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Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Manuale sulla Fede, Speranza e Carità

Sant'Agostino d'Ippona

Manuale sulla Fede, Speranza e Carità
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Compiacimento per la cultura di Lorenzo, con l’auspicio che consegua la sapienza conforme alle sacre Scritture.

1. 1. È impossibile esprimere, o amatissimo figlio Lorenzo, tutto il mio compiacimento per la tua cultura e quanto desideri che tu sia sapiente, senza annoverarti, però, fra coloro di cui si dice: Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha reso forse Dio stolta la sapienza di questo mondo? 1 Ti annovero, al contrario, fra coloro di cui è stato scritto: La moltitudine dei sapienti è la salvezza dell’universo 2, come l’Apostolo vuole che siano coloro ai quali dice: Voglio piuttosto che siate davvero sapienti nel bene e puri nel male 3.

La pietà, come culto di Dio, è la sapienza dell’uomo.

1. 2. Ebbene, la pietà è la sapienza dell’uomo. Lo trovi anche nel libro del santo Giobbe, dove si legge quel che la Sapienza stessa ha detto all’uomo: Ecco, la pietà è sapienza 4. Se poi ti domandassi di quale pietà là si parli, lo troveresti piú precisamente nel greco , vale a dire " culto di Dio ". In greco infatti " pietà " si dice anche in altro modo, cioè , termine che significa " culto buono ", anche se riferito principalmente alla venerazione divina. Nessuna parola è però piú adatta di quella che esprime in modo esplicito il culto di Dio, quando si tratta di dire in che cosa consista la sapienza umana. Mi domandi allora di dire qualcosa piú in breve, quando mi chiedi discorsi brevi su argomenti importanti? O forse desideri che ti sia illustrato brevemente proprio questo, riassumendo in un discorso breve quale culto si debba rendere a Dio?

Il culto che si deve rendere a Dio.

1. 3. Ora, se ti risponderò che Dio si deve venerare con fede, speranza e carità, dirai sicuramente che questa risposta è piú breve di quanto tu volessi e perciò mi chiederai di spiegarti brevemente che cosa è proprio di ciascuna di queste tre virtú, cioè che cosa si deve credere, cosa si deve sperare e cosa si deve amare. Quando avrò fatto questo, allora avrò toccato tutte le questioni che hai posto nella tua lettera: se ne hai a disposizione un esemplare, ti sarà facile ritrovarle e rileggerle; in caso contrario, le ricorderai quando io le richiamerò.

Le richieste di Lorenzo.

1. 4. Stando a quel che scrivi, infatti, tu vuoi che io componga un libro, per cosí dire una sorta di manuale, che tu possa avere sempre a portata di mano e che tenga conto delle tue richieste, vale a dire: che cosa si deve assolutamente seguire e soprattutto evitare, a causa delle diverse eresie; in quale misura la ragione possa intervenire a favore della religione o che cosa alla ragione sfugga, quando la fede è sola; che cosa si debba mettere al primo posto e che cosa all’ultimo; quale sia la sintesi completamente definita, quale il fondamento certo ed esclusivo della fede cattolica. Ebbene, tu potrai conoscere senza alcun dubbio tutte le cose che richiedi, se conoscerai attentamente che cosa si deve credere, sperare e amare. Queste infatti si debbono assolutamente seguire, anzi sono le uniche cose che si debbono seguire nella religione: chi vi si oppone o è completamente estraneo al nome di Cristo, oppure è eretico. Esse, intraviste dai sensi del corpo o scoperte dall’intelligenza spirituale, debbono essere sostenute dalla ragione. Quanto poi alle verità, delle quali non abbiamo avuto esperienza sensibile e non siamo riusciti e non riusciamo a conseguire con la mente, bisogna credere senza alcuna esitazione a quei testimoni che hanno redatto quella Scrittura che giustamente ha ormai meritato di chiamarsi divina: costoro, per mezzo del corpo o dell’anima, hanno potuto vederle o addirittura prevederle, grazie all’aiuto divino.

La fede e la visione: Cristo fondamento autentico della fede cattolica e solo nominale degli eretici.

1. 5. Quando poi la mente è ormai pervasa dalla radice della fede, che opera per mezzo della carità 5, attraverso una vita buona tende a giungere anche a quell’immagine, che manifesta ai cuori santi e perfetti la bellezza ineffabile, la cui visione piena costituisce la suprema felicità. È certamente questo quel che domandi, chiedendo che cosa si debba mettere al primo posto e che cosa all’ultimo: l’inizio appartiene alla fede, il compimento è nella visione. E questa è anche la sintesi completamente definita. È Cristo, poi, il fondamento certo ed esclusivo della fede cattolica: Infatti nessuno può porre un fondamento diverso – dice l’Apostolo – da quello che già vi si trova, che è Gesú Cristo 6. Il pensare di avere Cristo in comune con alcuni eretici non è una ragione sufficiente per negarlo come fondamento esclusivo della fede cattolica. Se infatti riflettiamo attentamente a tutto ciò che si riferisce a Cristo, allora scopriamo il suo nome accanto a tutti quegli eretici che vogliono essere chiamati cristiani, ma a parole e non realmente. Spiegarlo sarebbe troppo lungo; bisognerebbe passare in rassegna tutte le eresie: quelle passate, quelle presenti e quelle che sono state possibili sotto il nome cristiano, mostrando quindi per ciascuna di esse quanto ciò sia vero. È una discussione, questa, che richiede tanti volumi, da risultare praticamente interminabile.

La richiesta di un manuale e la difficoltà di parlare a favore della fede, speranza e carità.

1. 6. Tu invece ci richiedi un manuale, che si possa tenere in mano e non che possa appesantire uno scaffale. Tornando dunque a quelle tre virtú che sono la fede, la speranza e la carità, le quali ci consentono, come abbiamo detto, di venerare Dio, sarebbe piuttosto facile dire che cosa si deve credere, che cosa sperare, che cosa amare. Ma la loro difesa contro gli attacchi di quanti la pensano diversamente richiede un insegnamento piú impegnativo e piú complesso: perché ciò sia possibile, non è la mano che deve afferrare un piccolo manuale, ma il cuore che dev’essere infiammato da un grande impegno nello studio.

Fede, speranza e carità racchiuse nel Simbolo e nel Padre nostro.

2. 7. Prendi, per esempio, il Simbolo della fede e la preghiera del Signore: che c’è di piú breve da ascoltare o da leggere? Che cosa di piú facile da ricordare? Poiché infatti, come conseguenza del peccato, il genere umano era oppresso da una grave infelicità ed aveva bisogno della divina misericordia, il Profeta, preannunziando il tempo della grazia di Dio, esclama: Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato 7. Di qui la necessità della preghiera. Ma l’Apostolo, dopo aver ricordato questa testimonianza profetica per far apprezzare la stessa grazia, ha subito aggiunto: Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in Lui? 8 Di qui il Simbolo della fede. Cerca quindi di scorgere, in queste due testimonianze, quelle tre virtú: la fede crede, la speranza e la carità pregano; queste però non possono sussistere senza la fede, perciò anche la fede prega. È questo il motivo per cui è stato detto: Come potranno invocarlo senza aver prima creduto in Lui?

Fede, speranza e carità si implicano reciprocamente, pur essendo diverse.

2. 8. Ma che cosa si può sperare senza credervi? D’altra parte si può credere qualcosa che però non si spera: quale cristiano infatti non crede alle pene degli empi, senza tuttavia sperarvi? E per chiunque creda che esse siano imminenti e provi una reazione istintiva di spavento, è piú corretto parlare di timore che di speranza. Qualcuno ha distinto questi due aspetti dicendo: A chi è nel timore, sia consentita la speranza 9. Un altro poeta invece, anche se piú grande, ha detto in modo non appropriato: Ho mai potuto sperare in un dolore cosí grande? 10 Perfino alcuni grammatici si servono di questa citazione come esempio di espressione impropria, dicendo: "Ha usato sperare al posto di temere". C’è insomma una fede nelle cose cattive e in quelle buone, poiché si crede al bene come al male, e con una fede buona, non cattiva. Ancora: la fede riguarda il passato, il presente e il futuro. Noi infatti crediamo che Cristo è morto, e ciò è ormai passato; crediamo che siede alla destra del Padre, ed è presente; crediamo che verrà a giudicare, ed è futuro. Allo stesso modo la fede riguarda noi stessi come gli altri; ciascuno di noi infatti crede di aver cominciato ad esistere ad un certo momento e di non essere certo esistito eternamente, e cosí per tutti gli altri uomini e gli altri oggetti. E crediamo molte cose che appartengono alla sfera religiosa non soltanto intorno ad altri uomini, ma anche intorno agli angeli. La speranza, invece, si ripone unicamente nelle cose buone, solo in quelle future, e riguardanti colui di cui risulta che in esse nutre speranza. Stando le cose in questi termini, per tali motivi si dovrà distinguere la fede dalla speranza in base ad una differenza razionalmente giustificabile, oltre che terminologica. Ciò che attiene al non vedere, siano esse cose nelle quali si crede o si spera, è comune alla fede e alla speranza. Nella Lettera agli Ebrei, la cui testimonianza è utilizzata da insigni sostenitori del principio e della fede cattolica, la fede è definita come prova delle cose che non si vedono 11. Peraltro se qualcuno dice di aver creduto, cioè di aver prestato fede, non alle parole, né ai testimoni e nemmeno a qualsiasi argomentazione, ma all’evidenza di cose presenti, la sua non appare un’assurdità, al punto da poter riprendere giustamente il suo modo di parlare, dicendogli: Tu hai visto, dunque non hai creduto; non se ne deve concludere perciò, possiamo supporre, che tutto ciò che si crede non si possa vedere. Tuttavia è meglio chiamare fede quella che ci è stata insegnata dalle parole divine, vale a dire il credere nelle cose che non si vedono. Anche sulla speranza l’Apostolo ha detto: Ciò che si spera, se visto, non è piú speranza: infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Se invece speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con pazienza 12. Perciò credere nei beni futuri non è altro che sperarvi. Che dire a questo punto dell’amore, senza il quale la fede è inutile? La speranza, poi, non può sussistere senza amore. Inoltre, come dice l’apostolo Giacomo, anche i demoni credono e tremano 13: tuttavia non sperano né amano; piuttosto, credendo in ciò che noi speriamo e amiamo, temono che possa realizzarsi. Per questo anche l’apostolo Paolo approva e raccomanda la fede che opera per mezzo della carità 14, che non può certamente sussistere senza speranza. Quindi l’amore non sussiste senza la speranza, né la speranza senza l’amore, né amore e speranza sussistono senza fede.

La fede cristiana non riguarda il mondo naturale, ma la bontà del Creatore.

3. 9. Quando dunque si domanda quale sia l’oggetto della fede religiosa, non si deve avviare un genere di ricerca naturale alla maniera di quelli che i Greci chiamano fisici e non ci si deve preoccupare di un’eventuale ignoranza del cristiano intorno alla proprietà e al numero degli elementi, intorno al movimento, all’ordine e all’eclissi degli astri, alla forma del cielo, ai generi e alla natura degli animali, dei vegetali, dei minerali, delle sorgenti, dei fiumi, dei monti, alle dimensioni spaziali e temporali, ai segni di tempeste imminenti, e alle mille cose simili che quelli hanno scoperto o credono d’aver scoperto. Infatti nemmeno quelli hanno trovato tutto, malgrado la loro non comune genialità, la ricerca appassionata e la disponibilità di tempo libero, rintracciando alcune cose in base ad ipotesi puramente umane ed indagandone altre in base all’esperienza storica; anche nei casi in cui si vantano d’aver fatto scoperte, si tratta il piú delle volte di opinioni, piú che di vero sapere. Al cristiano basta credere che la causa di tutte le realtà create, celesti e terrestri, visibili e invisibili è unicamente la bontà del Creatore, unico e vero Dio; che non c’è nessuna natura al di fuori di Lui o che non dipenda da Lui; che Egli è la Trinità, cioè Padre e Figlio generato dal Padre e Spirito Santo che procede dal medesimo Padre, in realtà l’unico e medesimo Spirito del Padre e del Figlio.

La somma Trinità ha creato solo cose buone.

3. 10. Da questa Trinità sommamente, ugualmente e immutabilmente buona sono state create tutte le cose, che non sono sommamente, ugualmente e immutabilmente buone, anche se lo sono tuttavia individualmente; globalmente considerate comunque sono assai buone 15, in quanto costituiscono tutte la mirabile bellezza dell’universo.

L’ordine del male e la sua nozione.

3. 11. In essa anche quel che viene chiamato male, che è ben ordinato e collocato al suo posto, fa apprezzare in modo ancora piú eccelso le cose buone, perché dal confronto con le cattive piacciano maggiormente e meritino maggiore ammirazione. Del resto Dio, nella sua onnipotenza, Egli che ha il sommo potere sulle cose 16, come riconoscono anche i non credenti, essendo sommamente buono, non lascerebbe assolutamente sussistere alcunché di male nelle sue opere, se non fosse onnipotente e buono fino al punto da ricavare il bene persino dal male. Allora cos’altro è quello che viene chiamato male, se non privazione di bene ? Per i corpi viventi, infatti, essere ammalati o feriti non è altro che perdere la salute. Del resto, quando si presta una cura, non ci si adopera perché quei mali esistenti, vale a dire malattie e ferite, si ritirino da una parte per sussistere da un’altra, ma perché scompaiano del tutto. E in effetti una ferita o una malattia sono in sé non certo una sostanza, ma il difetto di una sostanza carnale, mentre la carne è una sostanza in sé e senza dubbio un bene determinato, cui capitano quei mali, vale a dire privazioni di quel bene che è chiamato salute. Cosí, allo stesso modo tutti i difetti delle anime sono privazioni di beni naturali: risanarli non significa trasferirli altrove, poiché quelli che vi si trovavano non vi si troveranno piú, dal momento che non si troveranno piú in quel bene della salute.

Genesi e forme di corruzione in ogni natura creata buona dal sommo bene.

4. 12. Insomma tutte le nature, poiché effettivamente colui che le ha costituite tutte quante è sommamente buono, sono buone. Ma dal momento che non lo sono nel modo sommo e immutabile proprio di colui che le ha costituite, il bene in esse può diminuire e aumentare. Tuttavia la diminuzione di bene è un male, anche se, quale che sia il grado di diminuzione, è necessario che resti qualcosa (se una natura ancora sussiste), a partire dal quale quella natura sussista. Infatti, quale che sia una natura e per quel poco che essa sia, non può consumarsi il bene che la fa sussistere, a meno che non si consumi essa stessa. Certo, si deve giustamente magnificare una natura incorrotta: d’altra parte non c’è dubbio che la si deve di gran lunga magnificare di piú se essa è anche incorruttibile, essendo nell’assoluta impossibilità di corrompersi. In quanto si corrompe, è male la sua corruzione, poiché la priva di un qualche bene. È innocua infatti se non la priva di nessun bene; di fatto però è nociva: dunque essa toglie il bene. Pertanto, finché una natura è soggetta a corruzione, le appartiene un bene di cui potrebbe essere privata; perciò, se resta un residuo di natura che non può piú corrompersi, sarà certamente una natura incorruttibile, giunta ad un bene tanto grande attraverso la corruzione. Se però il processo di corruzione sarà incessante, sarà certamente incessante il possesso di quel bene, di cui la corruzione possa privarla. Una volta consumata radicalmente e completamente, allora non sussisterà piú alcun bene, poiché non sussisterà piú alcuna natura. Di conseguenza la corruzione può consumare il bene unicamente consumando la natura. Dunque ogni natura è un bene: un grande bene se incorruttibile, piccolo se corruttibile; non si può però negare che sia un bene, se non in modo insensato e sprovveduto. Se infatti è consumato dalla corruzione, neppure la corruzione stessa avrà un futuro, venendo meno ogni sostanza cui essa possa appartenere.

Non c’è alcun male senza bene, come ci avverte anche la Scrittura.

4. 13. Perciò se non c’è alcun bene, non c’è neppure nulla di quel che viene chiamato male. Ma il bene che è privo di ogni male è un bene pieno; se invece ad esso appartiene un male, si tratta di un bene che ha o può avere un difetto. E non può esserci alcun male se non c’è alcun bene. Si giunge cosí ad una conseguenza sorprendente: poiché ogni natura, in quanto tale, è un bene, affermare che una natura difettosa è una natura cattiva sembra equivalga all’affermazione che è male ciò che è bene, e solo ciò che è bene; poiché ogni natura è bene, non ci sarebbero cose cattive, se la cosa stessa che è cattiva non fosse una natura. Dunque il male non può essere altro che un qualche bene: conclusione verosimilmente assurda, ma che tuttavia siamo quasi costretti a trarre da questa concatenazione logica. Eppure guardiamoci bene dall’incappare nel giudizio del Profeta: Guai a coloro che chiamano male il bene e bene il male, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro 17. D’altra parte il Signore dice: L’uomo cattivo dal tesoro cattivo del suo cuore trae cose cattive 18. Ma che cos’è un uomo cattivo se non una cattiva natura, dal momento che l’uomo è una natura? Se quindi l’uomo è un qualche bene in quanto è una natura, che cos’è un uomo cattivo se non un male che è un bene? Se d’altra parte riusciamo a distinguere i due aspetti, possiamo constatare che non si tratta di un male in quanto uomo, e non si tratta di un bene in quanto egli è iniquo; al contrario è un bene in quanto è un uomo, è cattivo in quanto iniquo. Chi dunque dice: " È male essere un uomo ", o: " È bene essere iniquo ", costui incappa nel giudizio del Profeta: Guai a coloro che chiamano male il bene e bene il male. Egli infatti accusa un’opera di Dio, qual è l’uomo, e magnifica un difetto dell’uomo, qual è l’iniquità. Pertanto ogni natura, anche se difettosa, in quanto natura è buona, in quanto difettosa è cattiva.

I limiti della logica dinanzi alla corruzione e alla genesi del male dal bene.

4. 14. Perciò in questi contrari chiamati bene e male non si applica quella regola dei dialettici, in base alla quale si dice che a nessuna cosa appartengono contemporaneamente due contrari. L’aria non è mai contemporaneamente oscura e luminosa; nessun cibo o bevanda è contemporaneamente dolce e amaro; nessun corpo dove è bianco è contemporaneamente anche nero, dove è deforme anche ben formato. E cosí l’impossibilità di una presenza simultanea in una medesima cosa si scopre in molti contrari, praticamente in tutti. Eppure, anche se nessuno mette in dubbio che bene e male siano contrari, non soltanto essi possono coesistere, ma è assolutamente impossibile che il male sussista senza bene e all’infuori di esso, pur essendo possibile che il bene sussista senza male. Un uomo o un angelo, infatti, possono non essere ingiusti, mentre è impossibile essere ingiusto se non si è uomo o angelo; il bene sussiste in quanto si tratta di uomo o di angelo, il male in quanto ingiusto. I due contrari convivono a tal punto che se non ci fosse un bene a cui appartenere, evidentemente non avrebbe potuto esserci nemmeno il male, poiché, se non ci fosse qualcosa di corruttibile, la corruzione non solo non avrebbe un posto dove stabilirsi, ma nemmeno da dove scaturire; e se questo non fosse un bene, non potrebbe corrompersi, poiché la corruzione non è altro che distruzione di bene. È dal bene, dunque, che è scaturito il male, il quale non sussiste all’infuori di esso, né poteva esserci un’altra natura del male con un’origine diversa. Se infatti ci fosse una tale natura, in quanto natura sarebbe senz’altro buona; o quindi, in quanto natura incorruttibile, sarebbe un grande bene, oppure, anche in quanto natura corruttibile, non sarebbe assolutamente altro che un qualche bene, e il danno della corruzione consisterebbe proprio nel poterlo corrompere.

Dire che il male viene dal bene non contraddice l’insegnamento del Signore.

4. 15. Quando diciamo però che i mali sono scaturiti dai beni, non si pensi che ciò si scontri con l’affermazione del Signore: L’albero buono non può produrre frutti cattivi 19. Infatti non si può raccogliere uva dalle spine 20, dice la Verità, poiché l’uva non può nascere dalle spine, mentre noi vediamo che da una buona terra possono nascere sia viti che spine. E in quel modo, come un albero cattivo, una volontà cattiva non può produrre frutti buoni, vale a dire opere buone, anche se dalla natura buona dell’uomo possono scaturire una volontà buona e una cattiva. D’altra parte una volontà cattiva non poté scaturire originariamente che dalla natura buona dell’angelo e dell’uomo. Il Signore lo ha manifestato nel modo piú esplicito, in quel medesimo punto in cui parla dell’albero e dei frutti, dicendo: O rendete l’albero buono e buono il suo frutto, o rendete l’albero cattivo e cattivo il suo frutto 21, lasciando intendere che non possono nascere frutti cattivi da un albero buono o viceversa, anche se dalla stessa terra, cui egli si riferiva, possono nascere tutti e due gli alberi.

La scienza delle cause naturali non fa conseguire la felicità.

5. 16. Stando cosí le cose e visto che apprezziamo il verso di Virgilio: Felice chi poté conoscere le cause delle cose 22, non immaginiamo che il conseguimento della felicità dipenda dalla conoscenza delle cause dei grandi movimenti fisici nel mondo, celati nei piú riposti recessi della natura, là dove nasce il terremoto, la cui violenza solleva alti marosi, che, una volta rotti gli argini, tornano a ricomporsi in se stessi 23, ed altre cose del genere. Dobbiamo piuttosto conoscere le cause delle cose buone e di quelle cattive, e questo nei limiti in cui all’uomo è concesso conoscerle in questa vita, tutta piena di errori e di affanni 24, proprio per sfuggire ai medesimi errori ed affanni. Dobbiamo certamente tendere a quella felicità, in cui non siamo sconvolti da alcun affanno né ingannati da alcun errore. Se infatti dovessimo conoscere le cause dei movimenti fisici, la conoscenza delle cause della nostra salute dovrebbe essere anteposta a tutte le altre; ma se in realtà interpelliamo i medici per il fatto che le ignoriamo, evidentemente ci dobbiamo rassegnare ad ignorare tutti i segreti celesti e terrestri che ci sfuggono.

Come guardarsi dall’errore.

5. 17. Infatti, per quanta attenzione possiamo porre nell’evitare l’errore non solo nelle cose maggiori, ma anche nelle minori, e per quanto l’errore sia possibile proprio per ignoranza delle cose, non ne segue immediatamente però che sbagli chi ignora qualcosa, bensí chi crede di sapere quel che non sa: costui infatti accetta il falso come se fosse vero, che è il proprio dell’errore 25. Nondimeno la materia dell’errore conta moltissimo; infatti è secondo un giusto principio che in un’unica e identica cosa si preferisca chi sa a chi non sa e chi non erra a chi erra. Prendiamo invece cose diverse, come quando uno conosce una cosa e un altro ne conosce un’altra, il primo conosce una cosa piú utile e il secondo una cosa meno utile, o addirittura dannosa: rispetto alle cose conosciute da quest’ultimo chi non preferirebbe uno che le ignori? Ci sono cose, infatti, che è meglio ignorare che conoscere. Ugualmente ad alcuni tornò utile errare, ma nella via da percorrere a piedi, non in quella dei propri costumi. A noi stessi infatti capitò di sbagliare dinanzi ad un bivio e di non prendere la strada dove s’erano appostati a mano armata i Donatisti, attendendo il nostro passaggio; ci accadde quindi di raggiungere la meta dopo una lunga deviazione e, venuti a conoscenza del loro agguato, ci rallegrammo dell’errore, ringraziandone Dio. Chi potrebbe esitare ad anteporre un viandante che commette quest’errore ad un bandito che non lo commette? Per questo, forse, quel grande poeta fa dire ad un amante infelice: Vidi, mi sentii perduto e un cattivo errore mi travolse 26, poiché c’è anche un errore buono, che non solo è innocuo, ma può addirittura essere di qualche utilità. Tuttavia, ad una considerazione piú attenta della verità risulta che errare non è altro che ritenere vero quello che è falso e falso quello che è vero, oppure prendere il certo per l’incerto e l’incerto per il certo, sia esso falso o vero, e questo è in un’anima indecoroso e sconveniente, nella misura in cui avvertiamo che è bello e degno il Sí, sí; no, no 27, con cui si parla o si approva. Di conseguenza l’infelicità di questa nostra vita che stiamo vivendo dipende proprio dal fatto che qualche volta l’errore è necessario per non perderla. Non sia cosí però quella vita, in cui la verità in persona è vita della nostra anima 28, una vita nella quale nessuno inganna e nessuno è ingannato. Qui invece gli uomini ingannano e sono ingannati, e sono piú infelici quando ingannano con la menzogna di quando sono ingannati, credendo ai mentitori. Una natura dotata di ragione rifiuta tuttavia la falsità ed evita, per quanto possibile, l’errore, al punto che nemmeno quanti amano ingannare vogliono essere ingannati. Colui che mente, infatti, non pensa di essere nell’errore, ma di spingere nell’errore l’altro che gli crede. E l’errore non riguarda certamente quella cosa che egli ha avvolto nella menzogna, se egli sa quale sia la verità; s’inganna tuttavia proprio in quanto suppone che la menzogna non gli nuoccia, mentre ogni peccato nuoce piú a chi lo commette che a chi lo subisce.

Un problema molto difficile: il giusto in qualche caso ha il dovere di mentire?

6. 18. Sorge qui una questione delle piú difficili e oscure, che abbiamo già affrontato in un grande libro, incalzati dalla necessità di trovare una risposta : i doveri dell’uomo giusto contemplano in qualche caso la possibilità di mentire? Alcuni si spingono fino a sostenere che talvolta è azione buona e pia lo spergiurare e il mentire, anche nei casi che riguardano il culto divino e la stessa natura di Dio. A me pare invece che ogni menzogna è certamente peccato, ma contano molto l’intenzione e l’oggetto della menzogna. Chi mente con la volontà di prestare un servizio non pecca come colui che lo fa con la volontà di nuocere, oppure il danno arrecato da chi, mentendo, pone il viandante su un’altra strada non equivale a quello di chi distorce la via della vita con una menzogna ingannatrice. Nessuno poi, che dica il falso ritenendolo vero, dev’essere accusato di menzogna, poiché, per quanto sta in lui, egli non inganna, ma è ingannato. Pertanto non bisogna incolpare di menzogna, ma in qualche caso di leggerezza, colui che ritiene come vere cose false, alle quali ha dato credito incautamente. Al contrario è una menzogna bella e buona quella di chi, per quanto dipende da lui, dice che è vero quel che ritiene falso. Per quanto attiene alla sua intenzione, egli infatti non dice il vero, poiché non dice ciò che sente, anche se risultasse vero quel che dice, né è assolutamente libero dalla menzogna uno che a parole dice il vero, ignorandolo, ma che mente con deliberata coscienza. Pertanto, a prescindere dalle cose di cui si parla e riferendoci solo all’intenzione, colui che, stando nell’ignoranza, dice il falso ritenendolo vero, è migliore di chi consapevolmente coltiva l’intenzione di mentire, ignorando che quanto dice è vero: il primo infatti ha sulle labbra quel che ha nel cuore, mentre il secondo, indipendentemente dalle cose stesse che dice, non manifesta con la bocca quel che tiene racchiuso dentro di sé 29, e questo è il male proprio della menzogna. Se poi prendiamo in considerazione le cose che si dicono, diviene rilevante la materia stessa dell’inganno o della menzogna, al punto che, pur essendo l’essere ingannato un male minore rispetto al mentire per quanto attiene alla volontà soggettiva, è tuttavia di gran lunga piú accettabile mentire in ciò che è privo di implicazioni religiose, che ingannarsi in ciò di cui si deve aver fede o conoscenza per poter venerare Dio. Esemplificando, consideriamo il caso in cui un tale, mentendo, dichiari vivo uno che è morto ed un altro, ingannandosi, creda che Cristo, dopo un lasso imprecisato di tempo, morirà una seconda volta : ebbene, non è forse incomparabilmente preferibile mentire nel primo caso, che ingannarsi nel secondo, e non è un male di gran lunga minore indurre qualcuno in quell’errore, piuttosto che essere indotto in questo da altri?

I confini tra l’inganno e il peccato.

6. 19. Dunque in certi casi l’inganno in cui cadiamo è un grande male, in altri è piccolo, in altri assente, in altri ancora è addirittura un qualche bene. È un grande male infatti quello per cui l’uomo s’inganna, quando non crede a ciò che conduce alla vita eterna, oppure crede a ciò che conduce alla morte eterna; si tratta invece di un male piccolo quando chi s’inganna, accettando il falso come se fosse vero, incappa in alcune pene temporali, che tuttavia la pazienza cristiana, chiamata in causa, volge ad un uso buono; come quando qualcuno, ritenendo buona una persona in realtà cattiva, ne riceve qualche male. Chi invece ritiene cattiva una persona in realtà cosí buona, da non riceverne alcun male, non è assolutamente ingannato e non cade sotto i colpi della maledizione del Profeta: Guai a coloro che chiamano male il bene 30. Si deve comprendere infatti che questo è stato detto delle cose per le quali gli uomini sono cattivi, non degli uomini in quanto tali. Di conseguenza è giustamente condannato dalla parola del Profeta chi definisce l’adulterio un bene; chi poi definisce buono l’uomo stesso, che ritiene casto, senza sapere che è adultero, s’inganna in relazione non alla dottrina del bene e del male, ma ai segreti della condotta umana; costui chiama buono l’uomo in cui ravvisa qualcosa che riconosce come buono, definendo cattivo chi è adultero e buono chi è casto, ma definisce buono quest’uomo, senza sapere che è adultero, non casto. Peraltro se qualcuno sfugge per errore ad un pericolo, come ho già detto che ci capitò in un viaggio, a quell’uomo è capitato per errore anche un qualche bene. Quando però affermo che in taluni casi l’inganno non comporta alcun male o addirittura qualche bene, non intendo dire che è l’errore in sé a non comportare alcun male o un qualche bene; mi riferisco piuttosto al male che non sopraggiunge o al bene che sopraggiunge tramite l’errore, vale a dire che cosa non risulta o che cosa deriva dall’errore in sé. Infatti, l’errore in sé, in quanto tale, sia esso grande o piccolo in rapporto alla situazione, è pur sempre un male. In effetti chi potrebbe negare, se non per errore, che sia un male l’approvare il falso come vero o riprovare il vero come falso, o prendere l’incerto come certo e viceversa? Ma altro è ritenere buono un uomo cattivo, che è proprio un errore, altro non subire da questo male un male ulteriore, nel caso in cui un uomo cattivo, ritenuto buono, non provochi alcun danno. Allo stesso modo altro è ritenere come una via quella che non lo è, altro il fatto che dal male in cui consiste quest’errore deriva un qualche bene, come il sottrarsi agli agguati di uomini cattivi.

Equivoci e valutazioni errate.

7. 20. Non so proprio se questi possano essere addirittura errori: quando un uomo si fa una buona opinione di un uomo cattivo, senza conoscerlo realmente, oppure quando si presentano, in luogo delle percezioni sensibili, immagini simili percepite dallo spirito quasi materialmente o dal corpo quasi spiritualmente (cosí pensava l’apostolo Pietro, quando fu improvvisamente liberato dalla prigione e dalle catene per opera di un angelo, ritenendo d’avere una visione 31); oppure quando nelle stesse cose materiali si ritiene levigato quello che invece è ruvido, o dolce quello che è amaro, o profumato quello che è putrido, oppure si scambia per un tuono il passaggio di una carrozza, o una persona per un’altra, quando i due si assomigliano moltissimo, come spesso capita nei gemelli (donde l’espressione errore caro ai genitori 32; e via dicendo per casi simili, che non so se debbano chiamarsi peccati. Non mi sono nemmeno interessato a sbrogliare un problema intricatissimo, che ha tormentato gli uomini piú perspicaci come gli Accademici, se cioè il sapiente debba davvero ammettere qualcosa per evitare di cadere in errore, ammettendo il falso al posto del vero, visto che tutte le cose, come sostengono, sono nascoste o incerte. Perciò ho portato a termine tre volumi all’inizio della mia conversione, per sbarazzarci dell’ostacolo che quelli ci opponevano in un certo senso sulla soglia; si doveva certamente rimuovere la sfiducia di trovare la verità, che sembra rafforzarsi grazie ai loro argomenti. Fra loro quindi ogni errore è assimilato ad un peccato che ritengono inevitabile, se non si sospende ogni assenso. Chiunque esprime il proprio assenso su cose incerte, essi dicono, sbaglia: con le polemiche piú sottili, ma anche le piú spudorate, sostengono infatti che non c’è niente di certo nelle vedute degli uomini, a motivo di una somiglianza che non lascia riconoscere il falso, anche nella eventualità in cui apparenza e verità coincidano. Fra noi invece il giusto vive di fede 33. Ma togliere l’assenso equivale a togliere la fede: senza assenso non si crede nulla. E se non si crede ad alcune verità, anche non evidenti, è impossibile conseguire la vita beata, che è necessariamente eterna. Io non so, fra l’altro, se dobbiamo confrontarci con questa gente, che ignora non tanto di vivere eternamente, quanto di vivere attualmente: anzi afferma di ignorare proprio ciò che è impossibile ignorare. A nessuno è dato infatti di ignorare il proprio vivere, dal momento che, se non vive, non può neppure ignorare qualcosa, poiché è proprio del vivente non solo sapere, ma anche ignorare. Ma evidentemente, evitando di pronunziarsi sul proprio vivere, credono di evitare l’errore, mentre anche attraverso l’errore viene provato il vivere, poiché solo chi non vive non può errare. Come dunque il nostro vivere è non solo cosa vera, ma anche certa, allo stesso modo sono molte le cose vere e certe alle quali il negare il proprio assenso mai e poi mai dev’esser considerato un atto di sapienza, invece che di follia.

Quando l’errore non è peccato, ma solo espressione di fragilità terrena.

7. 21. Quanto poi alle cose che è del tutto irrilevante credere o non credere per raggiungere il regno di Dio, come pure che siano o si ritengano vere o false, non si deve supporre che in questi casi l’errare, cioè il pensare una cosa per un’altra, sia peccato; tutt’al piú si tratta del peccato piú piccolo e lieve. In ultima analisi, quale che ne sia la natura e la gravità, esso non concerne quella via attraverso cui giungiamo a Dio, cioè la via della fede in Cristo, che opera per mezzo della carità 34. Non costituiva un allontanamento da quella via l’errore caro ai genitori a proposito dei figli gemelli; neppure se ne allontanava l’apostolo Pietro, allorché, credendo di avere una visione, scambiava una cosa per un’altra, al punto da non riconoscere, fra le immagini dei corpi in mezzo alle quali credeva di trovarsi, i corpi veri fra i quali si trovava, fino a quando non si allontanò da lui l’angelo dal quale era stato liberato 35; non si allontanava neppure da quella via il patriarca Giacobbe, quando credeva che fosse stato ucciso da una belva il figlio che era vivo 36. In base a queste falsità, e ad altre analoghe, fatta salva la fede che abbiamo in Dio, noi ci inganniamo e sbagliamo, sia pure senza abbandonare la via che conduce a Lui. Tali errori, anche se non sono peccati, sono comunque addebitabili ai mali di questa vita, talmente sottomessa alla caducità37, che in essa si accetta il falso per il vero, si respinge il vero per il falso, si tiene l’incerto per il certo. Pur essendo aspetti estranei a quella fede, in virtú della quale, quand’è vera e certa, noi tendiamo alla beatitudine eterna, non sono tuttavia estranei a quella infelicità in mezzo alla quale tuttora ci troviamo. Di sicuro non ci inganneremmo assolutamente in qualche percezione spirituale o materiale, se godessimo già di quella felicità vera e perfetta.

Ogni menzogna è peccato, anche se veniale, quando viene commessa per il bene di un altro.

7. 22. Eppure si deve dire che ogni menzogna è peccato, poiché l’uomo, non solo quando egli stesso conosce ciò che è vero, ma anche se erra e s’inganna come ogni uomo, deve dire ciò che porta nel cuore, sia esso o lo si ritenga vero o falso. Invece chiunque mente parla con l’intenzione d’ingannare, contraddicendo quel che pensa, mentre il linguaggio è stato senza dubbio istituito non perché gli uomini s’ingannino reciprocamente, ma perché ciascuno porti a conoscenza degli altri i propri pensieri. Perciò usare il linguaggio per mentire, contro il suo fine originario, è peccato. Né si deve pensare ad una qualche menzogna che non sia peccato, per il fatto che mentendo talvolta possiamo giovare agli altri. Infatti ciò possiamo farlo anche rubando, quando il povero, al quale pubblicamente si dà, avverte il vantaggio e il ricco, a cui di nascosto si toglie, non lo avverte: non per questo però qualcuno potrebbe dire che non è peccato. Lo possiamo fare anche commettendo adulterio, quando una donna pare sul punto di morire d’amore se non si acconsente a lei e pronta a purificarsi pentendosene, se continuerà a vivere: non per questo si potrà negare che tale adulterio sia peccato. Se apprezziamo a buon diritto la castità, perché mai ci indispone la verità, al punto da non violare la prima per il vantaggio di altri e da violare invece la seconda con la menzogna? Indubbiamente non si può negare l’enorme progresso verso il bene, conseguito da quanti mentono unicamente per la salvezza di qualcuno; ma in tale loro progresso ciò che a buon diritto si elogia, o che addirittura viene ricompensato sul piano temporale, è la benevolenza, non l’inganno; è già abbastanza passarvi sopra, senza però esaltarlo, soprattutto da parte degli eredi del Nuovo Testamento, ai quali si dice: Sia il vostro parlare sí, sí; no, no; il di piú viene dal maligno 38. Per questo stesso male, che non cessa mai d’insinuarsi in questa condizione mortale, gli stessi coeredi di Cristo 39 dicono: Rimetti a noi i nostri debiti 40.

Le cause delle cose buone e di quelle cattive.

8. 23. Dopo aver dunque affrontato questi problemi con la brevità che qui è necessaria, poiché si debbono conoscere le cause delle cose buone e di quelle cattive, per quanto lo richiede la via che ci conduce al regno dove la vita sarà senza morte, la verità senza errore, la felicità senza turbamento, non dobbiamo affatto dubitare che la causa delle cose buone che ci toccano è solo la bontà di Dio, mentre delle cattive è la volontà di un bene mutevole che abbandona un bene immutabile, prima nell’angelo, quindi nell’uomo.

Il primo male nella creatura razionale e le sue conseguenze.

8. 24. È questo il primo male in una creatura razionale, ossia la prima privazione di bene. In seguito è subentrata, anche involontariamente, l’ignoranza circa le cose da farsi e la concupiscenza di quelle dannose, alle quali si aggregano come compagni l’errore e il dolore; l’impulso spirituale che cerca di scansare questi due mali, percepiti come imminenti, si chiama timore. A sua volta l’anima, quando giunge alla realizzazione delle proprie voglie, per quanto funeste e futili, senza che possa avvedersene per l’errore, viene sopraffatta da un piacere malsano, o addirittura scombussolata da una vuota euforia. Da questi malesseri, che sono fonte non di sovrabbondanza, ma di indigenza, scaturisce per la natura razionale ogni infelicità.

La morte del corpo come pena propria dell’uomo.

8. 25. Eppure tale natura, in mezzo a questi mali, non ha potuto perdere l’aspirazione alla beatitudine. Questi mali sono comunque comuni agli uomini e agli angeli, condannati dalla giustizia di Dio in rapporto alla loro malizia. L’uomo poi ha anche una propria pena, secondo la quale è punito anche con la morte del corpo. Dio gli aveva comminato il castigo della morte qualora avesse peccato 41, dotandolo del libero arbitrio, in modo però che il suo comando lo guidasse e la perdizione lo trattenesse, e lo collocò nella felicità del paradiso 42, quasi una parvenza di vita, da dove, avendo osservato la giustizia, potesse ascendere verso realtà superiori.

La trasmissione del peccato originale.

8. 26. Esiliato da qui dopo il peccato, vincolò con la pena della morte e della dannazione anche la propria stirpe, che peccando aveva contaminato in se stesso, come nelle sue radici: cosí qualsiasi discendente, nato da lui e dalla sua sposa (condannata anch’essa, essendo stata per lui occasione di peccato) tramite quella concupiscenza carnale, in cui veniva fatta corrispondere una pena simile alla sua disobbedienza, avrebbe tratto con sé il peccato originale; e questo a sua volta lo avrebbe tratto, attraverso vari errori e dolori, al castigo estremo e senza fine insieme agli angeli ribelli, suoi corruttori, padroni e complici. Cosí a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte; cosí essa ha raggiunto tutti gli uomini, poiché tutti in lui hanno peccato 43. E l’Apostolo in quel punto ha chiamato " mondo " l’intero genere umano.

La massa condannata del genere umano in mezzo ai mali sconta, insieme agli angeli ribelli, giuste pene che non sconfessano la bontà del creatore.

8. 27. Le cose stavano dunque in questo modo: la massa condannata di tutto il genere umano languiva fra i mali, o addirittura vi si rotolava, precipitando da un male all’altro e, congiunta a quella parte degli angeli che avevano peccato, scontava pene piú che meritate per la propria empia diserzione. Indubbiamente rientra nella giusta collera di Dio tutto ciò che i malvagi compiono volentieri con cieca e indomita concupiscenza e tutto ciò che malvolentieri subiscono con pene esplicite e manifeste; certo la bontà del creatore non cesserà di trasmettere anche agli angeli cattivi la vita ed una attiva vitalità, senza la trasmissione delle quali essi perirebbero; non cessa neppure di formare ed animare i germi vitali degli uomini, anche se nascono da una stirpe corrotta e condannata, ordinandone le membra secondo l’articolazione temporale e la collocazione spaziale, vivificandone la sensibilità, assicurando l’alimentazione. Ritenne preferibile infatti operare il bene a partire dal male, anziché non lasciar sussistere alcun male. E se Dio non avesse voluto alcun miglioramento per gli uomini, cosí come non v’è per gli angeli empi, non sarebbe stato forse giusto che fosse da lui interamente abbandonata per sempre, espiando una pena eterna e proporzionata, quella natura che ha abbandonato Dio e, abusando della propria facoltà, ha conculcato e trasgredito l’insegnamento del suo creatore, che avrebbe potuto osservare con la massima facilità; che ha profanato in se stessa l’immagine del suo autore, dopo essersi fieramente allontanata dalla sua luce; che ha sradicato dalle sue leggi, in virtú di un uso cattivo del libero arbitrio, ogni salutare sottomissione? Indubbiamente Dio avrebbe fatto questo, se fosse solo giusto, non anche misericordioso, e se non mostrasse molto piú chiaramente la sua misericordia gratuita liberando soprattutto chi non lo merita.

La beatitudine eterna degli angeli fedeli.

9. 28. In seguito poi all’abbandono di Dio, con empia superbia, da parte di alcuni angeli, sprofondati dall’alto della loro dimora celeste nella piú bassa oscurità di questa atmosfera, il resto degli angeli è rimasto con Dio in eterna beatitudine e santità. E non c’è stata la benché minima discendenza nemmeno da un solo angelo, caduto e condannato, in modo che un male originale li vincolasse come gli uomini con le catene di una colpa che si tramanda, trascinandoli tutti quanti alle pene dovute; ma dopo l’atto di superbia di colui che fu trasformato in diavolo, commesso con complici di empietà, tutti gli altri con pia obbedienza si unirono al Signore, ricevendo anche una scienza certa, che non ebbero i primi, grazie alla quale poter essere sicuri di una saldezza eterna e assolutamente incrollabile.

Gli uomini subentreranno agli angeli ribelli, confermando il numero dei beati che solo Dio conosce.

9. 29. A Dio quindi, creatore e signore dell’universo, dal momento che non tutta la moltitudine degli angeli s’era perduta abbandonandolo, piacque che la moltitudine perduta rimanesse nell’eterna perdizione e che quella che era rimasta con Lui al momento della diserzione degli altri, godesse per sempre della sua futura felicità, conosciuta con assoluta certezza, mentre l’altra creatura razionale costituita dagli uomini, che s’era tutta perduta per i peccati ed i castighi, sia originali che personali, parzialmente riabilitata, colmasse il vuoto lasciato nella società angelica da quella caduta diabolica. Ai santi, nell’atto della risurrezione, è stato infatti promesso che saranno uguali agli angeli di Dio 44. Cosí la Gerusalemme superiore, che è nostra madre, la città di Dio, non verrà defraudata nel numero dei suoi cittadini o forse regnerà su una moltitudine ancora piú numerosa. Noi non conosciamo il numero né degli uomini santi, né dei demoni immondi, subentrando ai quali sussisteranno senza alcun limite di tempo i figli della santa madre, che sembrava sterile sulla terra 45, in quella pace dalla quale quelli decaddero. Ma il numero, attuale o futuro, di quei cittadini è oggetto di contemplazione del suo artefice, che chiama le cose che non sono come quelle che sono 46 e tutto dispone con misura, calcolo e peso 47.

La liberazione del genere umano avviene per opera del figlio di Dio.

9. 30. Questa parte del genere umano, a cui Dio promette la liberazione e il regno eterno, può forse riabilitarsi in virtú dei meriti delle sue proprie opere? È impensabile. Quali opere di bene può compiere chi si è perduto, se non nella misura in cui sarà stato liberato dalla sua perdizione? Potrà farlo grazie al libero arbitrio della volontà ? Anche questo è impensabile: abusando infatti del libero arbitrio, l’uomo si perde e lo perde. Come infatti chi si uccide, può farlo indubbiamente in quanto vive, mentre non vive in quanto si uccide e, una volta uccisosi, non potrà risuscitare se stesso, allo stesso modo, peccando grazie al libero arbitrio, si è perduto il libero arbitrio per il trionfo del peccato. Uno è schiavo di ciò che l’ha sottomesso 48: è questo un pensiero proprio dell’apostolo Pietro ed essendo vero mi domando se la libertà di uno schiavo sottomesso non si riduca che al compiacimento del peccato. Serve in modo libero chi compie volentieri la volontà del suo padrone; perciò è libero per il peccato chi è schiavo di esso. Di conseguenza sarà libero di operare con giustizia solo chi avrà cominciato ad essere schiavo della giustizia, una volta liberato dal peccato. È questa la vera libertà per la gioia dell’azione retta e insieme una pia schiavitú per l’obbedienza dell’insegnamento. Ma questa libertà di operare il bene donde proverrà all’uomo sottomesso e venduto, se non per l’opera redentrice di colui che ha esclamato: Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero 49? E prima che nell’uomo questo cominci a verificarsi, come potrà gloriarsi di un’opera buona che scaturisca dal libero arbitrio chi non è ancora libero di operare il bene, senza ostentare presuntuosamente vuota superbia? È quel che reprime l’Apostolo con le parole: Per la grazia siete stati salvati mediante la fede 50.

Anche la fede, da cui provengono le opere buone, è opera della grazia.

9. 31. E perché gli uomini non si attribuissero nemmeno questa fede, al punto da non comprendere che è un dono divino, il medesimo Apostolo, che pure sostiene in un altro punto d’aver ottenuto misericordia per la sua fede 51, ha aggiunto anche queste parole: E ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né dalle opere, perché nessuno possa vantarsene 52. Perché poi non si pensasse che i fedeli potessero rimanere senza opere buone, ha soggiunto ulteriormente: Siamo sua immagine, creati in Cristo Gesú per le opere buone che Dio ha predisposto perché in esse progredissimo 53. Siamo dunque resi veramente liberi, nella misura in cui Dio ci plasma, cioè ci forma e ci crea, non per essere uomini, ciò che già fece, ma uomini buoni; ciò che ora fa la sua grazia, per essere nuova creatura in Cristo Gesú 54, secondo quanto è stato detto: Crea in me, o Dio, un cuore puro 55. E non è che il suo cuore, il cuore dell’uomo in senso naturale, Dio non l’avesse già creato.

L’Apostolo e tutta la Scrittura insegnano che Dio suscita in noi il volere e l’operare.

9. 32. Parimenti, perché nessuno si vanti, non dico delle opere, ma dello stesso libero arbitrio della volontà, come se da esso nasca un merito, a cui la libertà di operare il bene spetti come premio dovuto, presti ascolto alle parole del medesimo araldo della grazia: È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare conformemente alla sua volontà buona 56. E altrove: Non dipende quindi né dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio 57. Non c’è dubbio che un uomo, se ha ormai raggiunto l’età in cui si ha l’uso di ragione, non potrebbe credere, sperare, amare se non lo volesse, né raggiungere il premio che Dio ci chiama a ricevere lassú senza correre volontariamente 58: com’è dunque possibile che non dipenda né dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio, se non perché la stessa volontà, come sta scritto, è prediposta dal Signore 59? Del resto, se è stato detto: Non dipende né dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio, in quanto sono entrambe indispensabili, vale a dire la volontà dell’uomo e la misericordia di Dio, cerchiamo di prendere le parole: Non dipende né dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio, come se si dicesse che la sola volontà dell’uomo è insufficiente, senza il concorso della misericordia di Dio. Non è dunque sufficiente nemmeno la misericordia di Dio da sola, senza il concorso della volontà dell’uomo; perciò se è stato detto giustamente: Non dipende né dalla volontà dell’uomo, ma dalla misericordia di Dio, in quanto la volontà dell’uomo da sola non basta, perché, al contrario, non è giusto dire: " Non dipende dalla misericordia di Dio, ma dalla volontà dell’uomo ", dal momento che la misericordia di Dio da sola non basta? Certamente se nessun cristiano oserà affermare che tutto dipende dalla volontà dell’uomo, non dalla misericordia di Dio, per non mettersi nella contraddizione piú stridente con l’Apostolo, per una comprensione corretta dell’espressione: Non dipende né dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio, non resta che riconoscere tutto a Dio, che predispone la buona volontà dell’uomo e la sorregge dopo averla predisposta. In effetti la buona volontà dell’uomo precede molti doni di Dio, ma non tutti, ed essa stessa si trova fra quelli che non precede. Di entrambi i casi si legge nelle Sacre Scritture: La sua misericordia mi preverrà 60, e: La sua misericordia mi seguirà 61. Previene chi non vuole, perché voglia; segue chi vuole, perché non voglia invano. Non ci viene forse comandato di pregare per i nostri nemici 62, soprattutto per quanti non vogliono vivere religiosamente, unicamente perché in loro sia opera di Dio anche il volere? Ugualmente, perché mai siamo esortati a chiedere per ottenere 63, se non perché sia fatto ciò che noi vogliamo da colui al quale si deve il nostro volere? Noi dunque preghiamo per i nostri nemici perché li prevenga la misericordia di Dio, cosí come ha prevenuto anche noi, ma preghiamo anche per noi, perché la sua misericordia ci segua.

La giusta condanna del genere umano prima della venuta del Salvatore.

10. 33. Il genere umano stava dunque sotto una giusta condanna e tutti erano figli di quella collera, di cui è stato scritto: Tutti i nostri giorni sono venuti meno ed anche noi siamo venuti meno nella tua collera; i nostri anni saranno considerati come una ragnatela 64. Anche Giobbe ne parla: L’uomo, nato di donna, ha una vita breve e piena di collera 65. E pure il Signore Gesú: Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi invece non crede nel Figlio non ha la vita, ma la collera di Dio resta su di lui 66; non dice: " Verrà ", ma: Resta su di lui. Ogni uomo nasce infatti assieme ad essa e per questo l’Apostolo dice: Fummo infatti anche noi per natura figli della collera, come gli altri 67. Trovandosi dunque gli uomini in questa collera per il peccato originale, in una condizione tanto piú grave e pericolosa quanto piú grandi e piú numerosi erano i pesi ch’essi vi avevano addossato, era necessario un mediatore, cioè un riconciliatore, che placasse questa collera con l’offerta di un sacrificio unico, adombrato da tutti i sacrifici della Legge e dei Profeti. Di qui le parole dell’Apostolo: Se infatti, quand’eravamo nemici siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, a maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dalla collera per mezzo suo 68. Quando però si parla della collera di Dio, non s’intende un suo turbamento, come è nell’anima di un uomo che va in collera; piuttosto, per una metafora tratta dalle emozioni umane, la sua punizione, che non può essere che giusta, ha preso il nome di collera. In quanto dunque noi ci riconciliamo con Dio per mezzo di un mediatore e riceviamo lo Spirito Santo, che ci trasforma da nemici in figli (tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio 69), questo lo dobbiamo alla grazia di Dio per mezzo del Signore nostro Gesú Cristo.

Il mirabile sacramento del mediatore.

10. 34. Di questo mediatore sarebbe troppo lungo parlare come merita, ancorché sia impossibile per l’uomo parlarne davvero come merita. Chi potrebbe spiegare con parole adeguate che il Verbo si fece carne ed abitò tra di noi 70, in modo da credere nell’unico Figlio di Dio Padre onnipotente, nato dallo Spirito Santo e da Maria vergine? Cosí infatti il Verbo s’è fatto carne, essendo stata la carne assunta dalla divinità, non la divinità trasformata in carne. Peraltro qui dobbiamo intendere carne come sinonimo di uomo, secondo un’espressione in cui la parte sta per il tutto, come quando è stato detto: Poiché in virtú delle opere della Legge non sarà giustificata nessuna carne 71, cioè nessun uomo. Ed è lecito dire che in quella condizione da Lui assunta non è mancato nulla alla natura umana, una natura, tuttavia, assolutamente libera da ogni vincolo di peccato: non come quella nata dall’unione dei sessi per mezzo della concupiscenza della carne con l’ipoteca di un peccato, la cui colpevolezza è lavata dalla rigenerazione, ma quale doveva nascere da una vergine, concepita dalla fede della madre, non dalla passione. Se con la sua nascita ne fosse stata compromessa l’integrità, non sarebbe piú nato da una vergine e, cosa impensabile, in modo falso tutta la Chiesa confesserebbe che Egli è nato dalla Vergine Maria, quella Chiesa che ogni giorno partorisce le sue membra, pur restando vergine, ad imitazione di sua madre. Leggi, se vuoi, la mia lettera sulla verginità santa di Maria, inviata a Volusiano, un uomo illustre che ricordo con stima e affetto.

Due nature nell’unica persona del Figlio di Dio.

10. 35. Perciò Gesú Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo: Dio prima di tutti i secoli, uomo nel nostro secolo; è Dio in quanto Verbo di Dio (e il Verbo era Dio 72), uomo in quanto nell’unità della persona al Verbo si sono aggiunte l’anima razionale e la carne. Di conseguenza, in quanto è Dio, Egli e il Padre sono una cosa sola 73; in quanto poi è uomo, il Padre è maggiore di Lui 74. Essendo infatti unico Figlio di Dio, non per grazia, ma per natura, è divenuto anche figlio dell’uomo, per essere ugualmente pieno di grazia 75: e sempre Lui è l’uno e l’altro, dall’uno e dall’altro unico Cristo. In effetti, nonostante la sua condizione divina, non considerò un’usurpazione ciò che era per natura, vale a dire la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo 76, senza perdere o diminuire la condizione divina. Perciò si è fatto inferiore ed è rimasto uguale, unico ad essere l’uno e l’altro, come si è detto, ma l’uno in quanto Verbo, l’altro in quanto uomo: in quanto Verbo uguale, in quanto uomo inferiore; unico Figlio di Dio, che è anche figlio dell’uomo; unico figlio dell’uomo, che è anche Figlio di Dio: non Dio e uomo, come due figli di Dio, ma un unico Figlio di Dio; Dio senza origine, uomo da un’origine definita, il Signore nostro Gesú Cristo.

La natura umana di Cristo manifesta la sovrabbondanza della grazia divina.

11. 36. Qui è la grazia di Dio che viene raccomandata in modo assolutamente sublime ed esplicito. Quali meriti aveva infatti la natura umana in Cristo uomo, da essere assunta individualmente nell’unità della persona dell’unico Figlio di Dio? Quale buona volontà, quale ricercata buona intenzione, quali buone opere hanno assicurato a quest’uomo un merito anteriore, per diventare una persona sola con Dio? È forse stato un uomo anteriormente e gli è stato accordato questo singolare beneficio, per una benemerenza singolare presso Dio? Naturalmente da quando cominciò ad essere uomo, non cominciò ad essere nient’altro che Figlio di Dio, e Figlio unico; e ciò a causa di Dio Verbo, che, dopo aver assunto l’umanità, è diventato carne, comunque sempre Dio; come qualsiasi uomo è una sola persona, cioè anima razionale e carne, cosí è una sola persona anche Cristo, Verbo e uomo. Donde mai proviene alla natura umana tutta questa gloria, indubbiamente gratuita non essendoci stati meriti precedenti, se non per il fatto che qui si manifesta con evidenza, a chi consideri la cosa lucidamente, la grande e unica grazia di Dio ? Cosí gli uomini potranno comprendere che sono giustificati dai peccati in virtú della medesima grazia, alla quale si deve l'impossibilità per l’uomo Cristo di avere alcun peccato. È cosí che l’angelo, preannunziando la futura nascita, salutò sua madre: Ave, disse, o piena di grazia. E un po’ piú avanti: Hai trovato grazia presso Dio 77. Si dice infatti che è piena di grazia e che ha trovato grazia presso Dio perché potesse essere madre del suo Signore, anzi del Signore di tutti. Del medesimo Cristo l’evangelista Giovanni, dopo aver detto: E il Verbo si fece carne ed abitò in mezzo a noi, aggiunge: E noi vedemmo la sua gloria, come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità 78. Dire: il Verbo si fece carne, equivale a dire: pieno di grazia; dire poi: la gloria dell’unigenito del Padre, equivale a dire: pieno di verità. Infatti la Verità in persona, unigenito Figlio di Dio non per grazia, ma per natura, assunse per grazia la natura umana in una tale unità personale, da poter essere Egli stesso anche figlio dell’uomo.

La nascita dallo Spirito Santo, ulteriore testimonianza della grazia.

11. 37. Il medesimo Gesú Cristo, Figlio di Dio unigenito, cioè unico, Signore nostro, è nato dallo Spirito Santo e da Maria vergine. Ebbene lo Spirito Santo è sicuramente dono di Dio, senza dubbio in sé uguale a chi lo dona: perciò anche lo Spirito Santo è Dio, non inferiore al Padre e al Figlio. Il fatto dunque che la nascita umana di Cristo procede dallo Spirito Santo non è forse una manifestazione della stessa grazia? Quando la vergine domandò all’angelo come potesse accadere quanto le annunziava, dal momento che lei non conosceva uomo, l’angelo le rispose: Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo stenderà su di te la sua ombra; colui che nascerà da te sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio 79. E quando Giuseppe voleva ripudiarla, sospettando un adulterio, sapendo che la sua gravidanza non dipendeva da lui, ricevette dall’angelo questo responso: Non temere di prendere Maria come tua sposa, perché quel che è stato generato in lei viene dallo Spirito Santo 80; in altri termini, ciò che tu sospetti dipenda da un altro uomo, dipende dallo Spirito Santo.

In che senso Cristo è figlio dello Spirito Santo e della Vergine Maria.

12. 38. Potremo tuttavia affermare, per questo, che il padre dell’uomo Cristo sia lo Spirito Santo, in modo che Dio Padre abbia generato il Verbo e lo Spirito Santo l’uomo, derivando dall’una e dall’altra sostanza un solo Cristo, figlio di Dio Padre in quanto Verbo e dello Spirito Santo in quanto uomo, per il fatto che lo Spirito lo avrebbe generato dalla madre vergine come se fosse suo padre? Chi oserà affermarlo? Non c’è bisogno di mostrare, continuando la discussione, le altre conseguenze assurde, dal momento che questa stessa tesi è già cosí assurda, che non ci sono credenti in grado di stare ad ascoltarla. Perciò il Signore nostro Gesú Cristo (tale è la nostra confessione), che è Dio da Dio, ma è nato come uomo dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, nell’una e nell’altra sostanza, vale a dire in quella divina e in quella umana, è l’unico Figlio di Dio Padre onnipotente, dal quale procede lo Spirito Santo. Allora come diciamo che Cristo è nato dallo Spirito Santo, se lo Spirito Santo non lo ha generato? Forse perché lo fece? Infatti del Signore nostro Gesú Cristo, in quanto è Dio, diciamo che tutto è stato fatto per mezzo di Lui 81; ma in quanto è uomo, anch’egli è stato fatto, come dice l’Apostolo: È stato fatto dalla stirpe di Davide secondo la carne 82. Perché mai allora, dal momento che quella creatura, concepita e partorita dalla Vergine, benché appartenente alla sola persona del Figlio, è la Trinità intera che l’ha fatta – e le opere della Trinità sono indisgiungibili –, in tale opera è stato nominato solo lo Spirito Santo? Quando viene nominata una sola delle tre persone, si deve intendere tutta quanta la Trinità? È proprio cosí e lo si può illustrare con alcuni esempi, ma non è il caso di indugiare ulteriormente su questo punto. Ciò che colpisce è come si sia potuto dire: Nato dallo Spirito Santo 83, dal momento che non è assolutamente figlio dello Spirito Santo. Né d’altra parte, solo perché Dio fece questo mondo, è lecito dire che esso è figlio o che è nato da Dio; piuttosto possiamo dire correttamente che è stato fatto, o creato, o costituito da lui, o qualcosa del genere. Quando dunque qui noi confessiamo che Egli è nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, è difficile spiegare come non sia Figlio dello Spirito Santo, ma della Vergine Maria, pur essendo nato dall’uno e dall’altra; indubbiamente non è nato da quello come da un padre, mentre è nato da lei come da una madre.

Nascere ed essere figlio non sempre si equivalgono.

12. 39. Non si deve concedere, dunque, che tutto quel che nasce da qualcosa, immediatamente debba esserne proclamato figlio. Prescinderei dal fatto che un figlio nasce da un uomo in modo diverso da un capello, un pidocchio, un lombrico, non avendo niente di tutto questo un figlio; a prescindere da ciò, poiché è oltraggioso il confronto con una realtà tanto grande, sicuramente quanti nascono dall’acqua e dallo Spirito 84 nessuno li chiamerà ordinariamente figli dell’acqua, mentre tranquillamente sono chiamati figli di Dio Padre e della madre Chiesa. Cosí insomma dallo Spirito Santo è nato il figlio di Dio Padre, non dello Spirito Santo. In tal senso, quanto abbiamo detto a proposito del capello e di altre cose vale soltanto per mettere in guardia sul fatto che non tutto ciò che nasce da qualcosa può anche dirsi figlio di ciò da cui nasce. Cosí non per tutti coloro che si dicono figli di qualcuno si può dire coerentemente che sono anche nati da lui, come quanti vengono adottati. Si dicono ancora figli della Geenna 85 non quelli che sono nati da essa, ma quelli che ad essa sono stati predisposti, cosí come i figli del regno 86 sono stati predisposti per il regno.

Il modo in cui è nato Gesù Cristo testimonia che la sua umanità s’è congiunta al Verbo di Dio solo in virtù della grazia.

12. 40. Perciò, dal momento che qualcosa può nascere da qualcos’altro anche senza esserne figlio e che, d’altro canto, non chiunque viene detto figlio è nato da quello di cui viene detto figlio, certamente il modo in cui è nato Cristo dallo Spirito Santo, non come figlio, e da Maria Vergine, come figlio, ci introduce nella grazia di Dio, in virtú della quale tale uomo, senza alcun merito antecedente, nell’atto stesso in cui la sua natura ha cominciato ad esistere, s’è congiunto al Verbo di Dio in una tale unità personale, in modo che la medesima persona che era figlio dell’uomo fosse figlio di Dio e viceversa, e cosí, nell’assunzione della natura umana, risultasse in un certo senso naturale per quell’uomo la stessa grazia che non può indurre ad alcun peccato. Tale grazia doveva essere designata attraverso lo Spirito Santo, poiché Egli è propriamente Dio, tanto che lo si può anche dire dono di Dio 87. Comunque, per parlare a sufficienza di questo (ammesso che sia possibile), c’è bisogno di una dissertazione assai estesa.

Con la sua morte e risurrezione Cristo s’è fatto peccato per noi senza contrarre alcun peccato.

13. 41. Egli fu quindi generato e concepito senza il benché minimo piacere di concupiscenza carnale e perciò senza contrarre alcun peccato originale, ancora per grazia di Dio integrato e incorporato, in modo mirabile e ineffabile, nell’unità della persona al Verbo unigenito del Padre, Figlio non per grazia, ma per natura; per questo Egli non può commettere alcun peccato, anche se, per affinità con la carne di peccato nella quale era venuto 88, è stato chiamato peccato anche Lui, che doveva sacrificarsi per lavare i peccati. Ora nella legge antica si chiamavano peccati i sacrifici per i peccati 89; essi però adombravano quel che Egli è diventato realmente. Per questo l’Apostolo, dopo aver detto: Vi supplichiamo in nome di Cristo, lasciatevi riconciliare con Dio 90, ha aggiunto subito dopo le seguenti parole: Colui che non aveva conosciuto peccato, lo fece peccato per noi, perché noi fossimo in Lui giustizia di Dio 91. Non dice, come si legge in alcuni codici ingannevoli: " Egli, che non ha conosciuto peccato, fece il peccato per noi ", come se Cristo stesso avesse peccato per noi; dice piuttosto: Colui che non aveva conosciuto peccato, cioè Cristo, lo fece peccato per noi Dio, con il quale dobbiamo essere riconciliati, cioè sacrificio per i peccati, grazie al quale poter essere riconciliati. Egli quindi è stato peccato, perché noi fossimo giustizia, e non giustizia nostra ma di Dio, non in noi ma in Lui; come di fatto Egli ha manifestato non il suo peccato, ma il nostro, costituito non in Lui, ma in noi, per affinità con la carne di peccato 92, nella quale Egli fu crocifisso; in tal modo, dal momento che in Lui non v’era peccato, morendo alla carne, nella quale vi era affinità con il peccato, Egli sarebbe morto in un certo senso al peccato e, non essendo mai vissuto secondo l’antica logica del peccato, avrebbe significato con la sua risurrezione il nostro rigenerarci a vita nuova, a partire dall’antica morte del peccato che ci era toccata 93.

La morte e la risurrezione di Cristo segni del sacramento del battesimo.

13. 42. Proprio questo celebra in noi il grande sacramento del battesimo: quanti sono toccati da questa grazia muoiono al peccato, proprio come Cristo si dice morto al peccato, poiché è morto alla carne, cioè all’affinità con il peccato, e vivono rinascendo dal lavacro, come Cristo risorgendo dal sepolcro, indipendentemente dalla loro età.

Il battesimo di Cristo è necessario in ogni età.

13. 43. Dal piú piccolo appena nato fino al vecchio decrepito infatti, come non si deve negare a nessuno il battesimo, cosí non c’è nessuno che non muoia al peccato nel battesimo; mentre però i piccoli muoiono soltanto al peccato originale, i piú grandi muoiono a tutti questi peccati, che hanno aggiunto con una cattiva condotta a quello contratto con la nascita.

Differenza fra i peccati dei più grandi e il peccato dei più piccoli.

13. 44. Eppure anche di questi ultimi si dice generalmente che muoiono al peccato, mentre non c’è dubbio che essi muoiono non ad un solo peccato, bensí a molti, a tutti quelli che essi hanno già commesso personalmente in pensieri, parole ed opere; si è soliti infatti designare il singolare anche per il plurale, come disse il poeta: ne riempiono il ventre con il soldato in armi 94, pur avendolo fatto con numerosi soldati. E nella nostra Scrittura si legge: Prega dunque il Signore, perché allontani da noi il serpente 95; per dir questo non parla di serpenti, che pure affliggevano il popolo; e cosí via. Se poi anche quell’unico peccato originale è designato al plurale, quando diciamo che i piú piccoli sono battezzati per la remissione dei peccati, si ricorre alla figura contraria, per cui si designa il singolare attraverso il plurale. Cosí nel Vangelo si dice, dopo la morte di Erode: Sono morti coloro che insidiavano l’anima del bambino 96, anziché: è morto. E nell’Esodo: Si sono fabbricati degli dèi d’oro 97, per essersi fabbricato un solo vitello, di cui dissero: Questi sono i tuoi dèi, Israele, che ti fecero uscire dalla terra d’Egitto 98, usando anche qui il plurale per il singolare.

Sono tanti i peccati inclusi nell’unico peccato entrato nel mondo attraverso un unico uomo.

13. 45. Del resto anche in quell’unico peccato, che a causa di un solo uomo è entrato nel mondo, raggiungendo tutti gli uomini 99, e per il quale anche i piú piccoli sono battezzati, si possono intendere numerosi peccati, suddividendolo in un certo senso in tutte le sue singole parti. Vi è infatti anche la superbia, perché l’uomo ha preferito il proprio potere a quello di Dio; il sacrilegio, perché non ha creduto a Dio; l’omicidio, perché s’è precipitato nella morte; l’impurità spirituale, perché l’integrità della mente umana è stata violata dalla seduzione del serpente; il furto, perché è stato rubato il cibo proibito; l’avarizia, perché ha desiderato piú di quanto doveva bastargli; e quant’altro si può ancora scoprire, con un attento esame, in quest’unico misfatto.

I peccati dei progenitori che gravano sui figli e il soccorso della grazia e della misericordia divina.

13. 46. Si dice, non senza buone ragioni, che sui piú piccoli grava anche l’ipoteca dei peccati dei progenitori, non solo dei primi uomini, ma anche di coloro dai quali essi sono nati. L’affermazione divina: Farò ricadere sui figli i peccati dei padri 100 indubbiamente li vincola prima che, attraverso la rigenerazione, comincino ad appartenere al Nuovo Testamento, quel Testamento che è oggetto della profezia di Ezechiele, quando dice che i figli non porteranno i peccati dei propri padri e in Israele non avrà piú ragion d’essere l’espressione: I padri mangiarono l’uva acerba e i denti dei figli furono allegati 101. Ognuno quindi rinasce, in modo che sia sciolta in lui ogni traccia di peccato con cui nasce. Quanto ai peccati che vengono commessi in seguito per la cattiva condotta, possono anch’essi essere riparati pure con la penitenza, come costatiamo anche dopo il battesimo. È stata istituita la rigenerazione, perciò, solo perché era corrotta la generazione, tanto che persino chi è nato da un matrimonio legittimo può dire: Nelle iniquità sono stato generato e nei peccati mi ha concepito mia madre 102. Non ha detto: " Nell’iniquità o nel peccato ", pur potendolo dire correttamente, ma ha preferito parlare di iniquità e di peccati, poiché anche in quell’unica colpa, che ha raggiunto tutti gli uomini e che è talmente grave da determinare la trasformazione della natura umana, piegandola alla necessità della morte, si riscontrano, come sopra ho esposto, numerosi peccati; anche quelli dei genitori, fra l’altro, che non possono trasformare a tal punto la natura, vincolano pur sempre i figli con l’ipoteca della colpa, se non interviene la gratuità della grazia e la divina misericordia.

Come intendere la trasmissione dei peccati fino alla terza e alla quarta generazione.

13. 47. Quanto poi ai peccati degli altri progenitori, che costituiscono per ciascuno la linea di successione da Adamo fino al proprio padre, non è infondato porsi delle domande: colui che nasce risulta coinvolto nelle cattive azioni di tutti e nelle colpe originali che si sono moltiplicate, al punto che peggiora sempre la condizione di chi nasce piú tardi? Oppure Dio minaccia di far gravare sui discendenti i peccati dei progenitori fino alla terza e alla quarta generazione 103, non estendendo ulteriormente la sua collera alle colpe degli ascendenti secondo la misura della sua compassione? Questo per evitare che coloro, ai quali non è rimessa la grazia della rigenerazione, fossero schiacciati da un carico eccessivo nella dannazione eterna, se costretti a contrarre i peccati originali di tutti i progenitori che li hanno preceduti sin dagli inizi del genere umano e ad espiarne le pene dovute. O ancora, ad un esame e ad uno studio piú attenti delle Sacre Scritture, è possibile o impossibile giungere a conclusioni diverse su una materia del genere? Non oso affermarlo a cuor leggero.

Solo in virtù di Gesù Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, è possibile salvarsi dal peccato originale.

14. 48. In ogni caso, quell’unico peccato, commesso con tale gravità in un luogo e in una condizione di tanta felicità, che in un solo uomo originariamente e, per cosí dire, radicalmente, è stato condannato tutto quanto il genere umano, è sciolto e lavato solo dall’unico mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesú 104, il solo che poté nascere senza aver bisogno di rinascere.

Valore del battesimo di Giovanni, accettato da Cristo per umiltà.

14. 49. Non rinascevano infatti quanti ricevevano il battesimo di Giovanni, che anch’Egli ricevette; ma erano preparati dal ministero del precursore che diceva: Preparate la via al Signore 105, a quest’unico battesimo nel quale soltanto potevano rinascere. Il battesimo di Cristo, infatti, non è di acqua soltanto, come fu quello di Giovanni, ma anche di Spirito Santo 106, in modo che chiunque crede in Cristo possa essere rigenerato da quello Spirito, dal quale Cristo è stato generato senza aver bisogno di rigenerazione. Perciò quella voce del Padre, pronunziata sopra il battezzato: Io oggi ti ho generato 107, non indicò quell’unico giorno del tempo in cui fu battezzato, bensí dell’eternità che non muta, per rendere manifesto che quell’uomo apparteneva alla persona dell’Unigenito. Quando infatti il giorno non prende inizio dal termine del precedente, né finisce con il cominciare del seguente, è un oggi eterno. Dunque Egli volle essere battezzato con acqua da Giovanni 108, non perché fosse lavata qualche sua iniquità, ma perché fosse fatta valere la grande umiltà. Il battesimo non trovò quindi in Lui nulla da purificare, come la morte nulla da punire; cosí il diavolo, schiacciato e vinto dalla verità della giustizia, non dalla violenza del potere, per averlo ucciso in modo assolutamente iniquo senza che fosse colpevole d’alcun peccato, avrebbe perso grazie a lui in modo assolutamente giusto coloro che, colpevoli di peccato, egli tratteneva. Da Cristo furono quindi assunte entrambe le cose, cioè il battesimo e la morte, in vista di un piano preciso, non per una miserabile fatalità, bensí per una volontà di misericordia, perché quindi uno solo togliesse i peccati del mondo 109, cosí come uno solo introdusse il peccato nel mondo 110, cioè in tutto intero il genere umano.

La grazia di Cristo ha cancellato anche gli altri peccati, aggiuntisi a quello originale.

14. 50. Senonché quell’unico uomo introdusse il peccato nel mondo, mentre quest’unico redentore non portò via solo quell’unico peccato, ma simultaneamente tutti quelli che vi trovò aggiunti. Perciò l’Apostolo dice: Non è accaduto per il dono come per il peccato di uno solo: il giudizio provenne da un solo peccato per la condanna, la grazia invece da molte colpe per la giustificazione 111. In effetti quell’unico peccato contratto in origine, anche se solo, ci rende soggetti alla condanna, mentre la grazia giustifica da molte colpe l’uomo che, oltre all’unico peccato contratto in origine con tutti, ne ha commesse da sé anche molte altre.

Chi è nato da Adamo è mantenuto nella condanna, chi è rinato in Cristo ne è liberato.

14. 51. Prendiamo poi quel che si dice un po’ piú avanti: Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, cosí anche per la giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita 112; ciò basta ad indicare che non c’è nessuno, nato da Adamo, che non sia trattenuto nella condanna e nessuno è liberato dalla condanna, che non sia rinato in Cristo.

Il mistero universale di salvezza del battesimo nella croce di Cristo raccomandato dall’Apostolo.

14. 52. Dopo aver parlato di questa pena, introdotta da un solo uomo, e della grazia, anch’essa introdotta da un solo uomo, per quel che ritenne sufficiente in quel punto della sua lettera, egli raccomandò il grande mistero del santo battesimo nella croce di Cristo, per farci comprendere che il battesimo di Cristo non raffigura altro che la sua morte, e la morte di Cristo crocifisso nient’altro che la remissione del peccato. Come infatti la sua fu vera morte, cosí la nostra fu vera remissione dei peccati, e come la sua fu vera risurrezione, cosí la nostra fu vera giustificazione. Disse infatti: Che diremo dunque? Continueremo a restare nel peccato perché abbondi la grazia? 113 Prima infatti aveva detto: Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia 114. Perciò sollevò la questione se per conseguire l’abbondanza della grazia si dovesse restare nel peccato, rispondendo però: Giammai! E aggiungendo: Se siamo morti al peccato, come potremo vivere in esso? 115 Quindi, per mostrare che siamo morti al peccato, disse: Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesú, siamo stati battezzati nella sua morte? 116 Se dunque qui si mostra che siamo morti al peccato, poiché siamo stati battezzati nella morte di Cristo, anche i piú piccoli che sono battezzati in Cristo muoiono certamente al peccato, poiché sono battezzati nella sua morte. È stato detto infatti, senza fare alcuna eccezione, che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesú, siamo stati battezzati nella sua morte, e questo per accreditare il fatto che siamo morti al peccato. A quale peccato del resto i piú piccoli, rinascendo, possono morire, all’infuori del peccato contratto con la nascita? Perciò riguarda anche loro quanto viene detto di seguito: Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a Lui nella morte, perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per la gloria del Padre, cosí anche noi possiamo camminare in novità di vita. Se infatti siamo stati completamente uniti a Lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione: sappiamo infatti che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso insieme a Lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato e noi non fossimo piú schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è stato ormai riscattato dal peccato. Ma se noi siamo morti con Cristo, crediamo che vivremo anche insieme con Lui: sappiamo che Cristo, risuscitando dai morti, ormai non muore piú, la morte non ha piú potere su di Lui. In quanto Egli è morto al peccato, è morto una sola volta, ma in quanto vive, Egli vive per Dio. Cosí anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesú 117. Qui aveva incominciato a dare la prova che noi non dobbiamo restare nel peccato, perché abbondi la grazia, dicendo: Se siamo morti al peccato, come potremo vivere in esso? E per mostrare che noi siamo morti al peccato, aveva aggiunto: Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesú, siamo stati battezzati nella sua morte? In tal modo egli ha concluso tutto questo passo come l’aveva cominciato. Ha introdotto quindi la morte di Cristo, per poter dire che anch’egli morí al peccato: a quale peccato, se non alla carne, nella quale era non certo il peccato, ma qualcosa che gli assomigliava e che perciò prese il nome di peccato? Disse quindi a coloro che erano stati battezzati nella morte di Cristo (non i soli adulti, ma anche i piú piccoli): Cosí anche voi (che siete come Cristo) consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesú.

La morte, risurrezione e ascensione al cielo di Cristo figura della vita cristiana sulla terra.

14. 53. Dunque tutto quel che è accaduto sulla croce di Cristo, nella sepoltura, il terzo giorno nella risurrezione, nell’ascensione al cielo e nel sedersi alla destra del Padre, è accaduto in modo che a queste realtà, non simbolicamente solo a parole, ma anche con i fatti possa conformarsi la vita cristiana che in esse si realizza. È a motivo della sua croce che infatti è stato detto: Quelli che sono di Gesú Cristo, hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e concupiscenze 118; a motivo della sepoltura: Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a Cristo nella morte 119; a motivo della risurrezione: Come Cristo fu risuscitato dai morti per la gloria del Padre, cosí anche noi possiamo camminare in novità di vita 120; a motivo dell’ascensione al cielo e del suo sedersi alla destra del Padre: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassú, dove Cristo siede alla destra del Padre; gustate le cose di lassú, non quelle che sono sopra la terra: voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta insieme con Cristo in Dio 121.

La fede in Cristo che verrà dal cielo a giudicare i vivi e i morti non riguarda questa vita.

14. 54. Quel che poi confessiamo riguardo a Cristo come evento futuro, che cioè verrà dal cielo a giudicare i vivi e i morti, non riguarda la nostra vita che conduciamo quaggiú, poiché non si tratta di ciò che Egli ha già compiuto, ma di quanto si dovrà compiere alla fine dei tempi. È a questo riguardo che l’Apostolo, proseguendo, ha aggiunto: Quando si manifesterà Cristo, vostra vita, allora anche voi vi manifesterete insieme a Lui nella gloria 122.

Due interpretazioni del giudizio finale.

14. 55. In due modi si può intendere il fatto che Egli giudicherà i vivi e i morti: o possiamo intendere come vivi coloro che qui non sono ancora morti e che all’atto della sua venuta saranno trovati ancora fisicamente vivi, e come morti coloro che, prima della sua venuta, hanno abbandonato il proprio corpo o stanno sul punto di abbandonarlo; oppure come vivi i giusti e come morti gli ingiusti, poiché anche i giusti saranno giudicati. In qualche caso infatti il giudizio di Dio viene evocato in senso negativo, donde l’espressione: Quanti hanno operato il male, andranno alla risurrezione del giudizio123; in qualche altro caso anche in senso buono, secondo quanto è stato detto: Dio, per il tuo nome salvami, e nella tua potenza giudicam 124. È attraverso il giudizio di Dio che vengono discriminati i buoni dai cattivi, in modo che i buoni, che debbono essere liberati dal male e non perduti con i cattivi, vengano separati alla sua destra125. Di qui il grido del Salmo: Giudicami, o Dio; e come per esplicitare meglio: Distingui la mia causa dalla gente non santa 126.

La fede nello Spirito Santo, al quale la Chiesa è congiunta come a Dio il suo tempio.

15. 56. Dopo aver parlato di Gesú Cristo, unico Figlio di Dio, Signore nostro, restando nei limiti di questa confessione, aggiungiamo di credere, come sai, anche nello Spirito Santo, in modo che risulti compiuta la Trinità che è Dio. Viene quindi ricordata la santa Chiesa; essa ci offre la possibilità di comprendere che la creatura razionale, appartenente alla Gerusalemme libera 127, doveva essere collocata in subordine, dopo la menzione del Creatore, cioè di quella somma Trinità. Infatti tutto quel che è stato detto di Cristo uomo riguarda l’unità personale dell’Unigenito. L’ordine corretto di questa confessione reclamava pertanto che alla Trinità fosse congiunta la Chiesa, come all’abitante la sua casa, a Dio il suo tempio, al fondatore la sua città. E la Chiesa dev’essere intesa nella sua totalità, non solo nella parte che è pellegrina sulla terra e loda il nome del Signore dal sorgere del sole al suo tramonto 128, cantando un canto nuovo129 dopo la schiavitú antica, ma anche quella che è eternamente in comunione nei cieli con chi l’ha fondata, né ha mai sperimentato il male di una sua caduta. Essa persiste beata fra i santi Angeli e reca il soccorso necessario alla parte di sé che è ancora pellegrina, poiché entrambe saranno unite in una comunità eterna, mentre ora lo sono nel vincolo della carità, essendo stata tutta istituita per adorare l’unico Dio. Perciò né la Chiesa tutta intera, né una sua parte vuole essere adorata al posto di Dio, né essere Dio per chiunque appartenga al tempio di Dio, costituito di quegli dèi creati dal Dio increato130. Per questo, se lo Spirito Santo fosse creatura, anziché creatore, sarebbe senz’altro creatura razionale (è questa infatti la creatura somma); in base al principio di fede, perciò, non sarebbe anteposto alla Chiesa, appartenendo anch’egli ad essa in quella sua parte che è nei cieli, né avrebbe un tempio, essendo un tempio egli stesso. Invece un tempio lo ha e l’Apostolo ne parla: Non sapete che i vostri corpi sono tempio in voi dello Spirito Santo che avete da Dio? 131 E altrove: Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? 132 Come dunque può non essere Dio, se ha un tempio, o essere inferiore a Cristo, se ha le sue membra come tempio? Né il suo tempio è altro rispetto al tempio di Dio, dal momento che l’Apostolo li identifica: Non sapete che siete tempio di Dio? E per provarlo, ha aggiunto: E che lo Spirito Santo abita in voi? 133 Dio quindi abita nel suo tempio, non solo lo Spirito Santo, ma pure il Padre e il Figlio, il quale, anche a proposito del proprio corpo, in virtú del quale è diventato il capo della Chiesa che è in mezzo agli uomini, per ottenere Egli stesso il primato su tutte le cose 134, ha detto: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere 135. Infatti il tempio di Dio, cioè di tutta intera la somma Trinità, è la santa Chiesa, che è universale in cielo e sulla terra.

La Chiesa celeste senza macchia.

15. 57. Quanto alla Chiesa che è in cielo, poi, non possiamo affermare se non che là nessuno è cattivo e che inoltre nessuno ne è caduto o cadrà, da quando Dio non risparmiò gli angeli peccatori, come scrive l’apostolo Pietro, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno, serbandoli per il giudizio di punizione 136.

Come intendere le differenze tra gli angeli buoni e considerare la natura degli astri.

15. 58. Ma qual è la struttura di quella società totalmente beata e superiore? Come vi si configurano le differenze di grado? Anche se tutti vengono definiti Angeli, secondo una certa denominazione generale, cosí come leggiamo nella Lettera agli Ebrei: A quale degli angeli poi ha detto: Siedi alla mia destra? 137 (significando che tutti indistintamente sono chiamati Angeli), nondimeno vi sono degli Arcangeli. E i medesimi Arcangeli sono definiti Virtú? Infatti usando l’espressione: Lodatelo, voi tutti, suoi Angeli; lodatelo, voi tutte sue virtú 138, è come dire: "Lodatelo, Angeli tutti; lodatelo Arcangeli tutti". E come si differenziano quei quattro titoli, con i quali l’Apostolo sembra aver abbracciato tutta quanta la società celeste, quando ha detto: E Troni, e Dominazioni, e Principati, e Potestà 139? Rispondano a queste domande quanti vi riescono, purché siano in grado di provare le loro affermazioni: quanto a me, confesso la mia ignoranza. Io non so nemmeno con certezza se rientrino in quella società il sole e la luna e tutte le stelle, benché ad alcuni sembrino corpi luminosi, ma privi di sensibilità e intelligenza.

Il difficilissimo problema relativo al corpo degli angeli.

15. 59. Chi potrà spiegare parimenti con quali corpi gli angeli siano apparsi agli uomini, in modo da risultare non solo visibili, ma anche tangibili ? D’altra parte non è grazie ad una massa corporea, ma ad un potere spirituale che possono presentare alcune visioni agli occhi non materiali, bensí spirituali, o alle menti, o dire qualcosa non all’orecchio esteriore, ma nell’interiorità dell’animo umano, dove anch’essi sono attestati; sta scritto infatti nel libro dei Profeti: L’angelo che parlava in me mi disse 140 (e non: Che parlava a me, bensí: In me); oppure apparire durante il sonno, parlando come in sogno; ne abbiamo una prova nel Vangelo, dove si dice: Ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse 141. Questi modi sembrano indicarci che gli angeli non hanno corpi palpabili, suscitando la questione estremamente difficile circa il modo in cui i patriarchi abbiano potuto lavare loro i piedi 142, e Giacobbe abbia potuto combattere con l’angelo, lottando in modo cosí duro 143. Sollevando tali domande e avanzando ciascuno come può delle supposizioni, si compie un esercizio non inutile dell’intelligenza, purché si resti nell’ambito di una discussione misurata e ci si guardi dall’errore di quanti suppongono di sapere quel che non sanno. Riguardo a questioni come queste, o simili a queste, che importanza ha giungere ad affermazioni o a negazioni o a definizioni discriminanti, quando non è colpevole il non sapere ?

L’importanza di discernere, per grazia di Dio, i travestimenti di satana.

16. 60. È piú importante saper riconoscere in modo oculato quando Satana si maschera da angelo di luce 144, per non lasciarci ingannare ed attrarre in qualche pericolo fatale. Quando inganna i sensi corporei, infatti, ma non riesce a smuovere la mente da un pensiero vero e retto, in base al quale il credente conduce la propria vita, non c’è alcun pericolo per la religione; come pure quando, fingendosi buono, compie o dice cose convenienti agli angeli buoni, anche se viene ritenuto buono, non si tratta di un errore rovinoso o contagioso per la fede cristiana. Quando però, attraverso queste azioni ostili, egli comincia a trascinare dalla sua parte, allora il riconoscerlo e il non andargli dietro è un atto di grande e indispensabile accortezza. Ma quanti sono gli uomini capaci di sfuggire a tutti i suoi tragici tranelli, senza la guida e la protezione divina? Questa stessa difficoltà torna utile, perché nessuno riponga la propria speranza in se stesso o comunque in un altro uomo, ma la ripongano in Dio tutti i suoi fedeli: nessuna persona religiosa può mettere in dubbio che è questa la cosa piú conveniente per noi.

La piena manifestazione della Chiesa celeste e il senso in cui Cristo è morto anche per gli angeli.

16. 61. Tale Chiesa quindi, composta di santi Angeli e di Virtú di Dio, ci si manifesterà realmente quando sarà compiuta la nostra unione finale ad essa, nel possesso comune della beatitudine eterna. Ci è piú nota, invece, questa Chiesa distante da quella nel suo pellegrinare sulla terra, poiché ne siamo parte, in quanto è fatta di uomini come noi. In virtú del sangue del mediatore, che non aveva alcun peccato, essa è stata redenta da ogni peccato e parla cosí: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi 145. Cristo infatti non è morto per gli Angeli. Nondimeno è anche per gli Angeli la redenzione e liberazione degli uomini dal male, resa possibile per mezzo della sua morte, in quanto in un certo senso li fa tornare in grazia con loro, dopo le ostilità tra gli uomini e i santi Angeli generate dal peccato, e la redenzione stessa degli uomini è motivo di riparazione dei guasti prodotti da quella caduta degli Angeli.

Gli Angeli santi conoscono da Dio il numero degli uomini che integreranno la città celeste.

16. 62. Effettivamente gli Angeli santi, istruiti da Dio e beati nella contemplazione della sua eterna verità, conoscono il numero supplementare che quella città si aspetta da parte del genere umano per essere completa. Perciò l’Apostolo ha parlato del disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra 146. Ebbene, quelle del cielo sono ricapitolate quando viene reintegrata dagli uomini quella parte che negli angeli era venuta meno, mentre sono ricapitolate quelle che sono sulla terra quando gli stessi uomini, predestinati alla vita eterna, sono rigenerati dal loro antico stato di corruzione. Cosí, in virtú di quello speciale sacrificio costituito dall’immolazione del Mediatore, l’unico sacrificio raffigurato da numerose vittime sotto la Legge, le cose del cielo si sono rappacificate con quelle della terra, e le cose della terra con quelle cielo, come ha detto ancora l’Apostolo: Piacque a Dio far abitare in Lui ogni pienezza e per mezzo di Lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce le cose che sono sulla terra e quelle nei cieli 147.

Come intendere la pace di Dio che sorpassa ogni intelligenza e che condivideremo con gli angeli.

16. 63. Questa pace, sta scritto, sorpassa ogni intelligenza 148 e noi non possiamo conoscerla che quando l’avremo raggiunta. E come possono rappacificarsi le cose del cielo se non con noi, cioè ritrovando la concordia con noi? Lassú infatti la pace c’è sempre in tutte le creature spirituali, tra loro e con il loro Creatore. Si tratta di una pace, come è stato detto, che sorpassa ogni intelligenza, beninteso la nostra, non di quanti vedono sempre il volto del Padre 149. Noi invece, per quanto grande possa essere in noi stessi l’intelligenza umana, abbiamo una conoscenza imperfetta ed ora vediamo attraverso uno specchio, indirettamente 150. Quando poi saremo uguali agli Angeli di Dio 151, allora come loro vedremo faccia a faccia e potremo essere in pace con loro proprio come anch’essi lo sono con noi, poiché saremo in condizione di amarli con lo stesso amore che essi nutrono per noi. La loro pace pertanto ci sarà nota, in quanto anche la nostra sarà della stessa natura ed entità, né sorpasserà piú la nostra intelligenza, mentre la pace di Dio che lassú ricadrà su di noi sorpasserà indubbiamente la nostra e la loro intelligenza. È Lui infatti la fonte della beatitudine di ogni creatura razionale che è beata, non viceversa. Si può cosí intendere meglio quanto è stato scritto: La pace di Dio sorpassa ogni intelligenza; dicendo ogni intelligenza, non si può eccettuare nemmeno la stessa intelligenza dei santi Angeli; unicamente quella divina invece fa eccezione: la sua pace infatti non sorpassa la sua intelligenza.

Con la remissione dei peccati, necessaria anche per i battezzati, gli angeli sono in concordia con noi.

17. 64. Comunque gli Angeli sono in concordia con noi anche adesso, quando sono rimessi i nostri peccati. È questa la ragione per cui, dopo la menzione della santa Chiesa, segue, nell’ordine della nostra confessione, la remissione dei peccati. È questa infatti che fa sussistere la Chiesa sulla terra e non lascia perdere chi era perduto ed è stato ritrovato 152. In effetti, a prescindere dal dono del battesimo, che ci è stato dato contro il peccato originale, in modo che quanto è stato contratto con la generazione venga detratto con la rigenerazione – e nondimeno è in grado di togliere anche tutti i peccati attuali che ha trovato in noi, commessi in pensieri, parole ed opere –; a prescindere dunque da questo grande atto di condono, da cui prende origine il rinnovamento dell’uomo che libera da ogni colpa, innata e acquisita, non si può condurre il resto della vita, quando si è ormai nell’uso di ragione, per quanto sia fecondo il potere della giustizia, senza la remissione dei peccati; la ragione è che i figli di Dio, finché dura la loro vita mortale, sono in conflitto con la morte. Ed anche se è veritiero quanto di loro è stato detto: Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio 153, tuttavia è lo Spirito di Dio che li sollecita e il loro cammino verso Dio in quanto figli suoi è tale che, in quanto figli dell’uomo, possono abbassarsi per alcuni impulsi umani verso se stessi anche nel loro spirito, soprattutto perché appesantito dal corpo corruttibile 154, e peccare. Naturalmente l’entità del peccato è importante: se è vero infatti che ogni delitto è peccato, non per questo ogni peccato è anche un delitto. Per questo diciamo che la vita di santi uomini, finché si trova in questa condizione mortale, può esser trovata senza delitto, mentre se diciamo di essere senza peccato, afferma un Apostolo cosí grande, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi 155.

La penitenza nella Chiesa cattolica.

17. 65. Comunque per quel che riguarda la remissione degli stessi delitti, per quanto gravi, nell’ambito della santa Chiesa, chi fa una penitenza adeguata al proprio peccato non deve disperare della misericordia. In tale opera di penitenza comunque, qualora sia stato commesso un peccato che abbia separato il suo autore persino dal corpo di Cristo, si deve considerare non tanto la dimensione della durata, quanto del dolore; Dio infatti non disprezza un cuore contrito ed umiliato 156. Ma poiché, generalmente parlando, il dolore che uno prova nel proprio cuore rimane nascosto al cuore di un altro, né giunge a conoscenza di altri attraverso le parole o altro genere di segni, mentre esso si manifesta a colui al quale si dice: Il mio gemito a te non è nascosto 157, quanti presiedono le Chiese hanno fatto bene a stabilire dei tempi di penitenza, che rappresentino un’espiazione anche dinanzi alla Chiesa, nella quale quei peccati vengono rimessi. Al di fuori di essa senza dubbio non vengono rimessi : essa stessa infatti ha ricevuto, propriamente parlando, come caparra lo Spirito Santo 158, senza il quale non vengono rimessi peccati, in modo che coloro ai quali vengono rimessi conseguano la vita eterna.

La remissione dei peccati in vista del giudizio futuro e la condizione dei bambini battezzati.

17. 66. È soprattutto in vista del giudizio futuro che avviene la remissione dei peccati in questa vita. Fino a tal punto quanto è stato scritto: Un giogo pesante grava sui figli di Adamo, dal giorno della loro nascita dal grembo materno fino al giorno della loro sepoltura nella madre comune 159 serve a farci vedere che anche i piccoli, dopo il lavacro di rigenerazione, sono afflitti e tormentati da vari mali, e a farci comprendere che tutta l’efficacia salvifica dei sacramenti è rivolta alla speranza dei beni futuri, piú che alla conservazione o all’acquisto di quelli presenti. Sembra che anche in questa vita molti peccati siano perdonati, senza esser puniti con alcun castigo; in realtà le loro pene sono rinviate in futuro – del resto non invano si parla propriamente di giorno del giudizio per indicare quando verrà il giudice dei vivi e dei morti –. Come pure, al contrario, quaggiú sono puniti alcuni peccati che, tuttavia, se rimessi, nel mondo futuro non arrecheranno certamente alcun danno. A proposito di talune pene temporali, inflitte in questa vita ai peccatori, l’Apostolo, rivolgendosi a quanti vedono distrutti i propri peccati, perché non siano conservati fino alla fine, ha detto: Se noi giudicassimo noi stessi, non saremmo giudicati dal Signore; ma, in quanto siamo giudicati, siamo ammoniti dal Signore, per non essere condannati insieme con questo mondo 160.

La presunzione di salvarsi nei cristiani che persistono nel peccato.

18. 67. Taluni poi credono che riusciranno a salvarsi, pur attraversando il fuoco, anche quanti non abbandonano il nome di Cristo, ricevono il lavacro del suo battesimo nella Chiesa, non se ne separano per qualche scisma o eresia, pur vivendo fra delitti tali, che nessuna penitenza ripara, né alcuna elemosina riscatta, perseverando anzi in essi con massima ostinazione fino all’ultimo giorno di questa vita; e questo anche ammettendo, in rapporto all’entità dei misfatti e dei vizi, una punizione con un fuoco durevole, ma non eterno. Eppure quanti la pensano cosí mi sembra che s’ingannino, pur essendo cattolici, per una certa umana benevolenza: interpellando la divina Scrittura infatti, si ha una risposta diversa. Sulla questione comunque ho scritto un libro intitolato La fede e le opere, dove, basandomi sulle Sacre Scritture, con l’aiuto di Dio ho cercato, nei limiti del possibile, di mostrare che la salvezza dipende da quella fede, indicata dall’apostolo Paolo in modo sufficientemente chiaro con le parole: In Cristo Gesú infatti non è la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità 161. Se poi, anziché operare bene, essa opera male, non c’è dubbio, come afferma l’apostolo Giacomo, che è morta in se stessa162; egli infatti aggiunge: Se qualcuno dice di avere la fede, ma non ha le opere, quella fede forse potrà salvarlo? 163 Se poi un uomo scellerato attraversando il fuoco si salverà per la sola fede, intendendo cosí le parole del beato Paolo: Tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco 164, allora la fede potrà salvare senza le opere e sarà falso quanto ha detto Giacomo, Apostolo come lui. Sarà falso allora anche ciò che lo stesso Paolo ha detto: Non ingannatevi: né impuri, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né accaparratori possederanno il regno di Dio 165. Se infatti costoro, perseverando in tali delitti, tuttavia si salveranno in virtú della fede in Cristo, come potranno non essere nel regno di Dio?

Che cosa pensare di chi edifica sopra il fondamento e si salva attraverso il fuoco.

18. 68. Ma poiché queste testimonianze apostoliche, assolutamente esplicite ed evidenti, non possono essere false, tutto quel che è stato detto in modo oscuro a proposito di quanti edificano sopra il fondamento che è Cristo non con oro, argento e pietre preziose, ma con legno, fieno e paglia 166 (di essi è stato detto che attraversando il fuoco si salveranno, poiché sarà il valore del fondamento a non farli perire), si deve intendere in modo da non contraddire questi testi cosí espliciti. Ora legno e fieno e paglia possono essere intesi in modo non arbitrario come una forma di passione per le cose del mondo, per quanto lecitamente accordate, tale che riesce impossibile perderle senza che l’anima ne provi dolore. Quando perciò è un dolore di questo genere che brucia, se Cristo occupa nel cuore il posto di un fondamento, in modo che, in altri termini, niente gli venga anteposto e l’uomo, bruciato da tale dolore, preferisca privarsi di queste cose tanto amate piuttosto che di Cristo, allora egli, attraversando il fuoco, si salva. Se al contrario, nel tempo della tentazione, ha preferito il possesso di queste realtà temporali e mondane a Cristo, allora non lo ha avuto come fondamento, mantenendo quelle cose al primo posto, mentre in un edificio niente precede le fondamenta. Il fuoco di cui in quel passo ha parlato l’Apostolo si deve intendere come ciò attraverso cui passano entrambi, cioè chi costruisce sopra questo fondamento con oro, argento, pietre preziose e chi con legno, fieno, paglia. E dopo aver detto questo, egli ha aggiunto: Il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera costruita da qualcuno resisterà, costui ne avrà la ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, egli ne subirà le conseguenze: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco 167. Dunque il fuoco proverà l’opera di entrambi, non di uno dei due soltanto. La prova della tribolazione è una specie di fuoco e altrove se ne parla esplicitamente: La fornace saggia gli oggetti del vasaio e la prova della tribolazione gli uomini giusti 168. Quel fuoco realizza temporaneamente in questa vita quel che l’Apostolo ha detto a proposito di due credenti, uno dei quali pensa alle cose di Dio, come possa piacere a Dio, edifica cioè sopra il fondamento che è Cristo con oro, argento, pietre preziose, mentre l’altro pensa alle cose del mondo, come possa piacere alla moglie 169, cioè edifica sopra il medesimo fondamento con legno, fieno, paglia. L’opera dell’uno non finisce bruciata, poiché non ha amato cose la cui perdita potrebbe tormentarlo. Finisce bruciata invece l’opera dell’altro, poiché non è indolore la perdita delle cose possedute con amore; eppure visto che costui, posto dinanzi all’alternativa, preferirebbe privarsi di quelle cose piuttosto che di Cristo e che il timore di perderle non gli fa abbandonare Cristo, benché la perdita non sia indolore, questi senz’altro si salva, però come attraverso il fuoco, perché il dolore delle cose perdute e che aveva amato lo brucia, senza però atterrarlo e distruggerlo, difeso com’è dalla solidità incorruttibile del fondamento.

Il fuoco che purifica dopo questa vita quanti si salvano.

18. 69. Che qualcosa del genere avvenga anche dopo questa vita non è incredibile, e ci si può domandare se le cose stiano in questi termini, e se è possibile o meno scoprire che alcuni credenti, attraverso un fuoco purificatore, si salvino in un tempo piú o meno lungo, a seconda che il loro amore per i beni effimeri sia stato piú o meno grande; tuttavia non saranno come coloro che non possederanno il regno di Dio 170, se dopo un’adeguata penitenza non vengono loro rimessi i medesimi crimini. Ho parlato di una penitenza adeguata, perché non siano infruttuosi nelle loro elemosine, alle quali la Scrittura divina ha attribuito tanta importanza, che il Signore proclama di ascrivere unicamente il loro frutto a chi sederà alla sua destra e unicamente la loro sterilità a chi sederà alla sua sinistra, quando agli uni dirà: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno 171, mentre agli altri: Andate nel fuoco eterno 172.

L’elemosina non basta a cancellare delitti inauditi nei quali si persevera.

19. 70. Certo, bisogna guardarsi bene dal pensare che delitti inauditi, quali sono commessi da coloro che non possederanno il regno di Dio, siano eseguibili ogni giorno ed ogni giorno riparabili con elemosine. In realtà la vita deve cambiare in meglio e Dio, riguardo ai peccati commessi, attraverso le elemosine dev’esser reso propizio, non quasi comprato per acquisire una perenne licenza d’impunità. Egli infatti non ha dato a nessuno il permesso di peccare173, benché nella sua misericordia cancelli i peccati già commessi, se non viene trascurata una conveniente riparazione.

La preghiera del Padre nostro cancella i peccati quotidiani e le colpe gravi passate.

19. 71. Quanto poi ai peccati fugaci e lievi di ogni giorno, immancabili nello svolgersi di questa vita, è la preghiera quotidiana dei credenti che li ripara. Dicono infatti: Padre nostro, che sei nei cieli 174, quelli che sono stati già rigenerati da un tale Padre in virtú dell’acqua e dello Spirito Santo 175. Questa preghiera infatti cancella assolutamente i peccati piú piccoli di ogni giorno. Cancella anche quelli che hanno guidato, in modo addirittura scellerato, la vita dei credenti, dai quali però il pentimento l’ha fatta allontanare, mutando in meglio, purché, come è vero dire: Rimetti a noi i nostri debiti (dal momento che non mancano debiti da rimettere), si dica in modo altrettanto vero: Come noi li rimettiamo ai nostri debitori 176, cioè si realizzi quel che si dice: perdonare a chi implora indulgenza è infatti in se stessa una forma di elemosina.

Sono molti i generi di elemosina.

19. 72. E per tutte le opere che traggono profitto dalla misericordia hanno valore le parole del Signore: Fate elemosina ed ecco, tutto per voi è puro 177. Fa elemosina dunque non soltanto chi dà da mangiare all’affamato, dà da bere all’assetato, chi veste l’ignudo, chi accoglie il pellegrino, chi nasconde il fuggitivo, chi visita l’infermo o il carcerato, chi riscatta il prigioniero, chi corregge il debole, chi accompagna il cieco, chi consola l’afflitto, chi cura l’ammalato, chi orienta l’errante, chi consiglia il dubbioso, chi dà il necessario a chiunque ne abbia bisogno, ma anche chi è indulgente con il peccatore. E cosí se uno frusta colui sul quale ha autorità o gli impone un qualche freno, pur perdonandogli di cuore il peccato da cui ha ricevuto un danno o un’offesa, o pregando perché gli venga rimesso, costui fa elemosina, poiché accorda misericordia, non solo nell’atto di perdonare e di pregare, ma anche nell’atto di limitarlo e di infliggergli un qualche castigo correttivo. Sono molti in realtà i beni accordati ad alcuni, loro malgrado, quando si guarda al loro profitto, anziché al loro volere, poiché costoro si scoprono nemici di se stessi, mentre loro amici sono piuttosto quelli che essi ritengono nemici e cosí sbagliando rendono il male per il bene, mentre il cristiano non dovrebbe rendere il male nemmeno per il male 178. Insomma ci sono molti generi di elemosina che ci aiutano, quando li realizziamo, ad ottenere la remissione dei nostri peccati.

L’elemosina più grande è il perdono.

19. 73. Tuttavia non c’è elemosina piú grande di quando perdoniamo di cuore un peccato commesso contro di noi. È meno grande, in effetti, la benevolenza o anche la beneficenza quando si manifesta nei confronti di chi non ti ha fatto nulla di male, mentre è di gran lunga piú grande, e segno della bontà piú sublime, l’amore anche verso il tuo nemico, e a chi ti vuole male, e ti fa del male se gli è possibile, volere sempre bene e fare, se possibile, del bene, ascoltando la parola di Gesú: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per quelli che vi perseguitano 179. Ma indubbiamente ciò appartiene alla perfezione dei figli di Dio, alla quale ogni credente deve protendersi, orientando verso questa disposizione lo spirito umano attraverso la preghiera rivolta a Dio e attraverso l’azione e lo sforzo personale; tuttavia, dal momento che un bene cosí grande non è accessibile a tutte le persone che noi crediamo esaudite, quando nella preghiera si dice: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori 180, evidentemente l’impegno assunto con queste parole viene soddisfatto quando chi non è arrivato sino al punto da amare il proprio nemico, almeno perdona di cuore l’uomo che ha peccato contro di lui e che lo implora di esser perdonato. Non c’è dubbio infatti che anch’egli vuole ottenere la remissione che implora, quando prega dicendo: Come noi li rimettiamo ai nostri debitori, cioè: " Rimetti i nostri debiti a noi che imploriamo, cosí come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori che ci implorano ".

Dio non rimette i peccati a quanti a loro volta non li rimettono di cuore agli altri.

19. 74. In realtà, chi implora l’uomo contro il quale ha peccato, se è spinto a ciò dal proprio peccato, non si deve piú ritenere un nemico: di conseguenza amarlo non è difficile, come quando egli alimentava l’inimicizia. Perciò chi non perdona di cuore nemmeno la persona che lo implora e si pente del proprio peccato, non s’illuda minimamente che il Signore perdoni i suoi peccati: la verità non può mentire. Può forse essere sconosciuto a chiunque ascolti o legga il Vangelo colui che ha detto: Io sono la verità 181? Dopo averci insegnato la preghiera, Egli ci raccomandò vivamente un pensiero contenuto in essa: Se voi avrete rimesso agli uomini i loro peccati, anche il vostro Padre celeste vi rimetterà i vostri peccati; se invece non avrete rimesso agli uomini, nemmeno il vostro Padre rimetterà i vostri peccati 182. Chi non si scuote dinanzi ad un tuono cosí grande, non dorme, ma è morto: eppure Egli ha il potere di risuscitare anche i morti.

La vita scellerata di quanti disattendono l’invito del Signore a fare elemosina.

20. 75. Certo, quanti conducono una vita scelleratissima e non si preoccupano di correggere tale condotta di vita con i suoi costumi, pur continuando a fare costantemente elemosine insieme ai propri misfatti viziosi, si lusingano invano, dal momento che il Signore ha detto: Fate elemosina ed ecco, tutto per voi è puro; non ne comprendono infatti la portata. Per comprenderlo, facciano attenzione ai destinatari di quelle parole. Effettivamente nel Vangelo è stato scritto cosí: Dopo che ebbe parlato, un fariseo lo invitò a pranzo ed Egli, entrato, si mise a tavola. Il fariseo allora cominciò a chiedersi tra sé e sé perché mai non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. E il Signore gli disse: Ebbene, voi farisei purificate l’esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità. Stolti, chi ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Piuttosto fate elemosina quanto al resto, ed ecco, tutto per voi è puro 183. Sarà mai possibile intendere che tutto è puro per i farisei che non hanno fede in Cristo, anche se non avranno creduto in Lui e non saranno rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo, purché abbiano fatto elemosine, come essi le concepiscono? E ciò benché siano impuri quanti non sono purificati dalla fede in Cristo, a proposito della quale è stato scritto: Purificando i loro cuori con la fede 184, e benché l’Apostolo dica: Per gli impuri e gli infedeli nulla è puro, ma sono contaminate la loro mente e la loro coscienza 185. Allora come potrebbe essere tutto puro per quei farisei, che facessero elemosine senza diventare credenti? Oppure come potrebbero essere credenti, senza aver voluto credere in Cristo e rinascere nella sua grazia? Eppure è vero quel che avevano udito: Fate elemosina ed ecco, tutto per voi è puro.

Chi vuol fare elemosina deve cominciare da se stesso, secondo l’insegnamento del Signore.

20. 76. Chi vuol fare elemosina in modo ordinato, deve in effetti cominciare da se stesso e farla prima di tutto a se stesso. L’elemosina è infatti un’opera di misericordia e sono assolutamente vere le parole: Abbi misericordia della tua anima per piacere a Dio 186. Per questo rinasciamo : per piacere a Dio, al quale giustamente dispiace la colpa che abbiamo contratto nascendo. È questa la prima elemosina che noi ci facciamo, poiché abbiamo ricercato la nostra miseria grazie alla misericordia di Dio misericordioso, confessando il suo giusto giudizio, dal quale è dipesa la nostra miseria e a proposito del quale l’Apostolo dice: Il giudizio venuto da uno solo per la nostra condanna 187, e rendendogli grazie per la sua grande carità, a proposito della quale ancora l’Apostolo, messaggero della grazia, dice: Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, pur essendo ancora peccatori, Cristo è morto per noi 188; cosí, se ci giudichiamo secondo verità nella nostra miseria e amiamo Dio con quella carità che Egli stesso ci ha donato, possiamo vivere in modo religioso e retto. Trascurando questo giudizio e quest’amore di Dio, i farisei offrivano, è vero, attraverso le elemosine che facevano, la decima, fino alle minuzie dei loro raccolti, eppure non facevano elemosine a partire da se stessi, praticando innanzi tutto la misericordia con se stessi. È questo invece l’ordine della carità per il quale è stato detto: Amerai il prossimo tuo come te stesso 189. Dopo averli quindi rimproverati perché si lavavano all’esterno, mentre interiormente erano pieni di rapina e di iniquità, avvertendo che l’elemosina che purifica interiormente è quella che ogni uomo deve anzitutto fare a se stesso, il Signore afferma: Piuttosto fate elemosina quanto al resto, ed ecco, tutto per voi è puro. Quindi, per rendere esplicito tale avvertimento e ciò che essi non si preoccupavano di compiere, perché non pensassero che Egli ignorava le loro elemosine, disse: Guai a voi, farisei! In altri termini: vi ho messo in guardia sull’elemosina che dovete fare in virtú della quale tutto per voi sarà puro: ma guai a voi, o farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio; conosco bene infatti queste vostre elemosine e, perché non pensiate che il mio avvertimento riguardi ora quelle cose, aggiungo: E trasgredite la giustizia e l’amore di Dio 190, cioè l’elemosina che vi purificherebbe da ogni contaminazione interiore, rendendo puri per voi anche i corpi che lavate. Dicendo: tutto, si intende ovviamente l’interiore e l’esteriore, come si legge in un altro passo: Purificate l’interno e l’esterno sarà puro 191. Ma per non dare l’impressione di aver disprezzato quelle elemosine che provengono dai frutti della terra, ha detto: Queste cose bisognava curare (cioè il giudizio e l’amore di Dio) senza trascurare le altre 192 (cioè le elemosine dei frutti della terra).

L’illusione di chi crede di comprare con le elemosine l’impunità.

20. 77. Non s’ingannino dunque quanti pensano di comprare con le piú generose elemosine dei propri raccolti o anche del proprio denaro la licenza di persistere impunemente nell’efferatezza dei misfatti e nella dissolutezza dei vizi. Costoro infatti non si limitano solo a commetterli, ma li amano al punto da desiderare di restarvi implicati per sempre, purché sia possibile farlo impunemente. Però chi ama l’iniquità odia l’anima sua 193, e chi odia l’anima sua non è misericordioso verso di essa, ma crudele. Amarla secondo il mondo è certamente odiarla secondo Dio. Volendo dunque farle l’elemosina che rende per lei tutto puro, dovrebbe odiarla secondo il mondo e amarla secondo Dio. Nessuno infatti fa una qualsiasi elemosina senza ricevere qualcosa a cui attingere da chi a sua volta non ne ha bisogno. Per questo è stato detto: La sua misericordia mi precederà 194.

Differenza fra peccati lievi e peccati gravi e necessità della preghiera.

21. 78. La differenza fra peccati lievi e peccati gravi va comunque ponderata sulla base del giudizio divino, non di quello umano. Noi vediamo che anche dagli stessi Apostoli è stato concesso di perdonare alcune azioni, come quando il venerabile Paolo ha detto agli sposi: Non defraudatevi l’un l’altro, se non temporaneamente di comune accordo, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché Satana non vi tenti a causa della vostra intemperanza195. Si potrebbe pensare che questo non sia peccato, cioè l’unione coniugale finalizzata non alla procreazione, che poi è il bene delle nozze, bensí al piacere sessuale, in modo che chi ha una debole capacità di dominio possa evitare il male funesto della fornicazione, nel caso sia dell’adulterio, sia di qualsiasi altra impurità, che è vergognoso anche nominare, dove può trascinare la concupiscenza sotto la tentazione di Satana. Si potrebbe pensare, come ho detto, che ciò non sia peccato, se non avesse aggiunto: Questo però vi dico per remissione, non per comando 196. Chi potrebbe negare a questo punto che questo sia di fatto un peccato, dal momento che si ammette, sulla base di un’autorità apostolica, una remissione verso quanti lo commettono ? È analogo il caso in cui dice: Qualcuno di voi, avendo una questione con un altro, osa forse farsi giudicare dagli ingiusti anziché davanti ai santi? 197 E un po’ piú avanti: Se dunque avrete avuto dei conflitti su questioni di questo mondo, voi prendete come giudici persone prive di autorità nella Chiesa. Lo dico per vostra vergogna. Cosí non ci sarebbe tra voi proprio nessuna persona saggia che possa intervenire con un giudizio tra fratello e fratello? Invece un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello e per di piú davanti a non credenti 198. Anche qui infatti si potrebbe pensare che sia peccato non l’avere un conflitto con un altro, ma soltanto il pretendere d’esser giudicato all’infuori della Chiesa, se di seguito egli non avesse aggiunto: È di fatto chiaramente una colpa avere conflitti vicendevoli 199. Perché poi nessuno cercasse di giustificarsi, dicendo che la propria causa era giusta, ma che ciononostante egli subiva un’ingiustizia, che pretendeva fosse riparata da una sentenza dei giudici, l’Apostolo affronta immediatamente queste idee pretestuose, e dice: Perché non subite piuttosto l’ingiustizia? Perché non vi lasciate defraudare 200 ? È possibile cosí tornare alle parole del Signore: A chi vuole prenderti la tunica e chiamarti in giudizio, tu lascia anche il mantello 201. E altrove: A chi prende del tuo, non richiederlo 202. Vietò anche ai suoi di avere conflitti con altri uomini su affari temporali e su questo insegnamento l’Apostolo si basa quando parla di colpa. Tuttavia, quando permette che tali controversie siano definite tra fratelli chiamando altri fratelli a giudicare, è irremovibile nel vietare che ciò avvenga al di fuori della Chiesa: appare evidente anche qui allora che cosa viene accordato per remissione a chi è debole. A causa di questi e analoghi peccati, e di altri, anche se minori, dovuti a mancanze in parole e pensieri, stando alla testimonianza dell’apostolo Giacomo: Tutti quanti manchiamo in molte cose 203, è opportuno rivolgerci al Signore con una preghiera quotidiana e frequente, dicendo: Rimetti a noi i nostri debiti, e non mentire in quel che segue: Come noi li rimettiamo ai nostri debitori 204.

Peccati apparentemente lievissimi che la Scrittura considera gravi.

21. 79. Ci sono poi alcuni peccati che sarebbero ritenuti lievissimi, se nelle Scritture non fossero presentati come piú gravi di quanto s’immagini. Infatti chi potrebbe ritenere colpevole della Geenna colui che dice stupido a suo fratello, se non lo dicesse la Verità 205? Tuttavia il Signore ha immediatamente offerto il rimedio a questa offesa, presentando il precetto della riconciliazione fraterna; infatti ha subito detto: Se dunque presenti la tua offerta all’altare e lí ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te 206, con quel che segue. Oppure chi potrebbe valutare l’entità del peccato derivante dall’osservanza di giorni, mesi, anni e tempi, come fanno quanti intendono o non intendono cominciare qualcosa in giorni o mesi o anni stabiliti, per il fatto che ritengono i tempi piú o meno propizi secondo i vuoti insegnamenti degli uomini 207, se non misurassimo l’entità di questo peccato in base al timore dell’Apostolo, che ha detto a costoro: Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo 208?

Peccati gravi minimizzati o negati dall’abitudine.

21. 80. A ciò si aggiunge il fatto che i peccati, la cui abitudine s’è consolidata, per quanto gravi e terribili, sono ritenuti di poco conto o inesistenti, al punto che sembra doveroso non solo non tenerli nascosti, ma addirittura celebrarli o propagandarli, quando, come sta scritto, il peccatore si vanta dei desideri della sua anima e chi compie iniquità riceve benedizioni 209. Nei Libri divini, per indicare tale iniquità si parla di grida, come puoi trovare nel profeta Isaia, quando si parla della vigna cattiva: Io mi aspettavo un giudizio, mentre egli commise iniquità, e grida, anziché giustizia 210. E cosí anche nella Genesi: Le grida di Sodoma e Gomorra si sono moltiplicate 211; infatti quei vizi non soltanto non erano puniti presso di loro, ma addirittura venivano praticati alla luce del sole, come se fossero legalizzati. Allo stesso modo anche ai nostri giorni sono talmente tante, benché non uguali, le mancanze la cui abitudine è ormai apertamente consolidata, che non osiamo per esse scomunicare non solo un laico, ma nemmeno un ecclesiastico. Per questo, commentando alcuni anni fa la Lettera ai Galati, nel punto in cui l’Apostolo dice: Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo 212, sono stato indotto ad affermare: " Guai ai peccati degli uomini, che ci fanno inorridire solo se sono inconsueti; quanto a quelli consueti, invece, per rimettere i quali è stato versato il sangue del Figlio di Dio, per quanto siano tanto gravi da precludere del tutto l’accesso al regno di Dio, a forza di vederli siamo indotti a tollerarli e a forza di tollerarli addirittura a commetterne alcuni! E voglia il cielo, Signore, che almeno non commettiamo tutti quei peccati che non abbiamo potuto impedire! ". Chissà però che un cruccio eccessivo non mi abbia spinto ad un’affermazione incauta.

Ignoranza e debolezza cause di peccato.

22. 81. Dirò ora comunque cose che ho già avuto modo di dire anche in altri passi dei miei opuscoli : due sono i motivi per cui pecchiamo, o perché non vediamo che cosa si debba fare, o perché non facciamo quel che già vediamo; in un caso il male consiste nell’ignoranza, nell’altro nella debolezza. A noi tocca indubbiamente contrastare questi mali, ma ne siamo certamente sopraffatti senza l’aiuto divino, che non solo ci fa vedere che cosa si debba fare, ma, anche grazie ad un’integrità recuperata, fa in modo che l’attrazione della giustizia abbia in noi il sopravvento sull’attrazione di quelle cose che ci portano a peccare con piena avvertenza, o perché desideriamo di possederle, o perché temiamo di perderle. A questo punto siamo ormai non soltanto peccatori, come di fatto eravamo peccando per ignoranza, ma anche trasgressori della legge, dal momento che non facciamo quel che si deve fare, ovvero facciamo quel che già sappiamo che non si deve fare. Per tali motivi dobbiamo pregare non solo se abbiamo peccato, perché ci perdoni (e perciò diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori), ma anche perché la sua guida ci aiuti a non peccare (e perciò diciamo: Non indurci in tentazione 213), rivolgendoci a colui del quale nel Salmo si dice: Il Signore è mia luce e mia salvezza 214; è luce per ridurre la nostra ignoranza, salvezza per ridurre la nostra fragilità.

La misericordia divina è necessaria per respingere la vergogna che impedisce di fare penitenza.

22. 82. La stessa penitenza, del resto, pur in presenza di un degno motivo per farla secondo il costume della Chiesa, il piú delle volte non viene fatta per debolezza, poiché la vergogna è anche timore di dispiacere, mentre la considerazione degli uomini attrae piú della giustizia in base alle quale ciascuno si umilia con la penitenza. Perciò la misericordia divina è necessaria non solo nell’atto in cui si fa penitenza, ma anche perché sia possibile farla. Altrimenti l’Apostolo non direbbe di alcune persone: Se per caso Dio non conceda loro di pentirsi 215; e l’Evangelista, per preannunziare l’amaro pianto di Pietro, ha detto: Il Signore si volse a guardarlo 216.

Il peccato imperdonabile contro lo Spirito Santo.

22. 83. Chi invece non crede alla remissione dei peccati nella Chiesa, disprezza tutta la generosità del dono divino e con questa ostinazione della mente conclude il suo ultimo giorno, è colpevole di quel peccato imperdonabile contro lo Spirito Santo 217, nel quale Cristo rimette i peccati. Ho affrontato questa difficile questione in un piccolo scritto specifico, con tutta la chiarezza di cui sono stato capace.

La risurrezione della carne.

23. 84. Per quel che riguarda poi la risurrezione della carne, beninteso non come chi è tornato in vita per poi morire di nuovo, ma risurrezione per la vita eterna, cosí come è risorta la carne di Cristo stesso, non trovo un modo soddisfacente per poter giungere ad una trattazione essenziale e risolvere tutte le questioni solitamente sollevate in proposito. In ogni caso nessun cristiano deve assolutamente mettere in dubbio che è destinata alla risurrezione la carne di tutti gli uomini che sono nati e nasceranno, che sono morti e moriranno.

Il caso dei feti abortiti.

23. 85. Ci si imbatte quindi, anzitutto, nella questione relativa ai feti abortiti, evidentemente già nati nel seno materno, ma non ancora in condizione di rinascere. Affermando infatti che risorgeranno, questa tesi può essere comunque accettata riguardo a quelli che sono già formati, ma riguardo a quelli informi, come non essere piú inclini a pensare che periranno, come semi che non siano stati fecondati? Eppure chi arriverebbe a negare, pur non arrivando ad affermarlo, che la risurrezione attuerà compiutamente ogni formazione imperfetta? In tal modo non mancherebbe la perfezione destinata a sopraggiungere con il tempo, cosí come non si verificheranno i difetti che con il tempo erano sopraggiunti, e la natura non sarebbe defraudata di quella conveniente armonia che il tempo avrebbe potuto arrecare, né danneggiata da quelle avversità contrarie che il tempo aveva arrecato. Al contrario giungerà a compimento quel che era ancora incompiuto, cosí come ogni difetto sarà riparato.

Quando inizia la vita umana.

23. 86. Tra le persone piú competenti ci si può interrogare al riguardo e discutere nel modo piú circostanziato su una questione di cui ignoro se l’uomo possa venire a capo: quando cioè inizi la vita umana nell’utero e se esista una forma di vita, anche nascosta, che non manifesti ancora le attività proprie di un individuo vivente. Mi pare che ci voglia un bel coraggio, in effetti, per rifiutarsi di considerare come individui viventi quei feti che vengono estratti completamente smembrati dall’utero di donne incinte, per evitare, che rimanendovi ormai morti, finiscano per uccidere anche le madri. In realtà è da quando l’uomo comincia a vivere, che comincia già certamente a morire: una volta morto però, dovunque gli sia potuto capitare di morire, non riesco ad immaginare come costui possa essere escluso dalla risurrezione dei morti.

Il caso degli individui deformi.

23. 87. Per quel che riguarda poi gli esseri deformi che nascono e vivono, per quanto precoce possa essere la loro morte, o non si potrà negarne la risurrezione, o non si deve credere che risorgeranno in quella condizione, anziché con una natura reintegrata e risanata. Lungi da noi il pensare che quel neonato con membra doppie, nato non molto tempo fa in Oriente, di cui hanno riferito anche fratelli assolutamente degni di fede che lo hanno visto e sul quale ha lasciato uno scritto il sacerdote Girolamo di santa memoria; lungi da noi il pensare, voglio dire, che a risorgere sarà un uomo con un doppio corpo, e non piuttosto due uomini, come sarebbe dovuto avvenire, se a nascere fossero stati due gemelli. Ugualmente anche tutti gli altri parti, che, in sé considerati, sono definiti deformi in quanto venuti alla luce con qualcosa in piú o in meno, o con una qualche accentuata anomalia, con la risurrezione verranno riportati alle proporzioni della natura umana, in modo che ogni singola anima abbia il suo proprio corpo, senza piú contrarre tutto quel che aveva contratto al momento della nascita, ma dotata, ciascuna per suo conto, di proprie membra, in grado di assicurare la piena integrità del corpo umano.

Come viene reintegrato il corpo dell’uomo risorto.

23. 88. In ogni caso dinanzi a Dio non si perde la materia terrena dalla quale viene creata la carne dei mortali; al contrario, quale che sia la polvere o la cenere in cui essa si dissolva, l’esalazione o il vento in cui evapori, la sostanza di altri corpi o addirittura gli elementi in cui si trasformi, il cibo di altri esseri animati, persino umani, in cui si riduca, diventando la loro carne, in un solo istante essa torna a quell’anima umana, dalla quale in origine ebbe la vita, che fa nascere, vivere e crescere l’uomo.

L’analogia con la fusione di una statua.

23. 89. Pertanto la stessa materia terrena, che diventa cadavere con l’allontanarsi dell’anima, nella risurrezione non sarà reintegrata in modo che tutto ciò che si disgrega, assumendo via via gli aspetti e le disposizioni sempre nuove di altre realtà, pur ritornando al corpo dal quale si è disgregato, torni necessariamente alle parti originarie del corpo. Altrimenti, se nei capelli ritorna tutto ciò che i tagli frequenti avevano loro sottratto, se nelle unghie ritorna tutto ciò che è stato tante volte accorciato, ecco che questa mostruosità irragionevole e sconveniente diventa un ostacolo per quanti riflettono sul problema, impedendo loro di credere nella risurrezione della carne. È come quando una statua di metallo che si può fondere viene liquefatta con il fuoco, oppure polverizzata, o riagglomerata e un artista intende ricostruirla nelle stesse dimensioni: in tal caso per la sua integrità non conta nulla sapere a quale membro della statua venga restituita una particella materiale, purché tuttavia nella ricostruzione la statua possa recuperare tutta la materia di cui era costituita; allo stesso modo, Dio, artista che opera in modo mirabile e ineffabile, ricostituirà con mirabile e ineffabile prontezza la nostra carne con tutto ciò di cui essa era fatta. Avrà poca importanza allora per tale reintegrazione se i capelli torneranno ai capelli e le unghie alle unghie, o se quanto di essi era perduto sarà trasformato in carne e riportato ad altre parti del corpo, dal momento che ad impedire che ci sia qualcosa di sconveniente sarà la provvidenza dell’artista.

Statura e fisionomia dei corpi risorti.

23. 90. Non ne consegue nemmeno che la statura individuale dei risuscitati sarà diversa solo perché l’avevano avuta diversa da vivi, oppure che i magri ritorneranno in vita con la loro magrezza e gli obesi con la loro obesità. Ma se rientra nel progetto del Creatore che i lineamenti individuali conservino un’identità e una somiglianza ben riconoscibile, e che invece a tutti i rimanenti organi corporei sia restituita uguale integrità, la costituzione fisica di ognuno risulterà modificata in modo che nulla di essa vada perduto e ogni eventuale deficienza risulti colmata da colui che poté realizzare dal nulla tutto ciò che volle. Se poi nei corpi di coloro che risorgono si registrerà una giustificabile disuguaglianza, come avviene per le voci che sostanziano il canto, ciò riguarderà in ognuno la costituzione fisica del suo corpo, in modo da restituire anche l’uomo alle schiere degli angeli 218 senza che si presenti al loro sguardo alcunché di sconveniente. Nulla vi sarà, infatti, di indegno, poiché quel che deve essere sarà comunque degno; altrimenti non sarà affatto.

Come risorgeranno i corpi dei santi.

23. 91. I corpi dei santi risorgeranno dunque senza alcun difetto, senza alcuna deformità, senza alcuna corruzione, pesantezza o impaccio: la speditezza sarà pari alla contentezza. Per questo motivo sono pure chiamati spirituali, anche se non c’è ombra di dubbio che saranno corpi, non spiriti. Come ora il corpo viene chiamato animale 219, pur essendo un corpo e non un’anima, allo stesso modo allora il corpo sarà spirituale, pur essendo corpo e non spirito. Perciò, se ci si riferisce alla corruzione che ora appesantisce l’anima220 e alle passioni che spingono la carne ad avere desideri contrari allo spirito 221, allora non ci sarà piú carne, ma corpo, poiché si parla anche di corpi celesti 222. Per questo è stato detto: La carne e il sangue non erediteranno il regno di Dio, e, quasi per spiegare tali parole, si è aggiunto: Né ciò che è corruttibile erediterà ciò che è incorruttibile 223. Quel che prima viene detto carne e sangue, dopo viene detto corruttibile; prima si parla di regno di Dio, dopo di incorruttibile. Se invece ci si riferisce alla sostanza, anche allora ci sarà carne; per questo, dopo la risurrezione si parla di carne per indicare il corpo di Cristo 224. Ma se l’Apostolo dice: Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale 225, è perché l’armonia tra la carne e lo spirito sarà tale e lo spirito potrà vivificare la carne a sé sottomessa senza aver bisogno d’alcun sostentamento, in modo che non ci sia in noi alcun conflitto interno: non avremo avversari da affrontare né dall’esterno, né in noi stessi.

La risurrezione di quanti appartengono alla massa condannata.

23. 92. Tutti coloro, poi, che appartengono a quella massa condannata, scaturita dal primo uomo e che non sono liberati dall’unico mediatore fra Dio e gli uomini 226, risorgeranno certamente ognuno con la propria carne, ma per essere puniti insieme al diavolo e ai suoi angeli 227. Serve poi molto allora affaticarsi a ricercare se essi risorgeranno con i difetti e le deformità dei loro corpi, e con le stesse membra che sono state all’origine dei loro difetti e deformità? Non ci deve nemmeno angustiare l’incertezza circa le loro fattezze o bellezza, dal momento che la loro dannazione sarà certa e perenne. Non lasciamoci toccare dal problema riguardante la natura della incorruttibilità del loro corpo, se è vero che potrà soffrire, o della sua corruttibilità, se è vero che non potrà morire. La vita vera è solo quella vissuta felicemente e la vera incorruttibilità solo quando il benessere non è corrotto da alcun dolore. Quando invece chi è infelice non ha la possibilità di morire, è la morte stessa, per cosí dire, che non muore; quando il dolore non uccide, ma tormenta, la corruzione stessa è senza fine. Nelle Sacre Scritture in tal caso si parla di seconda morte 228.

Il peccato all’origine della prima e della seconda morte e la pena lievissima dei bambini.

23. 93. Tuttavia se nessuno avesse peccato, all’uomo non sarebbe toccata né la prima morte, che costringe l’anima ad abbandonare il proprio corpo, né la seconda, che non le consente di abbandonare il corpo che merita la sua pena. Certamente lievissima sarà la pena di quanti non hanno aggiunto nient’altro al peccato originale che hanno contratto, mentre per tutti gli altri che hanno aggiunto qualcosa, ci sarà di là una condanna tanto piú sopportabile, quanto minore quaggiù sarà stata l’iniquità.

La pena dei dannati e la consapevolezza della grazia dei santi.

24. 94. Mentre quindi gli angeli e gli uomini reprobi rimarranno in una pena eterna, i santi conosceranno in modo piú completo il bene che la grazia avrà loro conferito. Allora dalla stessa realtà delle cose risulterà ancora piú chiaro quel che è stato scritto nel Salmo: La misericordia e il giudizio io ti canterò, Signore 229, poiché nessuno è liberato se non per una misericordia non dovuta e nessuno è condannato se non per un giudizio dovuto.

Ciò che ora è nascosto sarà svelato.

24. 95. Allora non sarà piú nascosto ciò che ora è nascosto, quando fra due bambini, l’uno dovrà essere scelto per la misericordia, l’altro abbandonato per il giudizio 230, e in questo il primo potrà riconoscere quel che gli sarebbe toccato per il giudizio, se non fosse subentrata la misericordia, e perché sia stato scelto l’uno invece dell’altro, pur essendo unica la condizione di entrambi; e perché poi presso alcuni non si siano compiuti quei prodigi che, se presenti, li avrebbero posti in condizione di fare penitenza, mentre si sono compiuti fra coloro che non avrebbero creduto. Chiarissime sono infatti le parole del Signore: Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i prodigi che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza nel cilicio e nella cenere 231. E certamente Dio non è stato ingiusto, non volendo la salvezza di quanti avrebbero potuto essere salvi, se solo l’avessero voluto. Allora, nel luminosissimo fulgore della sapienza, si potrà vedere quel che ora è custodito dalla fede dei credenti, prima di averne una conoscenza esplicita: quanto sia certa, immutabile e assolutamente efficace la volontà di Dio; quante possibilità egli abbia senza volerle, mentre non v’è nulla che non voglia senza averne la possibilità; e quanto sia vero quel che si canta nel Salmo: Il nostro Dio sta in alto nei cieli, nei cieli e sulla terra Egli compí tutto ciò che volle 232. Ciò non sarebbe sicuramente vero se Egli avesse voluto qualcosa senza compierlo, e, cosa ancor piú inaccettabile, senza compierlo perché la volontà umana avrebbe impedito la realizzazione di quel che voleva l’Onnipotente. Insomma non accade nulla che non sia l’Onnipotente a volerlo, o permettendo che accade, o compiendolo Egli stesso.

Dio opera il bene anche quando permette che accada il male.

24. 96. Non c’è dubbio poi che Dio opera il bene, anche quando permette che accada tutto ciò che di male accade. È solo per un giusto giudizio che Egli lo permette, ed è certamente buono tutto quel che è giusto. Ed anche se tutte le cose cattive, proprio in quanto cattive, non possono essere buone, è tuttavia un bene che ci siano non solo cose buone, ma anche cattive. Se infatti non fosse un bene l’esistenza anche di cose cattive, la bontà dell’Onnipotente non permetterebbe assolutamente che esistessero; non c’è ombra di dubbio infatti che, come è facile per Lui compiere quel che vuole, è altrettanto facile non permettere ciò che non vuole. Se non crediamo questo, si compromette l’inizio stesso della nostra confessione, per cui confessiamo di credere in Dio Padre onnipotente. E non c’è altra ragione per cui Egli viene chiamato onnipotente secondo verità, all’infuori del fatto che Egli può tutto ciò che vuole e non c’è volontà di qualsiasi creatura ad impedire l’attuarsi di una volontà onnipotente.

S. Paolo e la volontà di Dio che tutti si salvino.

24. 97. Si deve perciò considerare come si sia potuto dire di Dio (poiché anche questa è parola assolutamente vera dell’Apostolo): Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi 233. Ora, dal momento che non tutti lo sono, ed anzi sono molti di piú quelli che non si salvano, sembra proprio che non accada quel che Dio vuole che accada, beninteso per una volontà umana che ostacola la volontà divina. Quando infatti si domanda per quale motivo non tutti si salvino, di solito si risponde perché essi non lo vogliono, ciò che non si può dire certamente dei piú piccoli, ai quali non appartiene ancora il volere e il non volere. Se infatti si ritenesse di dover attribuire alla loro volontà tutto quel che compiono per impulso infantile, dovremmo dire che, all’atto del loro battesimo, si salvano anche contro la propria volontà, quando cercano in tutti i modi di far resistenza. Ma ancor piú evidente è il caso in cui il Signore sgrida la città empia, dicendo: Quante volte ho voluto raccogliere i figli tuoi, come una gallina con i suoi pulcini, e non hai voluto 234. In questo caso è come se la volontà di Dio sia stata sopraffatta dalla volontà degli uomini e colui che è potenza assoluta non abbia potuto compiere ciò che voleva per l’impedimento dovuto al rifiuto dei piú deboli. Dov’è mai, allora, quell’onnipotenza, in virtú della quale nei cieli e sulla terra Egli compí tutto ciò che volle, se volle raccogliere i figli di Gerusalemme e non lo ha fatto? O piuttosto quest’ultima propriamente non volle che i suoi figli fossero raccolti dal Signore? Eppure, nonostante tale rifiuto, Egli raccolse tutti i suoi figli che volle; non è infatti che nei cieli e sulla terra Egli compí alcune cose senza volerle, mentre ne volle altre senza compierle: al contrario Egli compí tutto ciò che volle.

Una misericordia gratuita all’origine della scelta fra Giacobbe ed Esaù.

25. 98. Ma quale empia follia può portare a dire che Dio non possa far volgere al bene le volontà cattive degli uomini, scegliendo quelle che vuole, quando e dove vuole ? Ma quando lo fa, è la misericordia a guidarlo, mentre quando non lo fa, è il giudizio; poiché Egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole 235. Per poter dir questo, l’Apostolo valorizzava la grazia; a tal fine aveva già parlato dei due gemelli che Rebecca portava in grembo, non ancora nati e senza aver fatto nulla di bene o di male: Perché il disegno divino rimanesse fondato sull’elezione, non in base alle opere, ma alla sua chiamata, le fu detto: Il maggiore sarà sottomesso al minore 236. Ricorse per questo ad un’altra testimonianza dei profeti, dove sta scritto: Ho prediletto Giacobbe, ma ho odiato Esaú 237. Avvertendo tuttavia che quanto è stato detto potrebbe turbare coloro che non riescono a penetrare con l’intelligenza questa profondità della grazia, ha aggiunto: Diremo, dunque che c’è forse ingiustizia presso Dio? Certamente no! 238 Sembra ingiusto infatti che Dio, prescindendo completamente dai meriti legati ad opere buone o cattive, possa prediligere l’uno e odiare l’altro. In questo caso, se avesse voluto che si pensasse alle opere future (buone per l’uno e cattive per l’altro), che Dio certamente conosceva in anticipo, mai avrebbe detto: non in base alle opere, dicendo piuttosto: " in base alle opere future ", risolvendo cosí la questione; anzi, non ponendo affatto una questione da risolvere. Ora però, avendo risposto: Certamente no, ossia, certamente l’ingiustizia non è presso Dio, subito dopo, per provare come ciò accada senza alcuna ingiustizia divina, ha detto: Egli infatti dice a Mosè: Proverò misericordia per colui di cui avrò avuto misericordia e accorderò misericordia a colui verso il quale sarò stato misericordio-so

239. Chi perciò potrebbe pensare, all’infuori dello stolto, ad un Dio ingiusto, sia quando emette un giudizio di castigo meritato, sia quando accorda una misericordia immeritata? Questa, infine, la conclusione che ne ricava: Dunque non è frutto della volontà, né dello sforzo dell’uomo, ma della misericordia di Dio 240. Entrambi i gemelli nascevano pertanto come figli della collera 241, beninteso non in base alle proprie opere, ma originariamente legati con il vincolo della condanna che risale ad Adamo; eppure, chi disse: Proverò misericordia per colui di cui avrò avuto misericordia, predilesse Giacobbe per una misericordia gratuita, mentre ebbe in odio Esaú per un giudizio dovuto. E benché questo fosse dovuto ad entrambi, l’uno riconobbe nell’altro che, se ad una medesima condizione non corrispondeva un medesimo castigo, egli doveva vantarsi non di meriti personali diversi, ma della generosità della grazia divina, poiché non è frutto della volontà, né dello sforzo dell’uomo, ma dalla misericordia di Dio. Nella sconfinata profondità salvifica di questo mistero è la fisionomia complessiva e, per cosí dire, il volto delle sante Scritture ad invitare quanti sanno contemplarle affinché chi si vanta, si vanti nel Signore242.

L’interpretazione paolina dei giudizi di Dio.


25. 99. Avendo quindi valorizzato la misericordia di Dio con le parole: Dunque non è frutto della volontà, né dello sforzo dell’uomo, ma della misericordia di Dio 243, subito dopo l’Apostolo, per valorizzare anche il giudizio, poiché dove non c’è misericordia, c’è il giudizio e non l’ingiustizia (e certamente non c’è ingiustizia presso Dio), ha aggiunto le seguenti parole: Dice infatti la Scrittura al Faraone: Ti ho fatto sorgere per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome venga proclamato su tutta la terra244. Dopo di che, con una conclusione che riguarda entrambe le cose, vale a dire misericordia e giudizio, afferma: Dunque Egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole245. Usa misericordia, evidentemente, per la grande bontà, mentre indurisce senza ingiustizia alcuna, cosicché chi è stato liberato non si vanti per i propri meriti, mentre chi è stato condannato non si lamenti di altro che dei propri meriti. È soltanto la grazia, infatti, che distingue i redenti dai perduti, radunati, questi ultimi, in un’unica massa di perdizione dalla comune condizione perpetuatasi dalle origini. A chi accoglie poi tali parole in modo da esclamare: Ma allora perché ancora rimprovera? Chi può resistere al suo volere?246, quasi che il malvagio non risultasse colpevole per il fatto che Dio usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole, giammai dovremmo vergognarci di rispondere come riconosciamo che ha risposto l’Apostolo: Chi sei tu, o uomo, per replicare a Dio? Può forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: Perché mi hai fatto cosí? Il vasaio non ha forse il potere di realizzare con la medesima massa d’argilla un vaso per un uso nobile ed un altro per un uso volgare? 247. In questo passo alcuni ingenui credono che la risposta dell’Apostolo sia stata insufficiente e che egli abbia bloccato l’audacia del proprio antagonista per mancanza di argomenti razionali. In realtà non sono davvero di poco peso le parole: Chi sei tu, o uomo? Di fronte a tali questioni egli infatti richiama l’uomo ad una attenta considerazione delle proprie capacità, certamente in modo sbrigativo, anche se nella sostanza l’argomento razionale è notevole. Chi può mai replicare a Dio, se non comprende queste cose? Se invece le comprende, a maggior ragione non trova di che replicare. Vede bene infatti, se comprende, che tutto quanto il genere umano è stato condannato nella radice della sua apostasia da un giudizio divino talmente giusto, che nessuno avrebbe il diritto di prendersela con la giustizia di Dio, anche se nessuno ne venisse liberato; mentre quelli che sono liberati dovevano esserlo in modo da far risultare, rispetto ai piú che non lo sono, sottomessi ad una condanna assolutamente giusta, quel che avrebbe meritato tutto l’insieme e dove avrebbe condotto anche costoro il giudizio divino dovuto, se non fosse intervenuta la sua misericordia non dovuta. Cosí è stato fatto in modo che sia chiusa ogni bocca 248 a quanti vogliono vantarsi per i propri meriti e chi si vanta, si vanti nel Signore 249.

Mirabili le opere di Dio, che attua la sua volontà attraverso le volontà cattive degli uomini.

26. 100. Queste sono le grandi opere del Signore, conformi a tutte le sue volontà 250, e cosí sapientemente conformi, che, nonostante il peccato della creatura, angelica e umana, cioè nonostante questa abbia voluto fare non la volontà di Dio, ma la propria, persino attraverso la medesima volontà della creatura, che ha agito contro la volontà del Creatore, questi ha portato a compimento quel che ha voluto, usando bene anche dei mali, in quanto sommamente buono, in vista della condanna di quanti giustamente predestinò alla pena, e in vista della salvezza di quanti amorevolmente predestinò alla grazia. Per quanto attiene a loro, essi agirono contro la volontà di Dio; per quanto invece attiene all’onnipotenza di Dio, non furono minimamente capaci di riuscirvi. Anzi, proprio in quanto agirono contro la sua volontà, questa si è realizzata in loro. Difatti grandi sono le opere del Signore, conformi a tutte le sue volontà, cosicché anche quanto accade contro la sua volontà, in modo inspiegabile e sorprendente non prescinde mai dalla sua volontà; del resto, ciò non accadrebbe se Egli non lo permettesse ed è evidente che Egli lo permette volontariamente, non involontariamente, né Egli, nella sua bontà, permetterebbe l’accadere del male, se non fosse capace, nella sua onnipotenza, di ricavare il bene anche dal male.

Le buone volontà degli uomini possono non coincidere con quelle di Dio e coincidervi quelle cattive.

26. 101. Qualche volta poi è una volontà buona che porta l’uomo a volere qualcosa che Dio non vuole, anche se la sua buona volontà è ben piú grande e certa (non può infatti mai essere cattiva); è il caso in cui un figlio buono vuole che il padre viva, mentre Dio, nella sua buona volontà, vuole che muoia. Può accadere al contrario che una volontà cattiva porti un uomo a volere quel che la volontà buona di Dio vuole, come quando un figlio cattivo vuole la morte del padre, che vuole anche Dio. La volontà del primo è dunque contraria alla volontà divina, mentre quella del secondo vuole la medesima cosa; eppure ad esser in sintonia con la volontà buona di Dio è la pietà del primo, benché voglia una cosa diversa, piuttosto che l’empietà del secondo, che vuole la medesima cosa. Ciò che importa è quale volontà sia confacente all’uomo e a Dio, e quale sia il fine che orienta la volontà di ciascuno, perché possa ricevere approvazione o disapprovazione. Dio infatti porta a compimento alcune volontà sue, sicuramente buone, per mezzo delle volontà cattive di uomini cattivi: cosí Cristo è stato ucciso per noi per mezzo di Giudei malvagi secondo la volontà buona del Padre, ed è stato un bene cosí grande, che l’apostolo Pietro, che non accettava che ciò accadesse, è stato chiamato " Satana " da colui che era venuto per essere ucciso251. Quanto sembravano buone le volontà di devoti credenti, che non volevano che l’apostolo Paolo prendesse la strada di Gerusalemme, perché là non dovesse soffrire i mali che il profeta Agabo aveva predetto 252? Eppure Dio voleva che per annunziare la fede di Cristo egli soffrisse quelle cose, impegnandosi come suo testimone. Egli quindi portò a compimento questa sua volontà buona per mezzo non delle volontà buone dei cristiani, bensí di quelle cattive dei Giudei, ed erano dalla sua parte quanti non volevano quel che egli voleva, anziché quanti resero possibile, con la loro volontà, quel che egli voleva: l’atto fu il medesimo, ma egli lo compí per loro tramite con volontà buona, mentre quelli con volontà cattiva.

È in ogni caso invincibile la volontà di Dio.

26. 102. In ogni caso, per quanto forti possano essere le volontà degli angeli o degli uomini, buoni o cattivi, favorevoli o contrari a ciò che Dio vuole, la volontà dell’onnipotente è sempre invincibile; essa non può mai essere cattiva, poiché, anche quando infligge dei mali, è giusta e sicuramente, se è giusta, non è cattiva. Dio onnipotente dunque, sia che per misericordia provi misericordia di chi vuole, sia che per il giudizio indurisca chi vuole, non compie alcuna ingiustizia, non compie nulla contro la propria volontà e tutto ciò che vuole, lo compie.

Come interpretare la volontà di Dio che tutti si salvino.

27. 103. Quando perciò noi sentiamo e leggiamo nelle sacre Lettere che è volontà di Dio che tutti gli uomini siano salvi, benché sappiamo con certezza che non tutti gli uomini lo sono, non per questo dobbiamo però sottrarre alcunché alla volontà di Dio onnipotente. Dobbiamo piuttosto intendere ciò che sta scritto: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi 253, come se si dicesse che nessun uomo è salvato, all’infuori di quelli che Egli ha voluto salvi; non che non ci sia nessun uomo all’infuori di chi Egli vuole salvo, ma che nessuno si salvi all’infuori di chi Egli vuole; perciò lo si deve pregare perché lo voglia, poiché accadrà sicuramente solo se Egli avrà voluto. In effetti, parlando in quel modo, l’Apostolo si riferiva proprio al dovere di pregare Dio. Cosí infatti intendiamo anche quel che sta scritto nel Vangelo: Egli illumina ogni uomo che viene sulla terra 254: non perché non ci siano uomini che Egli non illumini, ma perché nessuno è illuminato se non da Lui. Oppure, senza dubbio, è stato detto: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi, non perché non ci siano uomini di cui non volesse la salvezza, Egli che non volle compiere miracoli portentosi presso quei popoli di cui dice che avrebbero già fatto penitenza, se li avesse compiuti 255, ma perché con l’espressione tutti gli uomini, noi intendiamo l’intero genere umano, in tutte le differenze in cui esso si articola: re e privati, nobili e popolani, altolocati e umili, dotti e ignoranti, sani e malati, perspicaci, tardi e sciocchi, ricchi, poveri e benestanti, maschi e femmine, bambini, ragazzi, adolescenti, giovani, adulti e vecchi; di tutte le lingue, costumi, mestieri e professioni; costituiti in una varietà incalcolabile di volontà e di coscienze; e in tutte le altre differenze possibili fra gli uomini. Quale sarebbe fra questi il motivo per cui Dio non vuole che gli uomini di tutte le nazioni siano salvi per mezzo del suo Unigenito e Signore nostro, e cosí faccia, proprio in quanto nella sua onnipotenza non può volere invano tutto quel che ha voluto? L’Apostolo infatti aveva insegnato a pregare per tutti gli uomini, aggiungendo in particolare per i re e per tutti quelli che stanno al potere 256, che si potevano ritenere, nella loro altezzosa superbia terrena, ben lontani dall’umiltà propria della fede cristiana. Perciò, dopo aver detto: Questa è cosa buona al cospetto di Dio, nostro Salvatore 257, che cioè si preghi anche per costoro, ha aggiunto subito, per eliminare la disperazione: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità 258. Evidentemente Dio ha giudicato cosa buona degnarsi di accordare la salvezza dei grandi per le preghiere degli umili, come vediamo già realizzato. Anche il Signore ha fatto ricorso a questo modo di parlare, quando nel Vangelo ha detto ai farisei: Prelevate la decima della menta, della ruta e di tutto il raccolto 259. Infatti i farisei non prelevavano la decima su qualsiasi prodotto straniero e su tutti i raccolti di tutti gli stranieri in ogni terra. Come dunque qui tutto il raccolto indica ogni genere di raccolto, cosí là con l’espressione tutti gli uomini possiamo intendere ogni genere di uomini. Si può anche intendere in qualunque altro modo, purché però non siamo costretti a credere che Dio onnipotente abbia voluto realizzare qualcosa senza riuscirci. Se infatti non c’è alcun dubbio che Egli nei cieli e sulla terra, come proclama la verità, compí tutto ciò che volle 260, certamente non ha compiuto tutto ciò che non volle compiere.

La prescienza di Dio e il peccato di Adamo.

28. 104. Di conseguenza Dio avrebbe voluto conservare anche il primo uomo nella condizione di integrità in cui era stato costituito, conducendolo al momento giusto, dopo aver generato dei figli, ad uno stato migliore, se nella sua prescienza avesse saputo che egli avrebbe voluto restare per sempre senza peccato, cosí come era stato creato; in tale stato non soltanto non gli sarebbe stato possibile commettere peccato, ma nemmeno averne la volontà. Dal momento però che Dio già sapeva che l’uomo avrebbe usato male del libero arbitrio, cioè che avrebbe peccato, si accinse piuttosto a voler trarre il bene anche da colui che faceva il male, in modo che non venisse svuotata la cattiva volontà dell’uomo, ma nondimeno fosse portata a compimento la buona volontà dell’Onnipotente.

La condizione originaria e futura dell’uomo.

28. 105. Perciò l’uomo doveva anzitutto esser posto nella condizione di volere sia il bene che il male, in modo che non restasse nel primo caso senza ricompensa, nel secondo senza punizione. Successivamente però sarà in condizione di non poter volere il male, senza per questo esser privato del libero arbitrio. In realtà tale arbitrio sarà ben piú libero, in quanto non potrà essere assolutamente asservito al peccato. Né del resto la volontà è da condannare, o è inesistente, o da non giudicare libera, quando ci fa perseguire la felicità, in modo non solo da non volere l’infelicità, ma da non avere piú assolutamente la possibilità di volerla. Come dunque anche ora la nostra anima è in condizione di non volere l’infelicità, cosí sarà sempre in condizione di non volere l’ingiustizia. Non si doveva però sospendere l’ordine, in base al quale Dio volle mostrare il grado di bontà di un animale razionale, che avesse anche la possibilità di non peccare, pur essendo preferibile essere nella impossibilità di peccare; allo stesso modo fu inferiore, ma fu pur sempre tale, l’immortalità consistente nella possibilità di non morire, restando superiore quella che consisterà nella impossibilità di morire.

L’immortalità persa con il libero arbitrio e riconquistabile con la grazia.

28. 106. La natura umana perse quella sua condizione per mezzo del libero arbitrio, mentre per mezzo della grazia guadagnerà questa, che pure era stata sul punto di guadagnare per proprio merito, se non avesse peccato. Neppure allora, per la verità, senza grazia avrebbe potuto esserci alcun merito, poiché, pur essendo il peccato fondato solo sul libero arbitrio, quest’ultimo tuttavia non bastava a perseverare nella giustizia, se dalla partecipazione al bene immutabile non provenisse l’offerta dell’aiuto divino. Come l’uomo ha il potere di morire quando vuole (ognuno di noi infatti può uccidersi, se non altro almeno cessando di alimentarsi), anche se però la volontà non basta per prolungare la vita, se vengono meno gli apporti costituti dagli alimenti o da qualsiasi altra forma di sostegno, cosí l’uomo nel paradiso era capace per mezzo della volontà di darsi la morte abbandonando la giustizia, anche se, per mantenere una vita di giustizia, senza l’aiuto del Creatore, il volere non bastava. Ma dopo quella caduta la misericordia di Dio è piú grande, dal momento che è lo stesso libero arbitrio che deve esser liberato dalla schiavitú, sottomesso com’è al peccato e alla morte. E la liberazione non è assolutamente dovuta a se stessi, bensí alla sola grazia di Dio, riposta nella fede in Cristo, di modo che la stessa volontà, come sta scritto, è predisposta dal Signore 261 ad accogliere gli altri doni di Dio, per mezzo dei quali giungere al dono eterno.

La vita eterna come grazia divina e la morte come salario del peccato.

28. 107. Per questo l’Apostolo definisce grazia di Dio la stessa vita eterna, che rappresenta sicuramente la ricompensa per le opere buone: Il salario del peccato, egli dice, è la morte; ma la grazia di Dio è la vita eterna in Cristo Gesú nostro Signore 262. Ora il salario è un debito reso per un servizio militare, e non donato; per questo egli ha detto: Il salario del peccato è la morte, per mostrare che la morte è una conseguenza non immeritata del peccato, ma dovuta. La grazia, poi, se non è gratuita, non è grazia 263. Dunque si deve intendere che i beni stessi meritati dall’uomo sono dono di Dio; quando per essi viene resa la vita eterna, che cosa si rende se non grazia su grazia 264? L’uomo dunque è stato creato retto265, in modo da poter rimanere in quella condizione di rettitudine non senza l’aiuto divino, e da diventare perverso per la propria libertà. A seconda di quale delle due vie avesse scelto, la volontà di Dio sarebbe stata compiuta, o addirittura da lui, o sicuramente sopra di lui. Perciò, visto che egli preferí compiere la propria volontà, piuttosto che quella divina, s’è compiuta sopra di lui la volontà di Dio; Egli dalla medesima massa di perdizione scaturita da quella discendenza, fa un vaso per un uso nobile ed un altro per un uso volgare 266: il primo per misericordia, il secondo per il giudizio. Nessuno quindi dovrà vantarsi dell’uomo e, per questo, nemmeno di sé.

L’unico Mediatore che poteva riconciliare con Dio il genere umano.

28. 108. Non ci potrebbe liberare nemmeno l’uomo Gesú Cristo in persona, unico Mediatore tra Dio e gli uomini 267, se non fosse anche Dio. Quando fu creato Adamo, cioè un uomo retto, non c’era bisogno di un mediatore. Quando però i peccati scavarono un solco profondo tra il genere umano e Dio, era necessario che ci riconciliassimo con Dio, fino alla risurrezione della carne nella vita eterna, per mezzo di un mediatore, l’unico ad esser nato, vissuto e ucciso senza peccato; cosí la superbia dell’uomo sarebbe stata smascherata e risanata grazie all’umiltà di Dio, e l’uomo avrebbe potuto accertare quanto si era allontanato da Dio, alla luce della chiamata che gli veniva dal Dio incarnato; cosí, grazie all’uomo Dio, sarebbe stato offerto all’uomo pervicace un esempio di obbedienza e, assumendo l’Unigenito la condizione assolutamente immeritata di servo, si sarebbe spalancata la sorgente della grazia; nella persona del Redentore sarebbe stata quindi prefigurata anche la risurrezione della carne, promessa ai redenti, e il diavolo sarebbe stato sconfitto grazie a quella medesima natura che si compiaceva d’aver ingannato, senza che però l’uomo potesse vantarsene, per non far risorgere la superbia. Ciò non toglie che quanti intendano approfondire questo grande mistero del Mediatore possano cogliere ed esprimere qualcos’altro, o almeno coglierlo, pur senza esprimerlo.

Le anime dei defunti prima della risurrezione.

29. 109. Il tempo frapposto tra la morte dell’uomo e la risurrezione finale trattiene le anime in dimore misteriose, a seconda che ciascuna abbia meritato quiete o afflizione, in rapporto a quel che ha ottenuto in sorte finché viveva nella carne.

Sacrifici ed elemosine in suffragio di tutti i defunti battezzati.

29. 110. Non si deve nemmeno negare che le anime dei defunti ricevono sollievo dalla pietà dei propri cari che sono in vita, quando viene offerto per loro il sacrificio del Mediatore o si fanno elemosine nella Chiesa. Tutto questo però giova a quanti in vita hanno acquisito meriti che consentissero in seguito di ricavarne vantaggio. C’è infatti un tipo di condotta non cosí buono da non richiedere questi suffragi dopo la morte, né cosí cattivo da non ricavarne giovamento dopo la morte; ve n’è poi uno talmente buono da non richiederne e viceversa uno talmente cattivo da non potersene avvantaggiare, una volta lasciata questa vita. È in questa vita perciò che si acquista ogni merito, che consente a ciascuno di ricavarne sollievo o oppressione. Nessuno però s’illuda di guadagnarsi presso Dio, al momento della morte, quanto ha trascurato quaggiú. Quindi tutte le pratiche solitamente raccomandate dalla Chiesa a favore dei defunti non sono contrarie all’affermazione dell’Apostolo: Tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Dio, ciascuno per ricevere la ricompensa per quanto ha fatto finché era nel corpo, sia in bene che in male 268; anche il merito di potersi giovare di queste cose, infatti, ciascuno se l’è procurato finché viveva nel corpo. Ma non tutti se ne giovano: e perché mai, se non perché ciascuno ha condotto, finché era nel corpo, una vita diversa? Ora, dal momento che vengono offerti sia i sacrifici dell’altare sia di qualunque altra elemosina, essi rendono grazie per chi è veramente buono; intercedono per chi non è veramente buono; per chi poi è veramente cattivo, non potendo in alcun modo aiutare i morti, cercano in qualche modo di consolare i vivi. Per quanti poi se ne giovano, il giovamento comporta o la piena remissione o almeno la possibilità di una condanna piú tollerabile.

Due città dopo la risurrezione.

29. 111. Ma dopo la risurrezione, una volta attuato un giudizio universale e integrale, esisteranno due diverse città, quella di Cristo e quella del diavolo, quella dei buoni e quella dei cattivi, entrambe comunque composte di Angeli e di uomini. I primi non potranno avere alcuna volontà di peccare, i secondi non potranno averne alcuna possibilità, senza essere in condizione di morire; i primi vivendo veramente e felicemente nella vita eterna, i secondi perseverando infelicemente, senza poter morire, nella morte eterna; gli uni e gli altri senza fine. Tuttavia i primi, nella beatitudine, resteranno in uno stato piú o meno eminente, mentre gli altri, nell’infelicità, in uno stato piú o meno tollerabile.

I misericordiosi che non credono all’eternità delle pene.

29. 112. Invano pertanto molti, anzi moltissimi, sono portati dal loro sentimento umano a provare misericordia per quelli che sono condannati ad una pena eterna e a supplizi interminabili, non credendo quindi che avverrà proprio cosí: evidentemente non senza sconfessare le divine Scritture, ma provando in rapporto alle proprie emozioni a smussarne alcuni punti fermi, piegando ad una interpretazione piú debole quelle affermazioni che essi ritengono pronunziate in modo piú intimidatorio che veritiero. Infatti, essi dicono, Dio non dimenticherà la misericordia, e non soffocherà nella sua collera le sue misericordie 269. Questo lo si legge, è vero, in un salmo santo; ma viene inteso senza esitazione come riferito a coloro che sono detti vasi di misericordia 270, poiché anche questi sono liberati dalla miseria non per i propri meriti, bensí per la misericordia di Dio. Oppure, ritenendo che ci si riferisca a tutti, non per questo si deve necessariamente supporre che abbia fine la condanna di coloro dei quali è stato detto: E se ne andranno, questi al supplizio eterno, perché poi, allo stesso modo, non si pensi che un giorno avrà fine anche la felicità di coloro dei quali è stato detto: e i giusti alla vita eterna 271. Pensino semmai, se ciò li appaga, che le pene dei dannati sono in qualche modo attenuate secondo intervalli di tempo determinati. Anche in questo caso, allora, è possibile comprendere che perdura su di loro la collera di Dio 272, cioè la condanna vera e propria (si parla infatti di collera di Dio, non di turbamento dello spirito divino), senza però che Egli soffochi nella sua collera, beninteso una collera che perdura, le sue misericordie, in quanto non pone fine al castigo eterno, ma frappone un alleggerimento agli spasimi; il Salmo infatti non dice: " Per mettere fine alla sua collera ", oppure: " Dopo la sua collera ", bensí: Nella sua collera. Ed anche se questa fosse da sola la minima immaginabile quaggiú, in realtà perdere il regno di Dio, essere esiliato dalla città di Dio, allontanato dalla vita divina, privato di quella sua dolcezza che in cosí grande misura Dio nasconde a coloro che lo temono, ma che ha accordato pienamente a quanti sperano in Lui 273, sono una pena tanto grande, che non ci possono essere tormenti di sorta, a noi noti, paragonabili ad essa, se quella pena è eterna e questi invece durano tutt’al piú per molti secoli.

Eterne, anche se differenziate, la pena e la beatitudine.

29. 113. Quella morte perpetua dei dannati, che consiste nell’allontanamento dalla vita di Dio, perdurerà dunque senza fine e sarà comune a tutti, quali che siano le congetture degli uomini intorno alla diversità delle pene, all’alleggerimento o all’interruzione delle sofferenze, in rapporto alle proprie emozioni umane; ugualmente perdurerà la vita eterna comune a tutti i santi, quale che possa essere il diverso grado di gloria che armonicamente rifulge in loro.

La buona speranza dei credenti nasce dalla fede.

30. 114. Da questa professione di fede, sinteticamente contenuta nel Simbolo e che, intesa in senso materiale, è il latte dei piccoli274, mentre in realtà, se interpretata attentamente secondo lo spirito, è il cibo dei forti, nasce la buona speranza dei credenti, alla quale s’accompagna la santa carità. Ma di tutto quel che si deve credere per fede, riguarda la speranza soltanto quanto è racchiuso nella preghiera del Signore. Come attesta infatti il linguaggio divino, maledetto sia chiunque ripone la speranza nell’uomo 275; perciò viene incatenato a questa maledizione anche chi ripone la speranza in se stesso. Dobbiamo dunque chiedere soltanto a Dio o il bene che speriamo di compiere o quel che speriamo di conseguire per le opere buone.

Le invocazioni del Padre nostro riportate da Matteo.

30. 115. Ebbene nell’evangelista Matteo la preghiera del Signore sembra contenere sette invocazioni 276, in tre delle quali si richiedono beni eterni, mentre nelle altre quattro beni temporali, tuttavia indispensabili per conseguire beni eterni. Dicendo infatti: Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà cosí in cielo come in terra 277 (ed alcuni, non arbitrariamente, hanno compreso nello spirito e nel corpo), si tratta di beni da mantenere in modo assolutamente interminabile: avuto inizio su questa terra, essi s’accrescono in noi in proporzione al nostro progredire; conseguito poi il loro compimento, che si deve sperare nell’altra vita, saranno posseduti per sempre. Dicendo poi: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male 278, chi non vede che ciò riguarda i bisogni della vita presente? Perciò in quella vita eterna, in cui speriamo di essere per sempre, la santificazione del nome di Dio, il suo regno e la sua volontà perdureranno nel nostro spirito e nel nostro corpo in modo compiuto e immortale. Il pane quotidiano poi è chiamato cosí perché in questa vita è necessario, nella misura in cui dev’essere dispensato all’anima ed al corpo, intendendolo sia in senso spirituale, sia in senso materiale, sia in entrambi i sensi. Qui, dove commettiamo peccati, c’è anche la richiesta della remissione; qui ci sono le tentazioni che ci adescano, inducendoci a peccare; qui insomma si trova quel male da cui desideriamo esser liberati; là invece non c’è nulla di tutto questo.

Analoghe le invocazioni riportate da Luca.

30. 116. L’evangelista Luca, invece, nella preghiera del Signore non ha incluso sette invocazioni, bensí cinque 279, senza però essersi in realtà discostato dall’altro, indicandoci anzi con questa sua sintesi il modo d’intenderle tutte e sette. Il nome di Dio è certamente santificato nello spirito, mentre il suo regno giungerà con la risurrezione della carne. Mostrando dunque che la terza richiesta è in un certo senso una ripetizione delle due precedenti, Luca l’ha fatta comprendere meglio, tralasciandola. Aggiunge quindi le altre tre, che riguardano il pane quotidiano, la remissione dei peccati, la tentazione da evitare. Quanto poi all’affermazione, riportata alla fine, ma liberaci dal male 280, non l’ha riportata, per farci comprendere che si riferisce alle parole precedenti sulla tentazione. Per questo ha detto: Ma liberaci, anziché: " E liberaci ", come per mostrare che si tratta di un’unica richiesta (" non voler questo, ma quest’altro "), perché ognuno sappia che è liberato dal male in quanto non è indotto in tentazione.

Il primato della carità.

31. 117. Consideriamo infine la carità, che l’Apostolo definisce maggiore di queste due 281, cioè della fede e della speranza: quanto piú essa è presente in qualcuno, tanto piú questi è migliore. Quando infatti si chiede di chiunque se sia un uomo buono, non si chiede che cosa creda o in che cosa speri, ma che cosa egli ami. Infatti chi ama rettamente, senza dubbio crede e spera rettamente; chi invece non ama, crede vanamente, anche se quanto crede è vero, e spera vanamente, anche se s’insegna che le cose in cui spera riguardano la vera felicità, a meno che l’oggetto della fede e della speranza sia tale che a colui che lo chiede possa essere concesso il dono di amarlo. E benché sia impossibile sperare senza amare, è possibile tuttavia non amare ciò senza di cui è impossibile raggiungere quanto si spera. È cosí quando si spera nella vita eterna (e chi non l’ama?) e non si ama la giustizia, senza la quale nessuno la raggiunge. Ma è proprio la fede di Cristo, raccomandata dall’Apostolo, che opera per mezzo dell’amore 282, e quel che ancora non possiede nell’amore, chiede di riceverlo, cerca di trovarlo, bussa perché le sia aperto 283. La fede infatti consegue quel che la legge comanda: senza il dono di Dio, cioè senza lo Spirito Santo, per mezzo del quale la carità si diffonde nei nostri cuori 284, la legge potrà comandare, ma non aiutare, rendendo per di piú prevaricatore chi non potrà giustificarsi per l’ignoranza. Dove non c’è la carità di Dio, infatti, è la passione della carne a regnare.

I quattro stadi attraverso i quali Dio ha chiamato a sé il suo popolo.

31. 118. Vivere invece secondo la carne, nelle piú profonde tenebre dell’ignoranza, senza alcuna resistenza della ragione, è lo stadio originario dell’uomo. Successivamente, quando grazie alla legge è stata acquisita la conoscenza del peccato 285, mancando ancora l’aiuto dello Spirito divino, chi vuole vivere secondo la legge viene vinto e pecca coscientemente, sottomettendosi alla schiavitú del peccato (esser vinto da qualcuno significa infatti essere suo schiavo286); la conoscenza del comandamento in effetti fa in modo che il peccato produca ogni concupiscenza e si compia, per la prevaricazione che vi si è assommata, quel che sta scritto: È sopraggiunta la legge, perché abbondasse il peccato 287. È questo il secondo stadio dell’uomo. Se invece Dio si è rivolto verso di noi, perché si creda che è Egli stesso che aiuta a portare a compimento i suoi comandamenti, e l’uomo ha cominciato ad agire grazie allo Spirito di Dio, allora egli ha desideri contrari alla carne per la forza superiore della carità288; e cosí, benché ci sia ancora qualcosa da parte dell’uomo che s’oppone all’uomo, finché non è stata risanata tutta la sua infermità, il giusto può nondimeno vivere di fede 289, e vivere giustamente, in quanto non cede alla cattiva concupiscenza, prevalendo il gusto della giustizia. È questo il terzo stadio: la buona speranza dell’uomo; e per chi riesce ad avanzare in esso con religiosa perseveranza, da ultimo resta la pace, che dopo questa vita sarà colmata nella quiete dello spirito e quindi anche nella risurrezione della carne. Di questi quattro diversi stadi, il primo è anteriore alla Legge, il secondo è sotto la Legge, il terzo sotto la grazia, il quarto nella pace piena e compiuta. Il popolo di Dio è stato ordinato secondo questi intervalli di tempo, come è piaciuto a Dio, che tutto dispone con misura, calcolo e peso 290. Esso visse anzitutto prima della Legge; in un secondo tempo sotto la Legge, data per mezzo di Mosè; quindi sotto la grazia, data per mezzo della prima venuta del Mediatore 291. Questa grazia certamente non mancò nemmeno prima a coloro ai quali doveva essere concessa, anche se in forma adombrata e nascosta secondo l’economia temporale. Nessun giusto fra gli uomini antichi infatti avrebbe potuto trovare la salvezza all’infuori della fede in Cristo, o comunque non sarebbero giunte sino a noi profezie piú o meno esplicite attraverso il loro ministero, se Cristo fosse restato sconosciuto anche a quelli.

Ma ciò che conta è la grazia della rigenerazione.

31. 119. Quale che sia poi uno dei quattro stadi (o, in un certo senso, età) in cui la grazia della rigenerazione abbia potuto trovare ciascun uomo, qui gli sono rimessi tutti quanti i peccati passati, e quella colpa contratta con la nascita viene dissolta con la rinascita. È talmente vero che lo Spirito soffia dove vuole 292, che alcuni non hanno conosciuto quella seconda condizione di schiavitú sotto la Legge, cominciando invece ad avere l’aiuto divino insieme al suo comandamento.

La morte è inoffensiva per chi è stato rigenerato con il battesimo.

31. 120. Prima che l’uomo sia in grado di accogliere il comandamento, egli vive necessariamente secondo la carne. Quando invece è stato ormai compenetrato dal sacramento della rigenerazione, non gli nuocerà minimamente il dover lasciare in quel momento questa vita. Per questo infatti Cristo è morto ed è risorto: per essere il Signore dei morti e dei vivi 293 e il regno della morte non catturerà colui per il quale è morto chi è libero fra i morti.

La carità di Dio e del prossimo, culmine di ogni comandamento, nel secolo presente e in quello futuro.

32. 121. Tutti i comandamenti divini insomma si riferiscono alla carità, di cui l’Apostolo dice: Ma il fine del comandamento è la carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera 294. Pertanto il fine di ogni comandamento è la carità; ogni comandamento, in altri termini, si riferisce alla carità. Ciò che quindi si compie, vuoi per timore della pena, vuoi per una qualche intenzione carnale, senza riferirsi alla carità diffusa dallo Spirito Santo nei nostri cuori 295, nonostante l’apparenza, non si compie ancora come si dovrebbe. Senza dubbio questa carità riguarda Dio e il prossimo, e certamente da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti 296; aggiungi il Vangelo, aggiungi gli Apostoli: non ha altra origine infatti questa parola che dice: Il fine del comandamento è la carità, e ancora: Dio è carità 297. Tutte le cose che Dio comanda, dunque, come ad esempio: Non commettere adulterio 298, ed anche quelle che non ordina, ma che sono oggetto di una raccomandazione spirituale, come ad esempio: È cosa buona per l’uomo non toccare donna 299, sono compiute rettamente, quando si riferiscono all’amore di Dio e all’amore del prossimo in vista di Dio, sia nel secolo presente che in quello futuro; all’amore di Dio ora per fede, allora per la visione e allo stesso amore del prossimo ora per fede. Noi non conosciamo, infatti, in quanto mortali, i cuori dei mortali. Allora invece il Signore illuminerà i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori, e ciascuno avrà da Dio la sua lode300. Infatti il prossimo loderà e prediligerà nel prossimo ciò che Dio stesso illuminerà, perché non resti nascosto. La passione quindi diminuisce con l’accrescersi della carità, finché questa non raggiunga una dimensione tale rispetto a cui non potrebbe essercene una piú grande: Nessuno infatti ha una carità piú grande di questa: dare la vita per i propri amici 301. Chi poi potrà descrivere la grandezza della carità quando non ci sarà piú alcuna passione da superare, se non altro reprimendola? Infatti l’integrità sarà assoluta, quando non ci sarà piú l’assalto della morte.

Conclusione.

33. 122. Ma è ora finalmente di porre termine a questo scritto, che tu stesso vedrai se è necessario chiamare o considerare Manuale. Quanto a me tuttavia, ritenendo che non debba essere sottovalutata la tua ricerca di Cristo, riponendo fede e speranza nel bene che, con l’aiuto del nostro Redentore, può venire da te, pieno di grandissimo amore verso di te, che sei tra le sue membra, ho scritto per te, come ho saputo fare, questo libro intorno alla fede, alla speranza e alla carità, e mi auguro che l’utilità sia pari alla lunghezza.


Note:





 

1 - 1 Cor 1, 20.

2 - Sap 6, 24.

3 - Rm 16, 19.

4 - Gb 28, 28.

5 - Cf. Gal 5, 6.

6 - 1 Cor 3, 11.

7 - Gi 2, 32. Cf. At 2, 21; Rm 10, 13.

8 - Rm 10, 14.

9 - LUCANO, Pharsalia 2, 15.

10 - VIRGILIO, Aen. 4, 419.

11 - Eb 11, 1.

12 - Rm 8, 24.

13 - Gc 2, 19.

14 - Cf. Gal 5, 6.

15 - Cf. Gn 1, 31.

16 - Cf. VIRGILIO, Aen. 10, 100.

17 - Is 5, 20.

18 - Lc 6, 45; cf. Mt 12, 35.

19 - Mt 7, 18.

20 - Cf. Mt 7, 16.

21 - Mt 12, 33.

22 - VIRGILIO, Georgica, 2, 490.

23 - VIRGILIO, Georgica, 2, 480-481.

24 - Cf. CICERONE, Hortensius, fragm. 95 (Müller).

25 - Cf. CICERONE, Academica, 2, 66.

26 - VIRGILIO, Eclogae 7, 41.

27 - Mt 5, 37.

28 - Cf. Gv 14, 6.

29 - Cf. SALLUSTIO, De coniuratione Catilinae 10.

30 - Is 5, 20.

31 - Cf. At 12, 7.

32 - VIRGILIO, Aen.10 392.

33 - Cf. Ab 2, 4; Rm 1, 17; Eb 10, 38.

34 - Cf. Gal 5, 6.

35 - Cf. At 12, 9 ss.

36 - Cf. Gn 37, 33.

37 - Cf. Rm 8, 20.

38 - Mt 5, 37.

39 - Cf. Rm 8, 17.

40 - Mt 6, 12.

41 - Cf. Gn 2, 17.

42 - Cf. Gn 2, 15.

43 - Rm 5, 12.

44 - Cf. Lc 20, 36.

45 - Cf. Is 54, 1.

46 - Cf. Rm 4, 17.

47 - Cf. Sap 11, 21.

48 - 2 Pt 2, 19.

49 - Gv 8, 36.

50 - Ef 2, 8.

51 - Cf. 1 Cor 7, 25.

52 - Ef 2, 8-9.

53 - Ef 2, 10.

54 - Cf. 2 Cor 5, 17.

55 - Sal 50, 12.

56 - Fil 2, 13.

57 - Rm 9, 16.

58 - Cf. Fil 3, 14.

59 - Cf. Prv 8, 35 (sec. LXX).

60 - Sal 58, 11.

61 - Sal 22, 6.

62 - Cf. Mt 5, 44.

63 - Cf. Mt 7, 7.

64 - Sal 89, 9.

65 - Gb 14, 1.

66 - Gv 3, 36.

67 - Ef 2, 3.

68 - Rm 5, 10-9.

69 - Rm 8, 14.

70 - Gv 1, 14.

71 - Rm 3, 20.

72 - Gv 1, 1.

73 - Cf. Gv 10, 30.

74 - Cf. Gv 14, 28.

75 - Cf. Gv 1, 14.

76 - Cf. Fil 2, 6-7.

77 - Lc 1, 28.30.

78 - Gv 1, 14.

79 - Lc 1, 35.

80 - Mt 1, 20.

81 - Gv 1, 3.

82 - Rm 1, 3.

83 - Cf. Mt 1, 20.

84 - Cf. Gv 3, 5.

85 - Cf. Mt 23, 15.

86 - Cf. Mt 8, 12.

87 - Cf. Gv 4, 10; At 8, 20.

88 - Cf. Rm 8, 3.

89 - Cf. Lv 6, 23; Nm 8, 8; Os 4, 8.

90 - 2 Cor 5, 20.

91 - 2 Cor 5, 21.

92 - Cf. Rm 8, 3.

93 - Cf. Rm 6, 3-4; 8, 3.

94 - VIRGILIO, Aen.2, 20.

95 - Nm 21, 7 (sec. LXX).

96 - Mt 2, 20.

97 - Es 32, 31.

98 - Es 32, 4.

99 - Cf. Rm 5, 12.

100 - Cf. Es 20, 5; Dt 5, 9.

101 - Ez 18, 2.

102 - Sal 50, 7.

103 - Cf. Dt 5, 9.

104 - 1 Tm 2, 5

105 - Is 40, 3; Mt 3, 3; Lc 3, 4.

106 - Cf. Mt 3, 11; Mc 1, 8.

107 - Sal 2, 7; Eb 1, 5; 5, 5. Cf. Mt 3, 17.

108 - Cf. Mt 3, 15.

109 - Cf. Gv 1, 29.

110 - Cf. Rm 5, 12.18.

111 - Rm 5, 16.

112 - Rm 5, 18.

113 - Rm 6, 1.

114 - Rm 5, 20.

115 - Rm 6, 2.

116 - Rm 6, 3.

117 - Rm 6, 4-11.

118 - Gal 5, 24.

119 - Rm 6, 4.

120 - Rm 6, 4.

121 - Col 3, 1-3.

122 - Col 3, 4.

123 - Gv 5, 29.

124 - Sal 53, 3.

125 - Cf. Mt 25, 31-46.

126 - Sal 42, 1.

127 - Cf. Gal 4, 26.

128 - Cf. Sal 112, 3.

129 - Cf. Ap 5, 9.

130 - Cf. Sal 81, 6; Gv 10, 34-35.

131 - 1 Cor 6, 19.

132 - 1 Cor 6, 15.

133 - 1 Cor 3, 16.

134 - Cf. Col 1, 18.

135 - Gv 2, 19.

136 - 2 Pt 2, 4.

137 - Eb 1, 13.

138 - Sal 148, 2.

139 - Col 1, 16.

140 - Zc 1, 9.

141 - Mt 1, 20.

142 - Cf. Gn 18, 4; 19, 2.

143 - Cf. Gn 32, 29-32.

144 - Cf. 2 Cor 11, 14.

145 - Rm 8, 31.

146 - Ef 1, 10.

147 - Col 1, 19-20.

148 - Cf. Fil 4, 7.

149 - Cf. Mt 18, 10.

150 - Cf. 1 Cor 13, 9.12.

151 - Cf. Lc 20, 36.

152 - Cf. Lc 15, 32.

153 - Rm 8, 14.

154 - Cf. Sap 9, 15.

155 - 1 Gv 1, 8.

156 - Cf. Sal 50, 19.

157 - Sal 37, 10.

158 - Cf. 2 Cor 1, 22.

159 - Sir 40, 1.

160 - 1 Cor. 11, 31.32.

161 - Gal 5, 6.

162 - Gc 2, 17.

163 - Gc 2, 14.

164 - 1 Cor 3, 15.

165 - 1 Cor 6, 9-10.

166 - Cf. 1 Cor 3, 11-12.

167 - 1 Cor 3, 13-15.

168 - Sir 27, 6; cf. 2, 5.

169 - Cf. 1 Cor 7, 32-33.

170 - Cf. 1 Cor 6, 10.

171 - Mt 25, 34.

172 - Mt 25, 41.

173 - Cf. Sir 15, 21.

174 - Mt 6, 9.

175 - Cf. Gv 3, 5.

176 - Cf. Mt 6, 12.

177 - Lc 11, 41.

178 - Cf. Mt 5, 44-47; Rm 12, 17-21.

179 - Mt 5, 44.

180 - Mt 6, 12.

181 - Gv 14, 6.

182 - Mt 6, 14-15.

183 - Lc 11, 37-41.

184 - At 15, 9.

185 - Tt 1, 15.

186 - Sir 30, 24.

187 - Rm 5, 16.

188 - Rm 5, 8.

189 - Lc 10, 27.

190 - Lc 11, 42.

191 - Mt 23, 26.

192 - Lc 11, 42.

193 - Cf. Sal 10, 6.

194 - Sal 58, 11.

195 - 1 Cor 7, 5.

196 - 1 Cor 7, 6.

197 - 1 Cor 6, 1.

198 - 1 Cor 6, 4-6.

199 - 1 Cor 6, 7.

200 - 1 Cor 6, 7.

201 - Mt 5, 40.

202 - Lc 6, 30.

203 - Gc 3, 2.

204 - Mt 6, 12.

205 - Cf. Mt 5, 22.

206 - Mt 5, 23.

207 - Cf. Col 2, 22.

208 - Gal 4, 11.

209 - Sal 10, 3.

210 - Is 5, 7.

211 - Gn 18, 20.

212 - Gal 4, 11.

213 - Mt 6, 12-13.

214 - Sal 26, 1.

215 - 2 Tm 2, 25.

216 - Lc 22, 61.

217 - Cf. Mt 12, 32.

218 - Cf. Mt 22, 30.

219 - Cf. 1 Cor 15, 44-46.

220 - Cf. Sap 9, 15.

221 - Cf. Gal 5, 17.

222 - Cf. 1 Cor 15, 40.

223 - 1 Cor 15, 50.

224 - Cf. Lc 24, 39.

225 - 1 Cor 15, 44.

226 - Cf. 1 Tm 2, 5.

227 - Cf. Mt 25, 41.

228 - Cf. Ap 2, 11; 20, 6.14.

229 - Sal 100, 1.

230 - Cf. Rm 9, 10 s.

231 - Mt 11, 21.

232 - Sal 113, 11.

233 - 1 Tm 2, 4.

234 - Mt 23, 37.

235 - Rm 9, 18.

236 - Rm 9, 11-13. Cf. Gn 25, 23.

237 - Ml 1, 2-3.

238 - Rm 9, 14.

239 - Rm 9, 15. Cf. Es 33, 19.

240 - Rm 9, 16.

241 - Cf. Ef 2, 3.

242 - 1 Cor 1, 31.

243 - Rm 9, 16.

244 - Rm 9, 17. Cf. Es 9, 11.

245 - Rm 9, 18.

246 - Rm 9, 19.

247 - Rm 9, 20-21.

248 - Rm 3, 19.

249 - 1 Cor 1, 31.

250 - Cf. Sal 110, 2.

251 - Cf. Mt 16, 21-23.

252 - Cf. At 21, 10-14.

253 - 1 Tm 2, 4.

254 - Gv 1, 9.

255 - Cf. Mt 11, 21.

256 - 1 Tm 2, 1-2.

257 - 1 Tm 2, 3.

258 - 1 Tm 2, 4.

259 - Lc 11, 42.

260 - Cf. Sal 113, 11.

261 - Cf. Prv 8, 35 (sec. LXX).

262 - Rm 6, 23.

263 - Cf. Rm 11, 6.

264 - Cf. Gv 1, 16.

265 - Cf. Eccl 7, 30.

266 - Cf. Rm 9, 20-21.

267 - Cf. 1 Tm 2, 5.

268 - 2 Cor 5, 10; cf. Rm 14, 10.

269 - Cf. Sal 76, 10.

270 - Cf. Rm 9, 23.

271 - Mt 25, 46.

272 - Cf Gv. 3, 36.

273 - Cf. Sal 30, 20.

274 - Cf. 1 Cor 3, 1-2.

275 - Ger 17, 5.

276 - Cf. Mt 6, 9-13.

277 - Mt 6, 9-10.

278 - Mt 6, 11-13.

279 - Cf. Lc 11, 2-4.

280 - Mt 6, 13.

281 - Cf. 1 Cor 13, 13.

282 - Cf. Gal 5, 6.

283 - Cf. Mt 7, 7.

284 - Cf. Rm 5, 5.

285 - Cf. Rm 7, 7.

286 - Cf. 2 Pt 2, 19.

287 - Rm 5, 20.

288 - Cf. Gal 5, 17.

289 - Cf. Rm 1, 17; Gal 3, 11; Eb 10, 38.

290 - Cf. Sap 11, 21.

291 - Cf. Gv 1, 17.

292 - Gv 3, 8.

293 - Cf. Rm 14, 9.

294 - 1 Tm 1, 5.

295 - Cf. Rm 5, 5.

296 - Cf. Mt 22, 40.

297 - 1 Gv 4, 8.

298 - Mt 5, 27; Rm 13, 9.

299 - 1 Cor 7, 1.

300 - Cf. 1 Cor 4, 5.

301 - Gv 15, 13.