SCRUTATIO

Domenica, 22 giugno 2025 - San Tommaso Moro ( Letture di oggi)

Esposizione incompleta della Lettera ai Romani

Sant'Agostino

Esposizione incompleta della Lettera ai Romani
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1. Nella Lettera che indirizza ai Romani l’apostolo Paolo, a quanto è dato di ricavare dal testo, affronta il problema dei destinatari del Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo. Espone cioè se esso riguardi i soli giudei, che l’avrebbero meritato con l’osservanza della legge, o non piuttosto l’universalità delle genti, le quali, senza alcun merito precedente, giunsero alla giustificazione mediante la fede in Cristo Gesù. Ciò significa pertanto che gli uomini non giunsero alla fede perché erano giusti ma, diventati giusti credendo, da un tale principio cominciarono a vivere nella giustizia. L’Apostolo si propone quindi di mostrare come la grazia del Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo sia venuta per tutta l’umanità, e si chiama appunto grazia perché non è un compenso col quale si salda un debito di giustizia ma un dono elargito gratuitamente. C’erano stati infatti alcuni cristiani provenienti dal giudaismo che avevano sollevato rimostranze contro i pagani e soprattutto contro l’apostolo Paolo che li accettava nella grazia del Vangelo senza farli circoncidere e lasciandoli liberi dai legami dell’antica legge; predicava loro di credere in Cristo e non imponeva loro alcun giogo di circoncisione carnale. Quanto alla Lettera, notiamo come essa sia scritta con estremo equilibrio: non si permette ai giudei di vantarsi dei meriti che avrebbero acquistato con le opere della legge, né si consente ai pagani d’andare orgogliosi per il merito di avere creduto, al contrario di quanto avevano fatto i giudei crocifiggendo quel Cristo che loro, i pagani, invece accolsero. La stessa idea ritorna press’a poco in quell’altro brano dove l’Apostolo si presenta come un ambasciatore di Cristo 1, cioè di quella pietra angolare che è Cristo, il quale cementa i due popoli, quello dei giudei e quello dei gentili 2, a entrambi togliendo mediante il vincolo della grazia ogni superbia basata sui meriti, entrambi associando nella severa scuola dell’umiltà perché conseguano la giustificazione.

2. Ecco ora l’inizio della Lettera: Paolo, servo di Gesù Cristo, chiamato apostolo, segregato per il Vangelo di Dio. Con i due verbi che usa, sottolinea in breve la divergenza che c’è tra la Chiesa con la sua eccelsa dignità e la Sinagoga con il suo vecchiume. La Chiesa infatti porta questo nome perché chiamata, la Sinagoga deriva il suo nome dall’essere aggregata; e l’essere chiamati si addice piuttosto agli uomini, mentre l’essere aggregati si dice meglio degli animali, come indica il nome " gregge " che nel linguaggio proprio di solito è adoperato per le bestie. È sì vero che in numerosi passi della Scrittura la Chiesa viene anch’essa chiamata " gregge di Dio ", " armento di Dio ", " ovile di Dio ", tuttavia se là dove si vuole stabilire un raffronto si dà agli uomini l’appellativo di animali, è perché essi sono partecipi della vita vecchia. E si può constatare come tali persone non si saziano con il cibo dell’eterna verità ma si contentano delle promesse temporali che sono come un nutrimento terrestre. Orbene Paolo, servo di Cristo Gesù, fu chiamato apostolo: vocazione che lo inserì nella Chiesa. Fu inoltre segregato per il Vangelo. Segregato da chi, se non da quel gregge che era la Sinagoga? Se almeno il senso dei vocaboli latini è sotto ogni aspetto identico con quello della lezione greca.

3. Doverosamente, volendo inculcare la dignità del Vangelo di Dio, in vista del quale egli si dice segregato, ricorre all’autorità dei Profeti. È un nuovo invito a non insuperbire rivolto ai pagani che avevano creduto in Cristo e dei quali l’Apostolo si dice chiamato a far parte: pagani che egli aveva anteposto ai giudei, dai quali si diceva invece segregato. In realtà i Profeti sorsero nel popolo giudaico, quei Profeti - dichiara Paolo - per bocca dei quali fu in antecedenza promesso il Vangelo nella cui fede ottengono la giustificazione i credenti. Egli continua precisando: Segregato per il Vangelo di Dio, che era stato da lui promesso in antecedenza per bocca dei suoi Profeti. C’erano stati infatti Profeti non di Dio, negli scritti dei quali si trovano cantate cose riguardanti Cristo secondo ciò che essi avevano a loro volta ascoltato. Questo si dice, ad esempio, della Sibilla. Né io crederei facilmente a tale affermazione se non la ripetesse anche il poeta più illustre fra quanti scrissero in lingua latina. Costui, prima di narrare, sulla palingenesi del creato, cose che diresti consone e appropriate anche al Regno del nostro Signore Gesù Cristo, scrive un verso che suona così: È ormai giunta l’ultima delle ere descritte dal Carme cumano 3, cioè, come tutti sanno, del Carme della Sibilla. Ora l’Apostolo, sapendo che tali testimonianze in favore della verità si trovano anche nei libri pagani, com’egli dimostra in maniera più che esplicita negli Atti degli Apostoli quando parla agli Ateniesi 4, non si contenta di dire: Per bocca dei suoi Profeti. Perché nessuno si lasciasse traviare dai falsi profeti, per quella parvenza di verità che contengono e fosse indotto a qualche forma di empietà, volle aggiungere: Nelle sacre Scritture. Con ciò intende affermare che gli scritti dei pagani, stracolmi di superstizioni idolatriche, non si possono in alcun modo qualificare come " santi " per il fatto che in essi si trova una qualche testimonianza riguardante Cristo.

4. Qualcuno forse avrebbe potuto accordare indebite preferenze a certi profeti nati fuori dal giudaismo e alieni dalla religione giudaica, in quanto in essi non v’era cenno ai culti idolatrici. Dico del culto delle statue composte dalla mano dell’uomo, poiché riguardo agli idoli come sede di esseri immaginari ogni errore ha i suoi profeti e con essi inganna i propri adepti. Poteva, dunque, accadere che qualche devoto, trovando in tali scritti religiosi il nome di Cristo, desse loro la preferenza e li ritenesse " Scritture sante " invece dei libri divinamente consegnati al popolo ebraico. Per ovviare a questo inconveniente Paolo, nominate le " Scritture sante ", molto opportunamente, secondo me, aggiunge: Riguardanti il suo Figlio, che fu fatto a lui dalla stirpe di Davide secondo la carne. È noto che Davide fu re dei giudei. Ora i Profeti, che preconizzavano il Cristo, dovevano nascere necessariamente da quel popolo in cui si sarebbe incarnato colui che essi annunziavano. Si doveva inoltre porre un riparo all’empietà di quanti ammettono nel nostro Signore Gesù Cristo solo l’umanità che assunse e ne escludono la divinità, per la quale è al di fuori di ogni creatura né in qualche maniera comunica con essa. Tale l’opinione dei giudei, che ritengono essere il Cristo figlio di Davide e nulla più; rigettano la sublime dignità per la quale, essendo Figlio di Dio, è anche Signore di Davide. Di tale errore li rimprovera nel Vangelo Gesù citando la profezia che era stata proferita dallo stesso Davide. Chiede loro come possa essere figlio di Davide 5 colui che Davide chiama suo Signore; e a tale domanda avrebbero dovuto, per l’esattezza, rispondere che, se egli secondo la carne era figlio di Davide, secondo la natura divina era Figlio di Dio e Signore di Davide. Ora Paolo sapeva benissimo tutte queste cose e ci tiene ad impedire che di Cristo si pensi che sia solamente ed esclusivamente ciò che è diventato nella sua umanità. Ricordando quindi che ha già detto: Per il Vangelo di Dio che era stato da lui promesso in antecedenza per bocca dei suoi Profeti nelle sacre Scritture riguardanti il suo Figlio, fatto a lui della stirpe di Davide, aggiunge: Secondo la carne. Con questa aggiunta: Secondo la carne, intende lasciare alla divinità tutti i suoi privilegi, sottolineare che essi non possono attribuirsi né alla stirpe di Davide né alla generazione di qualsiasi creatura o angelica o di altro ordine, anche il più eccelso. Si tratta infatti della persona stessa del Verbo di Dio, ad opera del quale sono state create tutte le cose 6. Che se il Verbo si fece carne dalla stirpe di Davide e venne ad abitare in mezzo a noi 7, non si mutò né trasformò in carne ma si rivestì della carne per apparire in una maniera adeguata all’uomo che è carne. L’Apostolo distingue bene pertanto l’umanità dalla divinità, e a ciò mirano le parole: Secondo la carne, e più ancora: Fu fatto. Egli certamente non è stato fatto in quanto è Verbo di Dio. Anzi, ad opera sua, furono fatte tutte le cose e lui non poté essere fatto insieme con le altre cose, se tutte le cose furono fatte per opera sua. Né fu fatto prima delle altre cose, che poi per mezzo di lui sarebbero state tutte create. Se infatti si esclude il Verbo, nell’ipotesi fatto prima delle cose, non tutte le cose sarebbero state fatte ad opera di lui, né si potrebbe dire che tutte le cose furono fatte ad opera del Verbo se fra esse non fosse compreso il Verbo stesso nell’ipotesi che anche il Verbo sia stato fatto. In vista di ciò l’Apostolo, affermando che Cristo fu fatto, aggiunge: Secondo la carne. Con tale espressione mostra chiaramente che Cristo secondo che è Verbo, cioè Figlio di Dio, non è stato fatto da Dio ma è nato da Dio.

5. Di questo Cristo che secondo la carne è stato fatto a lui dalla stirpe di Davide, dice ora che è Figlio di Dio in potenza, non secondo la carne, ma secondo lo Spirito, né uno spirito qualunque ma lo Spirito di santificazione dalla resurrezione dei morti. È infatti nella resurrezione che appare la potenza di colui che era morto, e per questo si dice: Predestinato in potenza secondo lo Spirito della santificazione dalla resurrezione dei morti. In un secondo momento la santificazione produsse la vita nuova, suggellata dalla resurrezione di nostro Signore, per cui l’Apostolo in un altro testo dice: Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dov’è Cristo, assiso alla destra di Dio 8. La successione delle parole potrebbe, fuori dubbio, essere diversa, e cioè quel dalla resurrezione dei morti potrebbe collegarsi non con Spirito della santificazione, ma con fu predestinato. Ne seguirebbe quest’ordine: Egli fu predestinato dalla resurrezione dei morti, mentre sarebbero un inserto le parole: Figlio di Dio in potenza, secondo lo Spirito della santificazione. Secondo noi questa successione è da ritenersi più valida e quindi preferibile, per cui Cristo secondo la carne è figlio di Davide nella debolezza, mentre secondo lo Spirito della santità è Figlio di Dio in potenza. Egli dunque fu fatto dalla stirpe di Davide: era cioè figlio di Davide per il corpo mortale con cui morì, mentre dalla resurrezione dei morti fu predestinato [ad essere] Figlio di Dio e Signore di Davide. L’essere cioè egli morto è in rapporto con la sua condizione di figlio di Davide, l’essere risuscitato dai morti, alla sua dignità di Figlio di Dio e Signore di Davide. È quanto dice altrove l’Apostolo: Per la sua debolezza egli morì, ma per la potenza di Dio egli è vivo 9. La debolezza umana dipende da Davide, il vivere eternamente dalla potenza di Dio. Per questo, parlando di lui Davide lo presenta come suo Signore dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi 10. Ora egli siede alla destra del Padre dopo che è risuscitato dai morti. Vedendo seduto alla destra del Padre questo Predestinato dalla resurrezione dei morti, Davide mosso dallo Spirito non osa chiamarlo suo figlio ma suo Signore, e l’Apostolo, sul filo della stessa logica, aggiunge: Di Gesù Cristo nostro Signore. Con tale denominazione, posta dopo che ha affermato: Dalla resurrezione dei morti, vuole richiamarci alla mente perché Davide di lui attesti che è suo Signore e non suo figlio. Notare poi che non dice: Predestinato dalla resurrezione " dai morti ", ma dalla resurrezione dei morti. In effetti non è dalla sua propria resurrezione che Cristo si palesa come Figlio di Dio in quella dignità eccellentissima e a lui esclusiva per la quale è anche Capo della Chiesa. Infatti, quanto al risorgere in sé e per sé, anche gli altri morti risorgeranno. Egli è stato predestinato Figlio di Dio per una certa priorità nella resurrezione: è stato cioè predestinato dalla resurrezione di tutti i morti o, in altre parole, è stato designato a risorgere diversamente da tutti gli altri morti e avanti a tutti. Le parole: Figlio di Dio poste dopo l’affermazione: Egli è stato predestinato sono la conferma di tanta sublimità. In questa maniera infatti non doveva essere predestinato se non il Figlio di Dio in quanto è anche Capo della Chiesa o, come lo chiama altrove [l’Apostolo]: Primogenito fra i morti 11. Ed era conveniente che a giudicare i risorti venisse colui che li aveva preceduti come modello: modello, dico, non di tutti coloro che risorgono ma di coloro che risorgono per vivere e regnare eternamente con lui e dei quali egli è il Capo mentre loro sono il suo corpo. Dalla resurrezione di questi morti egli è stato anche predestinato ad essere il loro antesignano; degli altri invece, che risorgono nella loro condizione [di non rigenerati], egli è solo giudice, non antesignano. Pertanto egli non è stato predestinato dalla resurrezione di quei morti che da lui saranno condannati. E se l’Apostolo dice di lui che è stato predestinato dalla resurrezione dei morti, lo dice nel senso che ha anticipato la resurrezione dei morti. Ora egli ha preceduto la resurrezione di coloro che lo seguiranno nel Regno dei cieli dov’egli li ha preceduti. Per questo motivo non dice: " Egli è stato predestinato Figlio di Dio dalla resurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore ", ma: Dalla resurrezione dei morti di Gesù Cristo nostro Signore. Come per dire: Egli è stato predestinato Figlio di Dio dalla resurrezione dei suoi morti, cioè di quei morti che appartengono a lui per la vita eterna. Supponendo quindi la domanda: Di quali morti?, l’Apostolo risponde: Quelli di Gesù Cristo nostro Signore. Dalla resurrezione degli altri morti egli non è stato predestinato in quanto costoro non sono stati da lui preceduti nella gloria della vita eterna; risorgendo gli empi per andare al castigo meritato, non seguiranno Cristo. Concludendo, colui che, in quanto Figlio di Dio era unigenito, dalla resurrezione dei morti è stato predestinato [ad essere] Primogenito fra i morti. Quali morti, se non quelli [che sono] di Gesù Cristo nostro Signore?

6. Ad opera di lui, continua, noi abbiamo ricevuto la grazia e il ministero apostolico: la grazia è in comune con gli altri fedeli, il ministero apostolico no. Se avesse detto d’aver ricevuto soltanto il ministero apostolico, non sarebbe stato riconoscente verso la grazia per la quale gli erano stati rimessi i peccati, e avrebbe fatto capire che il ministero apostolico l’aveva ricevuto per i meriti di opere precedenti. Ma egli con perfetta logicità si attiene al processo effettivo delle cose, insegnando così che nessuno può osare di dirsi chiamato al Vangelo per meriti acquisiti nella vita anteriore, se nemmeno gli Apostoli, certamente superiori a tutte le membra escluso il capo, poterono ricevere l’incarico dell’apostolato senza aver prima ricevuto, insieme con tutti gli altri credenti, la grazia che risana e giustifica il peccatore. Poi aggiunge: Perché fra tutte le genti si obbedisca alla fede nel suo nome. Con queste parole vuol dire d’aver ricevuto il ministero apostolico affinché si obbedisca alla fede nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, affinché cioè tutti gli uomini credano in Cristo e siano segnati del suo nome quanti vogliono conseguire la salvezza. Riguardo alla salvezza, egli ha già mostrato che non è venuta per i soli giudei, come pensavano alcuni di loro che erano diventati credenti, ma, come dice: Fra tutte le genti, in mezzo alle quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo. E vuol dire: Affinché anche voi siate di quel Gesù Cristo che è la salvezza di tutte le genti, sebbene non siate compresi nel numero dei giudei ma facciate parte degli altri popoli.

7. Ecco dunque quanto affermato fin qui: primo, si dice chi scrive la Lettera, e costui è Paolo, servo di Gesù Cristo, chiamato apostolo, segregato per il Vangelo di Dio. Siccome veniva spontaneo chiedere: " Ma quale Vangelo? ", risponde: Quel Vangelo che aveva antecedentemente promesso per bocca dei Profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo. Alla conseguente domanda: " Chi è questo suo Figlio? ", risponde: Che è stato fatto a lui dalla stirpe di Davide secondo la carne, che è stato predestinato [ad essere] Figlio di Dio in potenza secondo lo Spirito della santificazione dalla resurrezione dei morti di Gesù Cristo nostro Signore. Qui suppone che gli venga chiesto: "Che rapporto hai tu con lui? ". E risponde: Ad opera di lui noi abbiamo ricevuto la grazia e il ministero apostolico perché si obbedisca alla fede da tutte le genti nel suo nome. E poi, come rispondendo alla domanda: " Qual è dunque il motivo per cui scrivi a noi? ", dice: Fra costoro siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo. A questo punto aggiunge, come si è soliti fare nello stile epistolare, i destinatari della Lettera e scrive: A tutti coloro che sono a Roma, amati da Dio, santi per vocazione, sottolineando la condiscendenza divina, superiore ad ogni loro merito. Non dice infatti: " A coloro che amano Dio ", ma: A coloro che sono amati da Dio. Egli infatti ci ha amati per primo, precedendo ogni nostro merito, e appunto perché siamo stati amati da lui siamo in grado di amarlo 12. E continua: Santi per vocazione. Se infatti potrà esserci qualcuno che attribuisca a sé il fatto d’aver obbedito a colui che lo chiamava, nessuno certamente potrà attribuire a se stesso la chiamata in quanto tale. Santi per vocazione: da intendersi non nel senso che sono stati chiamati perché erano santi ma, perché chiamati, sono diventati santi.

8. Perché l’esordio della lettera sia completo, secondo l’usanza, non resta che il saluto: chi scrive augura salute a chi riceve la lettera. Invece della salute Paolo scrive: Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo. Non ogni grazia infatti proviene da Dio: anche i giudici cattivi elargiscono una grazia quando, adescati nell’avidità o vinti dal timore, favoriscono certe persone. Né ogni pace è pace di Dio o pace donata da Dio. Lo diceva lo stesso nostro Signore con le parole: Vi dò la mia pace, e volendole precisare aggiungeva che egli dava una pace non identica a quella che dà il mondo 13. La grazia che ci viene da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo è il dono per il quale ci vengono rimessi i peccati, per cui eravamo in inimicizia con Dio; la pace è il dono della stessa riconciliazione con Dio. Scomparsa l’inimicizia quando ad opera della grazia ci sono stati rimessi i peccati, ecco che mediante la pace noi siamo in comunione con lui. Non c’è infatti, fra noi e Dio, altra separazione che quella del peccato, come dice il profeta: Egli non si turerà gli orecchi per non sentire, ma sono i vostri peccati che vi separano da Dio 14. Rimessi i peccati mediante la fede nel nostro Signore Gesù Cristo non c’è più alcuna separazione e si ha la pace.

9. Qualcuno forse resterà sorpreso non sapendo come si possa parlare di giustizia di Dio giudice quando egli, perdonando i peccati, concede la grazia. Ma proprio questa è la giustizia di Dio: è veramente giusto che quanti nel tempo in cui non si è chiaramente manifestata la paura delle pene si pentono dei propri peccati, siano misericordiosamente separati da coloro che, volendo scusare con pertinacia i propri peccati, non si ravvedono né si pentono in alcuna maniera. Viceversa sarebbe ingiusto che siano con questi ultimi associati nella stessa pena coloro che non restarono sordi dinanzi alla chiamata di Dio ma si rammaricarono d’aver peccato al segno di odiare il proprio peccato così come lo odia Dio. In ultima analisi per l’uomo è esigenza di giustizia non amare, in se stessi, altro che i doni di Dio, odiando ciò che è proprio dell’uomo, non approvare i propri peccati e nel peccato non prendersela con altri ma soltanto con se stesso. Non si deve credere inoltre che sia sufficiente aver provato una volta dispiacere per i peccati, se in appresso non li si evita con estrema vigilanza. Occorre infine persuadersi che per evitare ogni peccato nel resto della vita non bastano le risorse umane ma deve intervenire l’aiuto divino. È pertanto giusto che Dio perdoni questi peccatori pentiti, qualunque colpa abbiano prima commesso, né li si può confondere o collocare insieme con gli altri che non si convertono: cosa che sarebbe sommamente ingiusta. Se dunque a questi tali non si dà perdono, è giustizia di Dio; se li si perdona è grazia di lui. Ne segue che, come è giusta in Dio la grazia, così è gratificante la giustizia. Infatti anche in questi peccatori la grazia precede il merito che permette la conversione, dal momento che nessuno potrebbe pentirsi del peccato se non fosse in qualche modo preavvertito dalla chiamata di Dio.

10. Il rigore della giustizia divina poi si protrae in maniera tale che, sebbene al penitente sia già stata condonata la pena spirituale ed eterna, a nessuno però si sottraggono le angustie e le sofferenze corporali (gli stessi martiri, sappiamo, ne furono tormentati!) e in ultimo anche la morte, che la nostra umanità meritò commettendo il peccato. Che tali gravissime pene abbiano a pagarle anche gli uomini giusti e santi deriva, come crediamo, da un giusto giudizio di Dio. Questo essere tribolati nelle sacre Scritture è chiamato anche disciplina che nessuno dei giusti può eludere. Nessuno infatti viene eccettuato da colui che dice: Dio corregge ogni figlio che ama; sottopone ai flagelli ogni figlio che gli è accetto 15. Lo asserisce anche Giobbe. Egli, sebbene fosse sottoposto a molti e gravi tormenti perché brillasse dinanzi agli uomini come un eroe e un gran servo di Dio, più volte afferma di ricevere le pene corporali in sconto dei suoi peccati. E l’apostolo Pietro, nell’esortare i fratelli a sopportare i loro patimenti per il nome di Cristo, si esprime così: Nessuno di voi abbia a patire perché omicida o ladro o maldicente o invischiato negli affari altrui. Che se soffre perché cristiano, non ne arrossisca, ma glorifichi Dio per questo nome. È infatti tempo che cominci il giudizio dalla casa di Dio. E se l’inizio è da noi, quale sarà la fine di coloro che non credono al Vangelo di Dio? E se il giusto si salva a stento, il peccatore e l’empio dove finiranno? 16 Mostra con chiarezza che anche i patimenti sofferti dal giusto rientrano nel giudizio di Dio, il quale, com’egli dice, comincia dalla casa di Dio perché se ne deduca quali castighi siano riservati agli increduli. Non diversamente l’apostolo Paolo scrive ai Tessalonicesi: Noi stessi ci gloriamo di voi, nelle Chiese di Dio, della vostra pazienza e fedeltà in tutte le vostre persecuzioni e angustie, che sopportate a dimostrazione del giusto giudizio di Dio 17. Tutto questo in perfetta consonanza con quel che Pietro definisce: Tempo in cui comincia il giudizio dalla casa di Dio, e con l’altra affermazione desunta dal profeta: Che se il giusto si salva con difficoltà, il peccatore e l’empio dove finiranno? 18 Mi sembra che rientrino in oggetto anche le minacce che Dio rivolse al re Davide tramite il profeta Natan. Essendosi egli pentito, Dio lo perdonò ma gli predisse che tutti i mali che gli sarebbero capitati 19 miravano a comprovare che, se a lui spiritualmente era stato concesso il perdono, lo era in vista del successivo giudizio punitivo che attende coloro che nel tempo presente non vogliono ravvedersi. Concorda anche Pietro quando dice: Per questo motivo il Vangelo è stato proclamato anche ai morti, perché essi, giudicati secondo gli uomini nella carne, vivano secondo Dio nello spirito 20. Tutto questo ho voluto dire per mostrare, secondo le mie capacità e per quanto lo consentono le esigenze dell’attuale passo scritturistico, che quando si parla di grazia e di pace di Dio non si creda per questo che egli possa deviare dalla giustizia. Lo stesso Signore, infatti, nel promettere la pace disse: Vi ho detto queste cose perché in me abbiate la pace mentre nel mondo avete la sofferenza 21. Da notare pertanto che le tribolazioni e i fastidi inflitti dalla giustizia di Dio in sconto dei peccati non conducono al peccato gli uomini diventati buoni e giusti e coloro che provano più dispiacere per il peccato che per qualsiasi pena corporale; anzi li purificano completamente da ogni macchia. La pace perfetta che interesserà anche il corpo diventerà a suo tempo del tutto salda, se ora il nostro spirito conserverà inconcussa e stabilizzata la pace che nostro Signore s’è degnato di darci mediante la fede.

11. Nominando la grazia e la pace l’Apostolo dice che provengono da Dio Padre e dal nostro Signore Gesù Cristo senza aggiungere nulla dello Spirito Santo. Il motivo dell’omissione, a quanto mi sembra, è che quando si parla di dono di Dio intendiamo sempre lo Spirito Santo. Ora, la grazia e la pace cosa sono se non il dono di Dio? Ne segue che in nessun modo può essere data agli uomini o la grazia che ci libera dai peccati o la pace con la quale siamo riconciliati con Dio, se non nello Spirito Santo. In tal modo nel saluto della sua Lettera riconosciamo espressa e la Trinità divina e insieme l’incommutabile Unità. Questa mia convinzione si basa principalmente sul fatto che nelle Lettere che si attribuiscono con certezza all’apostolo Paolo e sulle quali nessuna Chiesa avanza dubbi, si trova sempre questo saluto. Fa eccezione la Lettera che scrisse agli Ebrei, dove l’esordio con i saluti viene omesso, a quanto si dice, intenzionalmente. Si voleva cioè impedire ai giudei, accaniti detrattori dell’Apostolo, che prendessero dal suo nome motivi per un odio più violento e leggessero lo scritto con animo ostile o non volessero leggere affatto quanto egli scriveva per la loro salvezza. Per lo stesso motivo alcuni hanno temuto d’inserire questa Lettera nel Canone delle Scritture: questione che noi ora lasciamo sospesa, e passiamo a considerare le due Lettere a Timoteo, dove tra " grazia " e " pace " viene collocata la misericordia. Scrive infatti l’Apostolo: Grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Gesù Cristo Signore nostro 22. Volendo scrivere a Timoteo in una forma, diremmo, più familiare e affabile l’Apostolo vi inserisce una parola con cui si enunzia e professa con estrema chiarezza che lo Spirito Santo ci viene dato non per i meriti di opere antecedenti ma per la misericordia di Dio. Con tale Spirito otteniamo il perdono dei peccati, che ci separano da Dio, e la riconciliazione per la quale aderiamo a lui.

12. Non pochi sono i richiami alla Trinità che si trovano all’inizio delle Lettere degli altri apostoli. Pietro scrive: La grazia e la pace siano perfette in voi, e subito prosegue: Sia benedetto Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo 23. Intendendo per " grazia " e " pace " lo Spirito Santo, con la menzione del Padre e del Figlio si richiama alla mente la Trinità. Nella seconda Lettera egli scrive: Si accrescano in voi la grazia e la pace nella conoscenza di Dio e di Cristo Gesù nostro Signore 24. Per non so quale motivo Giovanni omette un simile esordio ma non tralascia del tutto di ricordare la Trinità; solo che, invece di " grazia " e " pace " menziona la comunione. Ebbene, dice, quello che abbiamo visto lo annunziamo anche a voi, affinché anche voi abbiate comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col suo Figlio Gesù Cristo 25. Nella seconda Lettera [Giovanni] concorda con le Lettere a Timoteo. Dice infatti: Sia con voi la grazia, la misericordia e la pace da Dio Padre e da Gesù Cristo Figlio del Padre 26. Nell’esordio della terza Lettera invece si omette ogni accenno alla Trinità e il motivo penso doversi ricercare nella brevità della Lettera stessa, la quale comincia così: Il presbitero all’amatissimo Gaio, che io amo nella verità 27. Mi piace pensare che qui verità tenga il posto di Trinità. Giuda, dopo aver nominato Dio Padre e il Signore Gesù Cristo, pone tre parole per indicare lo Spirito Santo, cioè il dono di Dio. Comincia scrivendo così: Giuda, servo di Gesù Cristo, fratello di Giacomo, agli amati in Dio Padre e salvati e chiamati da Gesù Cristo. Si accrescano in voi fino alla pienezza la misericordia e la pace e la carità 28. Non si concepiscono infatti la grazia e la pace se si escludono la misericordia e la carità. Giacomo usa la forma più usuale di esordire una lettera e scrive: Giacomo, servo di Dio e del Signore nostro Gesù Cristo, saluta le dodici tribù che sono nella diaspora 29. Nel nominare la salvezza ha in mente, penso, che essa non consiste se non nel dono di Dio, dove rientrano anche la grazia e la pace. È vero che egli, prima di nominare la salvezza, ha parlato di Dio e del Signore nostro Gesù Cristo; tuttavia, siccome non c’è grazia o pace a salvezza dell’uomo all’infuori di quelle che provengono da Dio e dal Signore Gesù Cristo, Giacomo, a mio avviso, pone salvezza in luogo di Trinità non diversamente da Giovanni, che nella terza Lettera invece di Trinità parla di verità.

13. A questo punto ritengo di non dover passare sotto silenzio quanto con sorpresa il vescovo Valerio rilevava dal dialogo fra alcuni campagnoli. Avendo l’uno detto all’altro: Salute!, costui, sapendolo conoscitore della lingua latina e di quella punica, gli chiese cosa fosse la salute. Gli fu risposto: Sono i " tria ". Allora l’altro, constatando con gioia che in base alla consonanza delle lingue la nostra salute è la Trinità, ritenne quella coincidenza di suoni non casuale ma ordinata dall’occultissima economia della Provvidenza divina per cui, quando dai latini si nomina la salute, dai punici s’intende la " tria ", e quando i punici nel loro dialetto parlano di " tria " in latino s’intende la salute. Ci viene qui in mente la donna cananea, cioè punica, che era uscita dalla regione di Tiro e di Sidone e che nel Vangelo impersona le genti del paganesimo. Questa donna chiedeva la salute per la figlia ma dal Signore le fu risposto: Non è bene dare ai cani il pane dei figli 30. Lei non escluse la colpa che le veniva rinfacciata ma, volendo impetrare con la confessione dei peccati la salute della figlia o, in altre parole, la sua nuova vita, esclamò: Certo è così, Signore! ma anche i cani mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni 31. In effetti, nella lingua della donna che era cananea, la salute si chiamava " tria ", tanto è vero che i nostri campagnoli, se li si interroga su cosa sia [la " tria "], ed essi vogliono rispondere in lingua punica, dicono " Canani ". Si mangiano, come suole accadere in casi analoghi, una lettera: posta la quale, cos’altro rispondono se non: Così i Cananei? Orbene quella donna, chiedendo la salute chiedeva la Trinità, in quanto la lingua di Roma (che è la lingua di coloro che all’avvento del Signore risulteranno essere in testa alle genti), quando parla di salute, se chi l’ascolta è un punico, il termine suona " Trinità ". Si è detto infatti che la donna cananea raffigurava le genti. Riguardo poi all’oggetto che la donna chiedeva, il Signore lo chiama pane. E come non vedere in questo una conferma della Trinità? Il Signore infatti in un altro passo scritturale insegna chiarissimamente che nei tre pani si deve intendere la Trinità. Ma tutte queste consonanze, siano esse insite [nei termini] o siano procurate [dall’investigatore], non le si deve usare con accanimento e pretendere per esse un’accettazione universale. Si lascerà al buon gusto dell’uditore quanto debba accettare in quegli svolazzi forbiti dell’esegeta.

14. Se l’Apostolo, volendo menzionare in maniera completa la Trinità, parla di grazia e di pace come denominazione dello Spirito Santo, ne deriva chiaramente una conseguenza da considerarsi con grande attenzione dell’anima e da accettarsi con tutte le risorse della pietà. La conseguenza è questa: pecca contro lo Spirito Santo colui che o si dispera o che irride o disprezza l’annunzio della grazia, per la quale vengono rimessi i peccati, o della pace per la quale siamo riconciliati con Dio, e così rifiuta di pentirsi del proprio peccato, si intestardisce a rimanere preda di quella dolcezza, diciamo così, sacrilega e letale che deriva dal peccato e persevera in essa sino alla fine. Non si deve pertanto udire con indifferenza la parola del Signore: " Sarà perdonata all’uomo ogni parola contro il Figlio dell’uomo, ma se uno proferisce ingiuria contro lo Spirito Santo non gli sarà perdonato né al presente né nel secolo futuro; per l’eternità sarà reo di peccato " 32. Facciamo l’esempio di una persona che non conosca il latino. Ecco arriva uno che in sua presenza pronunzia la parola "Spirito Santo ". L’altro chiede cosa si indichi con le sillabe che s’è sentito risuonare all’orecchio e l’interlocutore, menzognero e beffardo, gli risponde indicarvisi una cosa del tutto diversa, magari banale e spregevole. Costui parla così per ingannare l’altro per poi riderci sopra, come sogliono fare le persone maligne; l’altro invece, che non conosce il senso della parola, eccolo nella sua ignoranza vilipendere il nome ascoltato ovvero anche lanciare insulti al suo riguardo. Ritengo che nessun uomo, per quanto superficiale e avventato, vorrà tacciare d’empietà questa persona. Ecco viceversa che, sia pure senza che se ne indichi il nome, la sostanza della cosa giunge all’intelligenza di colui che la stava indagando, con qualsiasi nome la chiamasse. Ebbene, se in questo caso l’ascoltatore uscirà in parole o gesti ingiuriosi contro un essere così santo, dovrà ritenersi colpevole. Da ciò una conseguenza che io dò per scontata. Se uno ascoltando il nome " Spirito Santo " suppone che vi si indichi una cosa diversa da quella che in realtà si esprime con questo nome e contro questa cosa diversa [dalla realtà] lancia un’invettiva, non si deve pensare che il suo peccato sia uguale a quello di colui che insulta lo Spirito Santo. Facciamo poi il caso di uno che voglia sapere cosa sia lo Spirito Santo e si imbatta in un ignorantone dal quale si sente dire che lo Spirito Santo è il Figlio di Dio, ad opera del quale sono state fatte tutte le cose, che al tempo fissato nacque dalla Vergine, fu ucciso dai giudei e risuscitò. Se costui, udito il racconto, nega le cose a lui raccontate o anche le irride, non si ha da pensare di lui che sia colpevole di bestemmia contro lo Spirito Santo. Egli pecca contro il Figlio di Dio, o il Figlio dell’uomo, come egli si è degnato di farsi chiamare e di essere realmente. Si deve attendere infatti non a ciò che mediante le parole era descritto a quell’uomo ignaro delle cose ma a ciò che a lui rappresentava la sua propria intelligenza. Poiché egli nel proferire ingiurie le indirizzava sicuramente a colui che aveva in mente dietro la rappresentazione della sua immaginativa. Qualunque fosse il nome di questo oggetto, l’importante è accertare se quel tale voleva negare o ingiuriare l’oggetto sacro in se stesso. Ciò vale anche per uno che voglia indagare sulla natura di Gesù Cristo. Se a chi interroga sull’argomento si risponde dicendo cose che non si adattano al Figlio di Dio ma allo Spirito Santo e lui ciò udendo si mette a bestemmiare, è ovvio che queste ingiurie non debbono considerarsi dette contro il Figlio di Dio ma contro lo Spirito Santo.

15. A considerare di sfuggita e senza un accurato esame le parole: Se uno pronunzierà ingiuria contro lo Spirito Santo, la colpa non gli verrà rimessa né al presente né nel secolo futuro, cosa dovremo dire. Che non potrà esserci alcuno al quale Dio conceda il perdono dei peccati? Ecco, ad esempio, i pagani - così chiamati - che anche ai nostri giorni perseguitano la nostra religione nel suo insieme con ingiurie e maledizioni, essendo loro vietato di farlo come in passato con stragi cruente. Essi vilipendono quanto noi diciamo della Trinità e, bestemmiando, lo negano. Né fanno eccezioni per lo Spirito Santo avendo rispetto e venerazione per lui, mentre infuriano contro le altre Persone. Tutt’altro! Essi d’accordo abbaiano con tutto il furore che suggerisce loro l’empietà contro quanto noi predichiamo con tanta cura della maestà del Dio Trino. Nemmeno di Dio Padre infatti hanno un concetto adeguato ma o lo negano del tutto, come fanno alcuni, o, come fanno altri che di lui si formano un’immagine falsata, non confessano né venerano il vero Dio ma i parti delle loro fantasie. Molto più si comportano empiamente nei riguardi del Figlio di Dio e dello Spirito Santo: quanto noi insegniamo in proposito, godono, secondo il loro solito, nel deriderlo anziché adorarlo uniti a noi in santa comunione. Costoro, per quanto ci è possibile, noi li esortiamo a conoscere il Cristo e, per suo tramite, conoscere Dio Padre; li incoraggiamo a volersi mettere sotto le insegne del sommo e unico vero Imperatore e li invitiamo ad accettare la fede promettendo loro la remissione di tutti i peccati commessi in passato. E riteniamo con sufficiente probabilità, anzi senza alcuna nube di dubbio, che, quando divengono cristiani, sono loro rimesse tutte le ingiurie che nella loro sacrilega superstizione hanno proferito contro lo Spirito Santo. Quanto ai giudei e com’essi siano stati ribelli allo Spirito Santo ne è testimone Stefano, che essi lapidarono per essere pieno di Spirito Santo. L’intero discorso che egli pronunziò contro i giudei e quanto con la massima franchezza disse loro, e cioè: Voi sempre resistete allo Spirito Santo 33, erano parole dette dallo Spirito in persona. Nel numero di questi giudei che resistevano allo Spirito Santo e lapidavano Stefano, vaso spirituale perché colmo dello Spirito, c’era tuttavia anche l’apostolo Paolo. Egli era nelle mani di tutti i lapidatori, dei quali custodiva le vesti; e questo in effetti più tardi, quando si sarà convertito, si rimprovera aspramente, pieno anch’egli di quello Spirito al quale in antecedenza aveva opposto una inutile e insana resistenza. Era pronto a subire la lapidazione per quelle stesse verità di cui in passato aveva lapidato l’annunziatore. Che diremo dei samaritani? Essi sono talmente ostili allo Spirito Santo che fanno di tutto per estinguere il carisma profetico, opera appunto dello Spirito Santo. Che però anch’essi rientrino nel piano salvifico lo attesta personalmente il Signore nell’episodio di quel lebbroso samaritano che, solo dei dieci guariti, tornò a ringraziare 34. Ricordiamo inoltre quella donna con la quale sul mezzogiorno [Gesù] s’intrattenne a parlare e, ancora, gli altri che credettero per la parola di lei 35. Dopo l’ascensione del Signore, con quale gioia dei fratelli - lo ricordano gli Atti degli Apostoli - ricevette la Samaria la parola del Signore! Così anche Simon Mago. L’apostolo Pietro lo rimprovera perché ha dello Spirito Santo un’idea tanto sballata da crederlo oggetto di mercato per volerlo comprare a prezzo di denaro; tuttavia non dice che si debba disperare di lui e che non ci sia per lui alcuna via di perdono. Lo ammonisce anzi con dolcezza a volersi ravvedere 36. Guardiamo in ultimo l’autorità e il prestigio della Chiesa cattolica, che per dono dello Spirito Santo è la madre di tutti i santi e, madre feconda, si diffonde nell’intero universo. A quale eretico o scismatico che si ravveda ha mai sottratto la speranza della salvezza? A chi di loro ha chiuso l’accesso alla misericordia di Dio? Non richiama tutti con lacrime a tornare al suo seno? Quel seno che essi disgustati nella loro superbia avevano abbandonato! Or dunque, c’è forse fra gli eretici, o capi o gregari che siano, qualcuno che non osteggi lo Spirito Santo? Almeno che non si tratti di qualcuno di opinioni tanto distorte da ritenere colpevole colui che contro lo Spirito Santo dice qualche sciocchezza e non colpevole colui che contro lo stesso Spirito Santo compie molte azioni. E poi c’è forse qualcuno che così apertamente impugni lo Spirito Santo, come coloro che si accaniscono con litigi superbi di pessima lega contro la pace della Chiesa? Se però si attende alla formulazione verbale, vien da chiedersi se per caso nel loro linguaggio ci sia o meno qualcosa contro lo Spirito Santo. Alcuni di loro infatti affermano che lo Spirito Santo non è in alcun modo ciò che costituisce la sua proprietà, essendo Dio talmente uno che la stessa persona del Padre si deve chiamare e Figlio e Spirito Santo. Altri professano che lo Spirito Santo esiste ma poi negano che sia uguale al Figlio o che sia in qualche modo Dio. Altri ammettono che la natura divina sia, nella Trinità, una e identica ma poi, riguardo alla natura stessa, hanno delle convinzioni così empie da credere che non sia immutabile o incorruttibile. Riguardo poi allo Spirito Santo, che il Signore promise di mandare ai discepoli, ritengono che esso non venne cinquanta giorni dopo la resurrezione del Signore, come attestano gli Atti degli Apostoli 37, ma dopo trecento anni circa, ad opera d’un personaggio [dell’epoca]. Similmente altri negano la sua epifania, che noi invece affermiamo, e pretendono che sia stato lui a scegliersi nella Frigia i Profeti per bocca dei quali avrebbe parlato in epoca di molto posteriore. Altri infine ce ne sono che esecrano i suoi sacramenti e non dubitano di ribattezzare chi è già stato battezzato nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ma senza scendere nei particolari, che sono innumerevoli, a tutti questi che ho elencati brevemente come consentito dal tempo, se tornano alla Sposa di Cristo e pentiti condannano l’errore e l’empietà, non c’è norma alcuna della disciplina cattolica che insegni a negare loro la pace della Chiesa o a chiudere dinanzi a loro le viscere della misericordia.

16. Qualcuno potrebbe pensare che la bestemmia contro lo Spirito Santo si ha quando a dirla è uno al quale sono già stati rimessi i peccati mediante il battesimo. Badi però costui come nemmeno a queste persone dalla santità della Chiesa si neghi la possibilità di pentirsi. Ma si potrebbe ritenere impossibile conseguire il perdono perché, ricevuta la grazia della fede e i sacramenti dei fedeli, costoro non potrebbero più peccare per ignoranza. Tuttavia una cosa è dire che non gli si può perdonare perché ha peccato fuori del tempo dell’ignoranza e un’altra dire che non gli si può perdonare perché ha proferito ingiuria contro lo Spirito Santo. Se infatti è solo in forza dell’ignoranza che si merita il perdono e questa ignoranza si suppone non esistere se non prima del battesimo, bisognerà concludere che allo stesso modo non può essere guarita dal pentimento né l’ingiuria contro lo Spirito Santo né quella contro il Figlio dell’uomo, se proferita dopo il battesimo. Non solo ma dalla medicina del perdono sarà assolutamente escluso chi si renderà reo di fornicazione o di omicidio o di qualsiasi altra depravazione o scelleratezza. Ora tutti coloro che hanno sostenuto simili teorie sono stati banditi dalla comunione della Chiesa cattolica e con ogni sicurezza si è ritenuto di non poterli considerare, proprio per la loro crudele severità, partecipi della misericordia divina. Se viceversa si ritiene che il peccato contro lo Spirito Santo, come lo si chiama, sia irremissibile soltanto se commesso dopo il battesimo, si noti anzitutto che il Signore nel parlarne non fece restrizioni di tempo, ma disse in forma universale: Chi proferirà ingiuria contro lo Spirito Santo, non gli sarà rimesso né al presente né nel secolo futuro 38. Di Simone Mago ho parlato poco fa. Egli aveva certamente ricevuto il battesimo quando ritenne lo Spirito Santo oggetto del più irriverente dei mercati; eppure a lui, una volta ravveduto, Pietro diede il consiglio di far penitenza. Che dire poi di tutti quelli che, ricevuto da adolescenti o da bambini il sacramento del battesimo, in seguito per trascuratezza nel venire educati cadono nelle tenebre dell’ignoranza e menano una vita del tutto depravata? Succede che essi non ricordino in alcun modo cosa la norma del vivere cristiano comandi e cosa proibisca, cosa prometta e cosa minacci, cosa sia da credere, da sperare, da amare. Nel valutare i peccati di questi tali oseremo considerarli non peccati d’ignoranza perché chi li ha commessi era battezzato? Ma che dire se essi hanno peccato con totale ignoranza e senza assolutamente sapere, come si dice, dove tenessero la testa, tanto grande era il loro errore?

17. Qualcuno potrebbe dire che si pecca scientemente quando si sa che è male ciò che si compie e tuttavia lo si compie ugualmente. Ma perché questo peccato lo si dovrà ritenere commesso contro il solo Spirito Santo e quindi irremissibile? Non è anche un peccato contro il Signore Gesù Cristo? Ancora. Peccare o proferire parole offensive contro lo Spirito Santo potrebbe essere, per ipotesi, ogni peccato in se stesso qualora venga commesso scientemente. Ne seguirebbe che i peccati commessi per ignoranza sarebbero peccati contro il Figlio, mentre i peccati commessi con consapevolezza dovrebbero considerarsi peccati contro lo Spirito Santo. Ma mi domando: chi non sa che è male, ad esempio, violare la castità della moglie altrui (anche perché lo stesso oltraggio nessuno certamente vorrebbe che lo subisse la propria moglie!), o truffare qualcuno in commercio, o turlupinarlo con menzogne, ovvero opprimerlo con falsa testimonianza, o tendere insidie al prossimo per derubarlo, o commettere omicidio e ogni altro delitto che non si vuole venga commesso contro di sé e, quando se ne sente parlare, si accusa subito, senza esitazione e con tutto il cuore colui che l’ha commesso? Se diciamo che tutti questi peccati possono farsi nell’ignoranza, quale ci rimane che si possa ritenere compiuto dall’uomo consapevolmente? Se pertanto il peccato contro lo Spirito Santo è quello che si commette con consapevolezza, non resta che negare la conversione in tutti i peccati che ho elencati, poiché il Signore ha tolto ogni speranza di perdono a chi pecca contro lo Spirito Santo. Questo però è escluso dalla norma della disciplina cristiana che non cessa d’invitare all’emendamento dei costumi tutti i peccatori di tal genere. Resta pertanto da ricercare ancora cosa sia il peccato contro lo Spirito Santo, per il quale non c’è remissione.

18. Che diremo? Che non pecchi scientemente colui che, pur sapendo che il peccato è in sé un male, pecca tuttavia senza conoscere Dio e la sua volontà? È quanto sembrerebbe affermare la Lettera agli Ebrei, là dove dice: Se pecchiamo deliberatamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non c’è più per noi sacrificio per il peccato 39. [Gli] sembrava poco dire: Se pecchiamo deliberatamente, e quindi aggiunge: Dopo aver ricevuto la conoscenza della verità: quella conoscenza certamente che permette di conoscere Dio e la sua volontà; quella conoscenza che, a quanto sembra, corrisponde al detto del Signore: Il servo che non conoscendo la volontà del suo padrone fa cose meritevoli di percosse, sarà castigato leggermente; al contrario il servo che fa cose meritevoli di percosse conoscendo la volontà del suo padrone sarà castigato severamente 40. Al riguardo dobbiamo supporre che l’espressione: Sarà castigato leggermente sia da intendersi nel senso che egli, castigato lievemente, otterrà il perdono. Viceversa è dell’altra: Sarà castigato severamente. Essa si deve intendere del supplizio eterno, che il Signore minaccia a coloro che peccano contro lo Spirito Santo: quel peccato che, a quanto egli dice, non potrà mai essere loro rimesso. Nell’ipotesi, peccare contro lo Spirito Santo sarebbe peccare conoscendo la volontà di Dio. E allora bisognerà prima riflettere ed esplorare quand’è che si conosce la volontà di Dio, anche perché non sono mancati di quelli che l’hanno conosciuta già prima di ricevere il sacramento del battesimo. Ad esempio, il centurione Cornelio, il quale conobbe la volontà di Dio dalle istruzioni dell’apostolo Pietro e ricevette lo Spirito Santo prima di essere battezzato, come comprovavano segni evidentissimi. È vero che egli non si ritenne dispensato dal ricevere il sacramento, ma si fece battezzare allo scopo di ottenere una più grande certezza. Non differì minimamente di ricevere i santi sigilli, di cui aveva già conseguito la realtà profonda, perché fosse completa in lui la conoscenza della verità 41. Viceversa ci sono molti che anche dopo ricevuto il battesimo non si curano di conoscere la volontà di Dio. Pertanto di chi pecca prima del battesimo conoscendo la volontà di Dio non possiamo dire o in qualche modo pensare che non gli siano stati rimessi tutti i peccati quando ricevette il battesimo. Dobbiamo considerare inoltre che la volontà di Dio è, per chi crede, riassunta nell’amore di Dio e del prossimo, tanto che in questi due precetti si compendiano tutta la Legge ed i Profeti 42. Quanto poi all’amore del prossimo, cioè all’amore per gli uomini, lo stesso nostro Signore inculca che deve estendersi fino all’amore dei nemici 43. Orbene con i nostri propri occhi vediamo che, tra quelli stessi che hanno ricevuto il battesimo, molti ci sono che riconoscono la verità di questi insegnamenti, venerati come precetti del Signore, ma nella pratica, quando ricevono offese dai nemici, subito si arrabbiano e bramano vendicarsi; bruciano d’una così violenta fiamma di odio da non placarsi nemmeno se loro si cita o legge il Vangelo. Di gente come questa - e sono persone certo battezzate! - sono piene le chiese. Contro costoro ecco levarsi uomini spiritualmente maturi che non si stancano di ammonirli con carità fraterna e di istruirli con insistenza in spirito di mansuetudine 44. Raccomandano loro di contrastare tali tentazioni e resistere ad esse, preferendo regnare nella pace di Cristo anziché gioire per la disfatta del nemico. Orbene, questa correzione si farebbe senza un perché se per tali peccati non ci fosse alcuna speranza di perdono, alcun rimedio penitenziale. Chi la pensasse in questa maniera ponga attenzione a non affermare che fosse ignaro della volontà di Dio il patriarca Davide, uomo scelto da Dio e da lui approvato ed elogiato, quando, preso d’amore per la moglie altrui, ne ingannò il marito e lo fece uccidere. Di questo delitto egli espresse condanna prima con la sua voce e poi per bocca del profeta, e per questa umiltà nel pentirsi e per l’aperta confessione del peccato ne venne liberato. Ricevette, è vero, molte e gravi punizioni 45, ma col suo esempio ci fece intendere che non debbono riferirsi alla dannazione eterna le parole del Signore: Chi conoscendo la volontà del suo padrone fa cose meritevoli di percosse sarà picchiato severamente 46. Esse in realtà riguardano soltanto una più rigorosa disciplina.

19. Viene da esaminare il testo della Lettera agli Ebrei dove è detto: Non rimane un altro sacrificio per i peccati 47. Chi esamina con accuratezza queste parole non le intenderà riferite al sacrificio del cuore spezzato dalla penitenza ma al sacrificio di cui parla l’Apostolo nello stesso brano. Ora questo sacrificio è l’olocausto della Passione del Signore che ciascuno offre per i suoi peccati quando viene consacrato con la fede nella stessa passione e quando di essa diventa partecipe ricevendo il battesimo nel nome dei fedeli cristiani. Il significato delle parole dell’Apostolo sarebbe pertanto questo: Chi pecca [dopo il battesimo] non può essere purificato con un nuovo battesimo. E se così intendiamo le parole dell’Apostolo non ne viene esclusa la possibilità del ravvedimento; ci si obbliga soltanto a confessare che quanti non sono stati ancora battezzati non hanno ricevuto la conoscenza completa della verità. Dal che si ricava che chiunque ha ricevuto la conoscenza della verità deve aver ricevuto anche il battesimo, non che quanti sono stati battezzati hanno acquistato la conoscenza della verità. È quanto dobbiamo affermare anche in base al successivo progredire di alcuni e alla deplorevole negligenza [di altri]. Nonostante questo però, il sacrificio di cui stavamo parlando, cioè l’olocausto del Signore, che in qualche maniera viene offerto per ciascuno quando nel battesimo riceve il sigillo del nome di Cristo, non può essere di nuovo offerto qualora il battezzato torni a peccare. Coloro infatti che sono già stati battezzati non li si può ribattezzare, anche se dopo il battesimo peccano ignorando la verità. Ora, siccome senza il battesimo non può dirsi di nessuno che abbia ricevuto la conoscenza della verità (se almeno si vuol parlare con esattezza), ne consegue che per tutti coloro che l’hanno ottenuta non ci sia più sacrificio per i peccati, nel senso che essi non possono essere battezzati un’altra volta. Dall’altro canto non tutti coloro che, mancando della formazione, non hanno raggiunto la conoscenza della verità possono pensare che per loro ci sia la possibilità che si offra il sacrificio, qualora esso sia già stato offerto. Ciò vuol dire che se uno, a seguito del battesimo, ha ricevuto i sacramenti della verità, non può essere battezzato di nuovo. È come se dicessimo: Nessun uomo è quadrupede; dal che non segue che ogni animale, che non è uomo, è quadrupede. In realtà, di coloro che sono stati battezzati diciamo che vengono risanati dalla penitenza piuttosto che rinnovati. Il rinnovamento infatti si ha nel battesimo, dove agisce, è vero, il pentimento ma in qualità di fondamento, se si vuol dire così. Ora, se il fondamento rimane lo stesso, l’edificio può essere solo riparato; se invece uno volesse sostituire il fondamento deve prima necessariamente abbattere l’intero edificio. È quanto si dice agli ebrei che sembravano proclivi a passare dal Nuovo Testamento al sacerdozio vetero-testamentario. Per questo, lasciando da parte la parola di Cristo nei contenuti iniziali, volgiamo lo sguardo alla sua fase definitiva. Non gettiamo di nuovo il fondamento della penitenza dalle opere morte e della fede in Dio, della dottrina sul battesimo e dell’imposizione delle mani, o anche della resurrezione dei morti e del giudizio eterno 48. Tutte queste cose vengono consegnate nel battesimo e quindi, dice, non le si deve ripetere quando i fedeli vengono confermati col sacro segno. Quanto invece all’esposizione della parola di Dio e alla catechesi, non solo le si deve ripetere una seconda volta ma assai di frequente, come esigono le diverse situazioni, le quali variano a seconda delle cose trattate.

20. A questo punto potrà sorgere il pensiero di ritenere irremissibile non qualsiasi peccato commesso scientemente, ma solo se scientemente si commette il così detto peccato contro lo Spirito Santo. Al riguardo ci si può quindi domandare se i giudei sapessero o meno che il Signore operava per virtù dello Spirito Santo quando lo incolpavano di cacciare i demoni col potere a lui dato dal principe dei demoni 49. Mi sorprende però il fatto che essi potessero conoscere che era lo Spirito Santo ad agire in lui, se riguardo alla persona stessa del Signore non sapevano che era Figlio di Dio, certo per quella cecità che in parte è sopraggiunta ad Israele, finché entrasse la pienezza delle genti 50. Di questa cecità tratteremo a suo luogo, quando cioè ci si presenterà occasione più adatta, conforme vorrà aiutarci e concederci il Signore. Ora qualcosa sul discernimento degli spiriti, che è la facoltà, data a qualcuno, di discernere se in certe persone agisce lo Spirito Santo o lo spirito della menzogna. Questo discernimento viene dato ai fedeli dallo Spirito Santo in determinati periodi, come afferma lo stesso Apostolo in un altro testo 51. Quanto ai giudei essi erano increduli; e allora come potevano, senza il dono dello Spirito, stabilire se il Signore agiva in virtù dello Spirito Santo? In essi effettivamente, perché fossero trafitti da giusta pena, apparvero chiarissimi i segni della maledizione. Questa fu palese quando accolsero falsi testimoni contro di lui 52 e gli affiancarono persone finte che lo prendessero in trappola nei suoi discorsi 53; quando furono loro riferiti gli straordinari e tremendi prodigi che avvennero nella sua resurrezione ed essi, corrompendo le guardie, tentarono di spargere notizie false e così nascondere la verità 54. Questi e altri indizi, che si ricavano dal racconto evangelico, sono lì a testimoniare il loro animo maligno e invelenito.

21. Ecco dunque la conclusione, che del resto già da tempo cominciava a delinearsi: pecca contro lo Spirito Santo colui che con animo malevolo si contrappone alle opere compiute in virtù dello Spirito Santo. Può accadere che uno non conosca trattarsi dello Spirito Santo; tuttavia se è nella disposizione d’animo di preferire che tali opere, a lui invise, non siano dello Spirito Santo, a buon diritto d’un uomo tale si afferma che pecca contro lo Spirito Santo. Vi pecca non perché le opere siano in se stesse cattive ma perché egli le detesta e con questa sua malizia si pone in contrasto con la somma Bontà. Tali precisamente erano gli uomini ai quali il Signore rimproverava di peccare contro lo Spirito Santo. Ora io dico: poniamo che qualcuno di costoro venga alla fede in Cristo e, domando l’invidia con le torture della contrizione, chieda con lacrime la salvezza, come con probabilità risulta abbiano fatto anche alcuni di loro. Ebbene, mi chiedo, ci sarà persona così crudele nel suo grossolano errore da negare che sia stato opportuno ammettere questi convertiti al battesimo di Cristo o da sostenere che vi siano stati ammessi inutilmente? È infatti vero che, se uno mosso da invidia interpreta in maniera blasfema le opere di Dio, in quanto con la sua malizia oppone resistenza ai beni divini, cioè ai doni di Dio, pecca contro lo Spirito Santo e quindi lo si deve ritenere senza speranza in fatto di perdono. Ma guardiamo un istante se per caso fra gente di tale sorta non debba collocarsi lo stesso apostolo Paolo. Egli dice: Un tempo io sono stato bestemmiatore e incredulo e violento, ma ho ottenuto misericordia perché, incredulo com’ero, agivo nell’ignoranza 55. O che non rientrava nella categoria dei peccati di cui ci occupiamo perché non era invidioso? Ma ascoltiamo quanto dice altrove: Un tempo siamo stati anche noi stolti e increduli, in preda all’errore e asserviti a molteplici passioni e desideri. Conducevamo una vita immersa nella malvagità e nell’invidia: eravamo degni di odio e ci odiavamo a vicenda 56.

22. Ne consegue che ai pagani, agli ebrei, agli eretici o scismatici non battezzati non si impedisce di accedere al battesimo di Cristo se, condannando la vita di prima, si convertono ad una vita migliore, e questo anche se prima di ricevere il lavacro dei sacramenti cristiani, ribelli alla religione di Cristo e alla Chiesa di Dio, abbiano resistito allo Spirito Santo col massimo accanimento possibile e immaginabile. Quanto a coloro che sono stati iniziati alla conoscenza della verità fino a ricevere i sacramenti e dopo ciò sono caduti trascurando così lo Spirito Santo, se rinsaviscono e bramano di ottenere con la penitenza la pace di Dio, nemmeno a loro si negano i soccorsi della misericordia. Infine, una parola su quegli stessi ai quali il Signore rimproverò di aver bestemmiato contro lo Spirito Santo. Se qualcuno di loro, rinsavito, cercò rifugio nella grazia di Dio fu senz’altro risanato. Pertanto, cosa resta da identificare col peccato contro lo Spirito Santo che, a quanto dice il Signore, non viene rimesso né al presente né nella vita futura? Non vi si potrà intendere altro se non la pervicacia nel male e nella perversione unita al disperare della misericordia di Dio. Questa è la resistenza che si oppone alla grazia e alla pace del Signore, a quei beni cioè da cui prese l’avvio tutto il presente discorso. Al riguardo c’è poi da notare che la possibilità dell’emendazione e della penitenza non venne sottratta nemmeno a quei giudei che il Signore rimproverava di bestemmiare contro lo Spirito Santo. Lo comprovano le parole che egli usa nell’atto stesso di rimproverarli: Supponete un albero buono e sarà buono anche il suo frutto, ovvero supponete un albero cattivo e sarà cattivo anche il suo frutto 57. Queste parole sarebbero loro rivolte senza un perché se, a causa della loro bestemmia, non avessero potuto cambiare in meglio la propria volontà e se non avessero potuto produrre frutti di opere buone o anche se li avessero, sì, prodotti ma inutilmente, non potendo conseguire la remissione del peccato commesso.

23. Il Signore, quando nello Spirito di Dio cacciava i demoni e guariva le malattie e le infermità corporali dell’uomo, non intendeva ottenere altro risultato se non che si credesse alle sue parole: Fate penitenza poiché è vicino il Regno di Dio 58. In effetti, i peccati vengono rimessi nella sfera dell’invisibile e con i miracoli viene comprovata la fede nella loro remissione. Ciò appare in modo quanto mai evidente nell’episodio del paralitico. Il Signore gli offerse sul principio il dono invisibile per il quale egli era venuto: il Figlio dell’uomo infatti non era venuto per giudicare il mondo ma per salvarlo 59. Avendo dunque detto: Ti sono rimessi i peccati 60, siccome i giudei indignati s’erano messi a brontolare perché egli si arrogava un tale potere, replicò: Cos’è più facile? Dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? Affinché dunque sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati, disse al paralitico: Dico a te: Alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua! 61 Con tale gesto e con le parole che disse espose con sufficiente chiarezza che, se compiva i miracoli sul corpo, li compiva perché si credesse che egli liberava le anime rimettendo i peccati; perché cioè dal potere visibile restasse consolidata la fede nel potere invisibile. Egli quindi operava tutti i miracoli con la virtù dello Spirito di Dio volendo apportare agli uomini la grazia e la pace: la grazia che opera nella remissione dei peccati, la pace che si ha nella riconciliazione con Dio 62, dal quale separano soltanto i peccati. Orbene, siccome i giudei dicevano che egli scacciava i demoni per opera di Beelzebub, egli volle usar loro un tratto di misericordia ammonendoli a non dire parole o bestemmie contro lo Spirito Santo 63, cioè a non resistere alla grazia e alla pace di Dio che il Signore era venuto a donare mediante l’opera dello Spirito Santo. Non che essi fossero già caduti nel peccato che non sarebbe stato loro rimesso né in questo mondo né nell’altro. Il Signore li esortava a non commetterlo disperando d’ottenere il perdono o presumendo in certo qual modo della loro giustizia, e quindi non facendo penitenza, o anche perseverando nei loro peccati. Cadendo in questa forma di peccato essi avrebbero detto parole offensive, o bestemmie, contro lo Spirito Santo, in virtù del quale il Signore operava segni prodigiosi allo scopo di effondere la grazia e la pace: supponendo naturalmente che essi avessero persistito nell’opporsi alla grazia e alla pace. Quanto poi alla parola che viene pronunciata, non sembra che il termine usato nel Vangelo si debba intendere solo della parola che si esprime con la lingua ma anche della parola che, concepita nel cuore, esprimiamo con atti esterni. È quanto si dice del confessare Dio: che cioè non lo confessano coloro che ne parlano con la bocca senza compiere le opere buone. Di costoro è scritto: Confessano di conoscere Dio ma poi nei fatti lo rinnegano 64. Ne deriva logicamente che, come si può affermare una cosa tramite le opere, così tramite le stesse opere la si può negare. Vale al riguardo quanto asserisce l’Apostolo: Nessuno può dire Gesù [è] il Signore se non per lo Spirito Santo65. Questo dire non può ben spiegarsi se non intendendo come un " dire " attraverso i fatti. Non si può infatti ritenere che parlino mossi dallo Spirito Santo coloro ai quali dice il Signore: Perché mi dite: Signore, Signore, e non fate ciò che io vi dico? 66 E l’altro: Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli 67. Lo stesso è della parola che si dice contro lo Spirito Santo e che il Signore ci insegna a considerare irremissibile. È la parola che si dice disperando della grazia e dalla pace donata dallo Spirito e la dice colui che si determina a perseverare nei suoi peccati: dove il dire sottintende " con i fatti ". Come quei tali che negano il Signore lo negano con i fatti, così è di costoro: con le opere dicono di voler perseverare nella vita disordinata e nella condotta viziosa, e di fatto si regolano proprio in questo modo, cioè perseverano nel male. Se così si comportavano i giudei, chi si meraviglierà del nostro Signore Gesù Cristo? O chi non vorrà comprendere che egli con la sua minaccia intendeva chiamarli a penitenza? Una volta che avessero creduto in lui, egli avrebbe loro donato la grazia e la pace; se invece essi avessero resistito alla grazia e alla pace, avrebbero proferito parole blasfeme contro lo Spirito Santo. Avrebbero cioè perseverato nei peccati con la disperazione della loro volontà empiamente ostinata. Privi dell’umiltà della confessione e del ravvedimento, sarebbero insorti superbamente contro Dio, e quindi nessun perdono si sarebbe potuto concedere ad essi, sia nel tempo presente che nella vita futura. Orbene, se le cose stanno veramente così, con l’aiuto del Signore abbiamo risolto una questione grave e difficilissima, occorsa a noi nel trattare della grazia e della pace che ci derivano da Dio Padre e dal Signore nostro Gesù Cristo. Chi poi desiderasse, in un tema così importante, una riflessione e un esame più approfonditi riconosca che il suo desiderio dev’essere soddisfatto nella trattazione del Vangelo e nell’esame delle parole degli evangelisti; e ricordi che nostro compito attuale è, viceversa, esporre la Lettera dell’apostolo Paolo ai Romani. Esamineremo il seguito del testo in altri volumi, se sarà volontà del Signore; al presente, con quanto detto ci si consenta di porre fine all’opera.


 

1 - Cf. 2 Cor 5, 20.

2 - Cf. Ef 2, 20.

3 - VIRG., Eclog. 4, 4.

4 - Cf. At 17, 28.

5 - Cf. Mt 22, 42-45.

6 - Cf. Gv 1, 1.

7 - Cf. Gv 1, 14.

8 - Col 3, 1.

9 - 2 Cor 13, 4.

10 - Sal 109, 1.

11 - Cf. Col 1, 18.

12 - Cf. 1 Gv 4, 19.

13 - Cf. Gv 14, 27.

14 - Is 59, 1-2.

15 - Eb 12, 6.

16 - 1 Pt 4, 15-18.

17 - 2 Ts 1, 4-5.

18 - Prv (sec. LXX), 11, 31.

19 - Cf. 2 Sam 12.

20 - 1 Pt 4, 6.

21 - Gv 16, 33.

22 - 1 Tm 1, 2.

23 - 1 Pt 1, 2-3.

24 - 2 Pt 1, 2.

25 - 1 Gv 1, 3.

26 - 2 Gv 1, 3.

27 - 3 Gv 1, 1.

28 - Iuda 1, 1-2.

29 - Gc 1, 1.

30 - Mt 15, 26.

31 - Mt 15, 27.

32 - Mt 12, 32.

33 - At 7, 51.

34 - Cf. Lc 17, 15-16.

35 - Cf. Gv 4, 7. 42.

36 - Cf. At 8, 9-22.

37 - Cf. At 2, 1-4.

38 - Mt 12, 32.

39 - Eb 10, 26.

40 - Lc 12, 47-48.

41 - Cf. At 10.

42 - Cf. Mt 22, 37-40.

43 - Cf. Mt 5, 44.

44 - Cf. Gal 6, 1.

45 - Cf. 2 Sam 11-12.

46 - Lc 12, 48.

47 - Eb 10, 26.

48 - Eb 6, 1-2.

49 - Cf. Mt 9, 34.

50 - Rm 11, 25.

51 - Cf. 1 Cor 12, 10.

52 - Cf. Mt 26, 59-60.

53 - Cf. Mt 22, 15-17.

54 - Cf. Mt 28, 11-13.

55 - 1 Tm 1, 13.

56 - Tt 3, 3.

57 - Mt 12, 33.

58 - Mt 3, 2.

59 - Cf. Gv 3, 17.

60 - Mc 2, 9.

61 - Mc 2, 10-11.

62 - Cf. Retract. 1, 24, 2.

63 - Cf. Mt 12, 22-33.

64 - Tt 1, 16.

65 - 1 Cor 12, 3.

66 - Lc 6, 46.

67 - Mt 7, 21.