Scrutatio

Giovedi, 9 maggio 2024 - Beata Maria Teresa di Gesù (Carolina Gerhardinger) ( Letture di oggi)

Contro la lettera di Mani

Sant'Agostino

Contro la lettera di Mani
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Ci si preoccupi piú della correzione degli eretici che della loro rovina.

1. 1. Ho pregato e prego l’unico vero Dio onnipotente, dal quale, per il quale, nel quale sono tutte le cose, o Manichei, affinché - nel confutare e nello smentire la vostra eresia, alla quale anche voi avete probabilmente aderito più con imprudenza che con intenzione disonesta - mi dia una mente pacata e tranquilla, che si preoccupi più della vostra correzione che della vostra rovina. Quantunque infatti il Signore sovverta i regni dell’errore attraverso i servi suoi, tuttavia ordina che gli uomini, in quanto uomini, debbano essere corretti piuttosto che mandati in perdizione. E qualunque cosa sia soggetta a punizione per volontà di Dio prima del divino giudizio finale, sia che ciò avvenga per mezzo di malvagi o di giusti, per mezzo di gente inconsapevole o consapevole, in segreto o apertamente; in ogni caso bisogna credere che tutto questo serve non per la rovina degli uomini, ma come una medicina: coloro che la rifiutano, sono pronti per l’estremo supplizio. Perciò, essendoci in questo universo alcune cose che servono per la punizione corporale - come fuoco, veleno, malattie e altre cose di tal genere - e altre con le quali l’animo si punisce da se stesso, non attraverso sofferenze corporali, ma con i lacci delle sue stesse cupidige - il danno, l’esilio, la privazione, gli oltraggi e altre realtà simili a queste -; invece certe cose non sono tormenti, ma quasi conforto e sollievo dei malati, come ad esempio le consolazioni, le esortazioni, le discussioni, e altri analoghi rimedi: la somma giustizia di Dio mette in opera alcuni tra tutti questi rimedi anche per mezzo di persone cattive ignare, altri invece mediante persone buone consapevoli. Dunque mi sono proposto di scegliere e preferire i mezzi migliori, affinché io abbia la possibilità di accostarmi alla vostra correzione, non con rivalità né con gelosia né con persecuzioni; ma consolando docilmente, esortando benevolmente, disputando amabilmente: così è scritto: non è opportuno che il servo del Signore sia litigioso; ma dev’essere mite con tutti, atto ad insegnare, paziente, che riprende con misura coloro che la pensano in modo diverso 1. Quindi ho deciso di propendere verso questa soluzione: è proprio di Dio donare ciò che è buono a coloro che lo desiderano e lo chiedono.

Quanti sospiri e gemiti per arrivare a comprendere Dio.

2. 2. Infieriscano contro di voi coloro che non sanno a prezzo di quale fatica si trovi il vero, e quanto difficilmente si possano evitare gli errori. Infieriscano contro di voi coloro che non sanno quanto sia difficile e arduo superare le illusioni carnali con la serenità di una mente pia. Infieriscano contro di voi coloro che non sanno con quanta difficoltà guariscano gli occhi dell’uomo interiore, per poter scorgere il suo sole: non questo sole dotato di corpo celeste, che voi venerate, il quale rifulge e irradia agli occhi della carne di uomini e bestie, ma quello del quale è scritto per mezzo del profeta: è sorto per me il sole di giustizia 2; e del quale si dice nel Vangelo: era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo 3. Infieriscano contro di voi coloro che ignorano con quali sospiri e gemiti si riesce a fare in modo che Dio possa essere compreso, anche se solo parzialmente. Infine, infieriscano contro di voi coloro che mai furono ingannati in un errore tale, quale quello in cui vedono traviati voi.

Agostino a stento con l’aiuto divino si è allontanato dalle favole manichee.

3. 3. Io invece che, a lungo e molto tormentato, alla fine ho potuto scorgere cosa sia quella verità che si comprende senza il racconto di vane favole; io misero, che a stento sono riuscito con l’aiuto di Dio a confutare le vane immaginazioni prodotte dal mio animo, congiunte con opinioni ed errori di diversa provenienza; io che tanto tardi mi sono assoggettato al clementissimo medico che mi chiamava e mi blandiva per dissipare la tenebra della mente; io che ho pianto a lungo, affinché l’immutabile e immacolata sostanza si degnasse a convincermi internamente facendo risuonare in armonia i libri divini; io infine che tutte quelle invenzioni, che con il contatto quotidiano, vi tengono avviluppati e legati, le ricercai con curiosità, le udii attentamente, le credetti con temerarietà; di quelle all’istante persuasi coloro che potei, le difesi ostinatamente e animosamente contro altri; proprio io dunque non posso infierire contro di voi, che ora mi sento in dovere di aiutare come me stesso a quel tempo; e devo trattarvi con pazienza, quanta ne ebbero i miei amici con me, quando erravo rabbioso e cieco nella vostra dottrina.

Si deponga l’arroganza e si cerchi la verità.

3. 4. Ma affinché più facilmente possiate placarvi, e non mi siate avversi con un animo ostile e dannoso per voi stessi, è necessario che io ottenga da voi a qualsiasi condizione, che si deponga ogni arroganza da entrambe le parti. Nessuno di noi dica di aver già trovato la verità: cerchiamola, come se sia ignota ad entrambi. La si può dunque cercare in modo diligente e concorde, purché non si creda con una temeraria presunzione di averla già trovata e conosciuta. Se non posso ottenere ciò da voi, almeno concedetemi che, come se mi foste sconosciuti, io vi ascolti ora per la prima volta e discuta con voi ora come fosse la prima volta. Credo che ciò che chiedo sia giusto: supposta certo questa condizione, che io non preghi con voi, non celebri riunioni comuni, non accolga il nome di Mani, se prima non mi darete una ragione perspicua su tutte le questioni pertinenti alla salvezza dell’anima, senza alcuna ombra.

La purissima sapienza presente nella Chiesa cattolica.

4. 5. Senza parlare di quella purissima sapienza presente nella Chiesa cattolica, alla cui penetrazione pochi uomini spirituali, e in verità solo in minima parte, giungono senza incertezza in questa vita, causa l’umana condizione (giacché non è la vivacità del capire che rende sicurissima la restante massa del popolo, ma la semplicità del credere); anche tralasciando di parlare di questa sapienza, che voi non credete sia presente nella Chiesa cattolica, ci sono molte altre cose che a buon diritto mi tengono nel suo grembo. Mi mantiene fermo il consenso dei popoli e delle genti; mi mantiene fermo quell’autorità avviata dai miracoli, nutrita dalla speranza, aumentata dalla carità, confermata dall’antichità; mi mantiene fermo la successione dei sacerdoti sulla stessa sede di Pietro apostolo, al quale il Signore affidò da pascere le sue pecore dopo la risurrezione, fino al presente episcopato; mi mantiene fermo infine lo stesso nome di Cattolica, che, non senza un motivo, solo questa Chiesa ha ottenuto in mezzo a numerosissime eresie, per cui, benché tutti gli eretici vogliano dirsi cattolici, tuttavia se uno domanda a qualche straniero dove si riunisca la Cattolica, nessuno degli eretici ha l’ardire di mostrare la sua basilica o la sua casa. Dunque tali e tanti dolcissimi vincoli del nome cristiano mantengono rettamente fermo il credente nella Chiesa cattolica, benché - a causa della lentezza della nostra intelligenza o del demerito della nostra vita - la verità non si manifesta ancora apertamente. Ma presso di voi, dove non c’è nessuna di queste cose che mi inviti e mi trattenga, risuona solo una promessa di verità: certamente, se questa mi viene dimostrata in modo talmente chiaro che non possa essere messa in dubbio, la si deve preporre a tutte quelle ragioni, dalle quali sono trattenuto in seno alla Cattolica; ma se solo si promette, e non si dimostra, nessuno potrà allontanarmi da quella fede che lega l’animo mio con numerosi e così convincenti argomenti alla religione cristiana.

Nella Lettera del Fondamento, è contenuto quasi tutto ciò che i Manichei credono.

5. 6. Vediamo dunque ciò che mi insegna Mani, e prendiamo in considerazione in particolar modo quel libro, che chiamate Lettera del Fondamento, dove è contenuto quasi tutto ciò che voi credete. Infatti, quando essa fu letta a noi - a quel tempo miseri - venivamo chiamati da voi illuminati. Di fatto inizia così: Mani apostolo di Gesù Cristo per la provvidenza di Dio Padre. Queste sono le parole salvifiche, dalla fonte viva e perenne. Ora per favore, con buona pazienza, prestate attenzione a ciò che penso. Non credo che costui sia apostolo di Cristo. Vi chiedo di non irritarvi, e di non incominciare a maledirmi. Sapete infatti che io ho stabilito di non credere in maniera sconsiderata a nulla da voi affermato. Vi chiedo dunque: chi è codesto Mani? Risponderete: Un apostolo di Cristo. Non ci credo. Non avrai il mio assenso qualunque cosa tu possa dire o fare; tu infatti mi promettevi la conoscenza della verità, e adesso mi costringi a credere ciò che non so. Probabilmente stai per leggermi il Vangelo, e da esso tenterai di difendere la persona di Mani. Se dunque tu trovassi uno, che ancora non crede al Vangelo, cosa faresti quando ti dice: Non ci credo? Invero io stesso non crederei al Vangelo, se non mi spingesse a credere l’autorità della Chiesa cattolica. Io che ho obbedito a quelli che mi dicevano di credere al Vangelo, perché non dovrei credere agli stessi che mi dicono di non credere ai Manichei? Scegli ciò che preferisci. Se mi dirai di credere ai Cattolici, essi stessi mi ammoniscono a non attribuirvi alcuna fiducia: per cui credendo a quelli non posso far altro che non credere a te. Se mi dirai di non credere ai Cattolici, non faresti cosa retta a costringermi alla fede di Mani mediante il Vangelo, perché io ho creduto allo stesso Vangelo quando mi veniva predicato dai Cattolici. Ma se mi dirai che ho agito rettamente prestando fede ai Cattolici che lodano il Vangelo, ma non ho fatto bene a credere a loro quando parlavano male di Mani; fino a tal punto mi credi stolto, da farmi credere a ciò che tu vuoi senza darmene un'adeguata spiegazione, e viceversa non credere a ciò che tu non vuoi? Agisco in verità in una forma molto più retta e cauta della vostra: poiché ho creduto prima ai Cattolici, non passo alla tua fede, a meno che tu mi avrai ordinato non di credere, ma piuttosto mi avrai fatto conoscere qualche verità in modo molto chiaro ed evidente. Di conseguenza se stai per offrirmi la dimostrazione, tralascia il Vangelo. Se tu ti attieni al Vangelo, io mi atterrò a quelli, grazie al cui insegnamento ho creduto al Vangelo; e su ordine di costoro io non ti crederò affatto. Ché se per caso nel Vangelo tu avrai potuto trovare qualcosa di molto evidente sulla qualifica di apostolo attribuita a Mani, mi farai venir meno l’autorità dei Cattolici, che ordinano di non crederti: annullata la quale, non potrò più credere neppure al Vangelo, perché avevo creduto a quello tramite loro; così niente avrà valore per me, qualsiasi cosa escogiterai in seguito. Per cui se nel Vangelo non si trova niente di chiaro sull’apostolato di Mani, crederò piuttosto ai Cattolici che a te. Ma se in seguito vi leggerai qualcosa di chiaro in favore di Mani, non crederò né a quelli, né a te: a quelli, perché mi hanno mentito su di te; invece a te, perché mi presenti quella scrittura, alla quale avevo creduto tramite loro, i quali mi hanno mentito. Ma non sia mai che io non creda al Vangelo! Credendo a quello, non trovo in che modo io possa credere anche a te. Infatti i nomi degli Apostoli, che ivi si leggono 4, non contengono tra loro il nome di Mani. Inoltre negli Atti degli Apostoli leggiamo chi è subentrato al posto del traditore di Cristo 5; è necessario che io creda anche a questo libro, se credo al Vangelo, perché l’autorità cattolica mi raccomanda parimenti entrambe le Scritture. Nel medesimo libro troviamo anche la notissima storia della vocazione e dell’apostolato di Paolo 6. Leggimi ora, se puoi, nel Vangelo, in qual passo Mani è detto apostolo; o in qualche altro libro, al quale io ho già confessato di credere. Forse mi andrai a leggere quel passo, dove il Signore promise agli Apostoli lo Spirito Santo Paracleto? Da questo passo tu puoi vedere quali e quanti siano i fattori che mi distolgono e mi dissuadono dal credere a Mani.

Perché Mani si è chiamato apostolo di Cristo.

6. 7. Vi chiedo allora perché l’inizio di quella lettera sia: Mani apostolo di Gesù Cristo, e non: " Il Paracleto apostolo di Gesù Cristo". Ma se il Paracleto mandato da Cristo mandò Mani, perché leggo: Mani apostolo di Gesù Cristo e non piuttosto: " Mani apostolo del Paracleto "? Se tu dici che è lo stesso Cristo ad essere anche lo Spirito Santo, contraddici la stessa Scrittura, dove il Signore dice: E vi manderò un altro Paracleto 7. Ma se ritieni che il nome di Cristo sia posto giustamente, non perché è Cristo quegli stesso che è anche Paracleto, ma perché entrambi sono della stessa sostanza; cioè, non perché è uno, ma perché sono una cosa sola; allora anche Paolo poteva dirsi " Paolo apostolo di Dio Padre ", perché disse il Signore: Io e il Padre siamo una cosa sola 8. In nessun luogo si dice questo; ma nessuno degli Apostoli si intitola apostolo del Padre. Cosa dunque significa questa novità? Non vi sembra che si senta una certa puzza di menzogna? Certamente, se stimò che non vi fosse alcuna differenza, perché non si nomina diversamente, in alcune lettere apostolo di Cristo, in altre del Paracleto? Ma di Cristo l’ho sempre udito, tutte le volte che l’ho udito; del Paracleto invece, nemmeno una volta sola. Riteniamo che di ciò vi sia una sola causa: che la superbia, madre di tutti gli eretici, ha spinto un uomo a voler apparire - pur senza esserlo - non tanto mandato dal Paracleto, ma in tal modo da lui assunto, da definirsi egli stesso Paracleto! Come Gesù Cristo uomo, non fu mandato dal Figlio di Dio, cioè dalla Virtù e Sapienza di Dio, mediante la quale sono state fatte tutte le cose; ma essendo assunto, come vuole la fede cattolica, sì da essere egli stesso Figlio di Dio, cioè in modo che si manifestasse in lui stesso la Sapienza di Dio per risanare i peccatori; così egli volle sembrare di essere assunto dallo Spirito Santo che Cristo aveva promesso, affinché, nel momento in cui udiamo Mani Spirito Santo, comprendiamo apostolo di Gesù Cristo, cioè, mandato da Gesù Cristo, che aveva promesso di mandarlo. Questa è un’audacia straordinaria, e un sacrilegio indicibile!

I Manichei dicono che Mani fu assunto dallo Spirito Santo

7. 8. Ma tuttavia mi chiedo, dal momento che anche voi credete che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono uniti in una natura non differente, per quale motivo non ritenete sia turpe predicare che è nato da entrambi i sessi l’uomo Mani assunto dallo Spirito Santo, mentre temete di credere nato da una vergine un uomo che fu assunto dall’unigenita Sapienza di Dio? Se la carne umana, se l’accoppiamento dell’uomo, se l’utero di una donna non poté inquinare lo Spirito Santo, come poté l’utero di una vergine inquinare la Sapienza di Dio? Dunque questo Mani, che si gloria del Santo Spirito e del dettato evangelico, è necessario ammetta che o è stato mandato dallo Spirito Santo, o è stato assunto. Se è stato mandato, si dica apostolo del Paracleto; se è stato assunto, a colui che l’unigenito Figlio assunse, conceda un essere umano come madre, se a colui che lo Spirito Santo ha assunto attribuisce anche un padre. Creda che dalla verginità di Maria il Verbo di Dio non è stato contaminato, se è Mani stesso ad esortarci a credere che lo Spirito Santo non ha potuto essere contaminato dall’accoppiamento dei propri genitori. Voi potreste anche dire che Mani fu assunto dallo Spirito Santo né prima né dopo il suo ingresso nell’utero, ma soltanto dopo la sua nascita. Mi basta tuttavia il solo fatto di ammettere che ha avuto la carne procreata da un uomo e una donna. Dunque, poiché voi non temete che le viscere e il sangue di Mani provengano da un accoppiamento umano, come pure che gli intestini del suo corpo si siano riempiti di fimo, nella piena convinzione che da tutte queste cose non è stato contaminato lo Spirito Santo, dal quale credete che quell’uomo è stato assunto: perché dunque dovrei io temere l’utero verginale e il parto intatto, preferendo credere che la Sapienza divina, nell’assumere l’umanità nelle stesse viscere materne, ha conservato la sua immacolata integrità? Per la qual cosa, allorquando il vostro Mani afferma di essere o mandato, o assunto dal Paracleto, nessuna di queste cose gli si potrà concedere dal momento che io ora, fatto più cauto, credo che non è stato né mandato, né assunto.

I Manichei festeggiano con grandi onori il Bema.

8. 9. Infatti ciò che aggiunse dicendo: per la provvidenza di Dio Padre, che altro cercò di ottenere con il nominare Gesù Cristo, del quale si dice apostolo, e Dio Padre, per la provvidenza del quale si dice mandato dal Figlio, se non di farci credere che sia proprio lui, quale terza persona, lo Spirito Santo? Così infatti scrive: Mani apostolo di Gesù Cristo per la provvidenza di Dio Padre. Lo Spirito Santo non è stato nominato - il quale a maggior ragione doveva essere nominato da lui, che ci raccomanda il suo apostolato per la promessa del Paracleto - per convincere gli inesperti per mezzo dell’autorità evangelica. Quando siete interrogati in proposito, voi rispondete che, per il fatto che Mani è chiamato apostolo, lo Spirito Santo, per essersi degnato di venire in lui, è chiamato Paracleto. Chiedo dunque, come dicevo prima, perché inorridite quando la Chiesa cattolica dice che è nato da una vergine colui sul quale è venuta la divina Sapienza: mentre non inorridite per nulla quando voi stessi predicate che colui nel quale è venuto lo Spirito Santo è nato da una donna unitasi con un uomo. Non so dunque che altro dovrei supporre, se non che questo famoso Mani, il quale tramite il nome di Cristo cerca di penetrare nell’animo degli inesperti, ha voluto essere venerato al posto dello stesso Cristo. Brevemente dirò da dove si può capire ciò. In quel tempo in cui ero vostro uditore, quando sovente vi chiedevo per quale ragione generalmente non fosse celebrata affatto la Pasqua del Signore, o talora solo da pochi con scarsissimo entusiasmo, senza alcuna veglia, senza che venisse indetto per gli Uditori un digiuno più lungo del solito, insomma con nessun preparativo particolarmente festivo; mentre festeggiate con grandi onori il vostro Bema, cioè il giorno in cui Mani fu ucciso, avendo preparato una tribuna con cinque gradini, adornata con teli preziosi, esposta in maniera ben visibile agli adoratori; quando dunque chiedevo ciò, mi si rispondeva che bisognava celebrare il giorno della passione di costui, che aveva veramente patito; invece Cristo, che non era nato, né aveva mostrato agli occhi umani una carne vera, ma solo apparente, non aveva sopportato la passione, ma aveva solo finto. Chi non deplorerà il fatto che uomini che pretendono dirsi cristiani, temano di credere che la verità possa venire contaminata dall’utero della vergine, mentre non temono che lo sia dalla menzogna? Ma per tornare al punto in questione, chi non sospetterebbe, se considera attentamente, che per questo motivo Mani nega che Cristo sia nato da una donna e abbia avuto corpo umano, perché non fosse celebrata da coloro che gli avrebbero creduto la passione di Cristo, che è ormai diventata il tempo più festeggiato di tutto il mondo? E perché teme che non si onori con altrettanta devozione la desiderata solennità del giorno della sua morte? Infatti proprio questo ci era assai gradito in quella festa del Bema : che fosse celebrata al posto della Pasqua; perciò desideravamo più ardentemente quel giorno festivo, essendoci stato sottratto un altro che soleva essere dolcissimo.

Quando è venuto il Paracleto promesso dal Signore.

9. 10. Forse mi dirai: Quando è venuto il Paracleto promesso dal Signore? E qui io, se non avessi altro da credere, più facilmente lo aspetterei che deve ancora venire, piuttosto che concedere che sia venuto tramite Mani. Ora in realtà, poiché negli Atti degli Apostoli si predice in modo molto chiaro l’avvento del Santo Spirito, qual necessità mi costringe a credere agli eretici in un modo così pericoloso e facile? Infatti nel libro menzionato così è scritto: Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò nel giorno in cui scelse gli Apostoli - per mezzo dello Spirito Santo - e ordinò loro di predicare il Vangelo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la passione, con molte prove, apparve a loro per quaranta giorni e insegnando sul regno di Dio. E mentre conversava con loro, ordinò di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre " quella ", disse, " che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, che riceverete dopo i pochi giorni che vi separano dalla Pentecoste ". Venutisi a trovare insieme gli domandarono: " Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele? ". Ma egli rispose: "Nessuno può conoscere il tempo che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra " 9. Ecco qui hai il passo dove egli ha ricordato ai discepoli la promessa del Padre, che essi avevano udito dalla sua bocca, riguardo allo Spirito Santo che sarebbe venuto. Ora vediamo quando è stato mandato. Infatti poco oltre si dice: In quel tempo in cui giunse il giorno della Pentecoste, erano tutti unanimi insieme nello stesso luogo. E venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutto il luogo dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano a loro volta: " Coloro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, dell’Armenia e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle regioni dell’Africa vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e stranieri, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio ". Erano stupiti ed esitavano per il fatto accaduto, chiedendosi: "Che significa questo? ". Altri invece li deridevano e dicevano: "Si sono ubriacati di mosto " 10. Ecco quando è venuto lo Spirito Santo: che volete di più? Se si deve credere alle Scritture, perché non crediamo a queste, che sono confermate da una solidissima autorità? Le quali insieme con lo stesso Vangelo - dove crediamo che parimenti è promesso lo Spirito Santo - meritarono di essere divulgate fra i popoli, tramandate ai posteri e predicate. Dunque quando leggo questi Atti degli Apostoli, accomunati al Vangelo in pari autorità, trovo che non solo è stato promesso a quei veri Apostoli il Santo Spirito, ma è altresì tanto chiaro il fatto che è stato mandato, da non lasciare su questo argomento alcuno spazio all’errore.

Per due volte è stato dato anche lo Spirito Santo.

10. 11. Infatti la glorificazione del Signore nostro presso gli uomini consiste nella risurrezione dai morti e nell’ascensione al cielo. Ma nel Vangelo è scritto: Non era ancora stato dato lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato 11. Se dunque non era ancora stato dato, per la ragione che Gesù non era stato ancora glorificato, dopo che Gesù è stato glorificato, inevitabilmente subito è stato dato. E a causa della stessa duplice glorificazione, secondo l’uomo e secondo Dio, per due volte è stato dato anche lo Spirito Santo: una prima volta, dopo che egli risorse dai morti, quando soffiò sul volto dei discepoli, dicendo: Ricevete lo Spirito Santo 12. E di nuovo, dopo che ascese al cielo, quando erano trascorsi dieci giorni: numero che significa la perfezione; infatti al numero sette, nel quale hanno consistenza tutte le cose create, si aggiunge la Trinità del creatore. Su tali argomenti tra uomini spirituali si discutono con pietà e cautela molte questioni. Ma io non recederò dal mio proposito: infatti ho stabilito in precedenza di agire con voi, in modo che non vi insegni, poiché potreste reputarmi superbo; ma come se io stesso desiderassi apprendere da voi, ciò che in nove anni non ho potuto. Per cui so già in quali lettere credere riguardo all’avvento dello Spirito Santo; se mi proibite di credere ad esse, perché non creda alla cieca ciò che non so - così infatti siete soliti ammonire - molto meno crederò alle vostre lettere. Perciò, o togliete di mezzo tutti i testi, e cercate di rivelare la verità discutendo, una verità della quale io non possa dubitare; o producete testi tali da dimostrarmi, senza frode, la dottrina da apprendere senza che mi si imponga con arroganza di credere. Forse, tu dici, anche questa lettera è di tale tipo. Dunque non voglio rimanere ulteriormente ai preliminari: addentriamoci nel discorso.

Mani promette, ma non presenta la verità.

11. 12. Queste sono, dice, le parole salvifiche, dalla fonte viva e perenne; colui che le avrà ascoltate, e in primo luogo avrà creduto ad esse, quindi avrà custodito ciò che comunicano, mai sarà soggetto a morte, ma godrà di una vita eterna e gloriosa. Infatti senza dubbio si deve giudicare beato colui il quale sarà istruito da questa divina conoscenza; liberato per mezzo di essa permarrà in una vita sempiterna. E questa è, come vedete, una promessa, non ancora una presentazione della verità: anche voi stessi potete avvertire molto facilmente, che qualsiasi errore può essere imbellettato con questo velo, cosicché si introducono strisciando nascostamente negli animi degli imperiti attraverso una porta ornata. Se infatti la lettera dicesse: " Queste sono le parole pestifere, dalla fonte velenosa; chi le avrà udite, e in primo luogo avrà creduto ad esse, poi avrà custodito ciò che comunicano, mai sarà consegnato alla vita, ma sarà colpito da una morte penosa e tormentata " (infatti senza dubbio deve essere considerato misero colui che sarà avviluppato da questa infernale ignoranza, per la quale rimarrà immerso in eterni affanni); se dunque dicesse ciò, direbbe il vero. Ora con questo libro non solo non si accattiverebbe il favore di nessun lettore, ma spingerebbe ad un grandissimo odio tutti coloro nelle cui mani fosse caduto. Per cui passiamo alle conseguenze, né ci ingannino queste che possono essere parole comuni a buoni e cattivi, a dotti e indotti. Che cosa dunque ne consegue?

Queste cose possono essere dette sia dai buoni maestri che dagli ingannatori.

11. 13. La pace, dice, del Dio invisibile, e l’annuncio della verità sia con i fratelli santi e carissimi, che credono ai precetti celesti e allo stesso tempo li osservano. Così sia, come dice. Infatti questo è un desiderio benigno e molto gradito. Soltanto ricorderemo che queste cose possono essere dette sia dai buoni maestri che dagli ingannatori. Così se non dicesse nient’altro che questo, concederei a tutti di leggerle e di abbracciarle. Né disapproverei ciò che segue più avanti; aggiunge infatti: Ma vi protegga la destra della luce e vi sottragga ad ogni aggressione maligna, e ai lacci del mondo. E certo non voglio rimproverare qualsiasi cosa sia scritta al principio di questa lettera, finché non si giunga al nocciolo del discorso, affinché non si consumi la maggior parte dell’opera in questioni minori. Ora dunque vediamo la promessa chiarissima di quest’uomo.

Mi si deve dimostrare la verità tanto chiaramente, che io vi possa giungere senza alcuna ambiguità.

12. 14. Quindi, dice, o fratello dilettissimo Patticio, riguardo alla questione che mi hai proposto, dicendo: " desidero apprendere in che modo sia avvenuta la nascita di Adamo e di Eva, se entrambi siano stati creati dalla parola, o siano i primi nati dal corpo ": ti si risponderà come è giusto. Infatti molti su questi temi, in scritture e rivelazioni di vario genere, in modo differente hanno preso posizione e argomentato. Per cui la verità di come questo evento sia accaduto, è ignorata da quasi tutti i popoli, e anche da tutti quelli che hanno lungamente disputato di ciò. Se infatti a costoro fosse accaduto di conoscere chiaramente qualcosa riguardo alla generazione di Adamo ed Eva, mai sarebbero stati soggetti a corruzione e morte. Dunque ci promette una chiara conoscenza sul modo di poter sfuggire alla corruzione e alla morte. E se fin qui è troppo poco, vedi ciò che segue: È necessario dunque, dice, che molte altre cose siano prima ricordate, affinché si possa giungere a questo mistero senza alcuna ambiguità. Questo è ciò che dicevo io: mi si deve dimostrare la verità tanto chiaramente, che io vi possa giungere senza alcuna ambiguità. Se anche egli stesso non la promettesse, tuttavia sarebbe necessario che io lo esigessi con insistenza; e non mi vergognerei nemmeno, per il grande beneficio di avere una conoscenza tanto evidente e certa, di diventare manicheo da cristiano cattolico, per quante contraddizioni io potessi incontrare. Ora dunque ascoltiamo ciò che adduce.

Incredibile che prima della creazione del mondo sia stata intrapresa una qualche lotta.

12. 15. Onde se ti sembra opportuno, dice, ascolta in primo luogo quali cose furono prima della creazione del mondo, e a quale condizione sia stata ingaggiata la lotta, affinché tu possa separare la natura della luce e delle tenebre. Ora ha proposto cose del tutto incredibili e false. Chi infatti crederà che prima della creazione del mondo sia stata intrapresa una qualche lotta? E tuttavia se ciò è credibile, noi non veniamo soltanto per credere, ma per conoscere. Infatti colui che dice che i Persiani e gli Sciti hanno combattuto fra di loro molti anni fa, dice una cosa credibile; tuttavia tale cosa, pur avendola udita o letta, la possiamo solo credere, ma non conoscere per averla sperimentata e compresa. Come ripudierei io costui, se dicesse qualcosa di tal fatta; infatti promise non verità, che fossi costretto a credere, ma che potessi conoscere senza alcuna ambiguità: in che modo potrò evitare di ripudiarlo, quando non solo dice cose incerte, ma anche incredibili? Ma cosa! Se mai con qualche motivazione le rendesse perspicue e conosciute? Ascoltiamo dunque, se possiamo, con ogni pazienza e mitezza ciò che segue.

Mani dice che vi furono in principio due sostanze divise tra loro. Il regno della luce.

13. 16. Certo, dice, vi furono in principio due sostanze divise tra loro. E invero Dio Padre aveva il dominio della luce, perpetuo nella sua santa stirpe, magnifico nella virtù, vero per la sua stessa natura, sempre esultante della propria eternità, tenendo presso di sé la sapienza e i sensi vitali: attraverso i quali racchiude anche dodici membra della sua luce, vale a dire ricchezze che confluiscono nel suo regno. In ciascuna delle sue membra sono nascoste migliaia di innumerevoli e immensi tesori. Il Padre stesso, precipuo nella sua lode, incomprensibile nella grandezza, tiene congiunti a sé i beati e gloriosi secoli, incalcolabili per numero o per estensione, con i quali il medesimo santo e illustre Padre e genitore trascorre il tempo, non essendoci nei suoi regni insigni nulla di mancante o di malfermo. Così i suoi regni sfolgoranti sono fondati sopra la terra luminosa e beata, sì da non poter essere mai mossi o agitati da alcuno.

Non sono venuto qui per credere cose sconosciute, ma per conoscere cose certe.

13. 17. Con quali fondamenti mi proverà queste cose, o da dove le ha conosciute egli stesso? Non cercare di spaventarmi col nome del Paracleto. Anzitutto, perché non sono venuto qui per credere cose sconosciute, ma per conoscere cose certe, reso più cauto da voi stessi. Voi infatti lo sapete bene, siete soliti insultare con una certa veemenza coloro che credono senza discernimento: tanto più che egli stesso, che ha già incominciato a raccontare cose incerte, aveva promesso poco prima una conoscenza piena e sicura.

Seguire chi ci invita prima a credere ciò che non siamo ancora capaci di capire, affinché, resi piú saldi dalla stessa fede, meritiamo di capire ciò che crediamo.

14. 17. Da questo momento, nel caso mi dovesse essere imposta la fede, piuttosto mi sentirei legato a quella Scrittura dove leggo che è venuto lo Spirito Santo, e che ha ispirato gli Apostoli 13, ai quali il Signore stesso aveva promesso che l’avrebbe mandato 14. Per cui, o mi provi che sono vere le cose che dice, mostrandomi così anche quello che non posso credere; oppure, provami che colui che le dice è lo Spirito Santo, affinché io creda ciò che tu non puoi dimostrarmi. Io infatti professo la fede cattolica, e presumo che attraverso di quella giungerò ad una conoscenza sicura: tu invece, che ti sforzi di corrompere la mia fede, cerca di trasmettere una conoscenza sicura, se puoi; per convincermi che ciò che ho creduto, l’ho creduto senza discernimento. Due sono le possibilità che mi prospetti: la prima quando dici che costui che parla è lo Spirito Santo; e la seconda, quando affermi che sono evidenti le cose che dice. Avrei dovuto conoscere entrambe le cose da te senza alcun dubbio: ma non sono avido; insegnamene una sola. Mostrami che costui è lo Spirito Santo, e io crederò che sono vere le cose che dice, anche se non sono in grado di capirle; oppure mostrami che sono vere le cose che dice, e io crederò che egli è lo Spirito Santo, anche se lo ignoro. Ci si può forse comportare con te in modo più equo e con maggiore benevolenza? Ma tu non sei capace di dimostrare né questo né quello. Non fai nient’altro che lodare ciò che credi tu, e irridere ciò che credo io. Quando dunque anch’io a mia volta avrò lodato ciò che credo io, e irriso ciò che credi tu, cosa stimi sia meglio scegliere o fare, se non lasciare coloro che ci invitano a conoscere cose sicure e dopo ci comandano di credere a cose insicure; e seguire invece coloro che ci invitano prima a credere ciò che non siamo ancora capaci di capire, affinché, resi più saldi dalla stessa fede, meritiamo di capire ciò che crediamo, non già grazie agli uomini, ma grazie a Dio stesso che internamente illumina e rafforza la nostra mente?

Se c’è una differenza tra conoscere e credere.

14. 18. E giacché ho chiesto da dove egli mi adduca le prove di ciò, ora chiedo da dove egli stesso le abbia conosciute. Se dice che gli sono state rivelate dallo Spirito Santo, e che la sua mente è stata divinamente illuminata, per conoscere come certe e manifeste quelle cose che dice, sarebbe proprio lui allora a mostrarci quale differenza esista tra il conoscere e il credere. A lui queste cose sono state mostrate in modo molto chiaro ed egli le conosce: invece a coloro cui le riferisce, non comunica una conoscenza, ma li esorta a credere. Chi sarà d’accordo con lui senza discernimento, viene reso manicheo; e così non viene a conoscere cose sicure, ma a credere cose incerte; come ingannò me allora giovincello inesperto. Non avrebbe dovuto prometterci una conoscenza né un’istruzione chiara, né di arrivare senza alcuna ambiguità a ciò che si ricerca; ma piuttosto avrebbe dovuto dire che a lui queste verità erano state mostrate, mentre coloro ai quali vengono raccontate cose che ignorano, devono credere a lui. Ma se dichiarasse ciò, chi non gli risponderebbe: " Se dunque devo credere a cose sconosciute, perché non posso piuttosto credere a quelle che hanno a loro favore il consenso di dotti e indotti, e godono della saldissima autorità di tutti i popoli "? Per timore di una simile risposta, egli sparge fumo sugli inesperti: prima promettendo la conoscenza di cose certe, e poi esigendo la fede su quelle incerte. Anche nel caso gli chiedessimo di provarci che quanto afferma gli è stato rivelato, ugualmente non saprebbe, e ci imporrebbe nuovamente di crederlo. Chi potrebbe tollerare tanta fallacia e superbia?

Mani non dimostra la conoscenza della verità che promette, ma dice cose che sono decisamente contrarie alla conoscenza e alla verità.

15. 19. E che dirai se avrò dimostrato - con l’aiuto di Dio e Signore nostro - che non solo sono incerte, ma anche false le cose che dice? Che cosa puoi trovare di più infelice di questa superstizione, che non solo non dimostra la conoscenza promessa e la verità, ma dice cose che sono decisamente contrarie alla conoscenza e alla verità? Cosa che apparirà più chiaro qui di seguito. Così infatti dice: Presso una sola parte e lato di quella insigne e santa terra c’era la terra delle tenebre, di profonda e immensa grandezza, nella quale abitavano corpi di fuoco, cioè esseri pestilenziali. Qui c’erano tenebre infinite che sgorgavano in numero incalcolabile dalla stessa natura con i loro feti: dall’altra parte c’erano acque fangose e torbide con i loro abitanti; all’interno di queste c’erano venti orribili e fortissimi con il loro Principe e genitori. C’era poi anche una regione ignea e corruttibile con i suoi duci e nazioni. In ugual modo nella parte interna c’era una stirpe piena di caligine e di fumo, nella quale dimorava l’immane Principe e duce di tutti, che aveva intorno a sé innumerevoli principi; di tutti costoro egli era mente e origine. Queste furono le cinque nature della terra pestifera.

La natura della sapienza e della verità in ogni cosa è eguale al sommo Padre.

15. 20. Se dicesse che la natura di Dio è il corpo dell’aria o anche dell’etere, senza dubbio sarebbe irriso da tutti coloro che, con una certa acutezza derivante da una mente che sia ormai più serena, sono capaci di intuire che la natura della sapienza e della verità non può essere distesa e diffusa attraverso un qualche spazio, essa che è grande e magnifica senza avere alcuna mole, né è in una parte minore e in una maggiore, ma in tutto è eguale al sommo Padre, né tiene una cosa qui e un’altra lì, ma dovunque è tutta integra, ed è presente ovunque.

La natura della stessa anima, pur mutevole, non è trattenuta dallo spazio.

16. 20. Ma che dirò della verità e della sapienza, che sorpassa ogni potenza dell’anima, dal momento che la natura della stessa anima, pur mutevole, in nessun modo occupa uno spazio con il suo volume? Qualsiasi cosa abbia infatti un certo spessore, non può essere diminuita se non per parti, trovandosi una parte qui e una lì. Minore è infatti il dito di tutta la mano; e minore è un solo dito piuttosto che due; e un dito è qui, un altro lì, altrove il resto della mano. Non solo nelle masse articolate dei corpi riscontriamo questa caratteristica; ma anche una parte della terra non si trova dove è un’altra, perché ciascuna occupa il suo posto; e una parte di un liquido è minore in uno spazio minore, maggiore in uno maggiore, e una parte è verso il fondo, l’altra presso il bordo del bicchiere. Similmente le parti dell’aria riempiono ciascuna il proprio luogo; né si può fare in modo che l’aria di cui è riempita questa casa, allo stesso tempo possa avere con sé nella stessa casa anche quell’aria che hanno i vicini; una parte della stessa luce penetra attraverso questa finestra, un’altra attraverso quella; e maggiore quantità attraverso la maggiore, attraverso la minore invece minore quantità. Né assolutamente può avvenire che un qualche corpo, celeste o terrestre, gassoso o liquido, non sia minore nella parte che nel tutto; né in alcun modo che si possa avere una parte nel posto di un’altra, ma una cosa è qui e una lì essendo distinta e divisa lungo un certo spazio, o piuttosto, per così dire, distesa in una estensione separata. Invece la natura dell’anima, anche senza prendere in considerazione quella sua potenza con la quale comprende la verità, ma quella inferiore con la quale abbraccia il corpo e sente nel corpo, in nessun modo si trova che essa si distenda in uno spazio con una qualche grandezza. Infatti è tutta disponibile nelle singole particelle del suo corpo, poiché tutta sente nei singoli punti: né la sua parte minore è nel dito, e la maggiore nel braccio, come lo stesso dito è minore del braccio; ma dovunque è uguale a se stessa, perché è tutta dovunque. Quando si tocca infatti un dito, l’anima non sente per tutto il corpo, e tuttavia tutta intera sente. Quel tocco infatti non la esaurisce nella sua interezza; ciò non accadrebbe infatti, se non fosse tutta disponibile. Né è tutta disponibile in modo che quando tocca il dito e sente nel dito, tralascia il resto del corpo, e concentra se stessa in quell’unico punto in cui sente. Viceversa mentre tutta la mano sente nel dito, se viene toccato un altro punto nel piede, non manca di sentire tutta anche qui: e così si trova tutta contemporaneamente in singoli punti distanti, non mancando in uno solo mentre è tutta nell’altro, né occupando entrambi come se una parte sia qui, lì l’altra; ma essendo in grado di presentarsi tutta contemporaneamente nei singoli punti, poiché tutta sente nei singoli punti, mostra a sufficienza che non è trattenuta dallo spazio.

L’anima non è compresa dalle immagini dei luoghi piú grandi, ma piuttosto le comprende.

17. 20. Perché, se pensiamo alla sua memoria, non delle cose intellegibili, ma di quelle corporee, quale anche le bestie sentono di avere (infatti anche i giumenti trovano la strada senza errore attraverso luoghi noti, e le bestie ritornano alle loro tane, e i cani riconoscono i loro padroni, e persino mentre stanno dormendo generalmente mormorano, e talvolta erompono in un latrato, cosa che in alcun modo potrebbero compiere se non riversassero nella loro memoria le immagini delle cose viste o in qualunque modo sentite tramite il corpo); chi penserebbe correttamente dove queste immagini siano catturate, dove siano conservate, o dove siano formate? Se infatti non possono essere maggiori di quanto la capacità del nostro corpo sopporta, qualcuno potrebbe dire che l’anima raffigura e conserva queste immagini tra gli stessi spazi del proprio corpo nei quali anche quelle sono rinchiuse. Ora invero giacché il corpo occupa un’esigua parte della terra, l’animo fa scorrere le immagini delle immense regioni del cielo e della terra, e non è reso angusto verso quelle che si allontanano e si avvicinano a frotte: e di qui si dimostra che non è diffuso attraverso i luoghi, perché non è per così dire compreso dalle immagini dei luoghi più grandi, ma piuttosto le comprende; non in qualche piega, ma per la forza e potenza ineffabile, grazie alla quale si può aggiungere o togliere a quelle qualsiasi cosa, e contrarle in uno spazio angusto, ed espanderle all’infinito, e ordinarle come si vuole, e scompigliarle e moltiplicarle, e farle di nuovo diventare poche e una sola.

Quella potenza, con la quale l’anima comprende la verità.

18. 20. Che dirò ora di quella potenza, con la quale si comprende la verità e per mezzo della quale si resiste con grande energia alle immagini che, percepite dai sensi del corpo, vengono raffigurate, immagini che si spacciano per verità? Per mezzo di essa, sembra ad esempio che una sia la vera Cartagine, un’altra quella che si rappresenta col pensiero, e passa dall’una all’altra con facilità a suo piacimento: dalla stessa potenza sembra che provengano con facilità gli innumerevoli mondi, nei quali ha divagato innumerevoli volte la riflessione di Epicuro; e, per non prolungarmi oltre, dalla stessa con facilità sembra che provenga questa terra di luce distesa per spazi infiniti, e i cinque antri con i suoi abitanti della stirpe delle tenebre, nei quali le fantasie di Mani hanno osato usurpare per sé il nome della verità. Che cosa è dunque questa potenza che discerne tali cose? Senza dubbio, per quanto grande sia, è maggiore di tutte queste cose, ed è concepita senza immaginare in tal modo le cose. Trova spazi per questa, se ci riesci; diffondila per i luoghi, distendila con la massa di una mole infinita. Senza dubbio, se ci pensi bene, non potrai farlo. Qualunque cosa infatti di tal genere ti si presenterà, sei convinto che con il pensiero la puoi dividere in parti, e far in modo che qui ci sia una parte minore, un’altra maggiore a piacimento. Ma capisci che quella stessa facoltà, con cui giudichi queste cose, è superiore, non per altezza nello spazio, ma per dignità di potenza.

Se l’anima non è diffusa ed estesa per luoghi, tanto meno Dio stesso, che sta incrollabile ed immutabile sopra tutte le menti razionali.

19. 21. Perciò, se l’anima tante volte è mutevole, o per la gran moltitudine delle varie volontà, o per gli affetti che si flettono per l’abbondanza o la scarsezza delle cose, o per gli stessi innumerevoli giochi delle fantasie, o per la dimenticanza e la memoria, o per la dottrina e l’imperizia; se dunque l’anima, come ho detto, per questi e simili moti è tanto mutevole, ti accorgi che non è diffusa ed estesa attraverso i luoghi, ma che supera tutti questi spazi con l’energia della potenza: che cosa si deve pensare o ritenere su Dio stesso, che stando incrollabile ed immutabile sopra tutte le menti razionali, attribuisce ciò che c’è da attribuire ad ognuno? L’anima osa più facilmente esprimerlo, che vederlo: e tanto meno lo esprimerà, quanto più sinceramente lo avrà potuto vedere. Tuttavia se, come strepitano le fantasie di Mani, egli fosse chiuso da una parte con uno spazio determinato, mentre dalle altre parti fosse esteso in uno spazio immenso; allora un qualsivoglia numero di particelle sarebbero distribuite in lui, e innumerevoli pezzi, alcuni maggiori, altri minori ad arbitrio di chi pensa; cosicché una parte di due piedi, per esempio, avrebbe otto parti in meno di una parte di dieci piedi. Ciò infatti è necessario che avvenga in tutte le nature, le quali essendo diffuse per spazi tanto grandi non possono essere tutte dovunque: proprietà che non si ritrova nella stessa anima, e coloro che non sono capaci di comprendere ciò, hanno riguardo a quella opinioni anormali e orribili.

Dicano che cosa era aggiunta alla terra della luce, se da un lato c’era la stirpe delle tenebre.

20. 22. Ciononostante non si deve probabilmente agire così con le anime carnali, ma bisogna scendere piuttosto alle loro idee, esse che, nel riflettere, o non osano o non sono ancora capaci di seguire più facilmente la natura incorporea e spirituale; a tal punto che non prendono in considerazione la loro stessa idea, ed escogitano che quella che non ha nessuno spazio sia giudicabile in rapporto allo spazio stesso. Scendiamo dunque alle intuizioni di costoro, e chiediamo loro, presso qual parte e presso che lato, per usare le parole di Mani, di quella insigne e santa terra c’era la terra delle tenebre. Dice, infatti, presso una sola parte e lato, non dice qual parte, o che lato, se il destro o il sinistro. Ma qualsiasi lato scelgano, una cosa è senza dubbio chiara: che non si può parlare di un lato, se non quando esiste anche un altro lato. Invece dove i lati siano tre o più, o si capisca dove termina il contorno della figura, o se da una qualche parte si stende all’infinito, tuttavia da quelli che sono detti lati è necessariamente finita. Dicano dunque, da un lato, o da altri lati, che cosa c’era accanto alla terra della luce, se da un lato c’era la stirpe delle tenebre? Non lo dicono: ma quando sono costretti a dirlo, affermano che sono infiniti gli altri lati di quella terra che chiamano della luce, cioè, che essa è distesa attraverso spazi infiniti e non è costretta da alcun confine. Né capiscono che ormai non ci sono lati, cosa che è chiarissima anche ad un intelletto tardo. Allora infatti vi sarebbero i lati, se fosse limitata dai propri confini. Che cosa mi importa, dice, se non ci sono lati? Ma quando tu dicevi presso una sola parte e lato, ci costringevi a capire un’altra parte o parti, e un altro lato o lati. Infatti se c’era un unico lato soltanto, si doveva dire " soltanto presso un lato ", non presso un solo lato. Come nel nostro corpo diciamo giustamente che c’è qualcosa presso un solo occhio, perché c’è un altro occhio; o presso una sola mammella, perché c’è l’altra. Se invece diciamo presso un solo naso, o presso un solo ombelico, non essendocene un altro, saremmo irrisi da dotti e indotti. Ma non ti sto addosso con le parole: probabilmente lo hai voluto chiamare uno solo come se fosse unico.

Due terre possono essere congiunte tra loro per i lati, solo se sono entrambe corporee.

21. 22. Che cosa dunque c’era presso quel lato della terra, che chiami insigne e santa? La terra, tu dici, delle tenebre. Ma, riguardo a questa terra, concedi almeno che fosse corporea? È necessario che tu dica questo; dal momento che tu asserisci che di là hanno origine tutti i corpi. Perché dunque, vi chiedo, benché tardi, benché uomini carnali, non capite una buona volta che per i lati non possono essere congiunte entrambe le terre, se non sono entrambe corporee? Perché dunque veniva detto a noi che eravamo stravolti da non so qual cecità, che soltanto la terra delle tenebre era stata o era corporea; mentre quella che era detta terra della luce bisognava credere che fosse incorporea e spirituale? Oh uomini buoni, svegliamoci una buona volta! E almeno ora che siamo stati sufficientemente ammoniti, ammettiamo ciò che è assai facile, ossia che due terre non possono essere congiunte tra loro per i lati, se non siano entrambe corporee.

Come i Manichei si comportano con i ricercatori piú attenti e diligenti.

21. 23. O se siamo ancora crassi e tardi in queste idee, chiedo se la stessa terra delle tenebre avesse un solo lato, e gli altri infiniti, come la terra della luce. Non credono così; hanno paura infatti di farla sembrare uguale a Dio. Dicono dunque che quella è immensa in profondità e in lunghezza: dal lato di sopra invece affermano che ci siano all’infinito spazi di vuoto. E affinché quella stessa non sembri occupare uno spazio, mentre la terra della luce sembri occuparne il doppio, la delimitano anche da due lati. Come se un solo pane (con questo esempio infatti ciò che si dice può essere capito più facilmente) venga foggiato a forma di croce in quattro pezzi, dei quali tre siano bianchi, uno nero: togli il bordo solo dei tre bianchi e fai che quelli siano dal lato di sopra e dal lato di sotto, e dalla parte di dietro infiniti: così da costoro è creduta la terra della luce. Invece il quadrato nero fallo dal lato di sotto e di dietro infinito, invece fa’ che di sopra abbia un immenso vuoto: così concepiscono la terra delle tenebre. Ma mostrano queste cose come segreti a coloro che sono assai attenti e che con impegno pongono interrogativi.

La figura della terra della luce appare brutta.

22. 23. Perciò se la questione è così, appare chiaro che la terra delle tenebre è toccata dalla terra della luce da due lati. E senz’altro se è toccata da due, tocca a sua volta anche due. Certamente presso un solo lato c’era la terra delle tenebre.

22. 24. Quindi la figura della terra della luce appare brutta quanto un’unghia spezzata da un cuneo nero stretto di sotto, finita soltanto da quella parte dove è spezzata, ed essendo aperta ed estesa dal lato di sopra dove è interposto il vuoto, tutto ciò che va dalla superficie della terra delle tenebre verso il lato di sopra è immenso. Quanto dunque appare migliore la figura della stessa terra delle tenebre: se quella divide, questa è divisa; quella è inserita, questa è aperta in mezzo; quella in sé non offre alcuno spazio al vuoto, questa soltanto dalla parte inferiore non è aperta, dalla qual parte è riempita da un cuneo ostile. Dunque essi sono uomini indotti e avidi nell’attribuire un maggiore onore alla moltitudine delle parti piuttosto che all’unità, cosicché danno sei parti alla terra della luce, tre dal lato di sopra, tre dal lato di sotto: hanno preferito che la terra della luce sia penetrata piuttosto che penetri. Infatti, anche se negano che questo modo di rappresentare implichi una mescolanza, tuttavia non possono negare che sia penetrata.

Gli uomini carnali, in confronto ai Manichei, hanno una visione piú tollerabile e onesta di Dio.

23. 25. Prendi ora in considerazione, non tanto gli uomini spirituali di fede cattolica - nei quali l’animo, per quanto può in questa vita, comprende che la sostanza e la natura divina non è tesa in alcuno spazio, non è raffigurata in alcuna dimensione di contorno -; ma prendi in considerazione quelli dei nostri che sono carnali e piccoli, i quali, allorché sentono parlare sotto forma d’allegoria delle membra del nostro corpo - come quando si parla di occhi di Dio e orecchie di Dio -, sono soliti raffigurarsi, con la libertà della immaginazione, Dio con la forma di corpo umano. Paragona ora costoro con quei Manichei che sono soliti descrivere queste sciocchezze ad uomini zelanti e curiosi come dei grandi segreti; e considera chi abbia una visione più tollerabile e onesta di Dio: se quelli che lo pensano in forma umana, fornita nella sua specie di somma dignità, o quelli che lo pensano diffuso in una mole infinita; non tuttavia ovunque, ma infinito e condensato in tre quadrati, in un altro invece diviso, che si estende, si apre, allargato più in alto nel vuoto, incuneato più in basso nella terra delle tenebre; o, se è meglio dire così, aperto in alto per la propria natura, penetrato in basso da una aliena. Ecco io con te derido gli uomini carnali, che non possono ancora pensare cose spirituali, in quanto stimano che Dio abbia forma umana; deridi anche tu con me, se puoi, coloro che con una riflessione tanto miserabile si immaginano una natura di Dio tanto deforme e turpe da dividersi e scindersi, tanto vanamente spaccata di sopra, tanto vergognosamente otturata di sotto. Giacché c’è anche una differenza: questi carnali che pensano Dio in forma umana, se restano paghi in grembo alla Chiesa cattolica, dovendo essere nutriti con il latte, non si gettino in opinioni temerarie, ma qui alimentino il pio desiderio di chiedere, qui chiedano per ricevere, qui bussino affinché gli si apra; incominciano a capire in modo spirituale le allegorie e le parabole delle Scritture, e a poco a poco a conoscere che le divine potenze, convenientemente vengono enunciate ora con il nome delle orecchie, ora degli occhi, ora delle mani o dei piedi, o anche delle ali e delle penne, dello scudo e anche della spada e dell’elmo, e di innumerevoli simili cose. Quanto più progrediscono in tale conoscenza, tanto più sono confermati di essere dei cattolici. Invece i Manichei, quando avranno abbandonato il modo di immaginarsi quella figura, non potranno più essere Manichei. Infatti attribuiscono a lode del proprio fondatore, quasi fosse sua caratteristica propria e principale, l’essere stato riservato a lui, che sarebbe venuto per ultimo, di risolvere e dimostrare quelle verità che dagli antichi, quali misteri divini, erano state consegnate in maniera figurata nei libri. E per tale ragione ritengono che dopo di lui nessun maestro divinamente ispirato debba ancora venire, poiché costui non ha detto nulla mediante allegorie e figure, mentre invece ha svelato ciò che era stato tale presso gli antichi, ed ha mostrato le sue dottrine in modo chiaro e manifesto. Costoro non hanno a quale interpretazione rivolgersi, dal momento che dal loro fondatore si legge invero presso una sola parte e lato di quella insigne e santa terra c’era la terra delle tenebre. Dovunque si gireranno, è necessario che, costretti dalla miseria delle loro immaginazioni, cadano nelle scissioni o nei tagli improvvisi e nelle giunture, o nelle turpissime congiunzioni; è inutile dire che è tristissimo credere tali cose non solo riguardo alla natura immutabile di Dio, ma di ogni natura incorporea, quantunque mutevole, quale può essere l’anima. E anche se non fossi in grado di rivolgermi verso cose superiori e non fossi capace di sviare le mie riflessioni dalle false immaginazioni, che porto fisse nella memoria attraverso i sensi del corpo, verso la libertà e la purezza della natura spirituale, tuttavia quanto è meglio pensare Dio con la forma di corpo umano, piuttosto che inchiodare alla fenditura del suo lato inferiore quel nero cuneo, e lasciare dal lato superiore un’estensione vastissima, non trovando donde ostruirla, che si estenda e si apra in un così immenso vuoto! Che c’è di più triste di questa opinione? Cosa può essere detto e immaginato di più tenebroso di questo errore?.

Sulle molte nature inventate da Mani.

24. 26. Quindi voglio che mi si dica - quando leggo: Dio Padre e i suoi regni fondati sopra la terra lucente e beata -, se il Padre, i suoi regni e la terra siano di una sola e medesima sostanza e natura. Perché se è così, quel cuneo della stirpe delle tenebre spacca e penetra non più una qualche altra natura, che sia quasi il corpo di Dio; cosa che sarebbe certamente lo stesso turpissima per indicibile deformità; ma quel cuneo della terra delle tenebre spacca e penetra proprio la stessa natura divina. Vi prego, riflettete su ciò: siete esseri umani; vi prego, riflettete su queste cose e fuggite, e strappate via dai petti - se ciò è possibile - l’empietà di queste immaginazioni, sradicatele dalla vostra fede e scacciatele. Forse state per dire che quei tre non sono di una sola e medesima natura, ma di una il Padre, di una i regni, di un’altra la terra, affinché i singoli abbiano diverse le proprie nature e sostanze, e siano ordinate per gradi di importanza? Se ciò è vero, Mani avrebbe dovuto predicare non due, ma quattro nature. Invece se il Padre e i regni hanno una sola natura, mentre la sola terra è diversa, tre dovevano essere le nature da predicare. O se preferiva parlare di due nature, per il fatto che la terra delle tenebre non appartiene a Dio, vi chiedo in che modo sia appartenente a Dio la terra della luce. Se infatti ha una natura diversa, ed egli non l’ha generata né creata, allora non appartiene a lui, e i suoi regni sono posti in un luogo estraneo. O se gli è pertinente perché è vicina, sia pertinente anche la terra delle tenebre, che non solo, essendole vicina, tocca la terra della luce, ma che penetra anche al suo interno. Se invece l’ha generata, non è opportuno che si creda che abbia una natura diversa. Ciò che infatti Dio ha generato, è necessario si creda che sia ciò che Dio è, come nella Catholica si crede del Figlio unigenito. Per cui necessariamente dovete fuggire e detestare quella turpitudine di quel cuneo nero che spacca non la terra, come se fosse estranea e diversa, ma la stessa natura di Dio. Se infatti questa terra Dio non l’ha generata, ma creata, vi chiedo da dove l’avrebbe creata. Se da se stesso, che c’è di diverso dall’averla generata? Se da una qualche natura estranea, vi chiedo se questa sia buona o malvagia. Se è buona, ne consegue che esisteva una qualche natura buona che non si riferiva a Dio: cosa che assolutamente non oserete dire. Se invece è malvagia, allora la stirpe delle tenebre non era la sola natura malvagia. Forse che Dio aveva preso da quella una sua parte, da convertire nella terra della luce, e stabilire sopra di quella i suoi regni? Ma allora l’avrebbe presa tutta, affinché fosse annullata una volta per sempre la natura malvagia. Se non ha creato la terra della luce da una sostanza estranea, resta soltanto che l’abbia creata dal nulla.

Chi non ammette la creazione dal nulla, cade necessariamente in opinioni sacrileghe.

25. 27. Perciò se vi si persuadesse che Dio onnipotente può creare qualcosa di buono dal nulla, venite alla Cattolica; e imparate che tutte le nature che Dio ha creato e fondato, ordinate per gradi di importanza, dalle somme alle infime, tutte sono buone, ma alcune sono migliori di altre. E sono state create dal nulla, poiché Dio creatore opera potentemente attraverso la sua sapienza - per così dire - per fare esistere ciò che non era; e in quanto era, era buono: in quanto invece mancava di essere, faceva capire di non essere generato da Dio, ma da lui stesso creato dal nulla. Non trovate infatti cosa vi trattiene, se esaminate la questione: non potete dire che quella terra della luce che voi descrivete sia ciò che è Dio, affinché non avvenga che la stessa natura divina resti circoscritta nella turpitudine di quel quadrato; né da lui generata, affinché non si sia costretti a capire nientemeno che sia Dio, e si ritorni alla stessa deformità; né estranea da lui, affinché non capiti che abbia posto i regni in un luogo che gli è estraneo, e siamo costretti a parlare non di due, ma di tre nature; né la sostanza è creata da lui stesso da una estranea, affinché non avvenga che ci sia qualcos’altro di buono al di fuori di Dio, o di male al di fuori della stirpe delle tenebre. Vi rimane dunque da ammettere che Dio ha creato la terra della luce dal nulla; dovete riconoscere che se Dio ha potuto creare dal nulla un qualche grande bene, che tuttavia sia a lui stesso inferiore, ha potuto anche - perché è buono, e non rigetta alcuna cosa buona - fare un altro bene, che fosse inferiore a quello precedente; ha potuto farne anche un terzo al quale il secondo fosse preposto, e quindi fino al più basso bene disporre l’ordine delle nature create, finché la totalità di esse non si dissolvesse incerta in un numero indefinito, ma avesse consistenza delimitata in un numero certo. O se non volete ammettere che Dio ha creato questa terra della luce dal nulla, non vi sarà via d'uscita attraverso cui sfuggiate a tali turpitudini e ad opinioni tanto sacrileghe.

La Lettera del Fondamento dice assurdità sulla congiunzione delle terre fra di loro.

25. 28. O vedete almeno - giacché il pensiero carnale ha la facoltà di pensare quali fantasticherie preferisca - se non possiate per caso trovare un’altra forma qualsiasi a questa congiunzione delle due terre, in modo che non si presentino all’animo le cose sotto un aspetto tanto detestabile e da avversare: cioè che la terra di Dio - o sia della stessa natura della quale è Dio, o di una diversa, nella quale tuttavia siano fondati i regni di Dio - in tal modo si estenda con una mole ingente attraverso l’immensità, da giacere attraverso l’infinito con le membra distese e aperte, con le quali accolga in modo tanto ignominioso e turpe dalla parte inferiore quel cuneo impresso di immensa grandezza della terra delle tenebre. Ma anche se voi riuscite a trovare un altro modo di rappresentare la figura, secondo cui queste due terre si congiungono tra loro, non potete senza dubbio cancellare le lettere di Mani: non dico le altre nelle quali più dettagliatamente ha descritto queste cose; infatti, forse perché sono note ad un minor numero di persone, sembrano presentare minore pericolo; ma questa stessa di cui si tratta in questa sede, la Lettera del Fondamento, la quale solitamente è notissima a quasi tutti coloro che presso di voi sono detti illuminati. Qui effettivamente è scritto così: invero presso una sola parte e lato di quella insigne e santa terra, c’era la terra delle tenebre di profonda ed immensa grandezza.

Il lato in cui le due terre si congiungono è retto o curvo o tortuoso?

26. 28. Che ci aspettiamo di più? Sappiamo con certezza ciò che c’era presso il lato. Ora voi create le figure nel modo che vi è più gradito, e vi raffigurate le cose sotto le sembianze che vi piacciono; certamente quella mole dell’immensa terra delle tenebre era congiunta alla terra della luce, o con un lato retto, o curvo, o tortuoso. Ma se è tortuoso, allora anche la terra santa deve avere un lato tortuoso: infatti se essa ha un lato retto, ed è toccata da un lato tortuoso di quella, si formano in mezzo alcune profonde caverne vuote all’infinito, né già sopra la terra c’era soltanto il vuoto delle tenebre, come eravamo soliti udire. Perché se è così, non sarebbe stato meglio spostare la terra della luce molto più lontano, e interporre tanto di quel vuoto, che la terra delle tenebre non potesse assolutamente essere toccata da alcuna parte? Anzi bisognerebbe aprire anche un tale spazio di profondità di vuoto, affinché se sorgesse qualche malvagità di quella gente, quand’anche i principi delle tenebre volessero sconsideratamente entrarvi (poiché i corpi non possono volare, se non sono sostenuti da un’atmosfera materiale), precipitati in quel vuoto, e per il fatto che verso il basso c’è l’infinito, non toccando mai il fondo, anche se per sempre possono vivere tuttavia mai potrebbero nuocere mentre sono eternamente portati all’indietro. Se invece era unita con un lato curvo, anche la terra della luce l’accoglieva irregolarmente con un seno ricurvo. O se questa curva era volta verso l’interno come una specie di teatro, la parte curva della terra della luce accolta in tale seno veniva abbracciata con un amplesso non meno deforme. O se questa aveva il lato curvo, e quella retto, non la toccava lungo tutto il lato. E comunque era meglio, come ho detto prima, che non toccasse da nessuna parte, e fosse frapposto soltanto il vuoto, affinché fossero divise da un giusto intervallo le due terre, e non si permettesse di nuocere per nulla a quei malvagi temerari che precipitavano nell’infinito. Che se con un lato retto toccava il lato retto, non vedo certo alcun rifugio o frattura: ma vedo che le due terre stanno in una tale reciproca pace e concordia, che non ci potrebbe essere un’unione più perfetta. Che c’è di più mirabile, cosa è più conveniente della congiunzione del lato retto al retto in modo che non ci sia da nessuna parte una qualche curva o piega che rompa o separi la giuntura naturale e stabile fin dall’infinita eternità per uno spazio infinito? E tali lati retti di entrambe le terre, anche se sono separati dal vuoto interposto, non soltanto per se stessi sono belli, perché sono tanto retti: ma essendo interposto un certo spazio collimerebbero così bene tra di loro, che di qui e di là gli eguali tratti rettilinei sarebbero eguali anche senza alcuna congiunzione, ma solo per il fatto che sono somiglianti sarebbero concordi in un’unica bellezza. Quando si verifica questa congiunzione, non trovo cosa ci sia di più concorde e pacato di queste due terre, né che cosa si possa dire o pensare di più bello dell’unione di due lati retti.

Il male non è una sostanza.

27. 29. Che farò con animi miserrimi degenerati dall’errore e avviluppati dalla consuetudine? Infatti questi uomini non sanno quello che dicono, quando dicono queste cose, perché non stanno attenti. Vi prego, nessuno vi fa fretta, nessuno vi spinge alla contesa, nessuno vi insulta per gli errori passati, se non chi non abbia fatto esperienza della divina misericordia sì da essere esente da errori: soltanto facciamo in modo che gli errori una buona volta finiscano. Prestate un attimo di attenzione, senza animosità e amarezza. Tutti siamo uomini; non odiamo noi stessi, ma gli errori e le falsità. Vi supplico, prestatemi un attimo di attenzione. O Dio delle misericordie, aiuta coloro che capiscono, e accendi la luce interiore in coloro che cercano la verità. Cosa infatti capiamo, se non comprendiamo che ciò che è retto è meglio di ciò che è storto? Vi chiedo dunque, se accogliete con calma e umiltà: se qualcuno deformasse il lato retto della terra delle tenebre, il quale è aggiunto al lato retto della terra della luce, non gli toglierebbe una certa bellezza? È necessario che ammettiate, se non volete latrare a vuoto, che non solo viene sottratta a quello la bellezza se viene deformato, ma anche quella bellezza che ha potuto avere in comune con il lato retto della terra della luce. Dunque sottraendo la bellezza e rendendo deforme una cosa retta, in modo da rendere discorde ciò che concordava, e in contraddizione ciò che corrispondeva, forse che si sottrarrebbe di lì qualche sostanza? Così dunque imparate che il male non è una sostanza, ma come nel corpo con il cambiamento della forma in peggio, si perde, o meglio diminuisce la bellezza, ed è detto, sordido ciò che prima era detto bello, e dispiace il corpo che prima era piaciuto: così nell’animo il decoro di una retta volontà, per il quale si vive piamente e rettamente, è reso depravato quando la volontà si cambia in peggio; da tale peccato l’anima viene resa misera, essa che nell’onestà della retta volontà raggiungeva la beatitudine, senza che vi sia aggiunta o sottratta alcuna sostanza.

Il lato della terra delle tenebre per il fatto che è retto non è male.

27. 30. Quindi pensate anche a questo: anche se concediamo che per altri motivi il lato della terra delle tenebre sia male, perché oscuro, perché tenebroso, o qualsiasi altro attributo può essere aggiunto, tuttavia non è male per il fatto che sia retto. Come dunque concedo che nel suo colore vi sia qualcosa di male, così è necessario che anche voi concediate che vi sia qualcosa di bene nella sua linearità. È illecito pertanto allontanare da Dio creatore ciò che vi è di bene, per quanto poco sia; dobbiamo credere che da lui proviene ogni bene che si trova in qualunque natura, per non errare in modo molto pericoloso. In che modo dunque Mani dice che questa terra è il sommo male, nella rettitudine del cui lato io trovo, per quanto attiene al corpo, un bene di non piccola bellezza; e vuole che quella sia del tutto estranea all’onnipotente e ottimo Dio, quando non troviamo a chi altro deve essere attribuito questo stesso bene che riconosciamo in essa, se non all’autore di tutti i beni? Ma era male, dice, anche quel lato. Supponi che sia male: sarebbe certamente peggio se non fosse retto, ma distorto. In che modo dunque è il sommo male, ciò di cui puoi pensare qualcosa di peggiore? Quindi è necessario vi sia qualcosa di buono, mancando il quale una cosa qualsiasi si rende peggiore. Invece mancando la rettitudine si rende peggiore quel lato. La rettitudine vi introduce dunque qualcosa di bene. E mai tu mi dirai da dove l’introduce, se non ti sarai rivolto a quello, dal quale grandi o piccole che siano, ammettiamo tuttavia che derivino tutte le cose buone. Ma ora dal problema di questo lato passiamo ad altri aspetti della questione.

In che modo Mani distribuisce in cinque parti gli esseri viventi.

28. 31. Abitavano, dice, in quella terra corpi di fuoco, stirpi pestifere. Quando dice, abitavano, vuol farci intendere senz’altro che erano corpi animati e viventi. Ma perché non sembri che vogliamo cavillare su una parola, occupiamoci di tutti questi abitanti di quella terra, in che modo egli distribuisca in cinque parti gli esseri viventi. Qui c’erano tenebre infinite, dice, che avevano origine in numero incalcolabile dalla stessa natura con i loro feti: al di là di esse c’erano acque fangose e torbide con i loro abitanti; all’interno di queste c’erano venti orribili e fortissimi con il loro Principe e i loro genitori. Di dietro invece c’era la regione ignea e corruttibile con i suoi duci e nazioni. In ugual modo nella parte interiore c’era una stirpe piena di caligine e di fumo, nella quale dimorava l’immane Principe e duce di tutti, che aveva intorno a sé innumerevoli principi, di tutti i quali egli era mente e origine : e queste furono le cinque nature della terra pestifera. Consideriamo che le cinque nature sono quasi parte di un’unica natura, che egli chiama terra pestifera. Sono queste: tenebre, acque, venti, fuoco, fumo; tali cinque nature le ordina, in modo che restino esterne alle altre le tenebre, dalle quali comincia a contare. Dentro le tenebre pone le acque; dentro le acque i venti; dentro i venti, il fuoco; dentro il fuoco, il fumo. E queste cinque nature avevano ciascuna i propri tipi di abitanti, che parimenti sono cinque. Domando infatti se un solo genere di abitanti era in tutte le cinque nature, o se generi diversi, come diverse sono le nature stesse. Rispondono che erano diversi, e insegnano così da altri libri che le tenebre ebbero serpenti; le acque animali acquatici, come i pesci; i venti animali volanti, come gli uccelli; il fuoco quadrupedi, come i cavalli, i leoni, e altri animali di tale tipo; il fumo bipedi, come gli uomini.

Non riconoscere Dio autore di ogni bene, significa non riconoscere il grande bene dell’ordine.

29. 32. Chi dunque organizzò queste cose? Chi le distribuì e le distinse? Chi diede il numero, le qualità, le forme, la vita? Infatti tutte queste cose di per se stesse sono buone, né si trova altri a cui possano essere attribuite, se non derivano da Dio autore di tutti i beni. Infatti non come i poeti sono soliti descrivere il caos, o presentarcelo in qualche modo, ossia come una qualche informe materia senza specie, senza qualità, senza misura, senza numero e peso, senza ordine e distinzione, un non so che di confuso, e del tutto mancante di ogni qualità; per cui alcuni dottori greci lo chiamano : non dunque così costoro si sforzano di presentarci questa che chiamano terra delle tenebre; ma in modo del tutto diverso e di gran lunga difforme e contrario aggiungono e allineano il lato verso il lato: contano cinque nature, le distinguono, le ordinano, le enunciano nelle loro qualità; né permettono che esse siano deserte ed infeconde, ma le riempiono con i relativi abitanti; ad esse attribuiscono forme che siano adatte e appropriate ai loro abitanti, e, ciò che supera ogni cosa, la vita. Enumerare tante cose buone, e dire che sono aliene da Dio autore di ogni bene, questo significa non riconoscere nelle cose il così grande bene dell’ordine, né in sé il così grande male dell’errore.

Le cose buone che si trovano nelle nature poste da Mani nella terra delle tenebre.

30. 33. Ma queste stirpi, dice, che abitano quelle cinque nature, erano crudeli e pestifere. Come se io avessi lodato in queste la crudeltà e la peste! Ecco io con te biasimo le qualità che tu accusi essere malvage: loda tu con me le qualità che tu stesso in quelle ricordi buone; così ti accorgerai di voler stabilire, quale sommo ed estremo male, beni misti ai mali. Biasimo qui con te la peste: loda qui con me la salute. Infatti quelle stirpi, senza alcuna salute, non avrebbero potuto essere generate, o essere nutrite, o abitare quella terra. Biasimo qui con te le tenebre: loda qui con me la fecondità. Tu definisci infatti le tenebre innumerevoli; e tuttavia aggiungi con i loro feti. Quantunque le tenebre non sono corporee; e tutto questo nome è assenza della luce, come la nudità è mancanza del vestito, e la vacuità mancanza della pienezza del corpo; e per questa ragione le tenebre non hanno potuto generare niente, quantunque la terra tenebrosa, cioè carente di luce, avrebbe potuto generare qualcosa. Ma tralasciamo del tutto questo discorso. Tuttavia quando i feti nascono, la loro costituzione è adatta alla salute, ed una certa concordia armoniosa ordina e riunisce nell’unità le membra dei nascenti, proporzionate reciprocamente tra loro nella concordia della misura. Chi non capisce che si devono degnare di maggior lode tutte queste cose, che di biasimo le tenebre? Biasimo qui con te il fango torbido delle acque: loda qui con me la stessa forma e qualità delle acque, e le membra ben proporzionate dei natanti che vi abitano, la vita che tiene unito e regge il corpo, ed ogni temperamento accordato alla vigoria del proprio genere. Sebbene infatti tu biasimi le acque fangose e torbide, tuttavia per il fatto stesso che tu dici che tali acque possono generare e conservare i propri esseri animati, non puoi sottrarre la bellezza di qualsiasi corpo, e l’armonia delle parti con cui sono formati e sottomessi in una sola qualità; perché se l’avrai sottratta, non vi sarà alcun corpo: tutte queste qualità, se sei uomo, senti che devono essere lodate. E per quanto tu esageri la crudeltà di quegli abitanti, e le lacerazioni e le devastazioni negli assalti, tuttavia non togli loro gli armoniosi contorni delle forme, per i quali i loro singoli corpi sono a sé sottomessi con l’uguaglianza delle membra, e il temperamento della salute, ed il timone dell’anima che dirige le parti del proprio corpo nell’unità dell’amicizia e della concordia: se avrai considerato queste qualità con buon senso, vedi che sono da lodare, più di quanto siano da biasimare quelle che dispiacciono. Biasimo qui con te l’orrore dei venti: loda qui con me la natura degli stessi venti, respirabile e nutrice, e la forma del corpo, sviluppata e diffusa con la corrispondenza delle parti: grazie a tutte queste condizioni avevano potuto generare, nutrire e tenere in salute i propri abitanti; e di questi abitanti, come per le cose che sono state lodate dal ragionamento precedente per tutti gli esseri animati, tu loda l’agilità dei movimenti e la facilità di passaggio da dove vogliono e attraverso dove vogliono, e in volo l’andamento concorde delle ali ed il loro movimento mai eguale. Biasimo qui con te la corruzione del fuoco: loda qui con me il fuoco che genera e alimenta, e che dona la conveniente temperatura a coloro che nascono, temperatura necessaria affinché si sviluppino e si perfezionino con le proprie armonie e lineamenti e possano vivere e abitare qui; tu sai bene che tutte queste cose devono essere ammirate e lodate non solo nella sede del fuoco, ma anche negli stessi abitanti. Biasimo qui con te l’oscurità del fumo, e l’immanità del principe che in quello, come tu dici, dimorava: loda qui con me il fatto che nello stesso fumo nessuna parte tu puoi trovare dissimile dalle altre.Da ciò deriva che esso custodisce nel suo genere la congruenza delle parti e la proporzione tra queste, affinché ciò che esiste sia in una certa unità: unità che nessuno, che consideri con prudenza, manca di lodare con ammirazione. Che dire del fatto che tu concedi anche al fumo la forza e potenza di generare, quando anche ad esso attribuisci principi che lo abitano, sicché - cosa che non vediamo mai qui - là il fumo sia fecondo e offra una salubre dimora per i suoi abitanti?

Nel parlare di queste nature, Mani parla di cose buone.

31. 34. Per il fatto di avere avvertito nello stesso principe del fumo la sola enormità che hai biasimato, forse che non avresti dovuto fare attenzione alle altre cose che ti avrebbero costretto a lodare la sua natura? Aveva infatti anima e corpo; quella vivificante, questo ispirato di vita; quella che domina, questo che obbedisce; quella che va avanti, questo che segue; quella che congiunge, questo che non si allontana; quella che si muove in armonia, questo che è rafforzato da una armoniosa compagine di membra. Forse che ti muove alla lode verso questo unico principe, o la pace ordinata, o l’ordine pacificato? Ciò che è detto di uno, è lecito pensarlo di altri. Ma davvero era verso gli altri feroce e immane? Non lodo ciò, ma tutte le altre cose a cui non vuoi badare. Se uno capisce e considera tali qualità, una volta che è stato ammonito, anche se ha creduto a Mani senza discernimento, si accorge senza dubbio che nel parlare di queste nature, egli parla di cose buone, ma non somme ed increate - come è Dio considerato come unica Trinità - né di quelle che sono create e ordinate in modo sublime - come sono gli Angeli santi e le beatissime potestà -. Egli sta parlando invece di nature infime, ma buone perché ordinate secondo la norma del proprio genere nella scala più bassa della realtà. Anche gli ignoranti capiscono che devono essere biasimati tali esseri, nel momento in cui vengono comparati a quelli superiori; e nel momento in cui si considera ciò che di bene manchi ad essi e ciò che vi sia, la mancanza di bene prende il nome di male. Ed io certamente, per questo motivo, disputo così di queste nature, perché sono nominate quelle che ci sono note in questo mondo. Conosciamo infatti le tenebre, le acque, i venti, il fuoco, il fumo; conosciamo anche gli animali che strisciano, quelli che nuotano, quelli che volano, i quadrupedi, i bipedi; in tutti questi eccetto le tenebre che, come ho detto, non sono nient’altro che assenza di luce, le quali sono percepite dagli occhi nel momento in cui non vedono nulla, come il silenzio dalle orecchie nel momento in cui non odono; non perché le tenebre hanno una qualche esistenza, ma perché non c’è luce; lo stesso vale per il silenzio, non perché esiste, ma perché non c’è suono; eccettuando dunque le tenebre in questo elenco, le altre sono nature, e ben note a tutti; nessuno che sia prudente allontana da Dio autore di tutti i beni la loro specie che, qualunque essa sia, è lodevole e buona.

L’osservazione delle cose che si vedono nel mondo prova che sono menzogne le fantasie di Mani.

32. 35. Infatti è smascherato come del tutto falso quel Mani, in qualsiasi modo abbia voluto ordinare le nature che ha conosciuto nelle sue fantasticherie, ossia nella gente delle tenebre. Primo, perché le tenebre non possono generare nulla, come è stato detto. Ma quelle tenebre non erano - dice - come queste che hai conosciuto. Donde allora mi ammaestri riguardo a quelle? Forse che per caso proprio tu, tanto chiacchierone nel promettere l’insegnamento, mi vuoi costringere a credere? Piuttosto fa’ in modo che io creda. So questo almeno: se non avevano una qualche specie, come queste attuali non hanno, non hanno potuto generare niente; se invece ce l’avevano, erano migliori. Tu invece, quando dici che non sono state tali, desideri che siano credute come se fossero peggiori. Potresti dire anche che il silenzio, che è per le orecchie come le tenebre per gli occhi, abbia generato colà alcuni animali sordi o muti; come nel caso in cui ti si dicesse che il silenzio non è una qualche natura, tu risponderesti: " Ma quel silenzio non è tale, quale conosci qui "; cosicché di tutto tu dici ciò che vuoi a quelli che una volta hai ingannato, affinché ti credessero. Sebbene si sia potuto ben comprendere che quanto avviene nei primi inizi del loro nascere lo abbia indotto a pensare che i serpenti siano nati nelle tenebre; tuttavia ci sono serpenti che vedono tanto acutamente, e in tal modo esultano per la presenza della luce, da risultare un autorevolissimo testimone contro ciò che lui dice. Quindi è stato facile a costui studiare gli esseri che nuotano nell’acqua, e a quelli trasferire le sue immaginazioni; così anche per quanto riguarda gli esseri che volano nei venti, poiché la forza di questa aria più densa nella quale volano gli uccelli è detta vento; non so invero da dove gli sia venuto in mente di immaginare nel fuoco i quadrupedi. E tuttavia non ha detto ciò senza un motivo, ma non è stato abbastanza attento, e ha commesso un errore di troppo. Infatti sono soliti dare la ragione che i quadrupedi sono voraci e si accendono molto nell’amplesso. Ma molti uomini sono per la loro voracità superiori a qualsivoglia quadrupede, uomini che certamente sono bipedi; esseri che non del fuoco, ma del fumo dice che sono figli. Invero non si trova facilmente qualche animale più vorace delle oche; le quali o le ponga nel fumo, perché sono bipedi; o nell’acqua, perché amano nuotare; o nei venti, perché sono pennuti, e ogni tanto volano: al fuoco certamente, secondo la sua classificazione, non sono pertinenti. Ma per quanto riguarda il fervore dell’amplesso, credo che egli abbia osservato i cavalli che nitriscono, e spesso dopo aver roso i freni sono rapiti verso le femmine. Per la fretta di scrivere quello che ha visto, non presta attenzione al passero di muro, in comparazione del quale qualsiasi stallone sarebbe trovato del tutto frigido. Invero se si chiede a costoro del perché abbiano classificato i bipedi nel fumo, essi rispondono che il genere dei bipedi è nobile e superbo; dicono infatti che di qui gli uomini traggono origine : e poiché il fumo si alza in aria in volute e come se fosse gonfio, seguendo un ragionamento non del tutto assurdo hanno ritenuto che questo sia simile ai superbi. Osservazione che ha dovuto essere sufficiente nell’offrire una qualche similitudine nei confronti degli uomini superbi, oppure nel formare o nel capire l’allegoria; tuttavia non basta questo motivo per credere che i bipedi viventi siano nati nel fumo e dal fumo. Infatti sarebbero dovuti nascere anche nella polvere, perché spesso essa si alza nel cielo in un cerchio e in un’altezza non minore; e nelle nuvole, poiché generalmente evaporano dalla terra in un modo tale, che da lontano rendono incerti coloro che cercano di capire se si tratti di fumo o di nuvole. Infine, perché è stata fatta una discussione riguardo a coloro che vi abitano, sulla resistenza dell’abitare nell’acqua e nel vento, dal momento che vediamo anche che vivono nell’acqua esseri che nuotano, nel vento esseri che volano? Invece il fuoco e il fumo non hanno atterrito quell’uomo mentitore, in modo che si vergognasse di mettere degli abitanti in quel luogo in cui niente di più assurdo potrebbe mettere. Infatti il fuoco incendia e corrompe il quadrupede, e il fumo soffoca e uccide i bipedi. O costui certamente è costretto a riconoscere di aver descritto con un aspetto migliore le nature nella stirpe delle tenebre, quando invece vuole che colà tutte le cose siano credute peggiori. Dal momento che lì il fuoco generava e nutriva il quadrupede, e lo conservava senza danno o addirittura in modo del tutto adeguato. Similmente anche il fumo aveva educato e conservato per il principato i suoi bipedi nati nel grembo mitissimo, non solo senza molestia, ma in modo vitale ed amorevole. Così queste menzogne vengono mostrate attraverso l’osservazione degli eventi che accadono nel mondo; ma concepite da un senso carnale non molto diligente e scrupoloso, partorite dall’immaginazione, e prodotte e scritte con temerarietà, hanno aumentato il numero degli eretici.

Ogni natura, in quanto natura, è buona.

33. 36. Ma bisogna piuttosto spingerli in quel senso, affinché capiscano - se sono in grado di capire - quanto è detto secondo verità nella Cattolica, che Dio è l’autore di tutte le nature; di questa nozione trattavo prima, quando dicevo: " Biasimo con te la peste, la cecità, il torbido pantano, l’orribile ardore, la corruttibilità, l’immanità dei principi, e cose simili a queste; loda tu con me la specie, la distinzione, l’ordine, la pace, l’unità delle forme, le congruenze e le armoniose somiglianze delle membra, le emissioni vitali e i nutrimenti, il giusto equilibrio della salute, il regime e il governo dell’anima, e la sottomissione dei corpi, la somiglianza e la concordia delle parti nelle singole nature che abitavano, o erano abitate, e altre cose di tal genere ". Così si possono rendere conto - soltanto se vogliano ponderare la questione senza ostinazione - che essi mescolano cose buone e cattive, quando parlano di quella terra, dove hanno creduto che vi sia stato il solo e sommo male; pertanto se si tolgono quelle qualità che sono enumerate come mali, rimangono quei beni che sono lodati senza alcun biasimo; se invece vengono tolti gli stessi beni, non rimane alcuna natura. Da ciò vede - chi può vedere - che ogni natura, in quanto è natura, è bene; se da un solo e medesimo essere, nel quale si trova sia ciò che lodo io, sia ciò che biasima lui, si tolgono quelle qualità che sono buone, non resterà nessuna natura; se invece si tolgono quelle che ripugnano, rimarrà una natura incorrotta. Fa’ in modo che le acque non siano fangose e torbide, rimarranno acque pure e tranquille; togli dalle acque la concordia delle parti, non saranno acque. Se dunque, tolto quel male, rimane la natura più pura, invece sottratto il bene non rimane alcuna natura: questo costituisce la natura, ossia ciò che ha di bene; ciò che invece ha di male, non è una natura, ma è contro natura. Togli dai venti l’orrore e l’impeto eccessivo che a te dispiace, puoi pensare venti leggeri e moderati; togli dai venti la somiglianza delle parti, per la quale il loro corpo è tenuto nell’unità ed è in sé moderato affinché sia un corpo, non ci sarà alcuna natura che tu possa pensare. È lungo continuare a parlare anche delle altre cose; ma è chiaro, per coloro che giudicano senza alcuna faziosità, che, quando si parla di queste nature, si aggiungono ad esse alcune qualità per le quali dispiacciono; tolte queste qualità, le nature rimangono migliori. Donde si capisce che quelle, in quanto sono nature, sono buone; viceversa quando ad esse avrai detratto tutto ciò che hanno di bene, non saranno nature. State attenti inoltre, voi che volete giudicare rettamente, anche a quel principe smisurato; se a costui si sottrae la grandezza smisurata, osservate quante cose lodevoli rimarranno: la compagine del corpo, la congruenza qui e lì delle membra, l’unità della forma, e la pace delle parti connesse tra loro, l’ordine e la disposizione dell’anima che dirige e vivifica e del corpo che serve ed è vivificato. Se vengono sottratte tutte queste buone qualità - anche qualcuna che per caso non ho enumerato - non rimane affatto alcuna natura.

Nessuna natura può essere pensata senza qualche bene.

34. 37. Ma voi forse potreste rispondere che quelle qualità cattive non possono essere sottratte a tali nature, e perciò devono essere accettate come proprie delle nature stesse. Adesso non vi si sta chiedendo ciò che possa o non possa essere sottratto: ma certamente è una luce non piccola per comprendere che tutte le nature, in quanto sono nature, sono buone, perché le nature buone possono essere pensate senza quei mali, invece senza quei beni nessuna natura può essere pensata. Infatti posso pensare le acque senza l’intorbidamento provocato dal fango: invece senza la pace delle parti congiunte, nessuna specie del corpo si presenta all’animo, né può essere percepita in alcun modo; e perciò quelle acque fangose non hanno potuto esistere senza questo bene, bene per il quale accadeva che qualche natura corporea potesse esistere. Infatti quando voi dite che da tali nature non possono essere sottratte le cattive qualità, vi si risponde che ugualmente da tali nature non possono essere sottratte quelle buone. Poiché dunque voi volete chiamare mali naturali queste cose a causa dei mali che ritenete non possano essere sottratti, viceversa convincetemi del perché, a causa di quei beni che non possono essere sottratti, non volete chiamarle beni naturali.

Mani non vede nelle nature i beni, mentre bada solo ai mali.

34. 38. Resta che mi chiediate (infatti questa suole essere l’ultima parola) donde derivino quei mali, che io stesso affermavo essere disdicevoli. Risponderò forse, se prima voi mi avrete detto donde siano quei beni, che anche voi mi costringete a lodare, se non volete essere di animo del tutto illogico. Ma perché io faccio questa domanda, dal momento che io e voi ammettiamo che tutte le nature, quali e quante sono buone, derivano da un unico Dio, che è sommamente buono? Resistete dunque da voi stessi a Mani, il quale così ritenne che fossero in una immaginaria terra delle tenebre tali e tanti beni che abbiamo ricordato e giustamente lodato (la pace e la concordia delle parti in un’unica natura, la salute e il vigore degli esseri animati, e le altre cose che ormai è tedioso ripetere) che si è sforzato di separarle da quel Dio che è riconosciuto come autore di tutti i beni. Infatti non ha visto quei beni, mentre ha badato solo a quanto dispiaceva. È come se qualcuno, atterrito dal ruggito di un leone, e capendo che questo sta trascinando e dilaniando il corpo di un animale qualsiasi o di un uomo che è riuscito a catturare, fosse preso da tanto timore per una certa debolezza puerile d’animo, che pensando alla sola ferocia e crudeltà del leone, ignorando e tralasciando del tutto di considerare le altre caratteristiche della belva, gridasse, certo tanto più esageratamente quanto più per timore, che la natura di quell’animale non è soltanto un male, ma un grande male. Ma se domata la ferocia il leone fosse reso mansueto, soprattutto se prima non era stato per niente atterrito da quella belva, allora si riterrebbe sicuro ed intrepido nel considerare e lodare la bellezza del leone. Della qual cosa io niente dirò, se non ciò che è del tutto attinente alla questione, cioè che può accadere che una natura dispiaccia per qualche carattere e da ciò nasca contrarietà nei suoi confronti; essendo chiaro come sia molto meglio l’esemplare di una belva vera e viva, anche quando sparge il terrore nelle selve, piuttosto che lodarne sulla parete dipinta una imitata e finta. Dunque Mani non ci inganni in questo errore, né ci renda ciechi nel considerare le specie delle nature, quando in quelle a tal punto rimprovera alcune qualità, da costringere che dispiacciano interamente, poiché interamente non può rimproverarle; ed in questo modo ricomponendo l’animo e l’equo giudizio, chiediamo ora da dove derivino con quei beni i mali, che io pure dicevo di disapprovare. Cosa che più facilmente vedremo, se avremo potuto riportare tutti i mali in un solo termine.

Ciò che è detto male, non è nient’altro che corruzione.

35. 39. Chi infatti osa dubitare che tutto ciò che è detto male non è nient’altro che corruzione? Si possono certamente chiamare mali cose diverse con parole diverse; ma la parte che di tutte le nature sia male, quelle in cui qualcosa di male può essere scorto, è corruzione. Ma la corruzione di un’anima esperta, è chiamata inesperienza; la corruzione della prudente, imprudenza; la corruzione della giusta, ingiustizia; la corruzione della forte, ignavia; la corruzione della quieta e della tranquilla, passione, o paura, o malinconia, o presunzione. Quindi nel corpo unito all’anima la corruzione della salute è detta dolore e malattia; la corruzione delle forze, stanchezza; la corruzione della quiete, lavoro; nel corpo da solo la corruzione della bellezza è turpitudine; la corruzione della rettitudine, disonestà; la corruzione dell’ordine, perversità; la corruzione dell’integrità, separazione, o frattura, o diminuzione. È lungo e difficile elencare una per una tutte le corruzioni di queste cose che ho ricordato, e di altre innumerevoli; questo perché possiamo riferire anche all’anima molte corruzioni che sono riferite al corpo, e sono innumerevoli i casi in cui la corruzione prende una specifica denominazione. Nondimeno ormai è facile vedere che la corruzione non nuoce a nient’altro, se non che danneggia lo stato naturale; e perciò questa non è una natura, ma contro natura. Se non si trova nelle cose alcun male se non la corruzione, e la corruzione non è una natura, assolutamente nessuna natura è il male.

Ogni cosa che si corrompe, è diminuita di qualche bene.

35. 40. Ma se per caso non siete in grado di capire ciò, badate al fatto che ogni cosa che si corrompe, è diminuita di qualche bene: perché se non si corrompesse, sarebbe incorrotta; se invece non potesse essere corrotta affatto, sarebbe incorruttibile. È necessario che sia l’incorruzione sia l’incorruttibilità sia un bene, se la corruzione è un male. Ma adesso non trattiamo della natura incorruttibile: si tratta di quelle nature che possono essere corrotte, le quali, finché non sono corrotte, si possono dire incorrotte, ma non incorruttibili. Infatti è propriamente detto incorruttibile solo ciò che non soltanto non si corrompe, ma che anche non può corrompersi in nessuna parte. Dunque quelle cose che sono incorrotte e tuttavia possono essere corrotte, quando avranno cominciato ad essere corrotte, saranno diminuite di quello stesso bene per cui erano incorrotte; e certo perdono un grande bene, perché grande male è la corruzione; e fintanto la corruzione può crescere in queste cose finché hanno il bene di cui possono diminuire. Per cui quelle nature le quali egli inventa che erano nella terra delle tenebre, o potevano essere corrotte, o non potevano. Se non potevano, erano incorruttibili, bene di cui non vi è niente di superiore. Se potevano, o si corrompevano, o non si corrompevano: se non si corrompevano, erano incorrotte, cosa che ci accorgiamo che non si può dire senza grande lode; se invece si corrompevano, venivano diminuite in quel bene tanto grande; se erano diminuite del bene, avevano il bene di cui erano diminuite; e se avevano il bene, quelle nature non erano il sommo male, e ogni favola di Mani è falsa.

Ci si deve chiedere da dove derivi il male.

36. 41. Ma poiché abbiamo chiesto cosa sia il male, e abbiamo conosciuto che esso non è una natura, ma contro natura, conseguentemente bisogna chiedersi da dove esso derivi: se Mani avesse fatto ciò, forse sarebbe caduto in minor misura nelle meschinità di un errore così madornale. In modo certo precipitoso e confuso egli si è chiesto da dove provenisse ciò che prima non si era chiesto cosa fosse: e perciò non hanno potuto prospettarsi a lui che indagava niente altro che vane immaginazioni, con le quali difficilmente l’animo si libera dall’abbondante pasto dei sensi carnali. Dunque uno che desideri non tanto mettersi in competizione, quanto soprattutto evitare di cadere in errore, si chiede: " Donde è questa corruzione, che appuriamo essere un male quasi generale delle cose buone, e tuttavia corruttibili? " Chi si pone tali interrogativi, subito trova il vero se cerca con grande ardore, e insiste piamente con costante perseveranza. Gli uomini infatti possono farci ricordare qualcosa con i segni delle parole, invece l’unico vero Maestro insegna, l’incorruttibile Verità in persona, egli che è il solo Maestro interiore; egli che si fece anche esteriore, per chiamarci dalle cose esteriori alle interiori; e prendendo la forma di servo, affinché la sua sublimità fosse nota a coloro che si levano, si degnò di apparire umile a coloro che giacciono. Nel suo nome siamo supplici, e implorando attraverso di lui la misericordia del Padre chiediamo queste cose. In primo luogo si può rispondere molto brevemente a coloro che chiedono donde derivi la corruzione, quando è detto: "Dal fatto che queste nature che si possono corrompere, non sono generate da Dio, ma da lui sono create dal nulla "; poiché il precedente ragionamento le ha mostrate buone, nessuno rettamente può dire: " Dio non ha fatto cose buone ". Se invece avesse detto: " Ha fatto cose sommamente buone ", è necessario capisca che il sommo bene è egli stesso, che ha fatto queste cose buone.

Solo Dio è sommamente buono.

37. 42. " Che accadrebbe di male ", tu dici, " se anche queste fossero fatte sommamente buone? " E tuttavia se qualcuno di noi chiedesse, dopo aver accettato e creduto che Dio Padre è il sommo bene, se esistesse un altro sommo bene, da dove con animo pio ci sembrasse che questo derivasse, nessun’altra risposta retta potremmo dare, se non Dio Padre, che è sommamente buono. Ciò che dunque deriva da lui, è necessario ricordare che da lui è nato, non da lui creato dal nulla, e perciò anche questo è sommamente - cioè incorruttibilmente - buono; e notiamo come illegittimamente si solleva la questione se le cose che egli ha creato dal nulla sono buone, in un grado tanto sommo come sommamente buono è quello che da lui fu generato: se non avesse generato quello solo, non avrebbe generato ciò che egli stesso è, perché egli stesso è uno. Perciò con ignoranza ed empietà si cercano fratelli per l’unico Figlio, per mezzo del quale dal Padre sono state create dal nulla tutte le cose buone, se non per il fatto che si degnò di apparire nell’uomo. Infatti per questo motivo nelle Scritture è detto unigenito e primogenito: Unigenito dal Padre, primogenito dai morti. E abbiamo visto, dice, la sua gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità 15; e Paolo dice: Affinché egli stesso sia il primogenito tra molti fratelli 16.

Dio, l’unico che ti domina per natura, ha creato altre cose buone sulle quali anche tu dominassi.

37. 43. Giacché se avremo detto: " Non sono buone le cose che sono state create dal nulla, ma lo è soltanto la natura di Dio ", negheremo l’esistenza di tante cose buone; ed è un’affermazione empia credere un’ingiuria il non essere ciò che Dio è, e perciò preferire che non esista un qualche bene, per il fatto che ad esso è anteposto Dio. Ti prego di accettare - o natura dell’anima razionale - di essere un po’ inferiore a quanto è Dio, e tanto di meno, ché dopo di lui stesso non ci sia alcun essere meglio di te. Accetta, dicevo, e sii mansueta verso di lui, affinché egli non ti respinga ancora più in basso, dove si svilisca sempre di più in te il bene che tu sei a causa delle angustie della punizione. Superba sei verso Dio, se disdegni ciò che ti viene prima; e in modo troppo oltraggioso pensi di lui, se non ringrazi in modo ineffabile di essere un bene tanto grande, al punto che egli solo sia più eccellente. Stabilito e confermato tale concetto, che tu non dica: " Dio avrebbe dovuto creare me sola come natura; non vorrei che dopo di me ci fosse qualcosa di bene ". Infatti quel bene che esiste dopo Dio, non necessariamente deve essere l’ultimo. E da ciò soprattutto appare quanta dignità ti abbia attribuito, poiché Dio, l’unico che ti domina per natura, ha creato altre cose buone sulle quali anche tu dominassi. Non meravigliarti del fatto che adesso non ti servono pienamente, e talvolta anche ti procurano sofferenza: perché il Signore tuo ha un maggiore potere su quelle creature che ti servono, di quanto ne abbia tu verso di esse, come verso servi dei propri servi. Che c’è da meravigliarsi se per te peccatrice, cioè che non ti sottometti al Signore tuo, sono inflitte punizioni da coloro che dominavi? Che c’è infatti di tanto giusto, e di più giusto di Dio? Questo infatti meritò l’umana natura in Adamo, questione di cui non è adesso il momento di discutere; ma tuttavia un sovrano giusto viene valutato dai giusti premi e dai giusti supplizi che attribuisce, dalla beatitudine di coloro che vivono rettamente e dalla pena dei peccatori. Tuttavia non sei abbandonata senza misericordia, tu che con certe misure di eventi e di tempi vieni chiamata a ritornare. Così il retto governo dell’altissimo Creatore arriva fino ai beni terreni, che si corrompono e vengono emendati per farti provare la consolazione mista al supplizio, per costringerti a lodare Dio quando sei dilettata dai beni ordinati, e a rifugiarti in lui quando ti trovi ammaestrata dall’esperienza dei mali. Di conseguenza le cose terrene, in quanto sono al tuo servizio, ti insegnano che tu sei la loro padrona; in quanto invece ti sono moleste, ti insegnano a servire il tuo Signore.

Anche la stessa corruzione è ordinata da colui che regge e governa tutto ciò che ha creato.

38. 44. Perciò quantunque il male sia corruzione, e quantunque non derivi dal Creatore delle nature, ma derivi dal fatto che dal nulla furono create: tuttavia anche la stessa corruzione è ordinata da colui che regge e governa tutto ciò che ha creato, in modo da non nuocere, se non alle nature infime per il supplizio dei dannati, e per l’esercizio e l’ammonimento di coloro che ritornano, per rimanere uniti al Dio incorruttibile, e rimangano incorrotti, poiché uno solo è il nostro bene; come è detto per mezzo del profeta: Per me il bene è stare unito a Dio 17. Né tu dica: " Dio non avrebbe dovuto creare nature corruttibili ". In quanto infatti sono nature, Dio le ha create; in quanto invece corruttibili, non le ha create Dio; infatti, non è da lui la corruzione, egli che solo è incorruttibile. Se capisci queste cose, rendi grazie a Dio; se non le capisci, calmati, e non voler condannare senza discernimento ciò che non ancora capisci; e supplice verso colui che è la luce della mente, presta attenzione per capire. Infatti quando si dice " natura corruttibile ", non una, ma due parole si pronunziano. Egualmente, quando si dice " Dio ha creato dal nulla " udiamo non una ma due parole. Riporta dunque a questi singoli concetti le singole parole, cosicché quando ascolti " natura ", sia pertinente a Dio, quando ascolti " corruttibile ", al nulla: tuttavia in modo che le stesse corruzioni, quantunque non derivino dall’opera di Dio, tuttavia debbano essere disposte in suo potere, per l’ordine delle cose e per i meriti delle anime. Perciò rettamente diciamo che derivano da lui il premio ed il supplizio. Infatti non ha creato la corruzione, affinché possa egli affidare alla corruzione colui che meritò di essere corrotto, cioè colui che da se stesso cominciò a corrompersi peccando, perché malvolentieri senta la corruzione che lo cruccia, colui che volontariamente la commise quando lo blandiva.

La corruzione della pena per il giudizio divino.

39. 45. Infatti non soltanto nell’Antico Testamento è scritto: Io creo le cose buone, ordino le cattive 18; ma in modo più evidente nel Nuovo, dove il Signore dice: Non temete coloro che uccidono il corpo, e non hanno più niente da fare; ma temete colui, che quando avrà ucciso il corpo, ha il potere di mandare l’anima nella geenna 19. Che invece si aggiunge alla volontaria corruzione la corruzione della pena per il giudizio divino, in modo molto manifesto lo attesta l’apostolo Paolo, quando dice: Infatti santo è il tempio di Dio, che siete voi: chi avrà corrotto il tempio di Dio, Dio lo corromperà 20. Se nell’Antica Legge fosse stata detta questa cosa, con quali invettive costoro avrebbero attaccato accusando Dio come se fosse un corruttore! Poiché temendo il significato del termine molti interpreti latini, non hanno voluto dire, corromperà; ma hanno detto Dio lo disperderà: e non deviando dalla stessa realtà, hanno evitato un vocabolo offensivo. Quantunque costoro non meno inveirebbero contro un Dio distruttore, se trovassero questo nella Legge antica o nei Profeti. Ma sono confutati dalle versioni greche, nelle quali molto esplicitamente è detto: chi avrà corrotto il tempio di Dio, Dio lo corromperà. Se qualcuno chieda loro, per qual motivo sia detto ciò: " affinché non si stimi che Dio è corruttore ", espongono subito che è detto corromperà, ossia " consegnerà alla corruzione "; o se possono diranno in qualche altra maniera. Se si disponessero con tale animo verso la Legge antica, capirebbero le molte cose che lì sono da ammirare, e non ridurrebbero a brandelli con odio le verità che non comprendono ancora, ma ne rimanderebbero l’interpretazione con onore.

La corruzione tende al non essere.

40. 46. Se invece qualcuno non crede che la corruzione derivi dal nulla, proponga a sé queste due alternative, essere e non essere, da punti di vista diversi; per capirci, camminiamo in modo più lento con i tardi: quindi per così dire si metta in mezzo qualcosa, come per esempio il corpo di un essere animato, e ci si chieda tra sé e sé - mentre quel corpo si forma e nasce, mentre cresce il suo aspetto, si nutre, si rafforza, si irrobustisce, si abbellisce, si conferma, per il fatto che sussiste, ed in quanto è reso stabile - in che direzione tenda, se verso l’essere o il non essere: non dubiterà che esso abbia l’esistenza certamente anche nelle stesse fasi iniziali; ma quanto più nella forma e nell’aspetto e nel vigore è stabile e rafforzato, tanto più accade che esista, e tenda verso quella direzione in cui è posto l’essere. Ora dunque cominci a corrompersi; si debiliti ogni sua stabilità, languiscano le forze, marcisca la robustezza, si deturpi la forma, si dissolva la compagine delle membra, si consumi e venga meno la concordia delle parti; ci si chieda ora, attraverso questa corruzione, verso dove tenda, se verso l’essere o il non essere: non credo che uno possa essere tanto cieco e tardo, da avere dubbi su ciò che egli stesso si risponderà, e non capisca che tanto più qualcosa è corrotta, tanto più tende alla distruzione. Ora tutto ciò che tende alla distruzione, tende al non essere. Dunque si deve credere che Dio esiste in maniera immutabile ed incorruttibile, mentre è chiaro che ciò che è detto nulla non esiste assolutamente: se tu rappresentassi a te stesso l’essere e il non essere, e conoscessi che quanto più è accresciuta la forma, tanto più una cosa tende all’essere; quanto più aumenta la corruzione, tanto più tende al non essere. Perché dubiti di dire in una qualsiasi natura corruttibile ciò che in essa derivi da Dio e ciò che derivi dal nulla; poiché la forma è secondo natura, la corruzione contro natura? Perché la specie, quando è accresciuta, porta necessariamente all’essere, e Dio è ritenuto l’essere in grado sommo; invece la corruzione, quando è accresciuta, porta necessariamente al non essere, ed è chiaro che ciò che non è, è nulla. Perché, dicevo, dubiti di dire nella natura corruttibile - la quale pure definisci natura, e la dici corruttibile -, ciò che sia da Dio, ciò che sia dal nulla? E perché cerchi una natura contraria a Dio, a cui, se riconosci che sia l’essere al sommo grado, ti accorgi che nessuna può essere contraria?

Magari il nostro senso e la memoria potessero capire l’ordine e i ritmi della bellezza delle nature.

41. 47. Perché dunque, dici, ciò che Dio ha dato alla natura, la corruzione lo toglie? Non lo toglie, se non dove Dio lo permette: ora lo permette lì, dove lo giudica una cosa del tutto misurata e giusta, in virtù dei gradi delle cose e per i meriti delle anime. Infatti, anche se la voce emessa passa oltre, ed è soffocata dal silenzio, tuttavia il nostro discorso viene compiuto dal passaggio e dalla successione delle parole che passano oltre, ed è intervallata da moderate pause di silenzi in modo conveniente e soave; così avviene anche per l’infima bellezza delle nature temporali, che è distrutta dal divenire delle cose, ed è scandita dalla morte dei nascenti. Se il nostro senso e la memoria potessero capire l’ordine e i ritmi di questa bellezza, tanto ci piacerebbe, che non oseremmo chiamare corruzione le mancanze con cui è intervallata. Poiché invece ci preoccupiamo di quella bellezza in cui vengono meno le mutevoli cose temporali che amiamo, scontiamo le pene dei peccati, e siamo ammoniti ad amare le cose eterne.

Affrettiamoci a quel bene dal quale ricevono specie e forma tutte le nature.

42. 48. Dunque in questa bellezza non chiediamo ciò che essa non ha ricevuto; essa è infima perché non ha ricevuto ciò che chiediamo; ed in quello che ha ricevuto, lodiamo Dio, perché ha dato anche a lei, quantunque infima, tanto bene di forma. Né tuttavia stiamo uniti a lei come suoi amanti: ma come uomini che lodano Dio la superiamo, cosicché posti al di sopra di lei giudichiamo di lei, e non a lei avvinti siamo giudicati in lei. Ed affrettiamoci a quel bene, che non vagabonda per i luoghi, né passa col tempo, e dal quale ricevono specie e forma tutte le nature locali e temporali. Per vederlo purifichiamo il cuore attraverso la fede del Signore nostro Gesù Cristo, che dice: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio 21. Infatti per vedere quel bene non è necessario che siano pronti gli occhi con i quali si vede questa luce diffusa attraverso i luoghi, e non integra dovunque, ma che ha qui una parte, lì un’altra. Tergiamo invece lo sguardo dell’intelligenza con il quale si vede - per quanto è lecito in questa vita - ciò che è giusto, ciò che è pio, quale sia la bellezza della sapienza; chi vede tali cose, le prepone di gran lunga alla pienezza di tutti i luoghi; e sente - non appena le discerne - che lo sguardo della sua mente non è diffuso attraverso lo spazio, ma è reso stabile dalla potenza incorporea.

Conclusione.

43. 49. Poiché le fantasticherie sono molto nemiche a tale sguardo, fantasticherie che la nostra riflessione trascinata dal senso carnale in modo immaginario medita e trattiene, dobbiamo detestare questa eresia, la quale prestando fede alle proprie immaginazioni, distende e diffonde la divina sostanza attraverso lo spazio - quantunque essa sia infinita - come un’informe mole, e la ha troncata da una parte, per trovare un luogo al male; giacché non è stata capace di comprendere che esso non è una natura, ma contro natura; ed ha adornato lo stesso male con tale bellezza e forme, e concordia delle parti presente nelle singole nature, perché senza questi beni non aveva potuto pensare alcuna natura, tanto che quei mali che lì ha biasimato, sono seppelliti sotto l’abbondanza di innumerevoli beni. Ma questa sia la conclusione del presente volume: in altri siano dimostrati con l’aiuto ed il volere di Dio gli altri suoi deliri.

 


1 - 2 Tm 2, 24-25.

2 - Ml 4, 2.

3 - Gv 1, 9.

4 - Cf. Mt 10, 2ss.; Mc 3, 16ss.; Lc 6, 13ss.

5 - Cf. At 1, 26.

6 - Cf. At 9.

7 - Gv 14, 16.

8 - Gv 10, 30.

9 - At 1, 1-8.

10 - At 2, 1-13.

11 - Gv 7, 39.

12 - Gv 20, 22.

13 - Cf. At 2, 1-13.

14 - Cf. At 1, 5; Gv 14, 16. 26; 16, 7.

15 - Gv 1, 14.

16 - Rm 8, 29.

17 - Sal 72, 28.

18 - Is 45, 7.

19 - Mt 10, 28; Lc 12, 4.

20 - 1 Cor 3, 17.

21 - Mt 5, 8.