano più buoni e più veri, condannando il mio proprio giudizio. Come infatti è segno d'ottima volontà e di lodevole disposizione la facilità a lasciarsi condurre ad opinioni più vere, così è segno di giudizio malvagio ed ostinato non volersi piegare prontamente alle indicazioni della ragione ". Se lo dice con sincerità e pensa come ha scritto, costui ha disposizioni che ispirano sicuramente una grande speranza. Analogamente dice alla fine del secondo libro: " Se io rimetto alla tua libertà il giudizio sopra il mio scritto, non credere che lo faccia per evitare da parte tua della malevolenza. Anzi, affinché eventualmente le tracce delle lettere rimanenti per caso tra il tessuto delle fibre non sollecitino e non offendano lo sguardo di qualche lettore curioso, straccia con pollici severi tutto il plico delle pagine insieme e, risparmiando a me tale punizione, punisci l'inchiostro che ha tracciato le indegne parole, perché in quest'occasione non cada il ridicolo né sul tuo giudizio rispetto a me, per essere stato troppo indulgente tu con me, né sulle mie sciocchezze che vi erano nascoste ".

Esortazioni a Pietro.

17. 23. Poiché dunque costui ha premunito all'inizio i suoi libri e al termine li ha rafforzati e ha posto sulle tue spalle il peso sacro della sua correzione e riparazione, trovi egli presso di te quanto ha domandato: che tu lo emendi giusto nella misericordia, e che tu lo riprenda, ma che l'olio con il quale il peccatore si profuma la testa 31 stia ben lontano dalle tue mani e dai tuoi occhi, cioè il consenso vergognoso dell'adulatore e la tenerezza ingannatrice del seduttore. Se trascuri d'emendarlo, pur vedendo il dovere d'emendarlo, agisci contro la carità; se invece non ti sembra da emendare, perché ritieni giuste coteste sue sentenze, allora ti metti a seguire una sapienza che è contro la verità. E perciò costui, disposto a farsi emendare se non manca un emendatore, sarà migliore di te: sia che tu lo abbandoni per disprezzo nel suo errore burlandoti di lui consapevolmente, sia che tu segua il suo stesso errore inconsapevolmente. Di quei medesimi libri dunque che ha scritti e consegnati a te ripassa attentamente e diligentemente tutto il contenuto e di punti da accusare ne troverai forse più di me. Quali che siano poi in quei libri le tesi da approvare e da lodare, se eventualmente ne ignoravi davvero qualcosa e l'hai imparato grazie alla sua dissertazione, confessa candidamente di che cosa si tratta, perché tutti coloro che furono insieme a te presenti alla declamazione dei suoi libri o lessero in seguito i medesimi libri sappiano che tu l'hai ringraziato di questo e non delle molte altre dottrine riprovevoli che vi si trovano. Bisogna evitare che costoro nello stile adorno di lui, come in un calice prezioso, per il tuo invito a bere, anche senza il tuo esempio di bere, bevano il veleno, se non sanno che cosa tu abbia bevuto da cotesti libri e che cosa tu non abbia bevuto, e a causa della tua ammirazione giudichino il contenuto di quei libri tutto da bere salutarmente. Sebbene, che cos'è se non bere l'ascoltare e il leggere e il riporre nella memoria le parole udite? Ma il Signore ha predetto nei riguardi dei suoi fedeli: Se berranno qualche veleno, non recherà a loro nessun danno32. Perciò quelli che leggono con giudizio e approvano ciò che è da approvare secondo la regola della fede e disapprovano ciò che è da disapprovare, non risentono nessun danno dall'errore velenoso di quelle sentenze, anche se conservano nella memoria ciò che è da disapprovare. Qualunque accoglienza tu riservi alle raccomandazioni con le quali per la misericordia del Signore ti ho prevenuto, io non mi pentirò minimamente d'aver rivolto moniti o ammonimenti alla tua gravità e alla tua religiosità, in nome sia della carità reciproca, sia della carità preveniente. Ma renderò abbondanti grazie al Signore, nella cui misericordia è salutarissimo confidare, se questa mia lettera troverà o renderà estranea ed immune la tua fede da quelle mostruosità e da quegli errori che con la presente lettera io ho potuto additare nei libri di questo scrittore.


Note:


1 - Gb 7, 15 (sec. LXX).

2 - Gn 2, 7.

3 - Gv 19, 30.

4 - Cf. Tb 4.

5 - Sal 12, 4.

6 - Ef 1, 18.

7 - Cf. Gn 2, 7. 22.

8 - Cf. Lc 16, 19-31.

9 - Cf. AUG., Ep. ad Optatum 4, 14.

10 - Cf. Gv 1, 14.

11 - Sap 4, 11. 14.

12 - Sap 4, 13.

13 - Cf. Lc 23, 43.

14 - Gv 3, 5.

15 - Cf. Gv 14, 2.

16 - Cf. Gv 14, 2.

17 - Cf. 2 Mac 12, 39-46.

18 - Gv 3, 5.

19 - Cf. 1 Sam 15.-

20 - Gv 3, 5.

21 - Mt 10, 39-

22 - Rm 5, 18.

23 - Mc 16, 16-.

24 - Cf. At 17, 26.

25 - Gn 2, 23.

26 - Rm 5, 12.

27 - Gn 2, 23.

28 - Gn 2, 24.

29 - Cf. TERTULLIANO, De anima 36, 4.

30 - Gv 1, 14.

31 - Cf. Sal 140, 5.

32 - Mc 16, 18.