Scrutatio

Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Contro Adimanto

Sant'Agostino d'Ippona

Contro Adimanto
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Antitesi: Gen 1, 1s. - Io 1, 10 (la creazione).

1. 1. I Manichei, oltremodo stolti, ritengono che il passo della Legge - da: In principio Dio creò il cielo e la terra a: E fu creata la sera e fu creata la mattina: primo giorno 1 - sia in contrasto con il Vangelo; essi affermano infatti che nella Genesi è scritto che Dio creò il cielo e la terra e la luce da se stesso, mentre nel Vangelo è scritto che il mondo è stato creato con l’intervento di nostro Signore Gesù Cristo, là dove si dice: E il mondo fu creato per mezzo di lui, e il mondo non lo ha riconosciuto 2. Si possono tuttavia far loro tre obiezioni. Innanzi tutto quando si dice: In principio Dio creò il cielo e la terra, il cristiano lo intende riferito alla stessa Trinità, in cui sono compresi non solo il Padre, ma anche il Figlio e lo Spirito Santo. Noi non crediamo infatti in tre divinità, ma in un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, sebbene il Padre sia Padre, il Figlio sia Figlio e lo Spirito Santo sia Spirito Santo. Di questa unicità della Trinità sarebbe lungo trattare in questa sede. In secondo luogo dove si dice: Dio disse: " Sia ", e così fu, bisogna intendere che egli ciò che fece lo fece per mezzo del Verbo. Naturalmente il Verbo del Padre è il Figlio. Per questo motivo il capitolo della Genesi, dove si trova scritto: E Dio disse: "Sia", e così fu, non contrasta con quel passo del Vangelo dove si afferma: E il mondo fu creato per mezzo di lui, vale a dire per mezzo di nostro Signore, dal momento che egli stesso è il Verbo del Padre per cui ogni cosa è stata creata. Infine se non si ritiene che nella Genesi si alluda al Figlio, perché non è detto espressamente che Dio ha creato per mezzo del Figlio; neanche nel Vangelo Dio nutre gli uccelli per mezzo del Figlio e veste i gigli 3 e compie tutte le altre innumerevoli cose che lo stesso Signore afferma siano compiute da Dio Padre, quantunque non dica che le faccia per mezzo del Figlio. Inoltre i Manichei portano a sostegno quanto di nostro Signore Gesù Cristo dice l’Apostolo: Egli è il primogenito di ogni creatura; e per mezzo suo sono state create tutte le cose in cielo ed in terra, visibili ed invisibili 4; ritengono che tali espressioni siano in contrasto colla Genesi, dove si afferma che Dio ha creato il mondo, ma non viene fatta alcuna particolare menzione del Figlio: fortemente si ingannano. Non tengono conto infatti che, se così fosse, sarebbe l’Apostolo stesso a contraddirsi, tenuto conto che in un altro passo lo definisce il solo, dal quale, grazie al quale e per il quale sono tutte le cose 5 e non fa menzione del Figlio. Come in questo caso non viene fatta menzione del Figlio e tuttavia lo si discerne, similmente avviene anche nella Genesi; e allo stesso modo in cui non vi è contraddizione tra questi due luoghi di Paolo, neppure ve ne è tra Genesi e Vangelo.

Antitesi: il riposo di Dio.

2. 1. I Manichei contestano anche il passo in cui è scritto: Dio nel sesto giorno portò a compimento tutte le sue opere che aveva fatto e si riposò nel settimo giorno di tutte quelle medesime opere che aveva fatto 6 ed affermano che quanto sta scritto nella Genesi - che Dio nel settimo giorno si riposò di tutte le sue opere che aveva fatto - è contraddetto dal Nuovo Testamento. Infatti nel Vangelo il Signore dice: Il Padre mio opera fino ad ora 7. Ma questa affermazione non è in alcun modo contraddittoria. Il Signore infatti confuta l’errore dei Giudei, i quali ritenevano che Dio si fosse riposato nel settimo giorno e di conseguenza da allora non operasse alcunché. Ma Dio si riposò da tutte le sue opere che aveva fatto, nel senso che non continuò a creare il mondo e le cose che in esso vi sono, non certo nel senso che si riposasse anche dal governo del mondo. Non è scritto infatti: Dio si riposò di tutte le opere sue in modo tale da non operare più in seguito, ma è scritto: Dio si riposò di tutta l’opera che aveva fatto, sicché successivamente operò non con la creazione del mondo, dalla quale aveva cessato dopo il suo compimento, ma governandolo; ed in questo senso il Signore ha inteso dire che Dio è ancora operante. Quel riposo non significa che Dio dopo la sua fatica abbia cercato un’interruzione, ma che cessò dalla creazione delle cose nel loro ordine naturale dopo averle portate a termine, quantunque continui ad operare fino ad ora nel governarle.

Il riposo del sabato nel senso spirituale dei credenti.

2. 2. I Giudei d’altra parte non comprendevano l’osservanza del sabato, ritenendo infatti che bisognasse astenersi anche da quelle azioni necessarie alla buona salute degli uomini. Perciò il Signore li redarguisce anche in altri passi con gli stupendi esempi del bue caduto in un pozzo e della bestia che viene sciolta per essere condotta ad abbeverarsi 8. Il sabato del resto non è stato rifiutato dai Cristiani, ma meglio compreso. Esso infatti ha cessato di essere osservato nel suo significato carnale, ma è recepito nel suo significato spirituale dai credenti, i quali comprendono le parole del Signore che prescrive il riposo dicendo: Venite a me, voi che siete affaticati, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi, e imparate da me poiché sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce, e il mio carico è leggero 9. È questo il sabato, è questo il riposo indicato dalla Scrittura, che i Giudei non comprendevano e carnalmente nell’economia dei tempi seguivano l’ombra, il cui corpo, se così si può dire, cioè la verità, doveva essere data a noi. Ma come dopo la creazione del mondo è stato introdotto il riposo di Dio, allo stesso modo anche noi conseguiremo il riposo promesso, dopo avere compiuto le nostre opere terrene, se saranno giuste, nella settima ed ultima parte di questo secolo, di cui sarebbe lungo discutere. In conclusione il Signore non abroga l’Antico Testamento, ma spinge ad una sua più intima comprensione; egli non abolisce il sabato, affinché venga meno ciò che esso figurava, ma piuttosto lo svela, affinché appaia quel che in esso vi era nascosto.

L’Antico Testamento non contrasta il detto del Signore che bisogna lasciare la propria sposa per il regno dei cieli.

3. 1. Si trova scritto nella Genesi: E Dio disse: Non è bene che l’uomo sia solo; facciamogli un aiuto. Allora Dio infuse il sonno in Adamo e questi si addormentò; poi prese una delle sue costole dalla quale formò Eva che condusse ad Adamo; e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie 10. I Manichei contestano anche questo passo, dicendo che l’opinione ivi espressa, cioè che Dio abbia formato la donna e l’abbia unita all’uomo, contrasta con il Nuovo Testamento. Infatti il Signore dice nel Vangelo: Chiunque avrà lasciato la casa o la sposa o i genitori o i fratelli o i figli per il regno dei cieli, riceverà cento volte tanto nel tempo presente e nel secolo futuro possederà la vita eterna 11. Io mi stupisco che in questa loro critica essi siano tanto accecati, o per meglio dire non mi stupisco affatto: Li ha accecati - così sta scritto - la loro malizia 12. Chi non si accorge di quante raccomandazioni si trovino nel Nuovo Testamento sull’obbligo di amare la propria sposa? Allora perché dire che l’Antico Testamento è in contrasto con il detto del Signore che piuttosto bisogna lasciare la propria sposa per il regno dei cieli, e non che è il Nuovo Testamento stesso a contraddirsi? Ma affermare una cosa di questo genere sarebbe sacrilego. Infatti i passi che agli ignoranti appaiono contraddittorii bisogna cercare di comprenderli e non contestarli in maniera avventata.

3. 2. A dire il vero il Signore, essendo stato interrogato dai Giudei se ritenesse lecito che la moglie fosse rimandata con l’atto di ripudio, rispose loro con queste parole: Non avete letto forse che chi creò l’uomo da principio, li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi. Gli dissero: Perché allora Mosè ha ordinato di dare l’atto di ripudio e di mandarla via? Disse loro Gesù: Per la durezza dei vostri cuori Mosè vi ha permesso di mandare via le vostre mogli, ma da principio non fu così. D’altra parte vi dico: Chiunque manderà via la propria moglie, tranne che a motivo di fornicazione, la renderà adultera; ed egli stesso, se sposerà un’altra, commette adulterio 13. Ecco dunque ribadito dal Signore stesso, contro l’ignoranza dei Giudei, il senso del pensiero espresso nell’Antico Testamento. Nello stesso tempo dà atto a Mosè che a motivo della durezza del loro cuore permise il divorzio. Ma forse i Manichei pensano che anche il Vangelo contraddica se stesso? Potrebbero osare dire che questo testo non è autentico ed è stato aggiunto da falsari della Scrittura (infatti sono soliti dirlo, quando non sanno cosa controbattere); allora chiunque altro potrebbe ritenere come un’aggiunta e false le parole che essi stessi invece ammettono che il Signore abbia pronunziato: Chiunque lascerà la casa o la sposa o i genitori o i figli per il regno dei cieli 14, e ciò che segue? Non si rendono neanche conto, poveretti, che con le loro affermazioni cercano di smantellare tutta la fede cristiana. D’altra parte la vera fede e la dottrina della Chiesa cattolica conferma che entrambi i detti sono veri e sono stati pronunziati dal Signore; essi non sono per nulla in contrasto tra loro: infatti sia l’unione di marito e moglie proviene dal Signore, come pure dal Signore proviene l’abbandono della moglie per il regno dei cieli. Non è certo perché Gesù Cristo ha resuscitato i morti ed ha dato loro la vita, che la vita stessa non deve essere lasciata per il regno dei cieli. Allo stesso modo quantunque il Signore abbia assegnato all’uomo una moglie, tuttavia, se necessario, essa deve essere lasciata per il regno dei cieli. In ogni caso ciò non è sempre necessario, secondo quanto dice l’Apostolo: Se uno che professa la nostra fede ha la moglie non credente, e questa consente a stare con lui, non la ripudi 15. Evidentemente vuol significare che se non consente a stare con lui, cioè se non approva la sua fede in Cristo e non lo sopporta proprio perché è cristiano, deve essere lasciata per il regno dei cieli, come l’Apostolo stesso afferma successivamente: Ma se il non credente vuole separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono infatti soggetti a servitù 16. Se dunque chi rinuncia al regno dei cieli, perché non vuole rinunciare alla moglie che non sopporta un marito cristiano, non riceve l’approvazione del Signore; similmente non riceve l’approvazione del Signore un marito che lascia la moglie, dopo averle dato l’atto di ripudio, se non sussiste il motivo di fornicazione o per ottenere il regno dei cieli. Non vi è in sostanza alcuna contraddizione tra questi due passi del Vangelo e neppure ve ne è tra il Vangelo e l’Antico Testamento: infatti ivi la donna si unisce all’uomo affinché insieme acquistino meriti per possedere il regno dei cieli, ma allo stesso modo viene prescritto di lasciare la moglie qualora impedisca al marito di possedere il regno dei cieli.

3. 3. E quando l’Apostolo ammonisce mariti e mogli, entrambi cristiani, non lo fa forse con queste parole: Amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa, e ha dato se stesso per lei 17? E: Le mogli siano sottomesse ai loro mariti come al Signore, perché anche la Chiesa è sottomessa a Cristo? E le parole dell’Antico Testamento - Per questo l’uomo abbandonerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne - che questi tapini di Manichei scherniscono, non sono forse intese dall’Apostolo come un grande mistero quando afferma: Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa? Ed aggiunge: Quindi ciascuno ami la propria moglie come se stesso e la donna sia rispettosa verso il marito 18. E non indica forse in maniera molto evidente anche in un altro passo che la natura e l’unione dei due sessi ha avuto per creatore ed ordinatore il Signore Iddio? Dice infatti: Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna. Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna: tutto poi proviene da Dio 19. Se tenessero conto di tutte queste asserzioni, i Manichei non annebbierebbero gli inesperti separando dal loro contesto alcuni testi scritturistici e contrapponendoli artatamente tra loro; al contrario essi si accorgerebbero che tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento è stato l’unico Spirito Santo a scrivere e tramandare ogni cosa.

3. 4. Infatti anche nell’Antico Testamento si trovano nel profeta Isaia diverse promesse riferite agli eunuchi, pertanto non credano che sia stato solamente il Signore a lodarli nel Nuovo Testamento, là dove dice che vi sono alcuni i quali si sono castrati per il regno dei cieli ed aggiunse: Chi può capire, capisca 20. Infatti anche Isaia dice così: Queste sono le parole che il Signore dice agli eunuchi: quanti osserveranno i miei precetti e sceglieranno le cose a me gradite, e saranno capaci di rispettare la mia alleanza, a loro darò nella mia casa e tra le mie mura un posto e un nome molto migliore di figli e figlie: darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato 21. Quel popolo che ricevette l’Antico Testamento, secondo una mirabile e ben ordinata successione dei tempi, prima dell’avvento del Signore, ha avuto una comprensione delle cose in certo senso come di ombre e figure; tuttavia in mezzo ad esso si trovano una predizione e prefigurazione del Nuovo Testamento tali che non è possibile rintracciare, in seno alla dottrina evangelica ed apostolica, insegnamenti e promesse, per quanto profondi e provenienti da Dio, che non siano presenti anche nei libri dell’Antico Testamento. Vero è che le sante Scritture richiedono non denigratori temerari e superbi, ma lettori diligenti e devoti.

Non c’è opposizione fra la maledizione inflitta a Caino e le parole del Signore ai discepoli di non preoccuparsi del domani.

4. Si legge nella Genesi: Il Signore disse a Caino: Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo. Ora sii maledetto lungi da quella terra, che per opera della tua mano ha inghiottito ed ha ricevuto il sangue di tuo fratello: dovrai lavorare la terra ed essa non ti darà i suoi frutti 22. Nel loro modo di cavillare su questo passo della Genesi, in cui Caino viene maledetto e viene punito con l’infertilità della terra, e nella loro bramosia di dimostrare che esso è contrario al Vangelo, a me sembra che i Manichei pensino non saggiamente di avere a che fare non con uomini, ma piuttosto con delle pecore, che devono stare ad ascoltarli od a leggere i loro scritti; approfittano in questo modo della loro ignoranza e della loro lentezza d’ingegno, o per meglio dire della cecità del loro animo. Sostengono infatti che contrastino con quel brano scritturistico le parole che il Signore rivolge ai propri discepoli: Non preoccupatevi per il domani; sarà lo stesso domani infatti a preoccuparsi per sé. Guardate gli uccelli del cielo, non seminano, né mietono, né ammassano nei granai 23. Come se si potesse paragonare il parricida Caino con i discepoli di Cristo! Come se, poiché egli meritò la pena della sterilità della terra, di conseguenza subissero la medesima sterilità anche coloro, che al seguito del Signore Gesù Cristo venivano preparati alla predicazione del Vangelo. In realtà anche in questi due passi, uno della Genesi l’altro del Vangelo, che i Manichei hanno contrapposto come avversi tra loro, vi sono affinità ed accordo tali quali non si potrebbe maggiormente desiderare. Che cosa vi è infatti di più coerente e di più conveniente del fatto che chi si è macchiato dell’omicidio del proprio fratello venga punito con la sterilità della terra da lui lavorata, e che invece questa, senza che si debbano preoccupare del domani, metta i propri frutti a disposizione di coloro che, predicando la parola di Dio, rendono possibile la salvezza ai fratelli? Se inorridiscono all’idea che nell’Antico Testamento a causa di una maledizione di Dio la terra fu resa sterile per uno che aveva peccato, come mai non inorridiscono all’idea che nel Nuovo Testamento a causa di una maledizione di nostro Signore Gesù Cristo si sia seccato un albero di fico 24, pur non avendo commesso il suo padrone alcun peccato? Allo stesso modo se si compiacciono per le parole con le quali il Signore dice ai discepoli di non preoccuparsi del domani, perché è Dio a prendersi cura del loro nutrimento, come mai non si compiacciono anche per i versi che il profeta cantò: Getta sul Signore la tua preoccupazione ed egli ti darà nutrimento 25? Insomma è auspicabile che i Manichei comprendano, se ne sono capaci, che sia quelle parole pronunziate da Dio nell’Antico Testamento, che essi non accettano, sono talmente giuste da ritrovarsi anche nel Nuovo Testamento; sia quelle che essi lodano ed esaltano nel Nuovo si ritrovano parimenti nell’Antico. Di conseguenza a chi considera esattamente le cose non può non apparire manifesta l’armonia dei due Testamenti.

Antitesi: chi è il creatore dell’uomo?

5. 1. Nella Genesi sta scritto: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza 26; i Manichei affermano che anche questo passo della Genesi, in cui si dice che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, è in contrasto col Nuovo Testamento, poiché il Signore nel Vangelo dice ai Giudei: Voi avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui 27, ed inoltre perché in un altro passo gli stessi Giudei vengono definiti " razza di serpenti e di vipere " 28. Non capiscono che l’essere stato creato ad immagine e somiglianza di Dio si riferisce all’uomo prima del peccato, mentre ciò che si afferma nel Vangelo - Voi avete per padre il diavolo - è riferito a dei peccatori e per giunta infedeli. A dire il vero nelle sacre Scritture il termine " figlio " assume tre accezioni: la prima concernente l’ordine naturale, come nel caso di Isacco, " figlio " di Abramo, o anche degli altri Giudei appartenenti ad una stessa stirpe; la seconda riguardante l’ambito dottrinale, per cui un tale viene chiamato " figlio " del suo maestro: è il caso appunto dell’apostolo Paolo che chiama suoi " figli " coloro che hanno appreso da lui il Vangelo 29; la terza che viene attribuita in modo estensivo, come ancora nel caso dell’Apostolo che ci definisce " figli " di Abramo, in quanto ne imitiamo la fede 30. Di conseguenza i Giudei, peccatori ed infedeli, sono chiamati dal Signore " figli " del diavolo per due ragioni; o perché hanno appreso da lui la loro empietà, come afferma del diavolo stesso l’Apostolo: Il quale opera ora nei figli della diffidenza 31; o perché lo imitano, nel qual caso risulta più calzante ciò che di lui si dice: E non ha perseverato nella verità, dal momento che anche i Giudei stessi non perseverarono nella verità della Legge che era stata loro data; il Signore lo attesta con le seguenti parole: Se credeste a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto 32. A causa del veleno dei loro peccati sono definiti inoltre " razza di serpenti e di vipere ".

5. 2. Non è tuttavia solamente la Genesi ad affermare che l’uomo è stato creato ad immagine di Dio, ma lo ribadisce chiaramente anche l’Apostolo quando scrive: L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio, la donna invece è gloria dell’uomo 33. E affinché si comprenda con evidenza che l’uomo è stato creato ad immagine di Dio non secondo la vecchiezza del peccato che lo corrompe, ma secondo la sua più vera configurazione spirituale, l’Apostolo stesso esorta a spogliarci dell’abitudine al peccato, cioè dell’uomo vecchio, ed a rivestirci di una vita nuova in Cristo, quella ch’egli chiama uomo nuovo. Parla di un rinnovamento in quanto intende far capire che è una condizione che noi abbiamo in precedenza perduto. Infatti così si esprime: Spogliandovi infatti dell’uomo vecchio con le sue azioni, vestitevi del nuovo, che si rinnova nella conoscenza di Dio, ad immagine del suo Creatore 34. Quindi figli di Dio sono gli uomini rinnovati a sua immagine e sono diventati simili a lui a tal punto da amare i nemici; anche il Signore dice infatti che dobbiamo amare i nostri nemici per essere simili al Padre nostro che sta nei cieli 35. Ed è la Scrittura ad insegnare che questo potere ci è stato dato da Dio stesso, vi si dice infatti: Ha dato loro potere di diventare figli di Dio 36. Gli uomini sono definiti invece figli del diavolo, quando ne imitano l’empia superbia: allora precipitano giù dalle vette luminose della sapienza e non credono alla verità. A costoro allude il Signore quando dice: Voi siete figli del diavolo 37... ecc. E con questo passo evangelico si accorda quanto dice il profeta: Io ho detto: Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo. Eppure morirete come uomini e cadrete come un qualsiasi principe 38.

Antitesi: legami di sangue e regno di Dio.

6. Anche il passo in cui Dio ordinò di onorare i genitori (sta scritto nell’Esodo: Onora tuo padre e tua madre 39) i Manichei affermano che sia in contrasto con quel passo del Vangelo nel quale ad un tale che diceva: Andrò prima a seppellire mio padre, il Signore rispose: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu vieni ed annunzia il regno di Dio 40. Questa difficoltà si risolve allo stesso modo di quella precedente, relativa alla necessità di lasciare la moglie per il regno dei cieli; infatti dobbiamo onorare i genitori, tuttavia li possiamo trascurare per annunziare il regno di Dio senza macchiarci di alcuna empietà. Se infatti a motivo di questo insegnamento il Vangelo fosse in contrasto con l’Antico Testamento, lo sarebbe anche con l’Apostolo, il quale esorta i figli ad onorare i genitori ed i genitori ad amare i figli 41. Ma non basta. Potrebbe sembrare che il Signore stesso si contraddica (però sarebbe empio pensarlo), poiché in un altro passo dice ad un tale che aspirava ad ottenere la vita eterna: Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti, tra i quali menziona anche: Onora il padre e la madre. Ottemperando a questi comandamenti ci si eleva anche all’amore di Dio, in cui risiede la totale perfezione. Infatti l’amore verso il prossimo è un sicuro gradino che conduce all’amore di Dio. Per questo motivo il Signore rivolto ancora a lui, che risponde di avere osservato tutti i comandamenti, aggiunge che gliene manca uno per essere perfetto: vendere tutto ciò che possiede, donarlo ai poveri e seguirlo 42. È chiaro dunque che il rispetto dei genitori debba avere un grado d’importanza suo proprio, e tuttavia è senza dubbio necessario che a confronto con l’amore di Dio essi siano trascurati, soprattutto se costituiscono un impedimento. Lo afferma anche l’Antico Testamento: Chi dice al padre o alla madre: Non vi conosco, e chi non riconosce i propri figli, costui ha imparato a conoscere la tua alleanza 43. In conclusione, se anche nel Nuovo Testamento viene raccomandato il rispetto dei genitori e nell’Antico viene raccomandato di trascurarli, dai due contesti insieme deriva l’accordo dei due Testamenti.

Antitesi: vendetta e perdono.

7. 1. Per quanto concerne ciò che è scritto nell’Esodo: Io sono un Dio geloso che fa ricadere sui figli fino alla terza ed alla quarta generazione le colpe di quei genitori che mi hanno odiato 44, i Manichei affermano che sia in contrasto con esso quel passo del Vangelo nel quale il Signore afferma: Siate buoni come il vostro Padre celeste, che fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi 45, e quell’altro ancora in cui il Signore medesimo dice: non solo bisogna perdonare sette volte il fratello che ha peccato, ma anche settanta volte sette 46. Tuttavia qualora io chiedessi loro se per caso Dio non punisca i suoi nemici, sarebbero di certo in imbarazzo. Essi stessi dicono infatti che Dio prepara un’eterna prigione a quella stirpe delle tenebre che affermano sia nemica di Dio. Ma c’è di più; non esitano a dichiarare che punirà insieme a quella stirpe stessa anche le proprie membra. Quando si tratta però di capitoli dell’Antico e del Nuovo Testamento, per ingannare gli inesperti e per tacciarli di essere in contraddizione, si atteggiano a fin troppo buoni. Allora ci spieghino: a chi mai si sarebbe rivolto il Signore dicendo: Andate nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per gli angeli suoi 47, dal momento che perdona tutti e non condanna nessuno? Perciò il fatto che Dio faccia ricadere le colpe dei genitori sui figli che lo hanno odiato è comprensibilmente giusto; la postilla che mi hanno odiato chiarisce infatti che sono puniti per le colpe dei genitori quei figli che hanno voluto perseverare nella stessa perversità dei genitori. Non è certo per la crudeltà, ma piuttosto per la giustizia di Dio, nonché per la loro iniquità che essi vengono puniti, come dice il profeta: Infatti il Santo Spirito, che ammaestra, fugge l’ipocrisia e si sottrae ai discorsi privi di senno e si ritira quando sopravviene l’iniquità 48, cioè l’uomo sarà punito dall’iniquità che s’impadronisce di lui quando lo Spirito Santo lo avrà abbandonato. E in un altro passo: Hanno pensato in questo modo ed hanno sbagliato; infatti la loro malizia li ha accecati 49. Ed in un altro ancora: Ciascuno rimane avvinto dai legacci dei propri peccati 50. E concorda con queste attestazioni dell’Antico Testamento anche il Nuovo là dove l’Apostolo dice: Dio li ha abbandonati ai perversi desideri del loro cuore 51. L’accordo dei due Testamenti dimostra dunque a sufficienza che non è Dio ad essere crudele, ma che ciascuno lo diventa contro se stesso peccando.

7. 2. Il fatto poi che, com’è scritto, la vendetta divina si prolunghi fino alla terza e quarta generazione, altro non significa - io credo - se non che dallo stesso Abramo, che cominciò ad essere il padre del popolo giudaico, vi sono, compresa quella attuale, quattro età, in base a come le ha suddivise l’evangelista Matteo 52. La prima è quella che va da Abramo fino a Davide; la seconda da Davide fino alla trasmigrazione in Babilonia; la terza dalla trasmigrazione in Babilonia fino all’avvento del Signore; la quarta infine si svolge fino alla fine dei tempi, ed in quanto costituisce la vecchiaia del secolo è più lunga delle altre età. Noi riteniamo che queste età indichino le generazioni, quantunque singolarmente constino di diverse generazioni. Dal momento che la terza comincia dalla trasmigrazione in Babilonia, quando si verificò la cattività dei Giudei, e che nella quarta, cioè dopo l’avvento di nostro Signore, il popolo giudaico fu sradicato completamente dalla sua terra, si comprende cosa significhi che Dio chiederà conto dei peccati dei genitori fino alla terza e quarta generazione; e lo fa legittimamente e debitamente, in quanto i Giudei preferirono perseverare nei peccati dei loro padri piuttosto che seguire la giustizia di Dio. Infatti che i peccati di un padre non ricadano su un figlio che vive in modo giusto lo dimostra in modo chiarissimo il profeta Ezechiele 53.

7. 3. Quanto poi viene detto nel Vangelo: Siate buoni come il vostro Padre celeste che fa sorgere il suo sole sopra i buoni ed i cattivi 54 non è affatto contrario all’Antico Testamento. Dio infatti si comporta in questo modo per spingerci alla penitenza, come dice l’Apostolo: Non sai forse che la pazienza di Dio ti spinge alla penitenza? 55 Ma non si deve per questo credere che Dio non punirà coloro i quali, come dice lo stesso Apostolo: Accumulano sopra di sé ira per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere 56. Questa pazienza e bontà di Dio la esalta infatti anche il profeta dicendo: Tu, che ami le anime, perdoni tutti, perché tue sono tutte le cose 57. Vi sono comunque innumerevoli altri passi dai quali si comprende che entrambi i Testamenti esaltano la misericordia e la giustizia di Dio sia nella sua bontà sia nella sua severità.

7. 4. Se invece i Manichei sono sconcertati dall’espressione: Io sono geloso; altrettanto dovrebbero sconcertarsi per le parole dell’apostolo Paolo: Io nutro per voi una gelosia divina; vi ho infatti fidanzati ad un solo sposo per presentarvi a Cristo come una vergine pura 58. In effetti la Sacra Scrittura dal momento che utilizza i nostri modi espressivi, dimostra anche nelle parole or ora menzionate che non è possibile poter dire nulla che sia degno di Dio. Perché non utilizzare allora parole di questo tenore anche riguardo a quella maestà divina di cui nessuna definizione risulta degna, dal momento che essa sopravanza per la sua ineffabile sublimità tutte le capacità espressive delle diverse lingue? In realtà dato che i mariti sono soliti custodire con la loro gelosia la pudicizia delle mogli, le Scritture hanno definito gelosia la severa regola con cui Dio non permette che l’anima fornichi impunemente. La fornicazione dell’anima naturalmente consiste nell’allontanarsi dai frutti fecondi della saggezza e nel rivolgersi al concepimento delle tentazioni e corruzioni dei legami temporali.

7. 5. Che bisogna perdonare ad un proprio fratello non solo sette volte, ma anche settanta volte sette, si riferisce ovviamente ad un fratello pentito. Dio infatti afferma di punire i peccati di coloro che lo odiano, non certo di coloro che pentendosi si riconciliano con lui. Il Signore lo dice chiaramente anche per bocca del profeta: Io non voglio la morte del peccatore, ma che si penta e viva 59. Appare dunque chiaro che sia in quella pazienza che invita al pentimento, sia in quella indulgenza che perdona i pentiti, sia in quella giusta severità che punisce coloro che non vogliono ravvedersi, i due Testamenti concordano tra loro e si armonizzano in quanto entrambi scritti dallo stesso Dio.

Antitesi: ancora sulla vendetta e sul perdono.

8. Nell’Esodo si trova scritto: Occhio per occhio, dente per dente 60 e altre espressioni di tal genere. I Manichei denigrano questo passo della Legge nel quale viene dato il permesso di una congrua vendetta e si dice che bisogna rovinare un occhio per un occhio, un dente per un dente, come se il Signore stesso avesse mostrato nel Vangelo che questi due precetti sono a lui avversi e contrari. Dice infatti: Avete udito che fu detto agli antichi: " Occhio per occhio e dente per dente ", io vi dico invece di non resistere al malvagio; anzi, se uno ti percuote nella guancia destra, porgigli anche l’altra. E se uno vuole citarti in giudizio per portarti via la tua tunica, cedigli anche il mantello 61. A dire il vero in queste due affermazioni si palesa la differenza tra i due Testamenti, i quali tuttavia sono stati fissati da uno stesso Dio. Infatti poiché in un primo momento gli uomini carnali erano smaniosi di trarre una vendetta di gran lunga superiore all’offesa subita; perciò fu per prima cosa imposto loro un certo grado di dolcezza, di modo che il loro rancore vendicativo non fosse sproporzionato all’offesa ricevuta. In tal modo infatti avrebbe ben potuto talora perdonare l’offesa chi avesse prima imparato a non oltrepassare la misura della propria vendetta. In seguito il Signore volendo elevare il popolo attraverso la grazia del Vangelo alla pace suprema, su questo gradino ne edificò un altro, affinché chi avesse imparato a non vendicarsi in modo sproporzionato al torto ricevuto, potesse assaporare nel suo animo rabbonito la gioia di perdonare completamente. Anche il profeta lo spiega nei Libri dell’Antico Testamento con queste parole: Signore mio Dio, se io ho fatto tale cosa, se vi è iniquità nelle mie mani, se io ho reso il male a coloro che me ne hanno fatto 62. E similmente un altro profeta dice di un uomo capace di tollerare le offese con tantissima mitezza: Offrirà la guancia a chi lo percuote, si sazierà di oltraggi 63. Da ciò si comprende che a ragione fu fissato un limite alla vendetta di uomini carnali e si comprende altresì che il totale perdono di un’offesa non è solamente il Nuovo Testamento ad insegnarlo, ma che molto tempo prima lo si trova annunciato nell’Antico.

Antitesi: il Dio visibile dell’Antico Testamento e il Dio ineffabile e invisibile di Gesú.

9. 1. Dio ha parlato con Adamo ed Eva, con il serpente, con Caino e con altri del passato 64; sta scritto che ad alcuni di essi è anche apparso ed è stato visto da loro. Non ad uno, ma ai molti luoghi scritturistici nei quali si rappresenta Dio che parla con gli uomini e che appare ad alcuni, si appigliano i Manichei per dire che sono contrari al Nuovo Testamento, poiché il Signore afferma: Nessuno ha mai visto Dio, se non l’unico Figlio che è nel seno del Padre; egli ce lo ha fatto conoscere 65; ed ancora rivolto ai Giudei: Voi non avete mai udito la sua voce, non avete mai visto il suo volto e la sua parola non dimora in voi, perché voi non avete creduto a colui che egli ha mandato 66. Noi rispondiamo loro con le parole stesse del Vangelo: Nessuno ha mai visto Dio, se non l’unico Figlio che è nel seno del Padre; egli ce lo ha fatto conoscere, le quali possono dare una completa soluzione del problema. Infatti il Figlio stesso, vale a dire il Verbo di Dio, non solo negli ultimi tempi, quando si è degnato di manifestarsi nella carne, ma anche in passato fin dalla creazione del mondo ha fatto conoscere il Padre a chi ha voluto, sia parlando, sia manifestandosi, o attraverso qualche potestà angelica o per mezzo di qualche altra creatura; perché egli è la verità in tutte le cose e tutto sussiste in lui; ogni cosa risponde al suo cenno ed è a lui sottomessa, tanto che appare agli occhi attraverso una creatura visibile a chi vuole e quando vuole. Tuttavia per la sua divinità e per l’essere il Verbo del Padre, a lui coeterno ed immutabile, per mezzo del quale ogni cosa è stata creata, non può essere visto che da un cuore del tutto puro e privo di malizia. Perciò in certi passi la Scrittura stessa, quando parla di una visione di Dio, attesta l’apparizione di un angelo 67. Così nella lotta di Giacobbe si dice che quello che apparve era un angelo 68. Anche quando apparve a Mosè nel roveto 69 e similmente nel deserto quando questi ricevette la legge dopo avere portato fuori dall’Egitto il popolo, fu Dio che gli parlò 70. Anzi Stefano negli Atti degli Apostoli precisa che sia nel roveto, quando gli affidò la missione, sia dopo, quando gli diede la legge fu un angelo che gli apparve 71. Noi diciamo questo affinché qualcuno non creda che il Verbo di Dio, per mezzo del quale è stata creata ogni cosa, possa essere circoscritto in certi luoghi e possa manifestarsi palesemente a qualcuno se non attraverso una creatura visibile. Come infatti il Verbo di Dio è nel profeta, tanto che a ragione si dice: " Il Signore ha detto ", dal momento che il Verbo di Dio, cioè Cristo, per bocca del profeta proferisce la verità, allo stesso modo è sempre lui a parlare per bocca di un angelo, quando un angelo rivela la verità; sicché a ragione si dice: " Dio ha detto " oppure " Dio è apparso " ed altrettanto giustamente " l’Angelo ha detto " oppure " l’Angelo è apparso ". Nel primo caso si intende parlare di Dio presente in un determinato personaggio, nell’altro della creatura di cui si serve. In base a questo criterio anche l’Apostolo afferma: Volete forse ricevere una prova che in me parla Cristo? 72

9. 2. Se poi risulta sconvolgente che nell’Antico Testamento Dio parli anche a dei peccatori come Adamo, Eva o il serpente, prestino attenzione i Manichei ad un caso simile presente nel Nuovo, quello dell’uomo stolto ed avido cui il Signore si rivolse dicendo: Insensato, questa notte stessa ti sarà tolta l’anima tua e quello che hai preparato, per chi sarà? 73 Infatti se la verità è rivolta anche ai peccatori, qualunque sia la creatura che la riveli, essa proviene da colui che solo è veritiero. È ciò che del resto dice ai Giudei: Voi non avete mai udito la sua voce, perché essi non gli diedero ascolto nel momento in cui parlava con loro. E aggiunge anche: Non avete mai visto il suo volto, perché non è possibile. Ed ancora: E la sua parola non dimora in voi, perché in chi dimora la parola di Dio, dimora Cristo, che essi invece respinsero. Infatti quando il Signore disse: Padre, glorifica me con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse, risuonò una voce proveniente dal cielo: L’ho glorificato e ancora lo glorificherò 74. Molti dei Giudei presenti udirono quella voce, anzi a dire il vero non si può dire che l’abbiano udita, perché non le diedero ascolto fino al punto di credere. Se non ci si deve dunque meravigliare che il Verbo di Dio, cioè l’unico Figlio di Dio che rivela il Padre, secondo il proprio volere si manifesta ad uno da se stesso, ad un altro per mezzo di una qualche creatura, ora parlando ora mostrandosi, quantunque egli stesso, e attraverso lui il Padre, sia visibile a chi sia puro di cuore - Beati infatti i puri di cuore, perché vedranno Dio 75 - altrettanto non ci si deve meravigliare che tutti questi esempi ricavati da entrambi i Testamenti si armonizzino tra loro.

Antitesi: tempio terrestre e tempio celeste.

10. Dio parlò a Mosè e gli disse: Di’ ai figli di Israele: Raccogliete da ciascuno delle offerte e destinatele a me, vale a dire oro, argento, bronzo, porpora, lino, un mantello scarlatto, peli di capra, pelli di montone tinte di rosso, legna intatta, olio per far luce, incenso, pietre preziose, cioè berilli; poi costruite un santuario nel quale io possa stare insieme a voi 76. Anche su questo passo della Scrittura i Manichei trovano da ridire, e dicono che sia ad esso contrario quello del Vangelo in cui il Signore dice: Non giurerai né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi 77. Infatti polemizzano e ritengono di aver trovato un’argomentazione importante: Come può abitare - affermano - in un santuario fatto d’oro, d’argento, di bronzo, di porpora, di velli di agnelli e di pelli, quel Dio che ha per trono il cielo e dei cui piedi è sgabello la terra? E chiamano a testimone anche l’apostolo Paolo, poiché dice che Dio abita una luce inaccessibile 78. Noi a nostra volta solleviamo una questione identica, e quell’argomentazione che hanno ricavato dal Nuovo Testamento noi la traiamo dall’Antico Testamento. Qui si trova scritto infatti ancor prima: Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi; quale casa mi potreste costruire, o quale luogo potrebbe esserci per il mio riposo? Non è forse la mano mia che ha fatto tutte queste cose? 79 Ecco dunque un passo dell’Antico Testamento dove si afferma che Dio non abita in templi costruiti da mano umana, e tuttavia il Figlio del nostro Dio dopo aver fatto una sferza di corde cacciò dal tempio coloro che vendevano buoi e colombe e rovesciò i banchi dei cambiavalute dicendo: La casa del Padre mio sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri 80. Se dunque sulla base di questi due luoghi intesi come contrastanti tra loro, qualcuno volesse ingannare gli sprovveduti, affermando che nell’Antico Testamento si magnifica Dio, di cui si dice che il cielo è il suo trono e la terra lo sgabello dei suoi piedi, e negando che possa abitare in una casa costruita dall’uomo, mentre invece nel Nuovo Testamento la sua dimora viene definita un tempio costruito dagli uomini, forse che i Manichei alla fine non ammetterebbero che l’espressione " dimora di Dio costruita da mano umana " va intesa in un significato specifico in entrambi i Testamenti e che in entrambi i Testamenti si afferma che Dio non abita in luoghi costruiti dagli uomini?

Antitesi: gelosia e giustizia di Dio.

11. Sta scritto nell’Esodo: Voi non adorerete dèi stranieri, e ancora: Il vostro Dio si chiama Geloso; infatti in quanto geloso egli prova gelosia 81. Dal momento che i Manichei in questo testo censurano l’espressione: Voi non adorerete dèi stranieri, mostrano apertamente di gradire che si adorino molti dèi. E non c’è da meravigliarsi, poiché nella loro setta annoverano e glorificano una famiglia assai numerosa di dèi : anzi si sono spinti fino alle cose visibili, che essi venerano ed adorano come se fossero la luce della verità stessa; perciò non è loro gradito quanto sta scritto nell’Esodo: Voi non adorerete dèi stranieri. Aggiungono inoltre che l’altra asserzione - Il vostro Dio si chiama Geloso, infatti in quanto geloso egli ha provato gelosia - è stata fatta affinché noi non amiamo un Dio geloso, la cui gelosia non ci permette di adorare dèi stranieri. E perciò dicono che tali affermazioni contrastano col Vangelo, poiché il Signore dice: Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto 82. Quasi che non si debba definire giusto Dio, se non ci permette di adorare dèi stranieri. Ritengono infatti che " Dio giusto " e " Dio geloso " siano espressioni in contrasto tra loro, e ingannano quegli infelici che non comprendono che nella gelosia di Dio è riposta interamente la speranza della nostra salvezza. Infatti con questo termine viene indicata la provvidenza di Dio, la quale non consente che nessuna anima si allontani impunemente da lui, come dice il profeta: Tu manderai in rovina coloro che si allontaneranno da te 83. Come infatti quella che si definisce ira di Dio non è una passione dell’animo, ma la capacità di vendicarsi, così la gelosia di Dio non è quel tormento dell’animo per il quale sono soliti struggersi un marito verso la moglie o la moglie verso il marito, ma un atto di giustizia molto sereno e schiettissimo per cui non è consentito di essere beata a nessuna anima corrotta e in certo modo gravata da false credenze ed empie passioni. I Manichei, i quali non si sono resi ancora conto di come nessuna parola possa essere adatta ad una maestà ineffabile, provano orrore per queste parole. Così ritengono che bisogna evitarle, come se non pronunciandole dicessero qualcosa degna di Dio. In realtà lo Spirito Santo, quantunque le supreme verità divine siano ineffabili, intendendo darne lo stesso un’idea agli uomini intelligenti, ha voluto servirsi di parole che di solito tra gli uomini sono utilizzate per indicare un vizio, affinché fossero avvertiti che anche quelle espressioni che gli uomini pensano di potere pronunciare in maniera consona a Dio, sono indegne della sua maestà, cui rende più onore il silenzio che qualsiasi parola umana. Io cerco di sapere cosa sia la gelosia dell’uomo; ebbene scopro un turbamento che strugge il cuore. Se poi ne cerco la causa, non scopro nient’altro se non che non si riesce a tollerare l’adulterio del coniuge. È appunto soprattutto nel rapporto tra coniugi che si suole parlare propriamente di gelosia. Ammettiamo che un marito fosse di per sé beato, onnipotente e giusto, egli punirebbe la colpa della moglie senza alcun tormento, con ogni facilità e senza alcuna ingiustizia. Tuttavia esprimendomi in termini di linguaggio umano, quantunque non in senso proprio ma per traslato, io a buon diritto definirei il suo agire " gelosia ". Chi ha criticato Cicerone, che certamente sapeva parlare latino, quando disse a Cesare: Nessuna delle tue virtù è più ammirevole ed apprezzabile della misericordia 84? E tuttavia si dice che la parola " misericordia " derivi dal fatto che rende " misero " l’animo di chi si affligge per la " miseria " altrui. Forse che dunque una virtù rende l’animo infelice? Cicerone che cosa avrebbe risposto ai suoi censori se non che col termine " misericordia " aveva voluto indicare la clemenza? Giacché si è soliti parlare in maniera corretta, non solo utilizzando termini propri, ma anche sinonimi. Ho voluto citare questo autore perché nel nostro caso è in discussione non il contenuto ma l’espressione verbale. Come infatti i nostri autori, intendo quelli delle Sacre Scritture, hanno prestato attenzione in modo particolare ai contenuti, così gli autori profani, al contrario, si sono preoccupati quasi esclusivamente delle parole. In ogni caso posso avvalermi del Vangelo e di tutti i libri del Nuovo Testamento, nei quali spessissimo viene messa in rilievo la misericordia di Dio. Osino dunque questi poveri Manichei criticare anche tali passi e negare che Dio sia " misericordioso", affinché non si pensi che abbia un animo " misero ". Come dunque può accadere che in Dio vi sia " misericordia " senza " miseria " dell’animo, così anche non vi sarà per noi alcuna difficoltà ad ammettere una " gelosia " di Dio senza corruzione e tormento dell’animo; per elevarci al silenzio divino noi accettiamo i condizionamenti del linguaggio umano. Se affermano poi che vi è contraddizione tra Dio " geloso " e Dio " giusto ", cosa mai diranno riguardo a quanto io trovo scritto nel Nuovo Testamento: Io provo per voi la gelosia di Dio 85; o la citazione, tratta dall’Antico Testamento, riportata nel Vangelo: La gelosia della tua casa mi divora 86? E ancora, quando leggono nell’Antico Testamento: Il Signore è giusto, ama le cose giuste, il suo volto vede l’equità 87, non dovranno ammettere forse che per gli inesperti anche in questo caso i due Testamenti possono sembrare in contraddizione, dal momento che nel Nuovo si parla della gelosia di Dio e nell’Antico della giustizia di Dio? E che invece per chi li comprende bene entrambi sono in armonia tra loro in virtù dell’unità e del grande accordo dello Spirito Santo?

Antitesi: il sangue e l’anima.

12. 1. Sta scritto che non bisogna mangiare il sangue, perché il sangue è l’anima della carne 88. A questa prescrizione dell’Antica Legge i Manichei oppongono, ricavandolo dal Vangelo, quanto dice il Signore, cioè che non bisogna temere coloro che possono uccidere il corpo, poiché non possono nuocere all’anima 89. Facendone una questione essi dicono: se il sangue è l’anima, come mai gli uomini non hanno alcun potere su di essa, tenuto conto che col sangue fanno molte cose, sia raccogliendolo per darlo come cibo ai cani e agli uccelli sia spargendolo per mescolarlo alla melma o al fango? In effetti gli uomini possono fare col sangue queste e innumerevoli altre cose senza difficoltà. Per questo motivo i Manichei con arroganza chiedono in che modo, se il sangue è l’anima, un assassino possa non nuocere all’anima di un uomo pur avendo tanto potere sul suo sangue. Aggiungono inoltre quanto afferma l’apostolo Paolo: Perché la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio 90 e di conseguenza affermano che se il sangue è l’anima, così come afferma Mosè, non si troverà alcuna anima in grado di ottenere il regno di Dio. Ad una tale calunnia innanzi tutto bisogna rispondere in modo tale da costringerli ad indicare dove sta scritto nei libri dell’Antica Legge che il sangue è l’anima dell’uomo. Questa asserzione infatti non la troveranno in alcun luogo di quella Scrittura che, sventurati, per quanto si sforzino di sviscerare non riescono in alcun modo a comprendere. Se non vi è infatti detto niente del genere che riguardi l’anima umana, cosa importa a noi che l’anima di un animale possa ricevere danno dalla sua uccisione o che non possa ottenere il regno di Dio? Ma poiché costoro si preoccupano troppo dell’anima degli animali (pur essendo infatti quelle degli uomini anime razionali, essi ritengono tuttavia che si reincarnino negli animali), pensano che sarà a loro stessi precluso il regno dei cieli, se ammettono che lo sia per le anime degli animali.

12. 2. E che dire del fatto che Adimanto, uno dei discepoli di Mani, ricordato come grande dottore di quella setta, abbia anche osato insultare il popolo di Israele? Sì, ha osato insultare il popolo dei Giudei affermando che le anime dei loro padri, giacché è loro opinione che il sangue sia l’anima, sono state in parte divorate dai serpenti, in parte consumate dal fuoco, in parte seccate nei deserti e su impervie montagne. Anche se si volesse ammettere che ciò sia vero, ci si dovrebbe convincere che è avvenuto tuttavia senza alcuna colpa di coloro che egli ha voluto offendere. Non sono stati infatti loro a recare in qualche modo danno alle anime dei loro padri, alle quali - a suo dire - sono capitate tutte quelle sventure per il loro modo di pensare: semmai ne possono aver ricavato motivo di lutto, non di colpa. D’altra parte lo stesso Adimanto cosa farà, convinto com’è che anche le anime razionali, cioè quelle degli uomini, possono essere cacciate nel corpo delle bestie? Quale grande crimine commetterà piagando il proprio cavallo con la frusta quando è lento o trattenendolo con il morso quando scalpita, dacché in esso potrebbe esserci per caso l’anima di suo padre? Per non dire poi che potrebbe uccidere i suoi genitori anche in mezzo ai pidocchi e alle pulci, dalla cui eliminazione i Manichei non si astengono. Infatti cosa giova loro negare talvolta che le anime umane possano reincarnarsi in animali così minuscoli? Lo negano per non essere incolpati di così numerose uccisioni o per non essere costretti a risparmiare pidocchi, pulci e cimici e a sopportare, non avendo la libertà di ucciderli, le loro molestie. In realtà possono essere messi alle corde chiedendo per quale motivo l’anima umana possa reincarnarsi in una piccola volpe e non possa invece in una faina, tenuto conto che un cucciolo di volpe è forse anche più piccolo di una grande faina. Inoltre se può reincarnarsi in una faina, perché non può in un topo? E se lo può in questo, perché non anche in un geco? E se può reincarnarsi in un geco, perché non lo può in una cavalletta? E ritrovarsi poi in un’ape, successivamente in una mosca, quindi in una cimice e financo in una pulce e, se esiste, in qualche animale molto più piccolo? Essi infatti non pongono un limite, e così, a causa di questa puerile convinzione, caricano la propria coscienza di innumerevoli omicidi.

12. 3. Per quel che concerne ciò che è scritto, che il sangue di una bestia è la sua anima, a parte quanto ho detto in precedenza, non mi compete trattare della sorte dell’anima di una bestia; del resto posso anche interpretare quell’insegnamento in chiave simbolica. Infatti il Signore non ha esitato a dire: Questo è il mio corpo 91, dando un significato simbolico del suo corpo.

12. 4. L’Apostolo ha detto: La carne e il sangue non possiederanno il regno di Dio; anche nella Legge si dice: Il mio spirito non resterà in costoro, poiché sono carne 92. Tuttavia nei Libri dell’Antico Testamento tante volte viene promesso il premio futuro alle anime dei giusti. L’intenzione dell’Apostolo, dunque, era quella di indicare quale sarebbe stato il corpo dei giusti per effetto del mutamento insito nella risurrezione, poiché le donne non prenderanno marito né gli uomini moglie, ma saranno come Angeli nel cielo 93; per questo motivo, volendo suggerire il futuro mutamento dei corpi dei giusti, l’Apostolo affermò: Vi dico, o fratelli, che la carne e il sangue non possiederanno il regno di Dio 94. Questa opinione non viene formulata in modo isolato ed ambiguo, ma viene sviluppata in modo approfondito per tutta la lettera, tanto che la si può verificare - l’argomentare non è per niente oscuro - anche ad una semplice lettura. Così infatti egli si esprime: È necessario che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità. E che si riferisca al corpo, appare chiaro da quanto detto in precedenza: Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri; ma altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri; altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro ancora lo splendore delle stelle. Ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore; così anche la risurrezione dei morti. Viene seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; viene seminato nell’ignominia, risorge nella gloria; viene seminato debole, risorge pieno di forza; viene seminato un corpo animale, risorge un corpo spirituale. Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, così come sta scritto: il primo uomo Adamo fu creato anima vivente, l’ultimo Adamo spirito vivificante. Non è stato creato per primo ciò che è spirituale, ma ciò che è animale; ciò che è spirituale è stato creato successivamente. Il primo uomo tratto dalla terra è terrestre; il secondo uomo venuto dal cielo è celeste. Quale è l’uomo fatto di terra, tali sono i terrestri; e quale è l’uomo celeste, tali sono anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terrestre, portiamo anche l’immagine di colui che è venuto dal cielo. Questo vi dico, o fratelli: che la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né la corruttibilità potrà ereditare l’incorruttibilità 95. Dovrebbe certo essere ormai chiaro in che senso l’Apostolo si sia espresso. Perché allora Adimanto con indegna malafede menziona solamente l’ultima espressione ed omette le precedenti, dalle quali si potrebbe comprendere correttamente ciò che viene invece malamente interpretato? Infatti dal momento che il corpo di nostro Signore dopo la risurrezione si è levato al cielo, subendo una trasformazione celeste funzionale a questa sua stessa celeste dimora, ci è imposto di sperare altrettanto per noi nell’ultimo giorno; per questo l’Apostolo ha detto: Quale è l’uomo fatto di terra, tali sono i terrestri, vale a dire, mortali; e quale è l’uomo celeste, tali sono anche i celesti, vale a dire, immortali, non solamente nell’anima, ma anche nel corpo. Per tale motivo aveva detto in precedenza che altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri. In merito poi a quanto da lui asserito che al momento della risurrezione il corpo sarà spirituale, non si deve per questo credere che non sarà più corpo, ma spirito: in effetti lo definisce corpo spirituale in quanto completamente sottomesso allo spirito, senza alcuna corruzione o morte. Non certo perché chiama corpo " animale " questo che ora abbiamo, si deve credere che esso non sia corpo ma anima. Se, dunque, il corpo terreno è definito "animale " in quanto è sottomesso all’anima, tuttavia non può essere definito spirituale, in quanto non è ancora pienamente sottomesso allo spirito, almeno fino a quando è corruttibile. Ma immediatamente lo si chiamerà " spirituale ", quando, privo di corruzione, potrà tenere testa allo spirito e all’eternità.

12. 5. Tuttavia se non sembra ancora sufficientemente provato che l’Apostolo, quando afferma: La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile erediterà l’incorruttibilità, si riferisce alla trasformazione che avverrà in futuro, si presti attenzione a quello che aggiunge subito dopo: Ecco io vi annunzio un mistero: tutti risorgeremo, tuttavia non tutti saremo trasformati in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. Poi, per mostrare di che natura sarà la trasformazione stessa, continua ed aggiunge ciò che io ho detto prima. Subito dopo in effetti afferma: È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità 96. È chiaro a questo punto perché la carne e il sangue non possiederanno il regno di Dio; infatti quando il corpo si sarà vestito di incorruttibilità e di immortalità non sarà più carne e sangue, ma sarà mutato in corpo celeste. Abbiamo colto l’occasione di affrontare questo problema, perché i Manichei sono soliti contestare molto anche questa affermazione, negando la risurrezione dei corpi. Infatti la questione non riguarda il corpo, ma l’anima; essi ritengono che la Legge la identifichi con il sangue, cosa che noi non intendiamo in alcun modo così. Ma sebbene non ci occupiamo dell’anima delle bestie, con le quali non abbiamo alcun legame di razionalità, tuttavia noi riteniamo che quanto afferma la Legge - cioè che il sangue deve essere sparso e non deve essere assunto come cibo, perché il sangue è l’anima - sia detto simbolicamente come molte altre affermazioni; quasi tutti i misteri di quelle Scritture [sc. dell’Antico Testamento] sono pieni di significati figurali relativi alla predicazione futura, che è stata resa manifesta per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo. Il sangue è l’anima allo stesso modo di come la roccia era Cristo, quando l’Apostolo dice: Bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo 97. È risaputo d’altra parte che i figli d’Israele nel deserto bevvero l’acqua sgorgata dalla roccia 98: a loro si riferiva l’Apostolo con le sue parole; non dice che la Roccia indicava Cristo, bensì che la Roccia era Cristo. E affinché non la si intendesse in senso " carnale ", la definisce " spirituale "; in altri termini lascia intendere che la si deve interpretare in senso spirituale. Sarebbe lungo, e d’altra parte inutile in questo momento, non potendolo fare se non succintamente, esporre i misteri racchiusi nella stessa Legge. È sufficiente che coloro i quali li criticano, comprendano che noi non li intendiamo così come sono soliti fare loro in segno di scherno, ma alla maniera degli Apostoli, che pur comprendendo tutti i misteri, ne spiegarono pochi, per lasciare ai posteri la comprensione dei rimanenti sulla base delle loro medesime regole.

Antitesi: gelosia e bontà di Dio.

13. 1. Nel Deuteronomio sta scritto: Guardatevi dal dimenticare l’alleanza che il Signore vostro Dio ha stabilito con voi e dal farvi statue e ritratti; e viene aggiunto inoltre: il vostro Dio è un fuoco divoratore e un Dio geloso 99. L’illustre Adimanto di queste parole della Scrittura ha proposto un’interpretazione malevola, che noi ci siamo assunti il compito di respingere e confutare. In realtà credo di avere già risposto precedentemente, e a sufficienza, alle sue accuse calunniose relative alla gelosia di Dio. Mi preme ricordare tuttavia che non solo in quell’occasione, ma anche ora egli attacca le Scritture a proposito della gelosia di Dio, con lo scopo di aggiungere che in quei testi il Signore nostro Dio ci proibisce il culto degli idoli, come se fosse sua intenzione biasimare la gelosia di Dio per nessun altro motivo se non perché quella gelosia stessa ci proibisce il culto degli idoli. Insomma egli intende mostrarsi favorevole agli idoli, cosa che i Manichei fanno per attirare sulla loro miserevole e delirante setta anche la simpatia dei Pagani. A questo passo della Legge essi oppongono quel luogo dove un tale si avvicinò al Signore e gli disse: Buon Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna? Gesù gli rispose: Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo 100. Ovviamente dovremmo dedurre che questi due passi sono in contrasto, giacché nella Legge si dice: Dio è un fuoco divoratore e un Dio geloso, mentre nel Vangelo: Nessuno è buono se non Dio solo.

13. 2. A proposito della gelosia ho avuto già modo di ribattere che nella Scrittura queste parole non stanno a significare una qualsiasi passione o una sofferenza di Dio; tuttavia poiché di Dio non è possibile affermare nulla che ne sia degno, si è fatto ricorso ad esse e per quanto gli uomini le ritengano indegne, sono costretti ad ammettere che anche quelle espressioni riguardanti l’ineffabile divina eccellenza, che essi pensano di dire in modo conveniente, sono in realtà indegne della grandezza di Dio, la cui sapienza, nel momento di scendere fino al corpo umano, è prima discesa fino alle umane parole. Ecco, ho usato la parola " scendere ", ma se solo cominciassi ad analizzarla, mi renderei conto di non essermi espresso con proprietà: non può infatti " scendere " un qualcosa se non è anche in grado di muoversi da un posto ad un altro. È chiaro in effetti che chi scende, lascia un luogo superiore per raggiungerne uno inferiore. Invece la Sapienza di Dio, trovandosi dappertutto, non può in alcun modo spostarsi da un luogo all’altro. È a lei che nel suo Vangelo fa riferimento Giovanni, come chi è stato vicino al petto del Signore, quando afferma: Era in questo mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Aggiunge nondimeno: Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto 101. In che modo " era " qui e in che modo " venne ", se non perché è necessario, per renderla comprensibile agli uomini, esprimere con parole umane quell’ineffabile eccellenza, mentre al contrario è con un divino silenzio che si deve comprendere, perché divinizzi gli uomini? Si può dunque dare una spiegazione razionale del perché si dica così, ma non si può dire alcunché di Dio in modo degno, anzi è già indegno che lo si sia detto. Togli alla gelosia l’errore e il dolore, cos’altro resterà se non il desiderio di preservare la castità e di punire la colpa del coniuge? Quale altra parola se non " gelosia " di Dio, potrebbe meglio rendere l’idea del legame coniugale con Dio cui siamo chiamati e che egli disapprova la perversione di un nostro rapporto peccaminoso, e punisce la nostra impudicizia, mentre approva la castità? Non è senza motivo che si dice volgarmente: Chi non prova gelosia non ama.

13. 3. Un analogo ragionamento ben s’addice all’espressione fuoco divoratore di cui però non devo discutere. Piuttosto potrei chiedere ai Manichei stessi, quale fuoco il Signore disse di essere venuto a portare in questo mondo. È quanto si dice nel Vangelo, che essi non possono di certo mettere in discussione, non perché rispettino Cristo, ma per abbindolare i Cristiani. Quando viene loro ricordato che il Signore ha detto: Sono venuto a portare il fuoco in questo mondo 102, gli sventurati obiettano che è un’altra cosa. Noi replichiamo allora: non vi preoccupate, anche questa è un’altra cosa. È infatti Cristo stesso che anche parla nell’Antico Testamento quando dice: Io sono un fuoco divoratore 103, come è anche lui stesso ad affermare nel Vangelo di essere venuto a portare il fuoco in questo mondo, cioè la Parola di Dio, vale a dire se stesso. Ad ogni modo dopo la risurrezione egli spiegò ai discepoli il senso delle antiche Scritture, a cominciare da Mosè e da tutti i Profeti, ed allora i discepoli stessi ammisero di avere ricevuto un fuoco e si dissero: Non ci ardeva forse il cuore dentro durante il cammino, mentre ci spiegava le Scritture? 104 Egli è veramente un fuoco divoratore: l’amore divino infatti consuma la vecchia vita e rinnova l’uomo; ed è perché Dio è un fuoco divoratore che noi lo amiamo, mentre è perché egli è geloso che ama noi. Non temete dunque il fuoco che Dio è, ma temete piuttosto il fuoco che Dio ha preparato per gli eretici.

13. 4. In quanto al passo che Adimanto ha tratto dal Vangelo per proporlo agli inesperti come contrario a questo della Legge, là dove il Signore dice: Nessuno è buono se non Dio solo 105, chi sarebbe in grado di enumerare quante volte nell’Antico Testamento ci si imbatte in passi relativi alla bontà di Dio? Tuttavia io ne menziono uno solo che si canta ogni giorno in Chiesa: Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia 106. Certo anche questo, come i Manichei ritengono, sembra essere contrario all’idea di un Dio geloso e tuttavia è un canto dell’Antico Testamento. Similmente quel re che, celebrando le nozze del figlio, trovò tra i commensali un uomo privo dell’abito nuziale e dopo averlo prima apostrofato col nome d’amico, ordinò poi di gettarlo fuori nelle tenebre, legato mani e piedi 107: a chi comprende malamente egli non sembra buono. Se qualcuno portasse ad esempio questo passo del Vangelo, così come fa Adimanto coll’Antico Testamento, in modo da criticare maliziosamente il Vangelo stesso, elogiando piuttosto i libri dell’Antico Testamento, dove si trova scritto: Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia, e rimproverando al Nuovo che un commensale, per giunta invitato, sia condannato ad un supplizio così grande a causa del vestito; se in modo incessante, con ingannevole perfidia, si adoperasse per raccogliere dall’Antico Testamento tutti i passi relativi alla bontà di Dio e dal Nuovo quelli relativi alla sua severità, contestando che sono in contrasto tra loro, lodando l’Antico Testamento e censurando il Nuovo, potrebbe ugualmente trovare degli inesperti e malamente versati nelle Sacre Scritture e persuaderli che bisogna accettare l’Antico piuttosto che il Nuovo Testamento. D’altra parte è ciò che fanno anche i Manichei respingendo l’Antico Testamento come se fosse in contrasto col Nuovo. Io mi stupisco che non riescano pensare che qualcuno una buona volta li possa leggere entrambi e lodarli perché con l’aiuto di Dio li ha capiti; e che si rammarichi per la loro fraudolenta malvagità, come propria di esseri umani, o la eviti come tipica di eretici, o la schernisca come espressione di ignoranti e superbi.

Antitesi: sacrificio e uso delle carni, opere demoniache.

14. 1. È scritto nel Deuteronomio: Quando il tuo cuore lo desidera uccidi e mangia ogni tipo di carne, secondo il piacere che il Signore ti ha dato. Guardati però dal mangiarne il sangue, ma spargilo per terra come acqua 108. Adimanto ritiene che sia in contrasto con queste parole della Legge quanto il Signore dice nel Vangelo: Che i vostri cuori non si appesantiscano per eccesso di cibo e di vino e per gli affanni della vita 109, e anche quanto dice l’Apostolo: Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino 110; e ancora: Voi non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni 111. Noi al contrario diciamo che tutte queste affermazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento hanno una motivazione propria e dimostriamo che non sono in contrasto tra loro. Sebbene Adimanto stesso nella citazione ricavata dall’Antico Testamento avrebbe potuto accorgersi che quanto detto - Quando il tuo cuore lo desidera uccidi e mangia ogni tipo di carne - non si riferisce ad una smodata ingordigia, poiché dopo si precisa, secondo il piacere che il Signore ti ha dato. Il Signore non ti ha dato infatti un piacere smodato, ma bastevole al sostentamento naturale e alla salute. Chi poi persegue una smodata ingordigia, asseconda il proprio vizio, non il piacere che gli ha dato il Signore; di conseguenza non vi è contrasto con quanto è detto nel Vangelo: Che i vostri cuori non si appesantiscano per eccesso di cibo e di vino e per gli affanni della vita. Infatti quando si soddisfa quel piacere moderato e naturale che il Signore ha concesso, il cuore non si appesantisce per eccesso di cibo e di vino e per gli affanni della vita.

14. 2. Che non bisogna mangiare carne e non bisogna bere vino l’Apostolo lo dice non perché ritenga queste cose impure, come pensano costoro, sbagliando ed inducendo in errore coloro che si sono lasciati convincere. Del resto egli stesso ha motivato la sua affermazione, sicché noi non dobbiamo spiegare od esporre la sua opinione. È sufficiente infatti collegare all’interno del suo discorso tutto questo passo della lettera paolina, affinché appaia chiaramente il motivo per cui l’Apostolo abbia detto ciò e di converso la malafede di costoro, che scelgono alcuni testi della Scrittura, con i quali ingannare gli inesperti, isolandoli dal contesto che li precede e li segue, grazie al quale si potrebbero invece comprendere la volontà e l’intenzione dello scrittore. L’Apostolo dunque così dice: Accogliete tra voi chi è debole nella fede, senza discuterne le esitazioni. Uno crede di poter mangiare di tutto, l’altro invece, che è debole, mangia solo legumi. Colui che mangia non disprezzi chi non mangia; chi non mangia, non giudichi male chi mangia, perché Dio lo ha accolto. Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare. C’è chi distingue giorno da giorno, chi invece li giudica tutti uguali; ciascuno però cerchi di approfondire le sue convinzioni personali. Chi si preoccupa del giorno, se ne preoccupa per il Signore; chi mangia, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio; anche chi non mangia, se ne astiene per il Signore e rende grazie a Dio. Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è risorto, per essere il Signore dei morti e dei vivi. Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale del Signore, poiché sta scritto: Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio. Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. Cessiamo dunque dal giudicarci l’un l’altro: pensate invece a non essere pietra di inciampo o di scandalo ai fratelli. Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è immondo in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come immondo, per lui è immondo. Ora se per il tuo cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità. Guardati perciò dal rovinare con il tuo cibo uno per il quale Cristo è morto! Non divenga motivo di biasimo il bene di cui godiamo! Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole. Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo! Tutto è mondo, d’accordo; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi. La fede che possiedi, conservala per te stesso davanti a Dio. Beato chi non si condanna per ciò che egli approva. Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce per fede; tutto quello, infatti, che non viene dalla fede è peccato 112. C’è forse bisogno della spiegazione di qualcuno, per comprendere il perché l’Apostolo si sia espresso così, e con quanta malafede costoro estrapolino alcuni testi delle Scritture per ingannare gli inesperti? L’Apostolo ha detto infatti che tutto è mondo per chi crede, e che sono immonde quelle cose che uno ritiene lo siano; proprio allora bisogna astenersene, quando possono costituire motivo di scandalo, cioè quando un uomo incerto ritiene di doversi astenere da ogni tipo di carne, affinché non gli capiti per caso della carne immolata dai pagani; per tale ragione qualcuno potrebbe pensare che chi ne mangia lo faccia in onore degli idoli e ne potrebbe essere gravemente scandalizzato; al contrario quella stessa carne immolata dai pagani non offende nessuno se viene mangiata in buona fede senza saperne l’origine. Per la qual cosa lo stesso Apostolo in un altro passo proibisce che se ne chieda la provenienza quando si compra della carne in una macelleria o quando, essendo stato invitato da un uomo senza fede, si vedono servite a tavola quelle carni che costoro ritengono immonde, non perché provengano da vittime immolate dai pagani, ma per il fatto stesso di essere carni, mentre l’Apostolo dice chiaramente che ogni cosa è monda, che ogni creatura di Dio è buona e che ogni cosa viene santificata dalla parola divina e dalla preghiera; tuttavia bisogna astenersi se per caso un uomo incerto ne sia scandalizzato. E in un passo in maniera lampante ha indicato costoro, quando dice che alla fine dei tempi ci saranno alcuni che proibiranno le nozze e si asterranno dai cibi creati da Dio 113. Infatti a dire il vero egli non si riferisce a coloro i quali si astengono da tali cibi per tenere a freno la propria concupiscenza o per rispettare la debolezza altrui, ma perché ritengono immonde le carni stesse e negano che sia Dio a crearle. Noi al contrario ci manteniamo fedeli all’insegnamento dell’Apostolo, il quale afferma che tutto è puro per i puri 114, se viene rispettata la moderazione evangelica, sicché i nostri cuori non vengano appesantiti dall’eccesso di cibo, dal bere il vino e dalle preoccupazioni secolari.

14. 3. Infatti io non riesco a comprendere per quale motivo i Manichei oppongano e ritengano quasi contrario a questo passo della Legge quello stesso in cui l’Apostolo dice: Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni. La Legge a dire il vero non parla dei sacrifici, allorché nel Deuteronomio si afferma: Quando il tuo cuore lo desidera uccidi e mangia ogni tipo di carne, secondo il piacere che il Signore ti ha dato 115, bensì dei cibi che servono d’alimento all’uomo. Ma poiché i Manichei ritengono che qualunque tipo d’animale venga preparato per il pranzo dell’uomo costituisca un sacrificio, sulla base della propria interpretazione hanno stimato che questi due passi siano in contrasto. Per lo stesso motivo hanno citato il passo in cui l’Apostolo dice: Ciò che i Pagani offrono in sacrificio, lo offrono ai demoni e non a Dio, dove molto chiaramente l’Apostolo si riferisce alle vittime che nel tempio vengono offerte ai demoni, non ai cibi che gli uomini preparano per sé. Dice infatti così: Che cosa dunque? Dico forse che quanto viene immolato agli idoli è qualche cosa, o che un idolo è qualche cosa? No, ma che ciò che offrono in sacrificio, lo offrono ai demoni e non a Dio. Io non voglio che voi entriate in comunione con i demoni. Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni. Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni. Vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui? Tutto è lecito, ma non tutto è utile; tutto è lecito, ma non tutto edifica. Nessuno cerchi l’utile proprio, ma quello altrui. Tutto ciò che è in vendita al mercato, mangiatelo pure, senza chiedere nulla per scrupolo di coscienza. Infatti del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene. Se qualcuno non credente vi invita, e volete andarci, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza. Se qualcuno però vi dicesse che si tratta di carne di vittime sacrificate, non mangiatene, per riguardo a colui che vi ha avvertito e per motivo di coscienza: mi riferisco ovviamente non alla coscienza tua, ma dell’altro. Per quale motivo infatti la mia libertà dovrebbe essere giudicata dalla coscienza altrui? Se io partecipo alla mensa con rendimento di grazia, perché mai dovrei essere biasimato per quello di cui rendo grazie? Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio 116. Prestino attenzione a questo i Manichei e comprendano in che senso è detto nel Deuteronomio: Quando il tuo cuore lo desidera uccidi e mangia la carne, secondo il piacere che il Signore ti ha dato. Per quanto riguarda poi alcune specie di carne di cui è stato proibito ai Giudei di cibarsi e che sono ritenute impure, simbolicamente stanno a significare gli uomini impuri, che vengono indicati tipologicamente nelle antiche Scritture. Allo stesso modo infatti di quel bue, al quale mentre trebbia non è consentito mettere la museruola, sta a significare un evangelista, come l’Apostolo indica molto chiaramente 117, così anche quelle cose che vengono proibite, stanno a significare alcune impurità dell’uomo, che non vengono accolte in comunione col corpo di Cristo, vale a dire nella Chiesa incrollabile ed eterna. Infatti riguardo ai cibi, appare molto evidente che nulla vi è in essi di impuro, tuttavia possono costituire un danno per un uomo che ne mangi e sia motivo di scandalo.

Antitesi: animali immondi e purità interiore.

15. 1. È scritto nel Levitico: Separate l’immondo da ciò che è mondo e nessuno mangi carne di cammello, di asino, di lepre, di porco, di aquila, di nibbio, di corvo, di avvoltoio, ecc. 118 Mai più chiaramente che in questa occasione, nella quale ha messo in rilievo che nel Levitico sta scritto di astenersi dalla carne di certi animali, è possibile smascherare l’animo, zeppo di subdoli inganni, di questo uomo [sc. Adimanto], che presenta dei passi ricavati da entrambi i Testamenti come in profonda contraddizione tra loro. Infatti egli ritiene che si debba considerare in contrasto con questo quel passo del Vangelo dove il Signore dice: Non vi è nulla che entrando nell’uomo possa contaminarlo, invece quelle cose che escono da lui lo contaminano 119. Se ha fatto ciò con sventatezza, nulla vi è di più accecato, se invece lo ha fatto con consapevolezza, nulla vi è di più scellerato. Non aveva forse lui stesso poco prima portato ad esempio quanto afferma l’Apostolo: È bene, fratelli, non mangiare carne né bere vino 120, nel tentativo di mettere in contrasto il Nuovo Testamento coll’Antico, che afferma: Quando il tuo cuore lo desidera uccidi e mangia ogni tipo di carne 121? Come mai dunque gli riesce ora gradita l’idea espressa dal Signore che non vi è nulla che entrando nell’uomo lo contamini, ma sono quelle cose che escono dall’uomo a contaminarlo? Dove mai si nasconderà Adimanto per sottrarsi ad essa? Dove fuggirà - me lo dica! - dal momento che va predicando, in nome di una continenza frutto di perversa e superstiziosa immaginazione, che bisogna evitare l’impurità delle carni ed eliminarla dagli alimenti dei pii? Di certo infatti, se è vero che quelle cose che entrano nell’uomo non lo contaminano, i Manichei sbagliano grandemente quando affermano che i pasti sono impuri, se gli uomini si cibano di carne. Se tali cibi sono impuri, che ne faranno mai di questo precetto manifestato dalla potenza di Dio nel Vangelo, dove il Signore afferma che l’uomo non è contaminato da ciò che entra in lui, ma da ciò che esce da lui? O forse diranno, come son soliti fare quando l’autorità delle Scritture li mette alle strette, che questo passo è un’interpolazione inserita nel Vangelo da coloro che contraffanno le Scritture? Perché dunque Adimanto si serve di questo passo come prova e si sforza di attaccare l’Antico Testamento traendo argomenti che gli si ritorcono contro? Infatti qualunque cristiano cattolico, che rispetta e comprende le due parti della Scrittura, gli potrebbe rispondere che esse non sono in contrasto. La prescrizione di non cibarsi della carne di certi animali è stata data ad un popolo ancora " carnale " come simbolo di quegli umani costumi, che la Chiesa, in quanto corpo del Signore, non può accogliere nel vincolo stabile ed eterno della sua unità, respingendoli alla stregua di cibi impuri e non assimilandone le sostanze; affinché tutte le prescrizioni imposte al popolo " carnale " profetizzassero la futura disciplina del popolo " spirituale ", e non sono perciò in contrasto con l’affermazione del Signore - profondamente vera - che l’uomo non viene contaminato da ciò che entra in lui attraverso il cibo. Infatti mentre quella sentenza impone oneri a degli schiavi, questa sottrae al giogo della schiavitù uomini ormai liberi, e tuttavia è espressa in modo tale che gli oneri degli schiavi prefigurino la fede degli uomini liberi. Tutte queste cose - così dice l’Apostolo - accadevano a loro come esempio; sono state invece scritte per noi, sui quali incombe la fine dei secoli 122. Se dunque le sofferenze capitavano loro come prefigurazione, accettavano anche come prefigurazione le prescrizioni.

15. 2. Avendo io dunque replicato queste argomentazioni e avendo in tal modo mostrato, dopo averli messi a confronto, che questi due passi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento non sono in contrasto, cosa potrà mai fare Adimanto, dal momento che gli si è ritorta contro quella prova molto significativa che egli stesso aveva prodotto contro il suo avversario? È stato lui infatti a menzionare quel passo del Vangelo nel quale il Signore dice che l’uomo non viene contaminato dai cibi che entrano in lui, tuttavia non cessa di esortare e predicare che bisogna astenersi dalla carne come se fosse un cibo immondo. Ora si è ben reso conto di quale ferita abbia inflitto a se stesso e di come il colpo gli si sia ritorto contro in modo mortale. Gli si potrebbe chiedere infatti: Come mai proibite di mangiare carne se - come tu stesso ricordi - il Signore dice: Non vi è nulla che entrando nell’uomo possa contaminarlo, invece quelle cose che escono da lui lo contaminano 123? Ha voluto in certo qual modo impiegare senza ragione una medicina per una ferita mortale. Così infatti egli cita il passo evangelico stesso. Nel Vangelo - afferma - il Signore si rivolge alla folla e dice: Ascoltate e comprendete: Non vi è nulla che entrando nell’uomo possa contaminarlo etc. Che egli menzioni la circostanza che il Signore si sia rivolto alla folla, nient’altro denota se non che agisce come agisce non per ignoranza, ma per malafede, per poter dire poi ai suoi Uditori che il Signore ha parlato alla folla, non a pochi santi, quali essi stessi vogliono apparire. Siccome permettono che i propri Uditori, in quanto ancora impuri, mangino la carne, mentre ritengono che ciò sia empio e nefando per loro stessi, in quanto puri, sembra che anche il Signore la pensasse così, poiché dava questi precetti non a pochi santi, ma alla folla. Uomo dappoco, certo di riuscire a nascondere i propri inganni fidando nella negligenza del genere umano! Infatti non credeva potesse esistere qualcuno capace di afferrare il Vangelo, di leggerlo con competenza e di scovare nelle pianure stesse dove il Signore pascola i suoi greggi chi tende trappole agli incauti e minaccia i meno previdenti. I discepoli, invero, colpiti da queste parole e credendo che il Signore avesse parlato non alla lettera, ma piuttosto in senso figurato, quando affermava che l’uomo non è contaminato da ciò che entra in lui con il cibo, tanto più che erano dei Giudei anche gli stessi discepoli, ai quali fin da bambini era stato insegnato che bisognava evitare di cibarsi di alcuni tipi di carne, si avvicinarono a lui e gli dissero: Sai che i Farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole? Ed egli rispose: Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. Lasciateli stare; sono ciechi e guide di ciechi. Se poi un cieco si presta a far da guida a un altro cieco, tutti e due cadono in un fosso. Avendo dunque il Signore definito la mancanza di fede dei Giudei pianta che non era stata piantata dal Padre celeste, tuttavia Pietro, pensando ancora che si trattasse di una parabola, e che i Giudei fossero stati rimproverati e definiti ciechi in quanto incapaci di comprenderla, di rimando gli disse: Spiegaci questa parabola. E il Signore facendo intendere molto chiaramente che non era una parabola, ma una sua affermazione, disse loro: Anche voi siete ancora senza intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella latrina? Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore ed è questo che contamina l’uomo. Dal cuore infatti provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che contaminano l’uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l’uomo 124. I Giudei intendevano polemizzare a proposito delle mani non lavate, il Signore ne trasse spunto per esprimere in generale la propria idea su ciò che entra in bocca, passa nel ventre e viene espulso nella latrina, vale a dire sui nostri alimenti. Sebbene, dunque, sia scritto che egli disse alla folla riunita presso di sé: Non ciò che entra nella bocca contamina l’uomo, ma ciò che esce dalla bocca, tuttavia appare evidente, come ho detto prima, per quale timore Adimanto abbia aggiunto ciò alle parole utilizzate per la propria citazione: per avere la possibilità di rispondere a coloro che gli avessero chiesto perché mai i capi dei Manichei ritengano cosa indegna cibarsi di carne, che il Signore intendeva fare quella concessione alla folla solamente, non agli Eletti. Ma poiché dopo viene anche chiarito a Pietro che ne faceva richiesta, e mentre stavano ad ascoltare i discepoli, elevati alla sommità della Chiesa, che il Signore non si era espresso in parabola e aveva indicato che le sue parole erano rivolte a tutti, costoro non hanno argomenti per sottrarre alimenti dalla bocca degli uomini e per legarla col laccio della superstizione.

15. 3. Forse qualcuno di loro potrebbe dire: Spiegaci allora cosa significa la prescrizione che si trova nella Legge di astenersi dalla carne di porco, di cammello, di lepre, di nibbio, di corvo, etc. Non intendo farlo, perché sarebbe lungo. Ma supponi pure che io non abbia i mezzi per farlo; forse per questo nessun altro può averli? Ormai vi sono innumerevoli scritti nei quali si trovano spiegate queste cose. A nostro avviso è abbastanza per confutare i Manichei considerare quelle prescrizioni " ombra " di eventi futuri: non sono io a dirlo, ma l’Apostolo, quando proibisce di restare legati in modo servile alla loro osservanza e chiarisce tuttavia il loro significato dicendo: Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni o a sabati, tutte cose queste che sono ombra delle future 125. Le cose future prefigurate da quelle osservanze si sono realizzate dopo la venuta del Signore Gesù Cristo; sono state cancellate le osservanze che rendono schiavi, ma la loro corretta esegesi è mantenuta dagli uomini liberi. Qualunque cosa infatti è simbolo della Chiesa futura, costituisce una profezia. L’Apostolo stesso lo afferma: Non respingete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa e tenete ciò che è buono 126. Bisogna insomma leggere la Sacra Scrittura, riconoscere la presenza dello Spirito Santo e percepire la profezia; bisogna inoltre respingere la schiavitù della carne e conservare l’intelligenza propria di un uomo libero.

Antitesi: le osservanze giudaiche, espressione del regime demoniaco.

16. 1. Sta scritto nel Deuteronomio: Osserva e santifica il giorno che il Signore ti ha prescritto. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro ti competa, ma il settimo giorno, sabato, celebralo in onore del Signore tuo Dio, non facendo lavoro alcuno, né tu, né tuo figlio o tua figlia, né il tuo giovane schiavo o la tua giovane schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né le tue bestie, né il tuo colono. Così dunque riposino il tuo schiavo e la tua schiava, allo stesso modo anche tu. Ricordati che sei stato schiavo in Egitto e che il Signore tuo Dio ti fece uscire con mano potente e braccio teso. Perciò il Signore ti ordina di osservare il settimo giorno 127. Ed inoltre nella Genesi è scritto cosa Dio disse ad Abramo della circoncisione: Osserva la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te. Questa è la mia alleanza che osserverai, tra me e te e la tua discendenza: tra voi farai circoncidere ogni maschio nella carne del suo prepuzio e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. In mezzo al vostro popolo, all’età di otto giorni, farete circoncidere ogni maschio, sia quello nato in casa sia quello comperato presso gente straniera: questa sarà l’alleanza in mezzo al vostro popolo. E ogni maschio che non circonciderà il suo prepuzio, perderà la sua anima lontano dal suo popolo, poiché ha violato la mia alleanza 128. Adimanto riporta tutte queste parole dell’Antico Testamento per contrapporle a quelle del Nuovo Testamento, e ritiene per certo che sono contrarie a quelle che nel Vangelo il Signore dice del proselito: Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito; e quando lo avrete fatto sarà figlio della geenna, molto più di quanto lo siete voi 129. Come se il Signore definisca " figlio della geenna " il proselito perché è circonciso e rispetta il sabato, e non piuttosto perché è costretto ad imitare i perversi costumi e la cattiva condotta dei Giudei, non in quanto osservino i precetti della Legge, ma per ciò che fanno contro la Legge. Cosa che in modo chiarissimo afferma in un altro passo, dove dice che i Giudei respingono il comandamento di Dio per conformarsi alla propria tradizione 130: poiché mentre la Legge ha imposto di onorare il padre e la madre, loro stessi hanno stabilito il modo di disonorare i genitori. Similmente quando li ammonisce dicendo: Guai a voi, Scribi e Farisei, che avete la chiave del regno dei cieli: voi non vi entrate né permettete che gli altri vi entrino 131. O ancora in un’altra circostanza ordina a coloro che lo stanno ad ascoltare di ubbidire alle parole dei Farisei e degli Scribi, ma di non imitarne le azioni. Disse infatti: Si sono seduti sulla cattedra di Mosè: quanto vi dicono, fatelo; ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno 132. In questo passo il Signore ratifica l’autorità della Legge che è stata data per mezzo di Mosè, tuttavia mette in guardia e indica chiaramente che deve essere evitata la condotta di coloro i quali non ubbidivano alla Legge che avevano ricevuto. A motivo poi di questa loro perversità succedeva che quando un pagano si convertiva alla loro Legge, in altre parole diventava un proselito, assumeva i loro costumi a tal punto da diventare " figlio della geenna " più di quanto lo fossero loro stessi. Si adoperavano molto infatti affinché qualche pagano si convertisse al Giudaismo, e una volta convertito lo costringevano ad imitare i loro pessimi costumi.

La circoncisione e il Vangelo, ossia l’ombra e la verità.

16. 2. Il manicheo Adimanto del resto non si è potuto neanche rendere conto che un altro passo dell’Apostolo che egli cita non è per niente in contrasto con quelli veterotestamentari, perché tutta la sua attenzione era rivolta non ad investigare, ma a criticare la Scrittura. Egli riporta infatti le parole dell’Apostolo: Qualcuno è stato chiamato quand’era circonciso? Non metta in ballo il suo prepuzio. È stato chiamato quando non era ancora circonciso? Non si faccia circoncidere: poiché il prepuzio non conta nulla e anche la circoncisione non conta nulla, ma conta invece l’osservanza dei comandamenti di Dio 133. In effetti cosa vi è di più chiaro di quanto prescrive l’Apostolo, cioè che ciascuno rimanga nella condizione in cui era stato chiamato? Compiendosi infatti ogni cosa di cui quelle osservanze costituivano le " ombre ", si è fatto in modo che si capisse come non si dovesse riporre la propria speranza in quelle " ombre ", bensì in quelle stesse realtà che quelle " ombre " indicavano come di là da venire, cioè Cristo e la Chiesa. Esse erano pertanto del tutto inefficaci, tuttavia non tali da dover essere eliminate come se fossero nocive; l’Apostolo prescrive invece di disprezzarle come superflue, di modo che se qualche Giudeo avesse creduto in Cristo, non gli fosse proibito, per non offendere i suoi, di mantenere quelle stesse osservanze, quantunque superflue, senza credere tuttavia che in esse fosse riposta la propria salvezza: non sono infatti quei segni esteriori, ma ciò che in essi viene simboleggiato a condurre alla salvezza. Per questo il prepuzio non conta nulla, e anche la circoncisione non conta nulla, ma conta invece l’osservanza dei comandamenti di Dio. Ed è ancora per questo motivo che dice in un altro passo: Dovrebbero farsi mutilare coloro che vi turbano 134. L’Apostolo lo dice, non perché la circoncisione sia contraria al Vangelo, così come ritengono i Manichei, ma perché è contrario al Vangelo che qualcuno, mettendo da parte la realtà figurale di quell’ombra, segua l’inconsistenza dell’ombra stessa. È quel che volevano, quanti obbligavano al giogo della circoncisione, come se fosse necessario per la salvezza, i Pagani che si convertivano al Cristo, mentre ormai non si doveva più simboleggiare nel corpo un’ombra, ma portare la realtà stessa nel cuore.

La lettera e la figura.

16. 3. L’altro passo in cui dice: Voi osservate giorni, sabati e festività solenni; temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo 135, non è, per quanto concerne il testo, così come lo riporta Adimanto. Infatti l’Apostolo non vi fa menzione del sabato. In effetti egli dice: Voi osservate giorni, anni e periodi; temo per voi, che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo. Ma intendilo pure come se fosse riferito al sabato, forse non affermiamo anche noi che non bisogna rispettare queste osservanze, ma piuttosto quello che esse significano? Infatti i Giudei le rispettavano in modo servile, senza comprendere quali realtà significassero e prefigurassero. È questa la colpa che rinfaccia l’Apostolo a loro e a tutti quelli che adorano la creatura al posto del Creatore 136. Infatti anche noi celebriamo solennemente la domenica, la Pasqua e qualsiasi altra festività cristiana. Ma poiché comprendiamo a cosa si riferiscono, non osserviamo le circostanze temporali, ma il loro significato più profondo. I Manichei al contrario censurano ciò, come se non osservassero alcun giorno ed alcun tempo. Ma se li si interroga sul convincimento della loro setta, si sforzano di dimostrare che non osservano le circostanze temporali in sé, bensì le realtà di cui sono segni simbolici. Che queste cose siano una favola e siano piene di falsità, è dimostrato da me in altri passi. Ora le mie parole hanno lo scopo di costringerli ad ammettere con la loro stessa bocca che tali osservanze possono essere messe in pratica in modo razionale, sicché risulta evidente che la circoncisione della carne può essere imposta a buon diritto a degli schiavi e può essere compresa nel suo esatto significato dagli uomini liberi. Noi respingiamo dunque, in accordo con l’Apostolo, l’osservanza carnale e accettiamo, sempre in accordo con l’Apostolo, l’osservanza spirituale; noi non osserviamo il riposo del sabato con riguardo alla circostanza temporale, ma comprendiamo il significato simbolico del tempo e rivolgiamo l’acume della nostra intelligenza alla pace eterna cui simbolicamente si riferisce. Noi respingiamo pertanto, in accordo con l’Apostolo, l’osservanza dei tempi e, sempre in accordo con l’Apostolo, ci atteniamo alla comprensione del loro significato simbolico: noi concepiamo la differenza dei due Testamenti tale che nell’Antico si trovano rappresentati gli oneri degli schiavi, nel Nuovo la gloria propria degli uomini liberi; in quello si riconosce la prefigurazione di ciò che godremo, in questo si ottiene il pieno possesso del nostro godimento. L’Apostolo interpreta il sabato, quando si rivolge agli Ebrei e dice: È dunque riservato ancora un riposo sabbatico per il popolo di Dio 137. Viene data anche un’interpretazione della circoncisione, quando afferma riguardo ad Abramo: Infatti egli ricevette il segno della circoncisione quale sigillo della giustizia derivante dalla fede 138. Io intendo dunque in senso spirituale l’interpretazione dell’Apostolo; disprezzo in nome della libertà l’osservanza carnale che rende schiavi, venerando Dio quale autore di entrambi i Testamenti, quel Dio che, come suo signore, gettò sull’uomo vecchio che si allontanava il peso del timore, e, come padre, all’uomo nuovo che tornava spalancò le porte dell’amore.

Antitesi: sterminio dei nemici e amore come criteri di opposizione fra i due Testamenti.

17. 1. Sta scritto nell’Esodo: Se tu darai ascolto alla mia voce e farai quanto ti dirò, io sarò nemico dei tuoi nemici ed avversario dei tuoi avversari. Il mio angelo camminerà alla tua testa e ti farà entrare presso l’Amorreo, il Perizzita, il Cananeo, il Gebuseo e il Gergeseo e li annienterete. Guardatevi dall’adorare i loro dèi e dal fare le loro opere, sterminateli piuttosto e distruggete la loro memoria 139. A queste parole così riportate dall’Antico Testamento, Adimanto oppone come antitetico quanto è scritto nel Vangelo, quando il Signore dice: Ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che dicono male di voi, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori 140. A questo proposito bisogna considerare innanzitutto che dovrebbe essere sufficiente, per chi intende dimostrare che i due passi sono in contrasto, richiamare quello che si trova scritto nella vecchia Legge riguardo i nemici che bisogna uccidere. Infatti il Signore impone di amare i nemici, riferendosi ad uomini, che possono essere convertiti alla salvezza dalla nostra pazienza e carità, ciò chiunque lo comprende ed è esemplificato molto spesso. A quale scopo, dunque Adimanto, ha ritenuto opportuno aggiungere le parole che seguono, dove è scritto: Guardatevi dall’adorare i loro dèi e dal fare le loro opere, sterminateli piuttosto e distruggete la loro memoria, se non perché i Manichei impongono di onorare gli dèi dei Pagani? E quel che il Signore dice nel Vangelo: Amate i vostri nemici, essi credono che riguardi non solo gli uomini, ma anche i demoni, nonché i simulacri. Stando così le cose, chi potrebbe non riprovare una tale follia? Se invece non hanno questa opinione, a maggior ragione Adimanto molto si è sbagliato, poiché ha voluto ribadire che nell’Antico Testamento viene prescritto di annientare le superstizioni dei Gentili, e nello stesso tempo ha voluto contrapporre come contrario quel che è scritto nel Nuovo sulla necessità di amare i nemici.

17. 2. Noi riteniamo invece che ciò che viene prescritto a quel popolo eletto nei Libri dell’Antico Testamento sulla necessità di uccidere i nemici non sia in contraddizione con questo precetto evangelico col quale il Signore ci impone di amare i nostri nemici; in effetti la prescrizione di uccidere i propri nemici si addiceva ad un popolo ancora " carnale ", al quale la Legge era stata data come pedagogo, per usare le parole dell’Apostolo 141. A dire il vero erano pochissimi a quei tempi ed in mezzo a quel popolo gli uomini giusti e " spirituali ", come ad esempio Mosè, come ad esempio i Profeti. Agli ignoranti ed agli empi, che preferiscono la propria cecità, rimane incomprensibile con quale animo sterminassero i nemici e se amassero coloro che uccidevano; poiché essi non sono in grado di rendersene conto, devono essere piuttosto schiacciati col peso dell’autorità della Scrittura. Del resto cosa dice l’Apostolo? Orbene, io, assente col corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione: nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore Gesù, questo individuo sia dato in balia di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore Gesù 142. Cos’altro comporta infatti quell’uccisione, che costoro ingigantiscono oltre misura ed attaccano in modo malizioso, se non la " rovina della carne "? Del resto poiché l’Apostolo ha spiegato con quale spirito egli agisse, ha messo in chiaro sufficientemente che si può punire un nemico congiungendovi la carità. E tuttavia in questo caso la " rovina della carne " può forse intendersi anche in altro modo, vale a dire quella che si realizza attraverso la penitenza. Gli stessi Manichei d’altronde leggono gli Apocrifi, che essi affermano essere privi di qualsiasi falsificazione, dove sta scritto che l’apostolo Tommaso maledisse l’uomo, dal quale, ignorando chi egli fosse, era stato colpito con uno schiaffo per sventatezza e che quella maledizione produsse immediatamente il suo effetto. Infatti quando quell’uomo, che era un servitore del banchetto, uscì per attingere acqua ad una fonte, fu ucciso e dilaniato da un leone. Affinché l’accaduto fosse reso manifesto ad ammonimento degli altri, un cane portò una sua mano sulla tavola dove banchettava l’Apostolo. Coloro che non erano al corrente chiesero una spiegazione e fu loro data; così, mossi da grande timore e da grande rispetto nei confronti dell’Apostolo, si convertirono. E da allora ebbe inizio la predicazione del Vangelo. Se qualcuno volesse ritorcere contro loro stessi i morsi dei Manichei, quanto voracemente potrebbe opporre loro questa narrazione! Poiché anche in questo caso non è tenuta nascosta l’intenzione che è alla base dell’accaduto, appare evidente l’amore di colui che si vendica. Infatti in quel racconto si legge che l’Apostolo pregò per colui del quale si era vendicato nella vita terrena, affinché fosse perdonato nel giudizio futuro. Se dunque all’epoca del Nuovo Testamento, nella quale viene vivamente raccomandata la carità, è stato inculcato negli uomini carnali da parte di Dio il timore delle pene visibili, come non ammettere che a maggior ragione ciò si addiceva all’epoca dell’Antico Testamento per quel popolo che il timore della Legge soggiogava come un pedagogo? Infatti questa è molto in breve e in modo molto evidente la differenza tra i due Testamenti, il timore e l’amore: quello s’addice all’uomo vecchio, questo riguarda l’uomo nuovo; l’uno e l’altro tuttavia resi manifesti e congiunti dalla volontà misericordiosa dell’unico, solo Dio. Nell’Antico Testamento viene tenuto nascosto il sentimento che anima coloro che castigano, perché pochissimi erano gli uomini spirituali capaci di comprendere, per rivelazione divina, le azioni che compivano, di modo che il popolo cui era utile il timore fosse dominato da una legge severissima; affinché allo stesso modo di come vedevano consegnati nelle loro mani per essere uccisi i nemici empi ed adoratori di idoli, temessero loro stessi di essere consegnati nelle mani dei loro nemici, qualora avessero disprezzato i comandamenti del vero Dio e fossero precipitati nel culto degli idoli e nelle empietà dei Pagani. Infatti essi stessi se si fossero macchiati di simili colpe, non diversamente sarebbero stati puniti. Tuttavia tutto questo castigo terreno terrorizza le anime deboli per ammaestrarle e nutrirle con la disciplina e preservarle dagli eterni ed inenarrabili supplizi: infatti gli uomini carnali temono maggiormente il castigo di Dio che li coglie nel presente, piuttosto che quello minacciato per il futuro.

17. 3. Dunque in colui che punisce vi può essere un atteggiamento d’amore. Cosa che chiunque può riscontrare nei confronti del proprio figlio, represso con moltissima severità quando si lascia andare a pessimi costumi, e tanto maggiore quanto più lo ama e ritiene che in questo modo possa essere corretto. Certamente gli uomini non arrivano ad uccidere i figli che amano, quando vogliono correggerli, perché molti ritengono questa vita un grande bene e hanno la speranza di riuscire in questa vita ad ottenere quanto essi vogliono dall’educazione dei propri figli. Gli uomini di vera fede invece e saggi, i quali credono nell’esistenza di un’altra vita migliore, che hanno imparato a conoscere per quanto loro possibile, nemmeno loro puniscono uccidendo, quando vogliono correggere i propri figli, perché credono che sia possibile correggerli in questa vita. Al contrario Dio che sa cosa accordare a ciascuno, punisce uccidendo chi vuole, sia tramite gli uomini sia con un piano imperscrutabile delle cose, non perché li abbia in odio in quanto sono uomini, ma in quanto sono peccatori. Infatti nell’Antico Testamento stesso noi leggiamo rivolte a Dio queste parole: E nulla disprezzi di quanto hai creato 143; egli infatti dispone ogni cosa basandosi su un principio di equità sia per quanto riguarda i castighi sia per quanto riguarda i premi. Non parla forse in questi termini l’apostolo Paolo quando si rivolge ai fedeli cristiani dicendo: L’uomo pertanto esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice. Infatti chiunque mangia e beve in modo indegno senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. Per questo tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. Se però noi ci esaminassimo da noi stessi, non saremmo giudicati. Quando poi siamo giudicati veniamo ammoniti dal Signore per non essere condannati insieme con questo mondo 144? È chiaro dunque che Dio corregge con amore, non solo attraverso le infermità e le malattie, ma anche con la morte temporale, coloro i quali non vuole condannare insieme al mondo.

17. 4. Costoro prestino dunque attenzione e comprendano come sia potuto accadere che dei popoli empi siano stati consegnati nelle mani di un popolo ancora carnale, ma credente in un solo Dio, per essere annientati. In mezzo a quel popolo del resto vi erano alcuni uomini spirituali in grado di comprendere che l’azione dispensatrice di Dio non era condizionata dall’odio nei confronti di alcuno. E comprendano che ciò non è contrario a quanto il Signore ci prescrive nel Vangelo: di amare i nostri nemici, dei quali egli stesso promette tuttavia la punizione quando mette in scena la parabola di quel giudice che, per quanto fosse iniquo, non timorato di Dio e senza rispetto per gli uomini, tuttavia non poté sopportare le quotidiane richieste di una vedova che chiedeva giustizia e le diede ascolto per non esserne ulteriormente importunato. Attraverso questo confronto ha inteso dire che a maggior ragione Dio, il quale è misericordiosissimo e giustissimo, punisce i nemici dei propri eletti 145. I Manichei osino sollevare a Dio stesso, se possono, un’obiezione di tal fatta: come mai ci hai imposto di amare i nostri nemici e fai in modo di vendicarci di loro? Agirà forse contro la volontà dei suoi eletti punendo e condannando coloro che essi amano? Si convertano piuttosto essi stessi da questa calunniosa cecità a Dio e rintraccino in entrambi i Testamenti la sua volontà, per non essere sorpresi a sinistra tra coloro ai quali il Signore dirà: Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo ed i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare 146, etc. Dispiace infatti a questi meschini che Dio abbia consegnato al suo popolo dei nemici da sterminare; e loro stessi proibiscono che si dia del pane ad un mendicante, non solo non ostile, ma anche supplichevole. Si rendano conto piuttosto che vi può essere una punizione priva di odio, che pochi comprendono; di conseguenza quanto a lungo non si comprende tanto a lungo è necessario che un lettore dei due Testamenti si dibatta tra grande fatica o errore ed arrivi a pensare che vi siano contraddizioni in seno alle Scritture.

17. 5. Questa punizione priva di odio non avevano compreso ancora neanche gli Apostoli quando, adirati contro coloro dai quali non avevano ricevuto ospitalità, chiesero al Signore se voleva che invocassero, come aveva fatto Elia, un fuoco dal cielo per consumare quegli uomini inospitali. Ma il Signore rispose loro che non sapevano di quale spirito fossero figli e che egli era venuto per liberare non per mandare in rovina 147, mentre loro con animo pieno d’odio bramavano mandare in rovina coloro che volevano venissero consumati dal fuoco. Successivamente quando furono pieni di Spirito Santo e diventarono perfetti tanto da potere amare anche i nemici, ricevettero il potere di punire, poiché ormai erano in grado di vendicarsi senza odio. Di questo potere si servì l’apostolo Pietro in quel libro che costoro non accettano, perché con chiarezza proclama la venuta del Paracleto, cioè dello Spirito Santo consolatore, che il Signore inviò per coloro che piangevano, quando salì in cielo sottraendosi ai loro occhi. Un consolatore viene inviato infatti per gli afflitti, secondo l’affermazione del Signore stesso: Beati gli afflitti, perché saranno consolati 148. Egli afferma inoltre: Allora i figli dello sposo piangeranno, quando sarà loro tolto lo sposo 149. In quel libro dunque, dove si dice in maniera chiarissima che lo Spirito Santo, promesso dal Signore come consolatore, era venuto 150, leggiamo che degli uomini stramazzarono ad una frase di Pietro e che un marito ed una moglie, i quali avevano osato mentire allo Spirito Santo, morirono 151. Costoro disprezzano tutto ciò, presi da grande cecità, mentre tengono in grande considerazione ciò che leggono nei testi apocrifi, sia quanto ho già avuto modo di menzionare a proposito dell’apostolo Tommaso, sia quanto viene raccontato della figlia dello stesso Pietro resa paralitica dalle preghiere del padre, sia della figlia di un giardiniere che morì per la preghiera dello stesso Pietro. Ribattono che quanto accaduto era per esse vantaggioso, per essere l’una guarita dalla paralisi e affinché l’altra morisse; comunque non negano che ogni cosa avvenne per le preghiere dell’apostolo. Chi ha mai detto loro che non fosse vantaggioso per quei popoli empi essere sterminati, quei popoli di cui, beffardi, fingono di meravigliarsi che Dio li abbia consegnati nelle mani del popolo giudaico? Dato che gli Apostoli agirono non spinti dall’odio, ma da benevolenza, per quale motivo costoro cercano di dimostrare che gli uomini spirituali presenti in mezzo a quel popolo odiassero coloro che veniva loro imposto dalla giustizia di Dio di privare della vita terrena? Tengano a freno piuttosto la loro temerarietà e non ingannino gli inesperti, che non hanno il tempo o la voglia di leggere o leggono con una cattiva disposizione d’animo, e non si rendono conto di come in entrambi i Testamenti risaltino sia la misericordia sia la severità di Dio. Infatti a proposito dell’amore verso il nemico e alla necessità di non ricambiare il male con il male, si legge nell’Antico Testamento: Signore mio Dio, se così ho agito, se c’è iniquità sulle mie mani. Se ho ripagato con il male chi mi ricompensava, giustamente sia io dilaniato dai miei nemici 152. Chi mai potrebbe esprimersi con tali parole, se non chi è consapevole che a Dio è gradito che nessuno renda il male per il male? È proprio degli uomini perfetti non odiare nei peccatori nient’altro che i loro peccati ed amare invece gli uomini in quanto tali; quando essi si vendicano non lo fanno con la crudeltà della propria ira, ma con la moderazione della giustizia, affinché la liberazione stessa dal peccato non nuoccia al peccatore più della vendetta punitiva. Tuttavia gli uomini giusti hanno agito così per comando di Dio, e non si creda che sia permesso a chiunque uccidere a casaccio chi egli voglia, o perseguitarlo arbitrariamente, o infliggere castighi al primo venuto. Del resto nelle Scritture talvolta è chiaramente indicato il comando di Dio, qualche altra volta invece è tenuto nascosto, di modo che il lettore sia istruito da ciò che è chiaro e sia sollecitato da ciò che è di difficile comprensione.

17. 6. È fuor di dubbio che Davide ricevette in suo potere per farne quel che voleva il re Saul, suo nemico e persecutore, estremamente ingrato ed estremamente ostile. Ma scelse di perdonarlo piuttosto che ucciderlo. Non gli era stato infatti ordinato di uccidere, ma neanche gli era stato proibito, anzi per ispirazione di Dio aveva intuito di poter agire impunemente e a proprio piacimento contro il nemico: tuttavia egli mutò in mitezza un così grande potere 153. Mi si dica di chi ebbe timore quando decise di non ucciderlo! Non possiamo certo dire che egli avesse timore dell’uomo che aveva in suo potere, e neanche di Dio che glielo aveva consegnato. Non fu dunque la difficoltà di ucciderlo, né fu il timore, fu l’amore che risparmiò il nemico. Così Davide, combattente di fama, adempì il precetto, datoci da Cristo, di amare i nemici. Volesse il cielo che costoro imitassero un tale comportamento, essi che hanno piegato il sentimento umano di misericordia a non so quali crudeli follie! Poiché infatti credono che il pane piange - cosa che non può accadere - non lo offrono ad un uomo che vedono piangere. Forse diranno, come son soliti fare gli sconsiderati che dibattono sbraitando in modo insensato, che Davide, il quale risparmiò il nemico, fu migliore di Dio che gli aveva concesso la facoltà di ucciderlo: come se Dio non sapesse a chi aveva dato questo potere. Conosceva bene la volontà del suo servo, ma affinché fosse fatto conoscere, per essere imitato, agli altri uomini quel sentimento d’amore verso il nemico che era presente nel cuore di Davide ed era ben noto a Dio, diede alla sua mercé il nemico, che non voleva fosse ancora ucciso, a motivo di un determinato svolgimento delle cose, che era necessario si realizzasse per mezzo suo. Così e la bontà di Davide fu messa in risalto, perché gli uomini avessero un esempio da amare, e la malvagità del re Saul ebbe in seguito una morte più confacente, perché gli uomini avessero un esempio da temere.

Antitesi: possesso dei beni terreni e rinuncia evangelica.

18. 1. Sta scritto nel Deuteronomio: Se darai ascolto alla voce del Signore tuo Dio, sarai benedetto nella tua città, sarai benedetto nella tua campagna, sarà benedetto il frutto del tuo ventre e il frutto del tuo suolo, e i parti delle tue giumente e delle tue vacche e il gregge delle tue pecore; sarai benedetto quando entri e quando esci 154. Dicono i Manichei che a questo passo si contrapponga quello del Vangelo: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima? 155 Ma che non vi sia antinomia è dimostrato da quella regola, in base alla quale dovrebbe ormai essere risaputo che ad un popolo ancora carnale opportunamente furono promesse ricompense carnali e temporali, tuttavia da quello stesso unico Dio artefice di ogni creatura, superiore ed inferiore. È fuor di dubbio infatti che Adimanto stesso ha ricavato la sua prova dal Vangelo, dove il Signore dice: Non giurate né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi 156. Cosa che si trova scritta invero anche nell’Antico Testamento: Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi 157. Cosa c’è di strano quindi se il Signore concede i benefici del suo trono a chi lo serve spiritualmente e i benefici dello sgabello dei suoi piedi a chi lo serve carnalmente, dal momento che lo spirito è superiore e la carne inferiore, allo stesso modo di come sono elevate le cose celesti e più basse quelle terrestri? Quantunque tutti quei termini, vale a dire " città ", " campagna ", " frutto del ventre ", " frutto del suolo ", e " delle giumente ", e " delle vacche " e " gregge di pecore " si possano interpretare anche spiritualmente. Ma trattare ora di ciò non è pertinente all’argomento. Del resto nel Nuovo Testamento stesso, i cui benefici ed eredità riguardano l’uomo nuovo, il Signore promette a quegli stessi che egli desidera disprezzino i beni temporali, affinché lo servano nello spirito del Vangelo, la moltiplicazione dei beni stessi in questo secolo, dicendo che riceveranno cento volte tanto in questo secolo e la vita eterna poi nel secolo a venire 158, come anche si afferma nell’Antico Testamento: All’uomo fedele appartiene ogni mondo di ricchezza 159. Per questo motivo l’Apostolo afferma pieno di esultanza: siamo gente che non ha quasi nulla e invece possediamo tutto 160. Se dunque nel Nuovo Testamento, oltre al possesso dei beni eterni che viene promesso ai santi, non viene negata anche la moltiplicazione di questi beni che sono passeggeri ed è tanto più grande quanto più viene disprezzato il loro possesso, forse che non dovettero a maggior ragione essere tali le ricompense del popolo carnale nell’Antico Testamento, pur essendo l’unico e vero Dio, reggitore del tempo, a regolare e governare ogni cosa secondo le circostanze?

18. 2. Ma perché non credano i Manichei che questi beni siano disprezzati solamente nei libri del Nuovo Testamento, ascoltino il profeta che respinge un tale tipo di felicità ed inneggia a Dio Signore quale unico rifugio. Infatti così dice: Salvami dalla spada iniqua, liberami dalla mano degli stranieri, la cui bocca pronuncia vanità e la cui destra è destra di iniquità. I loro figli sono come piante novelle consolidate nella loro giovinezza. Le loro figlie sono abbellite ed adornate come un tempio. Le loro dispense sono piene, traboccanti. Le loro pecore sono feconde e quando escono fuori sono moltiplicate. Le loro vacche sono grasse. Non vi è alcuna breccia, alcuna apertura nel loro muro di cinta, nessun clamore nelle loro piazze. Beato il popolo che possiede questi beni, beato il popolo di cui Dio è il Signore 161. Considerino dunque come questo tipo di felicità venga irrisa tra uomini empi e come ogni tipo di beatitudine poggi in modo stabile solamente in Dio. Dicono infatti che è beato il popolo che possiede questi beni, ma in realtà è beato il popolo di cui Dio è il Signore. Hanno ritenuto contrario a questo passo dell’Antico Testamento quanto afferma il Signore: Chi si vergognerà di me o delle mie parole in mezzo a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo e nella lode dei suoi santi angeli 162. Non vedo cosa c’entri con il disprezzo dei beni temporali. Ammesso che c’entri qualcosa, per il fatto che qualcuno si vergogni o tema di confessare la propria fede in Cristo, atterrito di perdere tali cose, cosa hanno da ridire i Manichei? Anche noi riteniamo che i beni temporali siano doni di Dio, tali tuttavia da essere all’ultimo posto e che a confronto con la professione di fede foriera di salvezza debbano essere non solo perduti, ma addirittura respinti; in ogni caso riteniamo che sono stati promessi utilmente da Dio Signore agli uomini carnali amanti di essi e non ancora capaci di appropriarsi delle promesse celesti, affinché non li chiedessero agli idoli o ai demoni.

Antitesi: ricchezza e povertà.

19. 1. È scritto nella Legge: Sono io che do le ricchezze ai miei amici e la povertà ai miei nemici. A questa affermazione contrappongono i Manichei quanto il Signore dice: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli 163; e ancora: Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione 164. Come mai però non prestano attenzione ad altre affermazioni del Vangelo? Dove sta scritto infatti: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli, proprio lì prosegue: Beati i miti perché erediteranno la terra. Ecco ora sanno come gli amici di Dio diventano ricchi con l’eredità della terra. Da come invece quel ricco è ridotto a tanta povertà, da implorare che il povero ch’egli aveva disprezzato gli bagni la lingua in fiamme dopo avere intinto nell’acqua la punta del dito 165, comprendano in che modo diventano poveri i nemici di Dio e capiscano il significato di ciò che è scritto nella Legge: Sono io che do le ricchezze ai miei amici e la povertà ai miei nemici.

19. 2. Che queste ricchezze temporali siano disprezzate anche nell’Antico Testamento, l’ho dimostrato prima e chi abbia voglia di leggerli troverà innumerevoli passi. Ne è un esempio quel passo: Il poco del giusto è cosa migliore delle molte ricchezze dei peccatori 166. E l’altro: La legge della tua bocca è per me una ricchezza maggiore di mille pezzi d’oro e d’argento 167. E l’altro ancora: I giudizi di Dio sono in sé giusti, desiderabili più dell’oro e di pietre molto preziose 168. E pure quell’altro: Beato l’uomo che ha trovato la sapienza e il mortale che ha acquistato la prudenza. È meglio infatti acquistare questa che tesori d’oro e d’argento. Essa è più preziosa delle pietre, non le resiste alcuna malvagità; è ben nota a tutti coloro che le si avvicinano e a coloro che la considerano con diligenza. Ogni prezioso non è degno di lei 169. Nonché quell’altro passo: Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito della sapienza. La anteposi a regni e troni, e al suo confronto stimai un nulla la ricchezza. Non le paragonai neppure una pietra preziosa: poiché al suo confronto tutto l’oro è minuscola sabbia e rispetto ad essa l’argento sarà valutato come fango 170. Se leggessero questi passi e li leggessero in modo non sacrilego, vedrebbero che entrambi i Testamenti concordano e danno un ordine graduale per desiderare e fuggire, per prendere e lasciare tutti i beni temporali.

Antitesi: le promesse del Creatore e l’annuncio evangelico.

20. 1. Sta scritto nella Legge: Se seguirete le mie leggi, se osserverete i miei comandi, io vi darò le piogge alla loro stagione, la terra darà i suoi prodotti e gli alberi i loro frutti. Alla mietitura seguirà la vendemmia e alla vendemmia la semina: avrete di che saziarvi e starete in pace nel vostro paese; andrete a dormire e nessuno vi incuterà timore, farò sparire dal vostro paese ogni genere di belva e inseguirete i vostri nemici che cadranno davanti a voi colpiti di spada. Cinque di voi ne inseguiranno cento e cento di voi ne inseguiranno diecimila e i vostri nemici cadranno dinanzi a voi colpiti di spada. Verrò e vi darò la mia benedizione, vi moltiplicherò e metterò ordine tra voi. Mangerete del vecchio raccolto serbato a lungo e dovrete metter via il raccolto vecchio per far posto al nuovo 171. A questo punto non è necessario che qualcuno ci chieda di mostrare quanto opportunamente Dio abbia promesso a quel popolo tali cose. Infatti molto abbiamo detto a questo riguardo ed è certo troppo ottuso chi pensa che sia insufficiente. Tuttavia i Manichei affermano che sia in contrasto con questo, quel passo del Nuovo Testamento dove il Signore dice: Non procuratevi oro, né argento, né monete di rame nelle vostre cinture; non bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento 172: cosa c’è di strano che abbia dato questi suggerimenti ai suoi evangelisti? Forse era il popolo giudaico ad essere chiamato a questo ministero? Tuttavia bisogna penetrare a fondo ogni cosa in senso spirituale, affinché non sembri agli uomini empi che il Signore abbia operato in senso contrario ai propri precetti, lui che aveva anche un piccolo scrigno dove veniva portato il denaro per le necessità del vitto 173. Forse obietteranno i Manichei che avere del denaro nella cintura è peccato, non lo è invece averlo in un piccolo scrigno. Del resto che ciò non fosse imposto, ma permesso agli Apostoli lo si evince dal fatto che l’apostolo Paolo si procurava il vitto lavorando con le proprie mani, non facendo uso - come egli stesso dice - di quel potere che il Signore diede agli evangelisti 174. Infatti ciò che è permesso dal Signore, è lecito anche non farlo, è peccato invece non fare quanto viene ordinato.

20. 2. A questo passo aggiungono anche quanto Dio disse di quel ricco: Stolto, questa notte stessa ti richiederò la tua anima; e quello che hai preparato di chi sarà? 175 Dicono che non sia contrastante in minor misura con quello della Legge, poiché viene derisa la vanità dell’inutile contentezza del ricco che riteneva certo quel che era imprevedibile. Al contrario l’onnipotenza di colui che faceva la promessa, rendeva certa per il popolo d’Israele la promessa stessa. Per questo motivo l’apostolo Paolo scrivendo a Timoteo a proposito dei ricchi di questo mondo, che egli sapeva bene avessero un proprio posto tra i membri della Chiesa, così si esprime: Ai ricchi di questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza nell’incertezza delle ricchezze, ma nel Dio vivente che tutto ci dà con abbondanza, perché ne possiamo godere, di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera 176. A questo punto chi potrebbe non comprendere che non costituisce peccato il possedere tali beni, ma amarli e riporre in essi la propria speranza e anteporli o solamente paragonarli alla verità, alla giustizia, alla saggezza, alla fede, alla buona coscienza, all’amore verso Dio e verso il prossimo, tutti meriti per i quali un’anima devota è ricca di per sé agli occhi di Dio? Ma per volere bene a Dio, il quale dispensa tutte queste ricchezze invisibili ed eterne a chi lo ama, il quale, in altre parole, tramite esse si dona pienamente ai propri fedeli, per volergli bene - dicevo - anche in quei frangenti in cui l’anima carnale, cioè trascinata dalle passioni carnali, è capace di desiderare solamente i beni temporali, è necessario che questa si convinca che è Dio che li dà all’uomo, poiché è vero, ed è molto vantaggioso crederlo. È quanto è stato fatto al popolo d’Israele per mezzo di quelle promesse, che i poveri Manichei deridono con molta ignoranza, affinché si abituasse ad amare Dio, per quanto potesse, anche in cose di poco conto, sebbene agisse maggiormente in questa circostanza il timore. D’altra parte tutti questi beni temporali prefigurano i doni eterni e la vittoria sui nemici simboleggia la vittoria sul diavolo ed i suoi angeli.

20. 3. Per quanto riguarda quel passo che hanno ulteriormente aggiunto come contrario all’Antico Testamento, quello dove l’Apostolo afferma che a Dio non piacciono la battaglia ed il disaccordo, ma la pace 177, sappiano i Manichei che nelle Scritture si parla di un Dio al quale nessuno può sottrarre la propria pace, non quale essi stessi lo presentano, un Dio il quale, temendo che la guerra potesse invadere il suo territorio, ha mandato lontano le sue membra per sopportare guerre a loro estranee e che dopo, una volta vinte e contaminate, non si sarebbero potute liberare e purificare. A dire il vero nella natura umana, che a causa del peccato è precipitata tra le cose inferiori, Dio ama tanto la pace da non trascurare però l’equanimità della giustizia e non vuole che la pace che egli ama venga calpestata dai peccatori, ma vuole che sia amata dai combattenti, che sia conseguita dai vincitori; egli promette i benefici in senso figurato agli uomini carnali, li manifesta in modo chiaro agli spirituali.

Antitesi: la croce oggetto di maledizione e segno di salvezza.

21. Sta scritto nel Deuteronomio: Sia maledetto chiunque penda da un legno 178. Sebbene questa questione sia stata ventilata molte volte dai Manichei, tuttavia non riesco a comprendere perché Adimanto ritenga che sia in contrasto con questa affermazione quella del Vangelo, là dove il Signore dice: Se vuoi essere perfetto, vendi ciò che possiedi, dallo ai poveri, solleva la croce tua e seguimi 179. Eccetto che vi nomina la croce, nulla lascia supporre che sia in contrasto con l’altra affermazione: Sia maledetto chiunque penda da un legno; come se - a dire il vero - chiunque potesse sollevare una tale croce e seguire il Signore. Quando noi seguiamo il Signore, viene sollevata quella croce di cui l’Apostolo dice: Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la propria carne con le sue passioni e i suoi desideri 180. Infatti per mezzo di una croce siffatta scompare l’uomo vecchio, cioè la vita vecchia che abbiamo tratto da Adamo, sicché ciò che in lui fu volontario in noi diventa naturale. È quanto insegna l’Apostolo dicendo: Anche noi fummo un tempo per natura figli dell’ira come gli altri 181. Se dunque la vita vecchia è tratta da Adamo, se anche nell’espressione " uomo vecchio " viene indicata la " vita vecchia ", cosa mai vi è di contraddittorio nel fatto che venga maledetto quell’uomo vecchio che il Signore appende al legno? Perché ha assunto su di sé la mortalità a motivo della discendenza stessa, nacque mortale dalla Vergine Maria, con una carne non peccatrice, ma tuttavia simile a quella del peccato 182: infatti poté morire, e la morte è una conseguenza del peccato. Donde anche quell’altra affermazione: Sapendo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato 183. Non fu dunque il Signore per bocca di Mosè, servo di Dio, ma la morte stessa, che nostro Signore assumendola ha cancellato, a meritare la maledizione. Pertanto fu appesa al legno quella morte, che, a causa della tentazione del serpente, era penetrata nell’uomo per mezzo della donna. Per lo stesso motivo anche Mosè nel deserto sollevò un serpente su di un legno, a simbolo della morte di lui. E poiché mediante la fede nella croce del Signore, croce al cui legno è stata sospesa la morte, noi veniamo guariti dalle passioni mortifere, per questo stesso motivo venivano guariti immediatamente, dopo aver guardato il serpente che era conficcato e sollevato su di un legno, coloro che erano stati avvelenati dai morsi dei serpenti 184. A questo mistero ha fatto riferimento il Signore, dicendo: E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo 185. Addossandosi il genere di morte più infamante tra gli uomini, cioè la morte in croce, nostro Signore Gesù Cristo ci ha manifestato il suo amore, come giustamente afferma l’Apostolo, per infiammarci d’amore nei suoi confronti: Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi. Sta scritto infatti: maledetto chi pende dal legno 186. Questo perché la libertà cristiana, come la schiavitù giudaica, non solo non temesse la morte, ma non temesse anche alcun genere di morte.

Osservanza servile del sabato e libertà di Cristo.

22. Dio ordinò che fosse lapidato un uomo che era stato scoperto a raccogliere legna di sabato 187. Quando il Signore nel Vangelo guarì di sabato la mano inaridita di un uomo 188, compì un atto divino, non umano, e non venne meno al suo riposo perché diede un ordine ed esso fu eseguito. Di conseguenza quest’episodio non è simile a quello dell’uomo che, essendo stato scoperto a raccogliere legna di sabato, venne lapidato per ordine di Dio. Sulla servile osservanza del sabato e sulla punizione della morte temporale in ogni caso molte cose sono state già dette. Come infatti nel tempo dell’amore viene fatta valere la bontà, così nel tempo del timore viene fatta valere massimamente la severità di Dio. E poiché prima della venuta del Signore non era ancora opportuno svelare al popolo i misteri delle prefigurazioni della Legge, non veniva esortato a comprendere i significati, ma era obbligato a rispettare i comandamenti: infatti non era ancora unito a Dio nello spirito, ma sottostava alla Legge nella carne. Mi meraviglio poi che i Manichei compiangano l’uomo lapidato per ordine di Dio, perché aveva raccolto legna contro il comandamento della Legge, e non compiangono l’albero, che non aveva agito contro alcun comandamento, seccato ad opera della parola di Cristo 189, poiché credono che l’albero abbia un’anima tale e quale all’uomo.

Antitesi: fecondità fisica e continenza.

23. Sta scritto: La tua sposa come vite coperta di foglie e i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa, e vedrai i figli dei tuoi figli, e comprenderai perché è benedetto colui che teme il Signore 190. I Manichei non comprendono che ciò è stato detto dal profeta in senso figurato e che si riferisce alla Chiesa; credono dunque che sia in contrasto con ciò che nel Vangelo il Signore ha detto degli eunuchi che si castrano per il regno dei cieli 191. Ma noi abbiamo già trattato nel terzo capitolo - ed abbastanza - sia dello sposo, sia della sposa, sia degli eunuchi.

Antitesi: ricchezza terrena e povertà evangelica.

24. Salomone ha scritto: Imita la formica e guarda la sua abitudine, giacché a partire dall’estate fino all’inverno si raccoglie il proprio alimento 192. I Manichei non comprendono che anche questo passo deve essere interpretato in senso spirituale, e ritengono che sia un ordine a tesaurizzare sulla terra o anche a darsi cura dei propri granai, che, senza alcuna imposizione, molti uomini si affannano a riempire. Per questo motivo Adimanto asserisce che quel passo sia in contrasto con un’affermazione del Vangelo, là dove il Signore dice: Non affannatevi dunque per il domani 193. Ma neppure in questo caso comprendono che riguarda l’esortazione a non amare i beni temporali e a non preoccuparsi che ci possa mancare l’indispensabile, e che noi serviamo Dio e gli uomini per procurarcelo. Se dunque quelle parole fossero state pronunciate per esortare a non conservare il pane per l’indomani, le rispetterebbero di più i mendicanti romani, che chiamano " vagabondi alla giornata ", i quali, dopo aver saziato il proprio stomaco col cibo quotidiano, danno in dono quel che resta o lo buttano via, rispetto ai discepoli del Signore, i quali, andando in giro nella loro regione insieme al Signore del cielo e della terra, portavano delle borse; o rispetto all’apostolo Paolo, il quale pur disprezzando tutte le cose terrene, tuttavia disciplinava l’utilizzo di quelle indispensabili alla vita terrena, a tal punto da impartire disposizioni riguardo le vedove con queste parole: Se qualche credente ha con sé delle vedove, provveda sufficientemente a loro affinché non venga gravata la Chiesa e possa così questa venire incontro a quelle che sono veramente vedove 194. Tuttavia quel riferimento alla formica è stato proposto affinché, come essa raccoglie d’estate ciò di cui possa cibarsi d’inverno, allo stesso modo ciascun Cristiano nei periodi tranquilli della propria esistenza, cui allude l’estate, accumuli la parola di Dio, per avere di che vivere spiritualmente nelle avversità e nelle tribolazioni, che sono indicate dalla parola " inverno ". L’uomo infatti non vive di solo pane, ma di ogni parola di Dio 195. Se poi i Manichei sono turbati perché la formica nasconde sotto terra quel che raccoglie, si adirino anche per quel tesoro che il Signore dice di essere stato trovato in un campo 196.

Antitesi: sterilità fisica e vita angelica dei salvati.

25. Sta scritto in Osea: Da’ loro un grembo infecondo e un seno arido: fa’ morire il seme del loro seno, affinché non partoriscano 197. Anche queste parole del profeta hanno un significato simbolico. Infatti i Manichei non interpretano di certo il seno in senso materiale quando leggono nel Vangelo: Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno 198. Anche l’Apostolo aveva in un certo senso delle mammelle perché dice: Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido 199; ed ancora: Mi sono fatto pargolo in mezzo a voi, come una nutrice circonda di premure i propri figli 200. E partorisce di nuovo i Galati scivolati nelle passioni carnali, finché Cristo non sia formato in essi 201. Perciò non contrasta con questa affermazione del profeta quanto Adimanto ha tratto dal Vangelo, che alla risurrezione dai morti non prenderanno marito, né prenderanno moglie, essi non moriranno, ma sono come Angeli di Dio 202. Infatti è ciò che toccherà anche agli eunuchi, dei quali parla Isaia: Io concederò un posto e un nome migliori che ai figli e alle figlie, darò loro un nome eterno 203. Non credano dunque costoro che solamente nel Vangelo venga promesso un tale premio ai giusti: grembo infecondo, seno arido, seme isterilito affinché non partoriscano, comprendano che è riferito a coloro di cui l’Apostolo dice: Sull’esempio di Iannes e di Iambres che si opposero a Mosè, anche costoro si oppongono alla verità, uomini dalla mente corrotta, riprovevoli nella fede. Costoro però non progrediranno oltre, perché la loro stoltezza sarà manifestata a tutti, come avvenne per quelli 204. Nel momento in cui non progrediranno oltre, allora avranno grembo infecondo, seno arido, seme isterilito. In questa frase i Manichei abbiano la compiacenza di riconoscersi come in uno specchio.

Antitesi: i due alberi.

26. Sta scritto nel profeta Amos: Se mai possa accadere che due uomini camminino insieme senza conoscersi per niente, che il leone torni senza preda dal suo cucciolo; se mai l’uccello cadrà a terra senza che vi sia un cacciatore, se mai verrà tesa una trappola senza motivo, per non catturare nulla; se mai la tromba risuonerà nella città senza che il popolo si metta in allarme, allora potrà anche succedere che capiti nella città un male che il Signore non abbia provocato 205. In questo passo " male " non deve intendersi come " peccato ", ma come " punizione ". Infatti duplice è l’accezione di " male ": una indica quello che compie l’uomo, l’altra quello che subisce: quello compiuto è " peccato ", quello subito è " punizione ". Il profeta con le sue parole intendeva pertanto parlare delle " punizioni ". A motivo infatti della divina provvidenza, che regola e governa tutte le cose, l’uomo compie il male che vuole in modo tale da dover subire il male che non vuole. Costoro accusano il profeta per quanto afferma come se non avessero letto nel Vangelo: Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia 206. Dio dunque compie il male, che non è male per Dio stesso, ma per coloro che punisce. Egli stesso, per quanto gli compete, compie il bene, perché è bene tutto ciò che è giusto, ed è giusta quella punizione. Per questo motivo non è contraddittorio ciò che Adimanto obietta che il Signore abbia detto: L’albero buono produce frutti buoni, mentre l’albero cattivo produce frutti cattivi 207. Sebbene infatti l’inferno sia un male per il dannato, la giustizia di Dio tuttavia è un bene ed il frutto stesso è il prodotto di un albero buono. Il dannato invece a causa del male dei propri peccati accumula per sé l’ira nel giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, che renderà a ciascuno secondo le proprie azioni 208. Del resto in modo molto lampante questi due alberi stanno ad indicare per similitudine due tipi d’uomo, cioè il giusto e l’ingiusto, poiché chi non abbia mutato la propria volontà, non può compiere il bene. Che ciò sia nelle nostre possibilità lo insegna un altro passo evangelico, là dove il Signore dice: Se rendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se rendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo. In effetti egli si rivolgeva a coloro i quali ritenevano di potere dire cose buone, pur essendo cattivi, cioè di potere produrre buoni frutti, pur essendo alberi cattivi. Aggiunge infatti: Ipocriti, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? 209 L’albero cattivo non può certamente produrre frutti buoni, ma può da cattivo diventare buono per produrre frutti buoni. Siete stati un tempo tenebra - dice l’Apostolo - ora invece siete luce nel Signore. È come se dicesse: Siete stati un tempo alberi cattivi e perciò non potevate allora produrre nient’altro che frutti cattivi, ora invece siete luce nel Signore, cioè ormai siete diventati alberi buoni e producete frutti buoni; lo dimostrano le parole seguenti: Comportatevi come figli della luce: infatti il frutto della luce consiste in ogni giustizia e verità; giudicate buono ciò che è gradito al Signore 210. Nel medesimo scritto evangelico Adimanto, se non lo ignorasse per la propria malafede, potrebbe rendersi conto in che senso si dica che Dio compia il male. Il Signore infatti afferma - frase che egli stesso cita -: Ogni albero che non produce frutti buoni, viene tagliato e gettato nel fuoco 211. Questi sono i mali che compie Dio, cioè le punizioni per i peccatori, perché: getterà nel fuoco gli alberi che, perseverando nella loro malvagità, non hanno voluto diventare buoni, cosa che per gli alberi stessi costituisce un male. Dio d’altra parte, come ho detto ripetutamente, non dà frutti cattivi, perché la punizione del peccato è un frutto di giustizia.

Da Dio è l’origine del male?

27. Scrive il profeta Isaia: Io sono il Dio che procuro la pace e provoco il male 212. Anche questo passo si spiega nel medesimo modo. Infatti Adimanto non disapprova che Dio abbia detto procuro la pace, ma che abbia detto provoco il male. L’apostolo Paolo in modo analogo esprime i due concetti in uno stesso passo e ancora più ampiamente: Considera dunque la bontà e la severità di Dio: severità verso quelli che sono caduti; bontà invece verso di te, a condizione che tu persista nella bontà: altrimenti anche tu verrai reciso. Quanto a loro, se non persevereranno nella loro infedeltà, saranno anch’essi innestati. Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo 213. In queste parole dell’apostolo la bontà di Dio traspare sufficientemente, secondo quanto detto da Isaia: Io sono il Dio che procura la pace; e vi traspare la severità, secondo l’affermazione: provoco il male. Nello stesso tempo risulta anche chiaro che noi possiamo meritare di essere innestati dalla sua bontà o di essere recisi dalla sua severità. Non vi è dunque contraddizione tra Isaia ed il Vangelo, come ritiene, o per meglio dire ha interesse a ritenere, Adimanto, là dove il Signore dice: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio 214. Deve riconoscere in base alla prima parte della frase che anche Isaia sapeva che i figli di Dio sono pacifici, giacché Dio per suo tramite ha detto: Sono io che procuro la pace. Ma siccome ha posato l’occhio sulla seconda parte per interpretarla male, sulla prima si è accecato del tutto. Se allo stesso modo qualche altro cieco volesse dire che l’Antico Testamento è buono quando Dio dice: Io non voglio la morte del peccatore, quanto che si ravveda e viva 215; e che invece è cattivo il Nuovo Testamento quando Cristo dice: Andate nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli 216, al momento di precipitare nella fossa, per la malizia germogliata, forse che non trascinerebbe parimenti con sé tutti quelli che lo hanno seguito, incolti e ignari delle Scritture, nella cecità dell’ignoranza? Chi invece legge con occhio devoto, trova anche nel Nuovo Testamento ciò che costoro disapprovano nell’Antico e nell’Antico ciò che apprezzano nel Nuovo.

Come mai il profeta dice di aver visto Dio su un trono altissimo, mentre l’Apostolo definisce invisibile Dio.

28. 1. È scritto in Isaia: Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono altissimo; il tempio era pieno della sua gloria e attorno stavano dei Serafini, che avevano sei ali, con due coprivano la sua faccia, con due i suoi piedi 217. A questo Adimanto contrappone quel passo in cui l’Apostolo dice: Al Re dei secoli invisibile onore e gloria nei secoli 218. Bisogna chiedersi per quale motivo in questa polemica abbia ritenuto opportuno sia tralasciare, nella visione di Isaia, le due ali con le quali i Serafini volavano dicendo: Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti, sia non citare tutte le parole dell’Apostolo, che infatti così si esprime: Al Re dei secoli invisibile, incorruttibile, all’unico Dio onore e gloria nei secoli dei secoli. Forse ha temuto che l’accenno alla Trinità valorizzasse agli occhi del lettore il profeta e si potesse sospettare che nelle sue parole si celasse una grande verità? Infatti per tre volte viene detto: Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti. Nelle parole dell’Apostolo invece si è reso conto che se avesse citato l’espressione a Dio incorruttibile, gli si sarebbe potuto rispondere ciò che ora diciamo: cosa mai avrebbe potuto fare il popolo delle tenebre ad un Dio incorruttibile, se si fosse rifiutato di combattere? Se sia stato lui a leggere un testo corrotto o se per caso sia corrotto il testo stesso di Adimanto che noi leggiamo non è più il caso di discutere oltre, bisogna invece cercare di spiegare come mai il profeta dica di avere visto Dio su un trono altissimo e l’apostolo Paolo in verità definisca " invisibile " Dio. Chiedo pertanto a costoro se le cose invisibili si possono vedere. Se rispondono che è possibile, perché mai lanciano accuse al profeta per aver visto Dio invisibile? Se ritengono invece che non sia possibile, accusino piuttosto, se ne hanno il coraggio, l’Apostolo stesso che dice: Infatti dalla creazione del mondo, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate dall’intelletto nelle opere da lui compiute 219. Egli stesso aveva detto infatti che erano invisibili ed è nuovamente lui a dire che si possono contemplare. A questo punto non sono forse costretti ad ammettere che vi sono cose invisibili agli occhi corporei, ma che sono in verità visibili allo spirito? Così dunque anche il profeta vide Dio, che è fisicamente invisibile, non col corpo, ma con lo spirito.

28. 2. Nelle Sacre Scritture si trovano infatti molte specie di visione. Una è quella che avviene attraverso gli occhi corporei, come nel caso di Abramo che vide tre uomini sotto la quercia di Mambre 220, e di Mosè che vide una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto 221 e dei discepoli che videro il Signore trasfigurato su un monte in mezzo a Mosè ed Elia 222 ed altre ancora di questo genere. Un’altra attraverso l’immaginazione di sensazioni provate attraverso il corpo; infatti quando questa parte stessa di noi si eleva per effetto della volontà divina, molte cose vengono rivelate, non attraverso gli occhi corporei o le orecchie o qualche altro senso carnale, ma attraverso qualcosa tuttavia simile a questi, come nel caso di Pietro che vide scendere come calato dal cielo un drappo con diversi animali 223. Di questo tipo è anche la visione di Isaia che gli empi Manichei criticano in modo oltremodo maldestro. Infatti non è possibile delimitare Dio con una forma corporea: ma come molte cose vengono dette in forma figurata e non propria, così molte cose vengono anche mostrate in forma figurata. La terza specie di visione avviene attraverso una percezione dello spirito, per mezzo della quale vengono contemplate con l’intelletto la verità e la sapienza; senza quest’ultima, le altre due di cui ho detto prima o risultano infruttuose o traggono in errore. Allorché infatti per effetto della volontà divina le cose vengono mostrate sia ai sensi corporei sia a quella parte dell’anima che percepisce le immagini delle cose corporee, allora sì che la rivelazione è perfetta quando le cose sono percepite non solo da questi sensi, ma sono concepite anche dallo spirito. Di questa terza specie è quella visione che ho ricordato citando l’Apostolo: Infatti dalla creazione del mondo, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute 224. Dio viene percepito mediante questa visione, quando i cuori si purificano con la pietà della fede e con la conoscenza del perfetto agire di Dio. A che giovò al re Baldassar vedere davanti agli occhi una mano che scriveva sulla parete? Poiché non ebbe la possibilità di associare a questa visione la facoltà visiva dello spirito, egli cercava di vedere ancora ciò che aveva visto. Daniele dotato invece dell’acutezza di una tale luce, con la quale vengono comprese queste cose, vide con lo spirito ciò che quello aveva visto con il corpo 225. Pure il re Nabucodonosor vide un sogno con quella parte dell’animo che percepisce le immagini corporee; e siccome non possedeva l’occhio dello spirito adatto a vedere meglio ciò che aveva visto, vale a dire a comprendere ciò che aveva visto, per questo motivo fece ricorso, per interpretare il suo sogno, alla capacità visiva di un altro, ovviamente di Daniele stesso; tuttavia per dare sicuro credito alla sua interpretazione, pretese anche che il sogno stesso gli fosse raccontato. Daniele, grazie alla rivelazione dello Spirito Santo di Dio, vide con quella parte con cui vengono percepite le immagini corporee le cose che Nabucodonosor aveva visto in sogno, e con lo spirito capì cosa significasse 226. Non è dunque un profeta del vero e sommo Dio, chi vede le visioni inviategli per volontà divina o con il solo corpo, o anche con quella parte dello spirito per mezzo della quale si percepiscono le immagini corporee, ma non vede con lo spirito. Comunque nelle Scritture si trovano per lo più visioni presentate così come sono viste, non anche come sono comprese, affinché la visione dello spirito, nella quale risiede tutto il beneficio, sia lasciata all’esercizio dei lettori. Ma dalle molte che sono descritte in modo chiaro ci si rivela in che modo le abbiano comprese coloro che le hanno così riportate nei libri, in che modo siano state mostrate figuratamente a loro. Le descrizioni in forma simbolica si addicono infatti a quelle due specie di visione; alla visione dello spirito, cioè alla propria e semplice visione dell’intelligenza, compete invece la rivelazione delle cose spirituali e certe. Tutte queste specie di visioni le provoca e le distribuisce con un piano meraviglioso ed ineffabile lo Spirito Santo della somma ed immutabile saggezza. Ma sono dei meschini costoro ad accusare falsamente il profeta che dice di avere visto Dio, contrapponendovi le parole dell’apostolo, là dove definisce Dio invisibile. Se un altro infatti contrapponesse a queste parole dell’apostolo quelle del Vangelo, dove il Signore dice: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio 227, in che modo gli risponderanno che Dio invisibile può essere visto? Incalzano con le parole gli inesperti e temono che si sappia - sebbene essi lo sappiano - per quale motivo Dio sia detto invisibile. Tanto grande è la perdizione degli animi, che mentre vogliono conquistare l’uomo, vengono sopraffatti dall’errore.


Note:

 

1 - Gn 1, 1-5.

2 - Gv 1, 10.

3 - Cf. Mt 6, 26-30.

4 - Col 1, 15-16.

5 - Rm 11, 36.

6 - Gn 2, 2.

7 - Gv 5, 17.

8 - Cf. Lc 14, 5; 13, 15.

9 - Mt 11, 28-30.

10 - Gn 2, 18. 21-22. 24.

11 - Mt 19, 29; Mc 10, 29-30; Lc 18, 29-30.

12 - Sap 2, 21.

13 - Mt 19, 3-9.

14 - Mt 19, 29.

15 - 1 Cor 7, 12.

16 - 1 Cor 7, 15.

17 - Ef 5, 25. 22.

18 - Ef 5, 31-33.

19 - 1 Cor 11, 11-12.

20 - Mt 19, 12.

21 - Is 56, 4-5.

22 - Gn 4, 10-12.

23 - Mt 6, 34. 26.

24 - Cf. Mt 21, 19.

25 - Sal 54, 23.

26 - Gn 1, 26.

27 - Gv 8, 44.

28 - Cf. Mt 3, 7; 23, 33.

29 - Cf. 1 Cor 4, 14-15.

30 - Cf. Gal 3, 7.

31 - Ef 2, 2.

32 - Gv 5, 46.

33 - 1 Cor 11, 7.

34 - Col 3, 9-10.

35 - Cf. Mt 5, 44-45.

36 - Gv 1, 12.

37 - Gv 8, 44.

38 - Sal 81, 6-7.

39 - Es 20, 12.

40 - Lc 9, 59-60.

41 - Cf. Ef 6, 2-4; Col 3, 20-21.

42 - Cf. Mt 19, 17-21.

43 - Dt 33, 9.

44 - Es 20, 5.

45 - Mt 5, 45.

46 - Mt 18, 22.

47 - Mt 25, 41.

48 - Sap 1, 5.

49 - Sap 2, 2.

50 - Prv 5, 22.

51 - Rm 1, 24.

52 - Cf. Mt 1, 17.

53 - Cf. Ez 18, 14-17.

54 - Mt 5, 45.

55 - Rm 2, 4.

56 - Rm 2, 5-6.

57 - Sap 11, 27.

58 - 2 Cor 11, 2.

59 - Es 18, 23; 33, 11.

60 - Es 21, 24.

61 - Mt 5, 38-40.

62 - Sal 7, 4-5.

63 - Lam 3, 30.

64 - Cf. Gn 3, 4. 13.

65 - Gv 1, 18.

66 - Gv 5, 37-38.

67 - Cf. Gn 18, 1-2.

68 - Cf. Gn 32, 24-30.

69 - Cf. Es 3, 2.

70 - Cf. Es 19, 3.

71 - Cf. At 3, 30. 35.

72 - 2 Cor 13, 3.

73 - Lc 12, 20.

74 - Gv 12, 28; 17, 5.

75 - Mt 5, 8.

76 - Es 25, 2-8.

77 - Mt 5, 34-35.

78 - Cf. 1 Tm 6, 16.

79 - Is 66, 1-2.

80 - Gv 2, 15-16; Mt 21, 12-13.

81 - Es 20, 5; 34, 14.

82 - Gv 17, 25.

83 - Sal 72, 27.

84 - Cicero, p. Q. Lig.

85 - 2 Cor 11, 2.

86 - Gv 2, 17; Sal 68, 10.

87 - Sal 10, 8.

88 - Cf. Dt 12, 23.

89 - Cf. Mt 10, 28.

90 - 1 Cor 15, 50.

91 - Mt 26, 26.

92 - Gn 6, 3.

93 - Mt 22, 30.

94 - 1 Cor 6, 9.

95 - 1 Cor 15, 39-50.

96 - 1 Cor 15, 50-53.

97 - 1 Cor 10, 4.

98 - Cf. Nm 20, 11.

99 - Dt 4, 23-24.

100 - Mc 10, 17-18.

101 - Gv 1, 10-11.

102 - Lc 12, 49.

103 - Dt 4, 24; 9, 3.

104 - Lc 24, 32.

105 - Mc 10, 18.

106 - Sal 117, 1. 29.

107 - Cf. Mt 22, 2-13.

108 - Dt 12, 15-16.

109 - Lc 21, 34.

110 - Rm 14, 21.

111 - 1 Cor 10, 21.

112 - Rm 14, 1-23.

113 - Cf. 1 Tm 4, 1-5.

114 - Cf. Tt 1, 15.

115 - Dt 12, 15.

116 - 1 Cor 10, 19-31.

117 - Cf. Dt 25, 4; 1 Cor 9, 7-9; 1 Tm 5, 17-18.

118 - Cf. Lv 11.

119 - Mt 15, 11.

120 - Rm 14, 21.

121 - Dt 12, 15.

122 - 1 Cor 10, 11.

123 - Mt 15, 11.

124 - Mt 15, 12-20.

125 - Col 2, 16-17.

126 - 1 Ts 5, 19-21.

127 - Dt 5, 12-15.

128 - Gn 17, 9-14.

129 - Mt 23, 15.

130 - Cf. Mt 15, 3-6.

131 - Lc 11, 52.

132 - Mt 23, 2-3.

133 - 1 Cor 7, 18-19.

134 - Gal 5, 12.

135 - Gal 4, 10-11.

136 - Cf. Rm 1, 25.

137 - Eb 4, 9.

138 - Rm 4, 11.

139 - Es 23, 22-24.

140 - Mt 5, 44.

141 - Cf. Gal 3, 24.

142 - 1 Cor 5, 3-5.

143 - Sap 11, 25.

144 - 1 Cor 11, 28-32.

145 - Cf. Lc 18, 2-8.

146 - Mt 25, 41-42.

147 - Cf. Lc 9, 53-56.

148 - Mt 5, 5

149 - Mt 9, 15.

150 - Cf. At 2, 4.

151 - Cf. At 5, 1-10.

152 - Sal 7, 4-5.

153 - Cf. 1 Sam 24, 3-8; 26, 8-12.

154 - Dt 28, 1. 3-4. 6.

155 - Mt 16, 24. 26.

156 - Mt 5, 35.

157 - Is 66, 1.

158 - Cf. Mt 19, 29.

159 - Prv 17, 16.

160 - 2 Cor 6, 10.

161 - Sal 143, 11-15.

162 - Mc 8, 38.

163 - Mt 5, 3.

164 - Lc 6, 24.

165 - Cf. Lc 16, 24.

166 - Sal 36, 16.

167 - Sal 118, 72.

168 - Sal 18, 10.

169 - Prv 3, 13-15.

170 - Sap 7, 7-9.

171 - Lv 26, 3-10.

172 - Mt 10, 9-10.

173 - Cf. Gv 12, 6.

174 - Cf. At 18, 3; 1 Cor 4, 12; 1 Ts 2, 9; 2 Ts 1, 8-9.

175 - Lc 12, 20.

176 - 1 Tm 6, 17-19.

177 - Cf. 1 Cor 14, 33.

178 - Dt 21, 23.

179 - Mt 19, 21; 16, 24.

180 - Gal 5, 24.

181 - Ef 2, 3.

182 - Cf. Rm 8, 3.

183 - Rm 6, 6.

184 - Cf. Nm 21, 9.

185 - Gv 3, 14.

186 - Gal 3, 13.

187 - Cf. Nm 15, 35.

188 - Cf. Mt 12, 10-13.

189 - Cf. Mt 21, 1-9.

190 - Sal 127, 2-4.

191 - Cf. Mt 19, 12.

192 - Prv 6, 6-8.

193 - Mt 6, 34.

194 - 1 Tm 5, 16.

195 - Cf. Dt 8, 3; Mt 4, 4.

196 - Cf. Mt 13, 44.

197 - Os 9, 14.

198 - Gv 7, 38.

199 - 1 Cor 3, 2.

200 - 1 Ts 2, 7.

201 - Cf. Gal 4, 19.

202 - Mt 22, 30.

203 - Is 56, 5.

204 - 2 Tm 3, 8-9.

205 - Am 3, 3-6.

206 - Mt 10, 29.

207 - Mt 7, 17.

208 - Cf. Rm 2, 5-6.

209 - Mt 12, 33-34.

210 - Ef 5, 8-10.

211 - Mt 7, 19.

212 - Is 45, 7.

213 - Rm 11, 22-23.

214 - Mt 5, 9.

215 - Ez 33, 11.

216 - Mt 25, 41.

217 - Is 6, 1-2.

218 - 1 Tm 1, 17.

219 - Rm 1, 20.

220 - Cf. Gn 18, 1.

221 - Es 3, 2.

222 - Cf. Mt 17, 2-3.

223 - Cf. At 11, 5-6.

224 - Rm 1, 20.

225 - Cf. Dn 5.

226 - Cf. Dn 2.

227 - Mt 5, 8.