Scrutatio

Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Replica a un avversario della Legge e dei Profeti: Libro primo

Sant'Agostino d'Ippona

Replica a un avversario della Legge e dei Profeti: Libro primo
font righe continue visite 278

Scopo e piano dell'opera.

1. 1. Fratelli carissimi, per rispondere in modo breve, per quanto posso, al libro di non so quale eretico, che mi avete inviato, ho indicato in primo luogo quale errore venga in esso trattato. Secondo quanto avete scritto, il testo veniva letto sulla piazza del porto alla turba che accorreva con pericolosa curiosità e ascoltava con piacere. In verità i Manichei non sono gli unici che condannano la Legge e i Profeti, ci sono anche i Marcioniti e alcuni altri le cui sette non sono molto conosciute dal popolo cristiano. Questo individuo, il nome del quale da questo libro non sono riuscito a trovare, rigetta Dio come creatore del mondo, mentre i Manichei non accettano il libro della Genesi e lo bestemmiano, senza dubbio professano però che Dio ha creato il mondo buono, sebbene da una natura differente dalla propria e plasmando la materia. Per quanto, dunque, io non sia riuscito a scoprire di che setta sia questo individuo blasfemo, la Scrittura divina che egli attacca con le sue malevoli discussioni deve esser difesa contro la sua lingua. Inoltre, poiché vuol apparire in ogni modo cristiano, giacché adduce alcune testimonianze del Vangelo e dell'Apostolo, dev'esser confutato ricorrendo anche alle Scritture che fanno parte del Nuovo Testamento, affinché si veda in modo ancora migliore che egli, nell'attaccare il Vecchio Testamento, delira più con sconsideratezza che con furbizia.

La prima questione: il principio del tutto.

2. 2. In primo luogo questo autore empio chiede con bocca sacrilega ciò che un uomo pio avrebbe potuto chiedere in modo religioso, ovvero " come si debba intendere ciò che sta scritto: In principio Dio fece il cielo e la terra 1 ", tralasciando nel suo testo, oltretutto, la terra della quale invece poi parla. Domanda quindi: " Di quale principio si tratta? Di quello in cui Dio stesso cominciò ad essere o di quello in cui si tediò del fatto d'essere inoperoso? ". A tali domande si deve rispondere: Dio non ha cominciato ad essere, né si è tediato della sua solitudine: è sempre esistito e non illanguidisce quando riposa né si affatica quando opera, e quando il cielo ancora non c'era non mancava di una sede, né ha ottenuto la sede solo dopo aver creato il cielo quasi fosse un viandante al termine delle sue peregrinazioni. Infatti ha il potere di permanere in modo beatissimo in se stesso e di quel suo tempio, che sono tutti i santi e gli angeli e gli uomini, si costituisce la sua abitazione, nel senso che essi ricevono da lui quel bene che li rende beati, non che lui riceva da loro la dimora senza la quale non potrebbe essere beato 2. In conseguenza di ciò si dovrà interpretare ciò che sta scritto: In principio Dio fece il cielo e la terra, come il principio in cui cielo e terra cominciarono ad essere. Infatti non sono sempre esistiti, coeterni a Dio, ma, essendo cose create, hanno avuto un inizio quando hanno cominciato ad essere. Oppure, siccome Dio ha creato il cielo e la terra nel principio coeterno a sé, lo intendiamo nel suo Figlio unigenito 3. Costui è infatti la Sapienza di cui l'Apostolo dice: Cristo è la potenza di Dio e la sapienza di Dio 4. E nel salmo a Dio che fece il cielo e la terra si dice: facesti tutte le cose nella sapienza 5. O, se questo individuo non vuole accettare la testimonianza del salmo, che ascolti l'Apostolo che parla di Cristo: Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili 6.

Il principio senza fine.

2. 3. Dio dunque, come non ha avuto un inizio, così non ha una fine; ma le sue opere che hanno un inizio hanno anche una fine certa, e così avranno fine i tempi e le cose temporali. Altre cose che hanno inizio permangono: tale la vita eterna che riceveranno gli uomini santi. Ciò non lo vide questo individuo che credette si dovesse ritenere e teorizzare che non vi è alcun principio che non abbia anche una fine. Egli non è riuscito a comprendere nemmeno come non ha fine la serie numerica, che prende inizio dall'uno. Non vi è numero, per quanto grande lo si dica poi, o, se non lo si può pronunciare, per quanto grande lo si pensi, al quale non si possa aggiungere un altro numero affinché diventi ancor più grande! E credo che questo individuo, qualsiasi eresia sostenga in nome di Cristo ma in ogni modo contro Cristo, si augura certo una vita beata in Cristo, il cui inizio potrà esservi solo quando avrà avuto fine questa vita miserabile. Che mi risponda allora: quella vita beata, che egli non nega che abbia o che avrà un inizio, avrà o non avrà una fine? Se risponde di sì, come osa chiamarsi cristiano? Se risponde di no, come osa dire che non vi è principio che permanga senza fine?

La seconda domanda: sulla creazione e sul più grande bene possibile.

3. 4. Domanda anche: " Se questo mondo è qualcosa di buono, perché non è stato da lui creato, come sarebbe stato più giusto, all'inizio? ". Come se Dio avesse fatto il mondo un poco migliore di se stesso, o, invece, non abbia dovuto farlo buono proprio perché non è uguale al suo creatore. Quanto poi alla domanda perché il mondo non è stato creato fin dall'inizio, rispondo: Certo che venne creato fin dall'inizio. Ma dall'inizio suo e non di Dio, che non ha alcun inizio. Se poi costui ha riconosciuto che si parla proprio di questo inizio poiché si dice: In principio Dio creò, cos'è che vuol insinuare maliziosamente quando chiede: " In quale principio Dio ha creato ", visto che egli stesso, ripetendo la domanda, chiede perché il mondo non sia stato creato dall'inizio? Pertanto va confutato con le sue stesse parole. Infatti egli stesso, quanto al passo in cui si legge: In principio Dio creò il cielo e la terra 7, argomenta dicendo: " In quale principio? ". Forse in quello in cui Dio stesso cominciò ad essere, o in quello a partire dal quale si tediò del nulla? Così anche noi, alla domanda: " Perché il mondo non è stato creato dall'inizio del tutto? ", rispondiamo dicendo: " Da quale inizio del tutto? Dall'inizio in cui Dio stesso cominciò ad esistere, o dal momento in cui si stancò di starsene inattivo? ". Quando dice: " Perché dunque non fin dall'inizio? ", non gli aggrada che Dio non abbia fatto il cielo fin dall'inizio, come se avesse dovuto farlo in quell'inizio a partire dal quale esiste colui che lo ha creato. Perché non ha temuto che, dicendo che Dio avrebbe dovuto fare il cielo nell'inizio a partire dal quale esiste Dio stesso, gli si replicasse: Allora Dio ha un inizio e perciò, secondo quanto tu dici, avrà anche una fine? Tu stesso infatti hai detto che non vi è inizio senza fine. E se Dio stesso non ha inizio, in che modo può creare qualche cosa proprio in quell'inizio quando egli stesso cominciò ad esistere? Per questo ha creato in quell'inizio in cui effettivamente creò, ovvero in quell'inizio a partire dal quale ciò che ha creato cominciò ad essere. Dunque o il Dio di costoro non ha mai creato nessun bene, oppure, secondo costui, quanto ha creato di buono lo ha creato in quell'inizio a partire dal quale esiste egli stesso: ma di ciò che ha un inizio si deve temere una fine. Oppure costui deve adeguarsi alle parole della sacra Scrittura e comprendere che Dio, che non ha cominciato ad esistere in nessun principio, in principio fece il cielo: in quel principio cioè in cui il cielo cominciò ad esistere, ovvero nel Figlio, il quale, ai Giudei che gli chiedevano chi fosse, rispose dicendo di essere il principio 8.

Inizio e principio.

3. 5. Ma costui potrebbe dire che una cosa è l'inizio e un'altra è il principio. Se fosse stato scritto che " Dio ha creato il cielo e la terra all'inizio ", colui che ha chiesto: " Perché non ha creato all'inizio?", leggendo che " Dio ha creato all'inizio " non avrebbe avuto nulla da obiettare, non pensando però che sarebbe empio credere che Dio abbia un " inizio " e non un " principio ". Perché se le cose stessero davvero come dice costui, che corregga allora il Vangelo dove sta scritto: In principio era il Verbo 9. Perché costui non chiede anche in questo caso: Di quale principio si tratta? Di quello in cui il Verbo cominciò ad esistere? E poiché il Verbo era Dio, può chiedere anche, come fa in quel tal libro: " A cosa deve la sua esistenza Dio? ". Che costui ripeta, se vuole, quella sua tesi decisiva anche dove ode: In principio era il Verbo; che ripeta ancora, se osa: " non vi è inizio senza fine ", fin quando gli stessi Manichei, che forse lo leggono con grande piacere perché trovano in lui un nemico della Legge e dei Profeti, finiranno per reputarlo folle. Dato che, in verità, a costui non aggrada il Dio che ha fatto il mondo, perché non lo infastidisce anche colui per mezzo del quale il mondo venne creato? Infatti riguardo a Cristo sta scritto: Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo suo 10.

Meravigliosa gradazione dei beni.

4. 6. Sappia costui che Dio può creare cose buone, ma non può aver bisogno delle cose buone da lui create; perciò non ha avuto necessità di crearle se non necessita di ciò che ha creato. Il sommo bene ha creato tutte le cose senza dubbio inferiori a se stesso, ma pur sempre buone. Infatti ogni bene, per quanto non sia sommo, anzi sebbene possa anche essere piccolissimo, comunque non può provenire se non dal sommo bene. Hanno un concetto assolutamente erroneo su Dio coloro che negano che vi sia qualche cosa di buono proprio perché riconoscono che questo qualcosa non è uguale a Dio. Infatti egli non sarebbe il bene sommo, ma l'infimo dei beni, se ciò che è inferiore a lui già non fosse più un bene. Se tra le cose che ha creato anche i beni sommi sono molto inferiori al Creatore, proprio perché lui li creò, essi invece furono creati, senza dubbio si dovrà credere che chi non ha avuto bisogno di quei beni sommi per accrescere la propria felicità, molto meno avrà bisogno di cose meno buone e affatto di quelle infime. Tuttavia egli le creò per essere, diciamo così, l'organizzatore di tutto ciò che è bene. In effetti il Signore Gesù, mediante il quale è stato fatto il mondo 11, ci mostra chiaramente che Dio creò e crea non solo le cose celesti, ma anche quelle terrene - e tra queste anche quelle che sembrano insignificanti - quando dice: Se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? 12 Dunque l'unico e medesimo Dio è il creatore del cielo e della terra, delle stelle e dell'erba, di tutto ciò che possiede una sua misura, una sua forma e un suo ordine in cielo e in terra, di tutto ciò che vive in cielo e in terra, di tutto ciò che ha vita sensitiva in cielo e in terra, di tutto ciò che ha intelligenza in cielo e in terra. Era bene che tutto ciò non solo non fosse uguale a colui che lo ha creato, ma occorreva pure che le cose create non fossero uguali fra loro. È per questo che sono molte. Se invece fossero uguali, vi sarebbe un solo genere di beni, non beni di molte sorte. Ora invece vi sono tanti beni perché gli uni sono migliori degli altri, e la bontà di quelli inferiori aggiunge lodi a quelli superiori, e nella disuguaglianza delle cose buone vi è la stessa splendida gradazione: e nel confronto con le cose più piccole, quelle più grandi risaltano meglio.

Il male è privazione di bene.

5. 7. Quanto a ciò che viene chiamato " male ", o si tratta di difetti delle cose buone, che di per sé non possono esistere in nessun modo al di fuori delle cose buone, o sono castighi del peccato inflitti dalla bellezza della giustizia. Ma persino i difetti recano testimonianza della bontà di tutte le cose naturali. In realtà ciò che è male a causa di un difetto, certamente per natura è buono. Il difetto è infatti contro la natura perché nuoce alla natura; e non le nuocerebbe se non ne diminuisse il bene. Quindi il male non è nient'altro se non la privazione di un bene. E per questo non esiste in nessun luogo se non in una cosa buona. Non si tratterà di cosa sommamente buona, perché ciò che è sommamente buono permane incorruttibile e immutabile: e così lo è Dio. Il male dunque non sta se non nelle cose buone: infatti non nuoce se non diminuendo ciò che è buono. Perciò vi sono beni senza mali, come lo stesso Dio e tutte le cose superiori e celesti, invece i mali non possono esistere senza i beni. Se infatti non nuocciono in alcun modo, non sono mali, mentre se nuocciono diminuiscono il bene; e se persistono nel loro nuocere è perché comunque hanno un bene da diminuire; e se consumano tutto il bene, non resterà nulla della natura a cui nuocevano e perciò, venendo meno la natura a cui nuocevano diminuendone il bene, non esisterà più nemmeno il male.

I beni sono mutabili per via della loro creazione dal nulla.

6. 8. Se una natura o una sostanza possa essere ridotta al nulla è una questione molto complessa. Ma la fede canta in tutta verità a Dio: Tu le muterai, ed essi saranno mutati; ma tu rimani lo stesso, il medesimo 13. Essi, dunque, beni mutabili, non sono stati creati e non vengono governati se non dal bene immutabile che è Dio. Per questo i beni mutabili sono beni, perché sono stati fatti dal sommo bene, e per questo sono mutabili, perché non li ha fatti traendoli da se stesso, ma dal nulla. Per cui gli stessi esseri mortali, per quanto siano in essi carenze e limiti in certa misura penali e solo l'immortalità possa colmare la misura della loro felicità perfetta, tuttavia hanno una loro specifica grazia nell'armonia dei tempi: ma è più che umano il senso che ravvisa tale armonia. E la fede che dice al suo Dio: Tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso 14, sebbene per amore della vita inorridisca di fronte alla necessità di dover subire la morte, comunque loda il Creatore di tutti i beni anche in base ai beni mortali. Quanto a costui che disapprova queste cose e crede che non vi sia Dio perché vede che le opere da lui fatte sulla terra sono mortali, egli stesso non ha potuto esporre la sua argomentazione, che gli è piaciuta al punto da scriverla per ricordarla, se non con dei suoni appropriati alle rispettive parole, suoni che però hanno un inizio e una fine. Egli pertanto non ha potuto rappresentare la bellezza di questa argomentazione -con la quale vuole persuadere ognuno che ciò che nasce e muore non può essere un bene - se non per mezzo di sillabe che nascono e muoiono. Cosa c'è di strano dunque se, nel succedersi dei tempi, nel tanto vasto mondo della natura vi è un bene piccolissimo, che nel suo genere non è bello per la durata obiettiva come alcuni sublimi esseri spirituali, ma per la forma attraente della sua struttura e per il fatto che compare e scompare sulla terra?

Tutte le cose create sono buone nel loro genere e nel loro ordine.

6. 9. Stando così le cose, non osi costui incolpare la Scrittura che recita: Dio vide che la luce era cosa buona 15. E Dio ha creato sommamente buoni non solo la luce, che chiamò giorno, e il firmamento, che chiamò cielo, e il sole e la luna e le altre stelle, ma anche gli alberi e le erbe e tutto ciò che vi è di mortale nell'acqua e sulla terra; e vide che tutte queste cose erano buone nel loro genere e nel loro ordine. Colui che stese questo libro ispirato dallo spirito di Dio non temette gli empi che sarebbero venuti in seguito: critici vanitosi e seduttori della mente, in primo luogo della propria e poi di quella degli altri, ai quali aggrada la loquacità blasfema. Dio vide che anche costoro sono buoni. Lo sono in quanto uomini, in quanto constano di corpo e anima razionale, in quanto le membra del loro corpo si distinguono per le loro funzioni specifiche, e nella loro composta differenza sono tutte raccolte con disposizione degna d'ammirazione in un'armoniosa unità 16. L'anima poi per la sua eccellenza naturale primeggia e impera e colma e vivifica i cinque sensi della carne 17 con potenze di volta in volta differenti e in perfetto accordo sociale, e mediante la mente e la ragione può sapere e intendere ciò che l'anima delle bestie non può. Dio li vide buoni e per questo li creò. Egli infatti non vide gli uomini soltanto dopo averli creati, ma li conosceva anche prima di crearli. E sebbene essi si sarebbero resi malvagi per la volontà perversa e per il cieco errore, non per questo Dio credette che non dovesse crearli; previde infatti anche quale sarebbe stato il loro ruolo nel creato: e pertanto dalla stessa massa della prima prevaricazione giustamente condannata Dio fece dei vasi di ira, qualora essi avessero persistito sino alla fine nella loro malvagità, capaci però di giovare ai vasi di misericordia spronandoli coi pungiglioni della loro menzogna affinché indagassero con maggior diligenza gli arcani della verità 18. Infatti grandi [sono] le opere del Signore, le contemplino coloro che le amano 19. E cosa c'è di strano nel fatto che non piaccia alla stoltezza umana rendersi conto che le opere del Signore piacciono alla sapienza divina? E che cosa significa: [Dio] vide che la luce era cosa buona 20, se non che essa gli piaceva?

Una cosa è Dio e una cosa è la luce che Dio ha creato.

7. 10. Ma guardate ciò che afferma quel ciarlatano blasfemo che ha scritto questo libro sacrilego pieno di improperi (volesse il cielo che egli restasse disgustato per la propria opera, non la credesse buona ma s'accorgesse che è cosa cattiva!). Dice: " Dio non sapeva cosa fosse la luce prima di averla creata, al punto che, nel vederla per la prima volta, disse che era cosa ottima ". Anche il Signore Gesù tuttavia, quando udì le parole del centurione, si stupì e disse ai suoi discepoli: in verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande 21. Quindi egli non sapeva, prima, quanto fosse grande quella fede, e così, al vederla per la prima volta, la giudicò grandissima! O che forse ad alimentare quella fede nel cuore del centurione c'era qualche altro che non fosse colui che si stupiva? E davvero gli insensati e gli infedeli potrebbero pronunciar cose blasfeme molto più sul fatto che Gesù si sia stupito per la grandezza della fede di un uomo, che non sul fatto che Dio " vide che la luce era cosa buona "! In verità ciascuno può vedere che anche le cose ordinarie sono buone, cioè constatare che gli sono gradevoli. Chi invece si stupisce, in base alle consuetudini secondo cui si parla tra gli uomini, dà ad intendere che per lui ciò che lo stupisce è qualche cosa di insperato o improvviso. Ma Gesù, che aveva la prescienza di tutto, inculcava agli altri ciò che debbono ammirare e con la sua ammirazione lo lodava. Che cosa vide Dio d'aver fatto che non avesse visto già prima di averlo fatto nella luce che è egli stesso? E perché la sacra Scrittura ripete tante volte con insistenza che Dio vide che erano buone le cose che aveva fatto, se non per insegnare con l'esempio alla pietà dei fedeli a non giudicare le cose visibili e invisibili non secondo la sensibilità umana, che spesso viene posta in difficoltà anche dalle cose buone di cui ignora le cause e l'ordine, ma piuttosto a credere nel Dio che [le] loda e ad apprendere da lui? Infatti uno riesce a conoscere una cosa progredendo tanto più facilmente, quanto più religiosamente crede in Dio prima di giungere a conoscerla 22. Dio vide che la luce che aveva fatto era cosa buona perché gli piaceva che venisse fatto ciò che voleva fare e, una volta fatto, gli piacque che permanesse: un così grande fabbricatore doveva infatti stabilire per ciascuna cosa la misura della sua esistenza e conservazione. Ma una cosa è la luce che è Dio, altra è la luce che Dio fece. Certo, è luce incomparabilmente migliore colui che creò la luce: egli in nessun modo poteva aver bisogno di quell'altra luce che egli ha fatto. Come fa dunque costui a chiedere con malizia perché Dio non abbia fatto tali beni fin dal principio di tutto, così come egli stesso è dal principio? Da ciò si deve piuttosto concludere che non li creò perché egli ne avesse bisogno, ché senza di essi ha potuto esistere dall'eternità nella sua perfetta beatitudine senza inizio. In effetti il motivo per cui li fece fu la sola bontà di Dio, perché non vi fu per lui necessità alcuna. Quando costui insulta Dio come se avesse visto la luce per la prima volta, perché prima non la conosceva, constaterebbe lui stesso quanto ciò sia insulso e vano, se avesse dentro di sé un qualcosa della luce!

Anche la materia informe, che è buona in quanto è formabile, fu fatta da Dio.

8. 11. Attribuisce inoltre " alla stoltezza dello scrittore l'aver detto che le tenebre vi furono sempre, senza inizio, mentre la luce prese inizio dalle tenebre ", quasi che leggesse, nel libro che calunnia, che le tenebre sono eterne là dove sta scritto: In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era invisibile e informe e le tenebre ricoprivano l'abisso 23. Le tenebre cominciarono dunque ad esistere da quando cominciò ad esistere la mole caotica del cielo e della terra prima che fosse fatta la luce che avrebbe illuminato ciò che, senza luce, era immerso nel buio. Che difficoltà può esservi dunque nel fatto che gli inizi della materia del mondo siano stati avvolti dalle tenebre, cosicché la luce al suo apparire rese migliore ciò che era stato fatto? In questo modo viene descritta anche la disposizione d'animo dell'uomo che in seguito avrebbe così proceduto, egli stesso, nell'operare. Inoltre chi per dono di Dio riesce a scrutare queste cose più acutamente, scopre forse nella creatura, di cui ci viene narrata la creazione senza intervalli temporali, un ordine oggettivo disposto in maniera meravigliosa. In effetti la materia non è affatto un puro nulla, tanto che nel libro della Sapienza si legge: Tu che creasti il mondo dalla materia informe 24. Dunque, per quanto sia detta informe, non per questo essa è il nulla assoluto; ma non è coeterna a Dio, come se non fosse stata fatta da nessuno, o fosse stata fatta da qualcun altro, cosicché Dio avesse la materia per fare il mondo. Lungi da noi il dire che l'Onnipotente non avrebbe potuto creare se non avesse avuto un qualcosa da cui creare. Quindi fu Dio a farla. Né deve essere considerata qualche cosa di malvagio perché è informe, ma qualcosa di buono perché è formabile, cioè capace di formazione. Se infatti la forma è qualcosa di buono, allora è buono anche l'esser capace di questo bene. Così la voce confusa è un clamore finché mancano le parole, ma diventa voce articolata quando è modulata in parole: dunque quella è formabile e questa è formata; quella è ciò che riceve la forma, questa è ciò che l'ha, e come ciò accada è chiaro. Infatti nessuno direbbe che il suono della voce derivi dalle parole; ma chi non si rende conto che le parole che risuonano [sulle labbra] derivano dalla voce?

Dio fece la materia informe e simultaneamente creò il mondo.

9. 12. Né si deve credere che Dio abbia fatto prima la materia informe e che, trascorso un certo periodo di tempo, abbia dato forma a ciò che prima aveva creato informe. È come quando uno parla: egli emette le parole sonore, cioè non una voce che prima è informe e poi prende forma ma la stessa voce formata. Così si deve intendere che Dio creò il mondo dalla materia informe, creando però questa contemporaneamente al mondo. Non è inutile cominciare a dire prima da dove si parte per fare qualcosa e poi ciò che si fa partendo da quella. Perché anche se le due cose possono esser fatte insieme, esse non possono però venir narrate contemporaneamente.

Cosa si vuol indicare con i termini cielo e terra.

10. 13. In primo luogo con " cielo e terra ", ovvero là dove si parla di terra invisibile e informe e di abisso tenebroso con appellativi tratti da cose conosciute si potrebbe significare la materia informe stessa. La materia infatti è del tutto ignota ai sensi umani e a malapena in qualche modo la si intuisce nelle cose che si deteriorano, inquanto ciò che più è deforme gli si avvicina maggiormente; però non giunge mai alla deformità assoluta perché, per quanto piccola, resta comunque sempre una qualche specie visibile o intelligibile. Con le parole " cielo e terra " si potrebbe anche alludere in generale alla natura spirituale e a quella corporea, o a qualcos'altro che qui può essere inteso salvando la regola della fede. In nessun modo tuttavia è lecito dubitare che il Dio vero e sommo e buono fece tutte le cose, quelle che vediamo e le migliori che non vediamo, anche se la mente umana non può comprendere il modo in cui le fece. Ma con questi ignoranti che bestemmiano le sacre Scritture non si deve discutere con le argomentazioni sottili e profonde con cui invece queste cose debbono esser ricercate e discusse tra i figli pacifici di Dio 25.

L'illuminazione interiore del cuore.

11. 14. Se costui crede di conoscere, contro i libri della Legge e dei Profeti, quello che dice di sapere, che cioè " il Dio supremo è lo splendore incomparabile della luce incomprensibile ", vorrei sapere da lui innanzi tutto di quale luce crede che il Dio sommo sia lo splendore: se crede cioè che Dio è la luce stessa e se intende il Padre come luce e come suo splendore il Figlio unigenito. A proposito di questo Figlio, [il nostro dottore] ha riconosciuto che è il sommo Dio, e se pensa così lo approvo e lo lodo. Ma il fatto che non creda che sia anche creatore del mondo colui che egli dice esser la luce della luce e lo splendore incomparabile della luce incomparabile, ciò lo disapprovo e condanno, poiché egli legge che il mondo fu fatto da lui 26 là dove legge: Era nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo 27. Non accetto le sue tesi anche supponendo che egli ignori le antiche Scritture divine, e ancor di più non le accetto e le detesto se, conoscendole, ha posto delle insidie per ingannare coloro che non conoscono ciò che vi sta scritto, cioè: Accostatevi a lui e sarete raggianti 28; e: I comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi 29; e, ancora: Conserva la luce ai miei occhi perché non mi sorprenda il sonno della morte 30. Infatti l'uomo, che è mortale, non chiedeva certo questo: di non morir mai nel corpo, né desiderava che il sonno non cadesse sopra i suoi occhi mortali. Chiedeva piuttosto che gli venissero illuminati quegli occhi dei quali l'Apostolo dice: Possa illuminare gli occhi del vostro cuore 31.

Cristo, Figlio, giorno dal giorno, luce dalla luce, salvezza di Dio.

11. 15. Se poi non gli aggrada che la luce abbia preso inizio dalle tenebre - egli infatti critica questa tesi con parole di vanità ciarlatana -, perché non si rivolge allo stesso Apostolo, il quale scrivendo ai fedeli dice: Se un tempo eravate tenebra ora siete luce nel Signore 32? Chi ha fatto ciò, se non colui che, quando le tenebre erano sopra l'abisso, disse: Sia la luce! E la luce fu 33? La qual cosa lo stesso Apostolo l'ha formulata più chiaramente in un altro passaggio quando dice: Il Dio che disse che la luce doveva rifulgere dalle tenebre, la fece risplendere nei nostri cuori 34. Ma se costui crede che non è attestato negli scritti profetici che il Figlio è luce dalla luce o lo splendore della luce, legga quello che nelle stesse Scritture si dice a proposito della Sapienza: Essa è il candore della luce eterna 35; o nel salmo profetico: Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il suo nome; bene annunziate quel giorno che procede dal giorno che è la sua salvezza 36. In effetti cosa è il giorno che procede dal giorno se non il Figlio, luce che procede dalla luce? E che legga nel Vangelo che la salvezza di Dio è Cristo, nelle parole del vecchio Simeone, quando questi lo riconobbe nelle braccia di sua madre, piccolo nella carne ma immenso nello spirito e, prendendolo nelle sue mani, disse: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza 37.

La formazione della luce.

12. 16. Se rispondesse che un conto è la luce di cui fu detto: Se un tempo eravate tenebra ora siete luce nel Signore 38 (perché questa è la luce spirituale della mente e non della carne) e un altro conto, invece, quella di cui sta scritto: Sia la luce! E la luce fu 39 (perché si riferisce agli occhi corporei), dovrà innanzi tutto ammettere che dalla luce suprema, che è Dio stesso, è stato possibile fare qualsiasi luce, foss'anche minima, ma comunque buona. Inoltre: come conosce costui la qualità e la quantità della luce? E, infine, se sia spirituale o corporea? E che ne sa se gli uomini fedeli, che ora sono nel corpo in cammino lontani dal Signore 40 possono esser chiamati luce per merito della loro fede e non possono invece esser così chiamati gli Angeli, i quali vedono sempre il volto del Padre 41? Come fa a sapere che questa luce originariamente è stata creata? Come fa a sapere in che modo in quella luce possa distinguersi un giorno e una sera 42? Come, infine, sia possibile che la luce fosse presente nei sei giorni in cui Dio creò e che Dio si sia riposato in essa il settimo giorno, per cui una certa struttura configurata [sulla base] dello stesso numero sette sia stata conferita ai giorni della settimana, a noi così noti, che si succedono secondo il corso del sole? Ma se anche la luce fu creata corporea, come fa costui a sapere in che modo poté esistere prima del sole e del firmamento che poi venne chiamato cielo 43, se essa, essendo nelle regioni più elevate del mondo, è sottratta alla vista delle creature terrestri, per cui Dio solo poté dividerla dalle tenebre? In realtà fu Dio a ordinare agli astri che vediamo, di separare queste tenebre che costituiscono la notte notissima, dalla luce, che costituisce il notissimo giorno 44. Chi dunque - sebbene ciò non sia motivo di indignazione ma piuttosto di riso - potrà tollerare che costui ci venga a suggerire che " le ore regolano il giorno, il sole però divide e determina le ore " e a volere che crediamo " che Mosè non conosceva queste cose e perciò nominò i giorni prima che il sole fosse fatto 45 "? Ma che gli uomini si radunino pure per ascoltare il libro di costui e si chieda loro se sia più credibile che costui non conosca una certa qual luce e un certo qual giorno che Mosè conosceva, o che Mosè non conoscesse questa luce e questo giorno che sono noti non solo a costui, ma anche a quanti non ne intendono bene le sue parole.

La formazione della terra.

13. 17. E cosa significa, poi, la domanda che non so quale perfetto ignorante ha posto " sul raccogliersi delle acque "? E in verità non si tratta affatto di una domanda, ma di una critica riguardo a un'affermazione che " non sarebbe corretta ", e cioè: " Che le acque si raccolgano in un solo luogo e appaia l'asciutto 46, perché tutto era sostenuto dall'acqua ". Costui ignora in che modo l'acqua si rarefaccia in vapori aerei ed occupi in forma di nube e caligine molto spazio e come, invece, se raccolta e condensata, ne occupi poco e non voli via come quando è vaporosa, ma, appesantita, ondeggi. Cosa c'è dunque di strano se, quando era vaporosa copriva la terra e dopo essersi condensata la lasciò allo scoperto? Che cosa c'è di strano se, pure per volontà divina, la terra si sistemò in basso in grandi bacini, e così ciò che copriva tutta la sua superficie mentre stava nello stato nebuloso e umido, al riunirsi nei siti concavi, si ritirò da tutte le altre parti e lasciò scoperto ciò che prima teneva coperto? E che cosa c'è di strano nel fatto che fosse riunita nelle profondità abissali dove il mare fluisce e rifluisce, lasciando scoperte le sue parti più alte perché apparisse la terra? Non mi dilungo poi sul fatto che si può intendere che con il termine acqua (o abisso) è accennata quella materia informe che ha assunto la natura di due degli elementi pesanti, l'acqua e la terra; per cui si dice: che le acque si raccolgano, poiché all'acqua era stata data una forma fluida e mobile; appaia l'asciutto poiché la terra venne fissata e resa immobile. In verità ciò che il profeta autore di questo libro [Genesi] intende maggiormente, e cioè che la sua narrazione delle cose reali sia anche una prefigurazione delle cose future, non può esser compreso mediante interpretazioni polemiche ed empie. In ogni caso le vie d'uscita che si offrono a coloro che cercano piamente la verità sono tante e tali che non si deve mettere in discussione con faciloneria una simile autorità [lo scrittore sacro]. Per quale ragione dunque, se non per una istigazione diabolica, l'avversario preferisce trattare con insolenza cose che non è in grado di indagare?

La conoscenza del bene e del male.

14. 18. Il fatto che, cieco e ingrato, inveisca contro " Dio creatore dell'uomo ", e osi dire a colui che lo ha fatto: " Perché mi hai fatto così? ", ignorando completamente come è stato fatto, è impudenza di una mente molto sconsiderata. Se poi a questi vasi dell'ira si permette di strombazzare cose come queste, è perché facciano uscire dal sonno della negligenza i vasi di misericordia 47 e questi, nell'intento di rispondere alle ingiurie pestifere, ricorrono alla medicina delle parole di salvezza. Ecco, costui critica " il Creatore dell'uomo per aver proibito, all'uomo, di prendere il cibo della conoscenza del bene e del male 48, come se avesse voluto renderlo uguale alle bestie che non sanno discernere le due cose, e, pur avendogli dato il dominio sulle bestie 49 ", gli avesse negato solo quella prerogativa per la quale egli è superiore alle bestie. Come è necessario per vivere bene il renderci conto che alcune cose le impariamo a nostra infelicità, altre invece ignoriamo a nostra maggiore felicità! Infatti quanto saremmo più felici se non conoscessimo le infermità e i dolori? E se il medico ci proibisse un alimento, perché sa che mangiandolo ci ammaleremmo, giustamente per questa ragione egli potrebbe chiamare tale cibo il cibo della conoscenza della salute e della malattia, perché per mezzo suo l'uomo, al sentirsi infermo, conoscerebbe per propria esperienza che differenza c'è tra un'infermità contratta e la buona salute persa. Certamente sarebbe stato molto meglio per noi credere e obbedire al medico e così rimanere nella buona salute, che invece è andata persa, piuttosto che subire la propria infermità avendone fatto l'esperienza. Ma diremo allora che per invidia il medico ci nascondeva in questo modo una simile scienza? Chi dubita che il peccato sia un male? Eppure del Signore Gesù Cristo sta scritto come lode, che non aveva conosciuto peccato 50. Non aveva conosciuto il male e per questo non aveva quella conoscenza del bene e del male che fu proibita ad Adamo. Qui però ci si potrebbe chiedere: Come poteva condannare ciò che non conosceva? Egli infatti non mancava di condannare i peccati. Ora: Tutto ciò che viene condannato - così dice l'Apostolo - è rivelato dalla luce 51. Come può dunque essere ignorato da colui che lo sta condannando? Ma non sarà più che giusto rispondergli che lo conosceva e che non lo conosceva? Esattamente: lo conosceva per via della sapienza e non lo conosceva mediante l'esperienza. Adamo avrebbe dovuto credere alla sapienza divina perché, obbedendo al precetto di Dio, si sarebbe tenuto lontano da quella scienza del male che si acquisisce mediante l'esperienza. In questo modo, se non lo avesse fatto, avrebbe ignorato il male. Facendolo, fece del male a se stesso e non a Dio. In effetti egli non poté fare nulla con volontà disobbediente, che poi non avrebbe scontato soffrendo per la legge della giustizia. In conseguenza il castigo che l'uomo disobbediente riceve in se medesimo è tale che egli a sua volta non è obbedito nemmeno da se stesso. Tema, questo, che ho già sviluppato ampiamente in altri luoghi, soprattutto nel libro quattordicesimo della Città di Dio.

L'obbedienza, origine e madre di tutte le virtù.

14. 19. Ora risponderò brevemente a ciò che costui dice, che cioè " il Creatore dell'uomo privò di un gran bene colui che aveva fatto volendo che fosse simile agli animali, senza la conoscenza del bene e del male 52 ". Tale conoscenza non è però la sapienza dell'uomo felice, ma l'esperienza dell'uomo miserabile: e se quell'albero prese il nome dal frutto di cui all'uomo era proibito mangiare, fu per sottolineare come l'obbedienza sia la virtù principale e, per così dire, origine e madre di tutte le virtù proprio di quella natura a cui Dio aveva dato il libero arbitrio della volontà, condizionandolo però alla necessità di vivere sottomesso al potere più grande. Non sono però mancati alcuni che hanno preso questo discernimento del bene e del male come un grande privilegio, del quale però non furono degni coloro che peccarono per disobbedienza impadronendosi di questa conoscenza contro la proibizione.

La volontà libera, giustizia e grazia.

14. 20. A coloro che ritengono che il Creatore avrebbe dovuto fare l'uomo incapace di voler peccare, non dia fastidio che lo abbia fatto capace di non peccare se non vuole farlo. Se infatti sarebbe stato meglio che non avesse potuto peccare, non è tuttavia ben fatto, per lo stesso motivo, colui che può anche non peccare? O fino a che punto si deve esser folli per pensare che l'uomo vede che un qualche cosa avrebbe dovuto esser fatto in modo migliore e Dio non l'abbia visto oppure per pensare che Dio l'abbia visto, e credere che non l'abbia voluto fare, o che l'abbia anche voluto fare, ma non abbia potuto farlo? Che Dio allontani simili pensieri dai cuori dei pii! Se poi la ragione retta dimostra che la creatura razionale che non abbandona Dio, disobbedendo, è migliore di quella che l'ha così abbandonato, sappia, chi ha capito ciò, che la creatura che non l'ha mai abbandonato non mancherà dei beni celesti e che quest'altra nessuno l'ha fatta in modo che ci sia una qualche necessità che la obblighi ad abbandonare Dio. E il fatto che qualcuno abbia abbandonato Dio per volontà propria, non ha compromesso in nulla le disposizioni sapientissime di Dio, che usa bene i cattivi così come anche in modo giusto i perversi. E di tutto il genere umano, condannato a ragione e con giustizia, egli afferma che si è formato una famiglia santa e numerosa, non per i meriti di lei, ma per la sua grazia, che da lui stesso sarà condotta al regno eterno 53.

La prescienza e la bontà di Dio.

14. 21. Stando così le cose, Dio non doveva occultare l'albero della conoscenza del bene e del male 54, che chiamò così perché l'uomo, a causa della miseria che gli avrebbe provocato il toccarlo contro la proibizione divina, avrebbe conosciuto da quale bene era decaduto e in quale male era precipitato. Perché poi Dio avrebbe dovuto occultare una cosa riguardo alla quale impartiva un ordine e riguardo alla quale inculcava l'obbedienza? Non ignorava che l'uomo avrebbe peccato, ma, allo stesso tempo, conosceva in anticipo, nella sua somma divinità, anche quale giustizia e quale bontà egli avrebbe avuto in serbo per il peccatore. Né comandò una cosa nociva se l'uomo non avesse voluto riceverne nocumento, ma piuttosto una cosa vantaggiosa: che cioè egli non fosse obbediente senza una buona ricompensa e non andasse incontro alle pene della disobbedienza senza che i suoi santi discendenti avessero sott'occhio un buon esempio che li esortasse all'obbedienza. Né Dio volle una cosa impossibile: volle infatti che l'uomo fosse obbediente, o che, se disobbediente, non restasse senza punizione. Né volle che restasse senza conseguenza l'eventualità che l'uomo non rispettasse ciò che gli è stato ordinato, inquanto il castigo del prevaricatore avrebbe insegnato agli altri l'obbedienza. Né, nell'uomo, fu una parte di Dio ad opporre resistenza a Dio perché, se l'anima dell'uomo fosse stata una parte di Dio, essa non avrebbe potuto in alcun modo né venir ingannata da se stessa né da altri, né venir obbligata da qualsivoglia necessità a fare qualche cosa di male o a subirlo, né venir cambiata in qualche cosa di meglio o di peggio.

L'anima creata dal nulla.

14. 22. Quell'alito di Dio che diede la vita all'uomo fu fatto da lui ma non deriva da lui stesso. Il respiro dell'uomo non è parte dell'uomo, né l'uomo lo ha fatto da sé; esso viene dal soffio d'aria inspirato ed espirato. Dio poté trarlo dal nulla e in modo tale che fosse dotato di vita e di razionalità, cosa che l'uomo non può. Tuttavia alcuni credono che il primo uomo non venne dotato d'anima quando Dio soffiò sul suo volto e lo rese un animale vivente 55, ma soltanto quando ebbe ricevuto lo Spirito Santo. Un'indagine volta ad accertare quale di queste tesi sia la più verosimile ci condurrebbe troppo lontano. Ciò di cui non si può dubitare è che l'anima non è una parte di Dio, che non è stata creata o prodotta dalla sua sostanza e natura ma è stata creata dal nulla.

Interpretazione falsa.

15. 23. Non è vero quanto afferma quel blasfemo: " Il serpente si trova in una situazione migliore rispetto a quella di Dio perché ebbe la prerogativa di ingannare l'uomo creato da Dio 56 ". L'uomo infatti non sarebbe stato tratto in inganno in nessun modo se nella superbia del suo cuore non si fosse allontanato da Dio. È proprio vera, giacché divina, la sentenza che recita: prima della rovina viene l'orgoglio del cuore 57. E quando l'uomo si inorgoglisce contro Dio allora è abbandonato da lui e cade nelle tenebre 58. E cosa vi è di strano nel fatto che stando nelle tenebre ignori ciò che succederà, dato che egli non è luce a se stesso, ma è illuminato da lui 59? Che Dio sia sempre invincibile 60 lo dimostra anche l'uomo vinto, perché non sarebbe stato vinto se non si fosse allontanato dall'invincibile. E in che modo mai potrebbe esser vincitore colui che ha ingannato l'uomo quando egli stesso si è ingannato da solo? Dunque tanto colui che inganna come anche colui che è ingannato, si ingannano nell'allontanarsi da colui che non può essere ingannato e sono vinti nell'allontanarsi da colui che non può esser vinto. E così, chi più si allontana da Dio di più è vinto, perché è tanto peggiore quanto più è lontano. Pertanto colui che, per aver causato il male di qualcun altro, sembra che vinca, in verità necessariamente è vinto ancor più radicalmente per aver perso il bene, e non è possibile che si trovi in una condizione migliore quando la sua situazione è peggiore. Sebbene quindi a tutta prima sembri che il diavolo abbia avuto la meglio per aver vinto l'uomo, fu invece il diavolo stesso ad esser vinto per sempre perché l'uomo è stato redento 61. Quelle che seguono non sono parole di un Dio che si dichiara vinto, ma piuttosto di un Dio che ironizza: Ecco, Adamo è diventato come uno di noi 62. Così anche quelle dell'Apostolo là dove dice: Perdonatemi questa ingiustizia 63. Tutto ciò va inteso come un'antifrasi: però ad interpretarlo dev'esserci un predicatore istruito e non un calunniatore ignorante.

L'albero della vita.

15. 24. In verità, a chi reca dispiacere il peccatore cui fu proibito l'albero della vita, se non a chi vuol vivere impunemente in malo modo? Né sarebbe stata grande cosa per Dio sottrarre in qualche altro modo la vita all'uomo se non avesse voluto che vivesse, ma poiché le anime razionali vivono della sapienza e la loro morte è la stoltezza, per significare ciò l'albero della vita nel paradiso, con il suo frutto, non avrebbe dovuto permettere all'uomo di morire nemmeno con il corpo. Ed è ben chiaro che una volta cacciato di lì l'uomo fu posto in balia della morte per il suo consumarsi con l'età 64, il che non gli sarebbe mai successo se avesse mangiato sempre di quel cibo. Ciò significa che antecedentemente la sua anima era separata dall'albero spirituale della vita a causa del peccato, ed era già morta di una sua certa morte interiore. In effetti sta scritto della sapienza: È un albero di vita per chi ad essa si stringe 65. Ecco ciò che costui dice senza capire: " Fino a qual punto prima della maledizione avrebbe potuto vivere perpetuamente l'uomo immortale che non avesse mangiato il cibo di questo albero? ". Come se qualcuno gli avesse detto, o quasi che avesse letto da qualche parte in quel libro, che Adamo non ha mangiato dell'albero della vita! Al contrario, si deve piuttosto intendere che da lì gli proveniva una vita perpetua per il corpo che gli avrebbe concesso di non venir consumato dall'invecchiamento dell'età. Per questo gli si proibì di mangiarne, perché come castigo per il peccato da allora fosse in lui la necessità della morte.

Il simbolo della sapienza.

15. 25. Quello domanda: " In che modo [l'uomo] cominciò a morire per una maledizione di Dio se la vita stessa non aveva mai avuto principio da lui? ". Quasi che Dio gli avesse augurato la morte come fa un uomo con un altro uomo! Come se le parole di Dio non fossero espressione della sentenza di uno che castiga, ma dell'ira di uno che maledice. Castigare con la morte corporea consistette nel separare Adamo dall'albero della vita, dopo che egli era già morto spiritualmente per essersi separato con l'anima dall'alimento della sapienza. In questo modo Dio, nel separarlo dall'albero della vita, simbolo della sapienza, voleva significare cosa fosse ciò che gli era già accaduto nell'anima.

Cristo è l'albero della vita.

15. 26. " Ma ", domanda ancora " questo albero che in paradiso dava i frutti della vita, a chi giovava? ". A chi se non a quei primi esseri umani, maschio e femmina, che erano stati posti nel paradiso 66? Quindi, una volta che questi furono cacciati dal paradiso a causa della loro iniquità, esso rimase a simboleggiare l'albero spirituale della vita ovvero, come abbiamo detto, la stessa sapienza, cibo immutabile delle anime beate. Se poi ora ci sia qualcuno che mangi di questo frutto, questi potrebbero essere Enoch ed Elia 67, ma non oso assicurarlo. Se le anime dei beati non si alimentassero di questo albero della vita che sta nel paradiso spirituale non leggeremmo che, come ricompensa per la devozione e per la sincera confessione, all'anima del ladrone che credette in Cristo fu concesso il paradiso il giorno stesso della sua morte: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso 68. E stare là con Cristo significa stare là con l'albero della vita. Egli infatti è la Sapienza di cui, come sopra abbiamo ricordato, sta scritto: È un albero di vita per chi ad esso si stringe 69.

Bontà e severità di Dio.

16. 27. Si dovrà forse anche confutare ciò che costui irride, con acume, com'egli pensa? In primo luogo che " Dio non sapesse prima ciò che sarebbe accaduto dopo ". In secondo luogo " che non poté compiere quanto aveva progettato con grandi aspettative ". In terzo luogo, poi, " che vedendosi superato, ricorse alla maledizione ". Come fa costui a sapere che Dio non conosceva già in anticipo ciò che sarebbe successo in seguito? Forse perché è appunto successo? Senza dubbio, di ciò che non è successo Dio non ha conosciuto in nessuno modo in anticipo il futuro, perché appunto non sarebbe avvenuto. O crede che per questo non lo seppe in anticipo, perché, avendolo saputo, avrebbe preso dei rimedi affinché non accadesse? La stessa cosa si può dire di Cristo quando diede un talento all'uomo che non avrebbe prodotto nulla 70. Infatti gli aveva dato il denaro precisamente per questo, perché facesse aumentare la sua ricchezza, qualunque ne sia il significato. Accadde invece che quel servo per la sua pigrizia non guadagnò nulla. Forse colui che diede i soldi non previde tutto ciò in anticipo? Si potrebbe anche dire che Cristo non riuscì ad ottenere da quel guadagno ciò che aveva progettato con grandi aspettative. E si potrebbe dire, quanto al terzo punto, che, " vedendosi superato, ricorse alla maledizione ", perché disse: Legategli mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre 71. Allo stesso modo fu detto di Adamo che, separato dall'albero della vita, venne punito con la morte del corpo 72. A questo uomo così eloquente la maledizione dell'inadempiente sembra una tirannia da parte del potente. Che chiami dunque Cristo impotente perché non riuscì a fare ciò che voleva per ottenere il guadagno spirituale; che lo chiami geloso e malvagio perché ha negato la luce e la salvezza a quel suo servo che relegò nelle tenebre dove è pianto e stridor di denti 73. Se dunque di Cristo non osa dir ciò, per non indicare in questo modo che non è cristiano, perché osa dire del Creatore dell'uomo e del Giudice giusto del peccato ciò che non osa dire del Redentore dell'uomo 74, che è, egli stesso, vendicatore mediante il castigo della morte eterna per quanti disdegnano i suoi precetti? Perché contro chi altri se non contro Cristo questo ignorante lancia tali ingiurie, dato che egli ha detto: Se credeste a Mosè crederete anche a me, perché di me egli ha scritto 75? Infatti che cos'è ciò che il Padre fece o che mai farà senza il Figlio? Quindi, se la sacra Scrittura per la nostra salvezza esalta non solo la bontà ma anche la severità di Dio, perché Dio è utilmente tanto amato quanto temuto (per cui l'Apostolo nello stesso passo ricorda entrambe le cose quando dice: Considera dunque la bontà e la severità di Dio 76), come mai questo folle e avventato, mentre si vanta di esser cristiano, disapprova nel Dio dei Profeti quanto riscontra anche nel Dio degli Apostoli? Infatti il Dio di questi e di quelli è lo stesso.

Il castigo di Dio.

16. 28. Ritorniamo a riflettere su quanto ho ricordato riguardo a quel servo pigro che la severità di Dio inviò nelle tenebre esteriori 77. Non per questo però si può definire Dio incapace di prevedere le cose future per il fatto di avergli affidato il suo denaro, né impotente perché, per far sì che le cose andassero a dovere, non ha egli stesso guidato gli eventi ma ha soltanto corretto il servo, né geloso e malizioso perché, separandolo dalla luce, lo ha inviato nelle tenebre. Il lettore credente deve sapere che questo riguarda tutti i castighi degli uomini che nei Libri dei Profeti si legge vengono inflitti ai peccatori. Questo vale anche per il diluvio. Il Signore Gesù infatti ha preannunciato che alla sua venuta sarebbe seguito qualche cosa di simile quando ha detto: Come avvenne al tempo di Noè, così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo: mangiavano, bevevano; piantavano, costruivano, si ammogliavano e si maritavano: venne il diluvio e perirono tutti 78. Così anche a proposito della durezza di cuore del faraone 79. Infatti gli scritti del Nuovo Testamento non tralasciano di dire, di certuni: Dio li ha abbandonati in balia di una mente depravata, sicché commettono ciò che è indegno 80. Lo stesso vale per lo spirito mendace che Dio, il quale si serve anche dei cattivi per un fin di bene, inviò con giudizio giustissimo per ingannare un re empio, come il profeta Michea afferma che gli venne mostrato in visione 81. E altrettanto l'apostolo Paolo, il quale sapendo di dire cosa verissima, non ebbe delle reticenze nell'affermare: Dio invierà loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità 82. Questo [vale anche] per l'operato di Mosè, a cui Dio disse: Prendi tutti i capi dei popoli e sacrificali al Signore volgendoti al sole 83, cioè pubblicamente, alla luce del giorno. Vale anche per il modo come Mosè li punì per l'idolo che si erano fatto: egli uccise di spada gli empi perché nessuno avesse a risparmiare il suo prossimo 84. D'altra parte nemmeno il Signore Gesù tralasciò di dire: E quei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli avanti a me 85. Dove, in verità, ci si riferisce alla morte delle anime, che deve essere temuta e rifuggita dai fedeli più di quella del corpo. Per questo lo stesso Signore dice: E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di far perire l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire l'anima e il corpo nella Geenna 86.

La misericordia di Dio.

16. 29. Se qualcuno riflette con mente colma di fede comprenderà come una qualsivoglia strage, per quanto enorme, e un fiume di sangue sgorgato da corpi mortali - che in qualche modo prima o poi debbono morire - siano meno gravi di quel genere di morte che invia le anime all'inferno. Costui, con l'esagerare queste stragi e descrivendole con pomposità retorica per offendere Dio, che castigava con tali morti coloro per i quali tale terrore sarebbe stato benefico, vuole incutere terrore alla mente dei mortali e pensa di ottenere un qualche risultato, per cui, " tirando calci contro la frusta " 87, mentre accusa la provvidenza divina della morte della carne, per la morte del cuore viene gettato nella Geenna. Chi infatti, uomo o donna, non preferirebbe a ciò il venir trucidato, fosse anche nel modo in cui il sacerdote Finees uccise i fornicatori nell'abbraccio della loro nefanda voluttuosità 88, divenendo esempio di castigo contro l'esecranda libidine, e per questo piacque sommamente a Dio? Chi, dico, non preferirebbe patire una simile morte o venir consumato dal peggior fuoco, o esser dilaniato dai morsi delle belve nelle stesse parti intime, piuttosto che venir cacciato nella Geenna del fuoco eterno 89? Ma perché dunque il Dio dei Cristiani castiga con tali morti i peccatori, in modo tale che dopo la morte transitoria del corpo viene il supplizio eterno nell'inferno, se non perché è unico il Dio dell'uno e dell'altro Testamento? In verità gli stessi Giudei potrebbero dire contro l'empietà di costui, che per quanto si vogliano accumulare guerre, stragi, ferite, uccisioni e sangue, hanno un Dio incomparabilmente più mite del nostro in quanto punisce più mitemente con la morte transitoria dei corpi e non con le fiamme perpetue della Geenna.

La giustizia di Dio.

16. 30. Sembra a costui " che il Dio della Legge e dei Profeti ", che è il Dio unico e vero, " debba essere accusato di crudeltà, perché infligge la pena della morte corporale per motivi lievissimi, anzi per motivi che dovrebbero far arrossire; ad esempio perché Davide aveva fatto il censimento del popolo 90; o perché i fanciulli ", come dice costui, " figli del sacerdote Eli, avevano consumato qualcosa preso dalle pentole o dai piatti preparati per Dio 91 ". Non mi metto a discutere a questo proposito di quale grande e subdolo peccato di arroganza si macchiò quell'uomo, pure così santo, nel voler censire il popolo di Dio; comunque fu punito con le morti non eterne di coloro per il cui gran numero si era inorgoglito, morti che sarebbero comunque avvenute presto e velocemente si sarebbero esaurite a motivo della condizione umana. Così non affermo che quei figli di Eli non fossero fanciulli, come asserisce costui senza sapere quello che dice, ma erano certo in un'età in cui li si può e deve punire con una pena appropriata per il sacrilegio commesso nell'anteporre se stessi nei sacrifici offerti al Signore Dio. Dio vendicò questa mancanza anche con una guerra e, con ciò, non ebbe cura di se stesso ma del popolo a cui avrebbe giovato la religione e la pietà: infatti i vincitori avrebbero potuto accrescere il proprio timor di Dio mediante la morte di coloro che, se anche fossero diventati vecchi, comunque non sarebbero morti molto tempo dopo. Anche di altri leggiamo che sono morti di morte corporale non a causa dei propri peccati, ma dei peccati altrui 92. Qui è più dolorosa la piaga nel cuore di coloro che vivono, che non il castigo di quanti muoiono per il disfarsi della carne! E le anime che lasciano i corpi hanno in sé i motivi delle proprie responsabilità, buone o cattive, ma non ne sono gravate perché spogliate [del corpo]; quanto invece alla morte dell'anima, nessuno paga per le colpe dell'altro. Ora io chiedo: quanto crede che sia grave, costui, il peccato di quell'uomo che nel banchetto nuziale fu trovato senza l'abito nuziale 93? Credo che, se valutiamo in base ai criteri umani, in un simile frangente a quel tale sarebbe potuto bastare vergognarsi un poco e l'indignazione del padrone di casa sarebbe potuta giungere, al massimo, al punto di indurre l'ospite a cambiarsi; e tuttavia sta scritto: legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridor di denti 94. Ma risponderà: ciò vuol dire che la colpa di non aver indossato l'abito della festa non è piccola, perché le cose piccole sono segno delle cose grandi. Così dunque anche i sacrifici visibili, pur essendo da poco per le cose terrene, sono segno di cose grandi e divine e, quanto ad esse, i figli del sacerdote hanno anteposto se stessi allo stesso Dio, l'onore del quale va considerato nei sacrifici. Il commensale invece non ha anteposto se stesso allo sposo, ma non è stato rispettoso soltanto perché non indossava un abito da cerimonia nuziale. Certo che se costui nota la differenza tra le pene con cui l'uno e l'altro sono stati puniti, dovrebbe pure comprendere come quest'ultima pena superi in modo incommensurabile l'altra, ammesso che egli anteponga le cose spirituali ed eterne a quelle corporali e caduche.

L'identità di Dio nei due Testamenti.

16. 31. Ma che necessità vi è di voler introdurre a tutti i costi il discorso, non adatto ai sensi della carne, dei significati mistici dei sacrifici e dell'abito nuziale? Parliamo di ciò che è più manifesto: quando il Signore paragona il Vangelo con la Legge antica e afferma che quanto gli uomini avevano appreso in precedenza non è falso, ma quanto egli insegna è più perfetto, dice: Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; e chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna 95. Quale tra i peccati è così piccolo come dire al proprio fratello: pazzo? E quale tra i castighi è più grande del fuoco dell'inferno? Se costui avesse trovato nella Legge e nei Profeti qualcuno che avesse detto a suo fratello: pazzo, e fosse stato condannato a venir lapidato per volontà di Dio, quanta crudeltà avrebbe attribuito a Dio? E chi non avrebbe preferito, non solo venir lapidato, ma venir dilaniato e consumato, ancora in vita e in pienezza dei sensi, membra dopo membra, anzi pezzo per pezzo a poco a poco e lentamente, piuttosto che venir assoggettato al fuoco della Geenna? Che non avvenga che qualcuno dica che il Dio del Vangelo è più crudele del Dio della Legge argomentando che il Dio dei due Testamenti è uno e lo stesso, però minaccia nella Legge con pene carnali e nel Vangelo con supplizi spirituali. Tanto in quello come in questo egli è fedele, ma in nessuno dei due crudele.

La relazione tra la colpa e la pena.

16. 32. E che cosa dire di quest'altro caso? Se uno incontrasse una lingua nemica di Cristo e blasfema, meritevole di condanna proprio come quella di costui per la sua empia loquacità, non verrebbe sconvolto in modo ancor più grave e amaro di quanto non lo sia costui, indignato per il fatto che il sacrilegio della violazione delle cibarie offerte a Dio sia stato punito con una pena carnale e temporale? Infatti il Signore minaccia di venire e dire alla gente posta alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli 96. Cerchi il motivo di un supplizio così crudele? Ho avuto fame, disse, e non mi avete dato da mangiare 97. Ecco come per un alimento temporale non perché rubato ma soltanto perché non è stato dato, viene comminato un supplizio eterno e orrendo. E a ragione, se consulti la verità. In verità è pochissimo ciò che si dà in elemosina, ma quando si dona con cuore pio si acquista un merito eterno. E inoltre poiché ciò che si dà è poco, è grande mancanza di pietà tralasciare di darlo. Per cui non ci si deve stupire che stia pronto per così grande sterilità, come per quella di alberi che non danno frutto, il supplizio del fuoco eterno. Se poi discuti con un uomo perché ti dia una risposta personale (infatti ogni uomo è mentitore! 98), allora quest'uomo tiene in poco conto la colpa ed evidenzia la pena: la prima infatti non la vede a causa del suo spirito carnale e la seconda l'ha in orrore proprio per la sua carne mortale. Così fa costui con le pene corporali di tutti gli uomini che vengono puniti o castigati nel Vecchio Testamento molto più lievemente di quanto non si legga nel Vangelo. Infatti quale diluvio può essere paragonato al fuoco eterno? Quale carneficina e quali ferite e quali morti corporali alle fiamme eterne? E questo stolto lamenta con tanto strepito i ventiquattromila caduti 99 come se ogni giorno non morissero su tutta la terra innumerevoli migliaia di persone. Ma questa morte del corpo è transitoria e invece chi può calcolare quante migliaia di persone di tutte le Genti staranno alla sinistra, condannate al fuoco eterno?

Il timore del castigo.

16. 33. Che vada pure gridando costui, con la bocca spalancata e gli occhi chiusi, " come se Dio avesse confessato la propria crudeltà per aver detto, mediante il profeta: Affilerò come folgore la mia spada, inebrierò di sangue le mie frecce, si pascerà di carne la mia spada e del sangue dei feriti 100 ". Con queste parole costui accusa " Dio di essere sempre assetato di sangue umano ", come se Dio stesso avesse detto: " Mi inebrierò di sangue ", o: " Mi ciberò della carne e del sangue dei feriti ". Ma per quanto questo oppositore vano e insensato inorridisca di fronte a quest'utile " minaccia divina quasi che sia avida di vedere gente colpevole e soddisfatta ", come egli stesso dice, " per pura crudeltà soltanto del male ", che cosa conta e quanto, tutto ciò, al confronto delle parole che dicono: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli 101? Lì le frecce non si inebrieranno di sangue, ma le fiamme non si sazieranno di tutte le membra dei dannati, né la spada divorerà le carni privando i morti della percezione del dolore più celermente di quanto non la infligga ai feriti; nessuno sarà sottratto alle pene, neppure morendo, per evitare che in colui che muore muoia contemporaneamente la stessa pena. Perché costui qui non afferma: " Come si fa a dire che questo Dio deve essere venerato, e non piuttosto maledetto ed evitato "? Forse ha però paura a dir ciò del Cristo, perché teme di non evitare il supplizio di quel fuoco eterno in cui egli si appresta ad inviare gli empi. Ma allora questo sciagurato miserabile ignora che nel dire ciò del Dio dei Profeti lo afferma anche di quello stesso la cui così tremenda severità espressa nel Vangelo egli ha paura di offendere?

Il tesoro dell'amore nei due Testamenti.

17. 34. Costui critica anche " il fatto che Dio dica che le pene degli empi, significate con il succo del fiele e con grappoli d'uva amari, col furore dei draghi e dei serpenti, sono adunate presso di lui e sigillate nei suoi tesori in attesa del momento in cui il piede degli empi cada in fallo 102 ". Ebbene costui ignora che qui vengono chiamati tesori i provvedimenti occulti di Dio che dispone di dare a ciascuno secondo le rispettive opere. Per cui l'Apostolo dice: Tu però con la durezza del tuo cuore e il cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere 103. Al cospetto di chi infatti il cuore impenitente accumula su di sé l'ira, se non al cospetto di colui che giudicherà i vivi e i morti 104? Infatti i Libri del Vecchio Testamento non ignorano cosa sia il tesoro desiderabile del quale sta scritto che riposa nella bocca del saggio 105. E nei Proverbi si legge che Dio accumula la salvezza per quelli che lo amano 106; e il profeta Isaia dice che la nostra salvezza è nei tesori; lì sono la disciplina e la pietà verso Dio; questi sono i tesori della giustizia 107. Ma questi mendaci corruttori dello spirito che contraddicono quelle sacre Scritture, che non vogliono neppure intendere, mettono in evidenza i passi severi che si trovano in esse, proprio per sottolineare la severità di Dio; nei Libri evangelici e apostolici scelgono invece i passi miti che vi si trovano per mettere in evidenza la bontà di Dio. Così dinanzi a degli uomini inesperti suscitano terrore per il Dio del Vecchio Testamento e favore per quello del Nuovo. Come se fosse difficile per qualche altro, che però sarebbe ugualmente blasfemo ed empio, denigrare il Nuovo Testamento, come costui fa con il Vecchio, prendendo dal Vecchio Testamento quei passi in cui si celebra la bontà di Dio e, al contrario, dal Nuovo, quelli in cui si esalta la severità di Dio. E allora gridi pure invidioso e con le vene gonfie: Ecco il Dio che va adorato, quello buono e pietoso, lento all'ira e grande nell'amore, che non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno, che non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe. Quanto dista l'oriente dall'occidente, così allontana da noi le nostre colpe; così come un padre ha pietà dei suoi figli, il Signore ha pietà di quanti lo temono 108; il Dio che dice: Non ho piacere per la morte del peccatore, ma che desista dalla sua condotta e viva 109. Non va adorato il Dio che, per l'avidità di guadagno, mandò nelle tenebre esteriori dove è pianto e stridor di denti 110 con le mani e i piedi legati anche quel servo che, pur non avendo perso il talento che aveva ricevuto, non ne aveva ottenuti degli altri; né il Dio che caccia dal suo banchetto l'uomo che non ha l'abito nuziale e, legatolo in modo simile, lo castiga con lo stesso supplizio 111; e nemmeno il Dio che risponde: Non vi conosco a coloro che andavano a lui e gridavano: Signore, aprici 112, solamente perché non avevano ascoltato il suo consiglio d'avere con sé l'olio per alimentare le proprie lanterne. Neanche il Dio che per una sola parola offensiva scaglia nella Geenna 113 e che, per non aver ricevuto cibo temporale, condanna al fuoco eterno 114. Un sacrilego dalla mente insana potrebbe raccogliere questi ed altri passi simili, traendo dal Vecchio Testamento quelli miti e dal Nuovo quelli severi, e cercare in questo modo di allontanare da Cristo le persone che non conoscono nessuno dei due Testamenti accusandolo d'essere disumano e crudele, per convertirle al Dio dei Profeti, che sarebbe, invece, buono e comprensivo. Ebbene, questo nuovo sacrilego che si permettesse di trattare così il Nuovo Testamento non apparirebbe schifoso ed empio agli occhi stesi di quell'altro, che nella stessa maniera si comporta con il Vecchio Testamento? Chi tributa invece a Dio il culto che gli spetta sicuramente trova che è unico il Dio dei due Testamenti e ama la bontà dello stesso ed unico Dio in entrambi, e tanto nell'uno come nell'altro ne teme la severità: riconoscendo nell'uno il Cristo promesso e accettando, nell'altro, il Cristo venuto.

Dio, unico e vero creatore dei beni temporali ed eterni.

17. 35. Forse costui non ha letto nel Vecchio Testamento che non si deve ricambiare il male con il male, né il passo in cui viene ordinato a chi incontra un giumento smarrito dal suo nemico di riportarlo al suo padrone e a chi lo vede accasciarsi nel cammino di non passare indifferente ma insieme al padrone sollevare la bestia 115? Forse non stava già scritto in quei libri ciò che l'Apostolo afferma: Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere 116? Forse non leggiamo anche là che la prima cosa che ogni uomo di Dio dice al suo Dio [nell'invocarlo], sapendo che ciò gli sarà gradito, è: Signore mio Dio, se così ho agito, se c'è iniquità nelle mie mani, se ho reso il male a coloro che me ne facevano 117? Forse non aveva già descritto il profeta Geremia la pazienza del santo che offre a chi lo percuote la sua guancia 118? Forse non viene già comandato prima da un altro profeta che non si deve covare odio contro un proprio fratello 119? Come mai dunque questo blasfemo raccoglie tutti quei passi del Nuovo Testamento spacciandoli per difformi rispetto al Vecchio se non perché ignora sia l'uno che l'altro, o perché, per ingannare gli inesperti, dissimula di conoscerli? Se a qualcuno viene chiesto quando chi manda un uomo nel fuoco eterno un cibo non dato 120 non stia ricambiando il male con il male, di certo costui si stupirà e affermerà che è incomparabilmente più benevolo ricambiare il torto di qualcuno secondo l'occhio per occhio e il dente per dente 121 - in cui la misura della punizione non supera la gravità dell'ingiustizia - che non ripagare con tanta severità un atto d'umanità non compiuto: qui infatti la colpa è transitoria, la pena invece non ha fine. E così capirà, se non è ostinato, che in entrambi i Testamenti deve essere amata la bontà dell'unico Dio così come deve esser temuta la sua severità. È vero infatti che nel Vecchio Testamento la Gerusalemme temporale dava alla luce dei servi a motivo della promessa di beni terreni e del timore di mali terreni, nel Nuovo invece la fede impetra quella carità in virtù della quale la Legge può esser realizzata non tanto per timore della pena quanto piuttosto per amor della giustizia 122, e per questo la Gerusalemme eterna dà alla luce figli liberi 123. Senza dubbio tuttavia anche nel Vecchio Testamento vi furono dei giusti spirituali che non furono uccisi dalla lettera che prescrive, ma sono stati vivificati dallo spirito che forniva l'aiuto 124. Così, come la fede nel Cristo venturo abitava già certamente nei Profeti che ne annunciavano la venuta 125, così ora vi sono moltissimi uomini carnali che o suscitano eresie nel loro non intender le Scritture, o che, pur nel seno della Chiesa, si alimentano di latte, come i neonati, o persistono nell'esser come paglia che si prepara alle fiamme eterne 126. E come Dio è l'unico e vero creatore dei beni tanto temporali quanto eterni, allo stesso modo egli è autore dei due Testamenti: perché il Nuovo è prefigurato nel Vecchio e il Vecchio è realizzato dal Nuovo.

La giustizia che vendica il peccato.

17. 36. La mansuetudine misericordiosa che perdona, in virtù della quale è stato detto che al fratello debbono essere rimessi i peccati non solo sette volte ma settanta volte sette, non ha lo scopo di permettere che i peccati restino impuniti e la disciplina sia trascurata e rimanga addormentata, la qual cosa sarebbe più dannosa che una punizione diligente e vigilante. Le chiavi del Regno dei Cieli Cristo le diede alla Chiesa non dicendo semplicemente: Tutto ciò che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo, nel qual caso chiarissimamente la Chiesa rende il bene per il male e non il male per il male, ma aggiungendo anche: Tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo 127, perché è buona anche la giustizia che punisce. Infatti il passo che dice: Se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano 128 è molto più grave che non l'esser ferito da spada, l'esser consumato dalle fiamme e l'esser sbranato dalle fiere. Lì si legge anche: In verità vi dico, tutto ciò che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo 129 perché si capisse che è castigato molto più gravemente colui che, quasi dimenticato, viene lasciato impunito. Che costui spieghi qui, per cortesia, come dovremo intendere allora i comandamenti del Salvatore che ordina: A nessuno renderete il male per il male; ma se qualcuno vi avrà percosso una guancia, porgete anche l'altra, e: Perdonate le ingiustizie ai vostri fratelli 130. Ecco qua infatti: l'uomo è legato con le chiavi della Chiesa da uomini, che non rendono il male con il male, più amaramente e infelicemente di quanto possano farlo catene ferree pesantissime e durissime o lacci duri come diamante. " Lungi da me ", replicherà, " l'asserire una tal cosa, perché sono cristiano! ". Ma se davvero lo fosse, non avrebbe detto neppure quelle altre cose. Perché il Dio dei Profeti, dei quali egli ingiuria gli scritti, è lo stesso Dio degli Apostoli, gli scritti dei quali egli teme di ingiuriare.

Il sacrificio unico.

18. 37. " Ma Davide, dice, chiese a Dio di perdonare gli uomini che non avevano commesso peccato e non fu esaudito se non dopo aver offerto un sacrificio, e perciò quel Dio non deve esser ritenuto il Dio vero perché si compiace dei sacrifici " 131. Già sopra abbiamo risposto alla questione della pena di morte inflitta ad uomini per i quali, siccome dovevano comunque morire, quella morte naturale non procurò alcun nocumento, mentre, con la loro morte, venne giustamente percosso il cuore arrogante del re. Nei riguardi poi del sacrificio costui non capisce assolutamente nulla: per questo sbaglia, perché il popolo di Dio non offre più a Dio tali sacrifici dopo che è stato consumato quel sacrificio unico di cui tutti gli altri - che non lo escludevano ma prefiguravano - erano stati un'ombra 132. E come una cosa può esser detta in molti modi e in molte lingue, così il solo vero ed unico sacrificio fu significato dalle diverse figure dei sacrifici anteriori. Capite che sarebbe molto lungo affrontare ciascuna di tali questioni. E tuttavia una cosa vogliano saperla anche gli stolti, tardi nel comprendere e rapidi nel riprendere gli altri, che cioè il demonio non pretenderebbe per sé un sacrificio se non sapesse che esso è dovuto al Dio vero 133. Il dio falso infatti vuole essere onorato da quelli che inganna così come il Dio vero da quelli di cui ha cura; e il sacrificio è ciò che innanzi tutto va tributato a Dio. I restanti ossequi che si presentano alla divinità, gli uomini con altera superbia hanno osato pretenderli anche per se stessi. Tuttavia si ha memoria di pochissimi che abbiano osato pretendere che si sacrificasse in loro onore, sebbene potessero farlo essendo dei re. E quei tali che osarono simile onore, con ciò stesso vollero essere considerati dèi. Ma chi non sa che Dio non ha bisogno di sacrifici? Non necessita neppure delle nostre lodi. E in verità come è utile a noi e non a Dio, lodare Dio, così a noi e non a Dio è utile sacrificare a Dio. E siccome il sangue di Cristo fu versato per noi nell'unico e solo vero sacrificio 134, per questo Dio ordinò che nei tempi antichi gli fossero offerti degli animali immacolati 135, perché il sacrificio [di Cristo] era profetizzato da tali prefigurazioni. Quegli animali erano senza macchia quanto a difetti del corpo: allo stesso modo si doveva sperare che venisse immolato per noi colui che solo era immune da tutti i peccati 136. E tali tempi erano stati preannunciati dal profeta: Ha parlato il Signore, Dio degli dèi, e ha convocato tutta la terra da oriente a occidente. Da Sion, splendore di bellezza, Dio rifulge 137. E poco dopo nello stesso salmo: Ascolta, popolo mio, ti voglio parlare; Israele, testimonierò contro di te, poiché io sono Dio, il tuo Dio. Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici, i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti. Non prenderò giovenchi dalla tua casa, né capri dai tuoi recinti. Perché sono mie tutte le bestie della foresta, i giumenti nei monti e i buoi. Conosco tutti gli uccelli del cielo, è mio ciò che si muove nella campagna. Se avessi fame a te non lo direi: perché mio è il mondo e quanto contiene. Mangerò forse la carne dei tori e berrò il sangue dei capri? Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli all'Altissimo i tuoi voti 138. E alla fine del salmo ancora una volta dice: Chi offre il sacrificio di lode, questi mi onora; a chi cammina per la retta via mostrerò la salvezza di Dio 139. Quanto a me già prima ho ricordato e dimostrato che la salvezza di Dio è lo stesso Cristo. Ora qual è il sacrificio di lode più santo [di quello che consiste] nel rendimento di grazie? E in che modo si può meglio render grazie a Dio della sua stessa grazia per Gesù Cristo Signore nostro 140? E tutto ciò i fedeli lo riconoscono nel sacrificio della Chiesa, sacrificio di cui tutti quelli antichi non furono che un'ombra. Quanto a questi ciarlatani che correggono il Vecchio Testamento, se non intendono quanto ho ricordato di questo salmo, che basti loro, per quanto riguarda la questione presente, che il Dio dei Profeti, che è anche il Dio degli Apostoli, non mangia carne di tori e non beve sangue di capri. Così lo conobbero i santi che, colmi del suo spirito, dicevano queste cose. E quindi il sacrificio che Davide offrì perché il popolo fosse perdonato, era ombra del sacrificio futuro, con la quale [ombra] si indicava che per mezzo dell'unico sacrificio tutto il popolo sarebbe stato salvato spiritualmente. Egli è infatti Gesù Cristo: Il quale è stato messo a morte per i nostri peccati, come dice l'Apostolo, ed è stato resuscitato per la nostra giustificazione 141; e per lo stesso motivo dice anche: Cristo nostra Pasqua è stato immolato 142.

Israele secondo lo spirito.

19. 38. Con i tentativi che fa per provare che " evidentemente servì i demoni colui che ottenne tali cose con i sacrifici ", volendo che si intenda ciò come riferito al santo Davide, costui dimostra ancora più evidentemente quanto grande sia l'inganno con cui insidia le anime degli inesperti.Egli infatti cita come testimone l'Apostolo in quanto dice: Guarda Israele carnalmente: quelli che si cibano di quanto hanno immolato non partecipano forse dell'altare? Che cosa intendo dunque dire? Che un idolo è qualche cosa? No, ma che coloro che sacrificano, sacrificano ai demoni. In verità non si legge affatto così, ma così: Guardate Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l'altare? Che cosa intendo dunque dire? Dico che è qualcosa ciò che si immola agli idoli, o che l'idolo è qualche cosa? No, ma ciò che immolano, lo immolano ai demoni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demoni 143. È potuto accadere, per via della varietà delle traduzioni, riguardanti non le cose ma le parole, che ciò che io ho riportato come secondo la carne in altri codici venga riportato come carnalmente; e che ciò che io ho riportato come quelli che mangiano le vittime sacrificali, altri lo riferiscano come si cibano di quanto hanno immolato, e che ciò che esprime dicendo, come ho detto anch'io: Sono in comunione con l'altare, altri lo dicano così: Sono partecipi dell'altare, e che ciò che, quanto a me, suona: Che cosa intendo dunque dire? Dico che è qualcosa ciò che si immola agli idoli?, quel tale non l'abbia espresso o il suo codice non l'abbia riportato e per questo ha messo " che l'idolo è qualcosa ". Ma ciò che segue riguarda molto da vicino la nostra questione perché egli lo ha detto in modo diverso. Infatti l'Apostolo dice: Ma ciò che immolano, lo immolano ai demoni e non a Dio, costui al contrario dice: Coloro che sacrificano, sacrificano ai demoni, come se tutti coloro che offrono sacrifici non sacrificassero se non ai demoni. Infatti l'Apostolo non dice " coloro che sacrificano ", ma ciò che sacrificano, oppure, come ho detto io immolano. Quindi: quelli che praticano il culto degli dèi, ciò che sacrificano, lo sacrificano - o: immolano - non a Dio, ma ai demoni e per questo ha aggiunto: Non voglio che voi entriate in comunione con i demoni, per impedire loro che praticassero l'idolatria. Con ciò voleva dimostrar loro che in questo modo si sarebbero resi complici del demonio, qualora avessero mangiato sacrifici idolatrici 144 così come l'Israele carnale era in comunione con l'altare nel tempio perché mangiava dei sacrifici ivi immolati. E perciò aggiunse carnalmente, o secondo la carne, perché c'è un Israele spirituale, ovvero secondo lo spirito, ed è quello che segue non le ombre antiche ma quella verità posteriore che era significata in quelle ombre precedenti. Muovendo da qui comincia a dire: Perciò, o miei cari, fuggite l'idolatria 145. Poi, proseguendo, mostra a che cosa il sacrificio debba riferirsi, dicendo: Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che spezziamo, non è forse comunione con il corpo del Signore? Poiché c'è un solo pane noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo; tutti infatti partecipiamo dell'unico pane 146. E per questo aggiungeva: Guardate Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l'altare? 147, perché intendessero così che i primi sono compartecipi del corpo di Cristo così come quegli altri erano compartecipi dell'altare. E poiché nel dir questo impediva loro che praticassero l'idolatria, come ho ricordato, questo passo del suo sermone fa da esordio. Affinché non pensassero, per questo, che non vi fosse bisogno di badare al fatto di mangiare o meno delle vittime sacrificali perché l'idolo è nulla, ritenendo così tutto questo come qualche cosa di superfluo che non nuoce loro, lo stesso Apostolo confermò che l'idolo è nulla e che egli non proibisce tali cose perché si immolano agli idoli, cose senza significato, ma perché coloro che immolano - dice -, ovvero i cultori degli idoli, immolano ai demoni e non a Dio, e l'Apostolo non li vuole complici dei demoni 148. E la stessa verità dichiara apertamente che questo è il significato, poiché è certo che nel tempio nel quale Israele prestava il suo culto carnale non veniva adorato un idolo. Se infatti i sacrifici che si offrivano a Dio in quel tempio secondo la Legge antica fossero stati condannati come sacrifici offerti agli idoli ovvero immolati ai demoni, lo stesso Cristo Signore non avrebbe mai detto al lebbroso che aveva mondato: Vai, mostrati al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè in testimonianza per loro 149. Infatti non aveva ancora offerto il sacrificio del suo corpo in sostituzione di quei sacrifici, né aveva ancora risuscitato il tempio del suo corpo 150. Né avrebbe detto, cacciando da quel tempio quelli che vendevano bovini e colombe: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera; ma voi ne fate una spelonca di ladri 151.

La Chiesa è Israele secondo lo spirito.

20. 39. In verità costui ha tratto le sue testimonianze dagli apocrifi attribuiti agli apostoli Andrea e Giovanni. Ma se fossero stati davvero dei loro scritti, li avrebbe recepiti [nel canone] la Chiesa, che è discesa da quegli stessi Apostoli, mediante la successione ben accertata dei vescovi, da allora ai giorni nostri, e offre a Dio nel corpo di Cristo un sacrificio di lode 152 da quando parla il Signore Dio degli Dei e convoca la terra da oriente a occidente 153. Ebbene questa Chiesa è l'Israele secondo lo spirito, dal quale si distingue quell'Israele carnale, che serviva Dio nelle figure dei sacrifici nei quali è significato il sacrificio singolare che ora offre l'Israele secondo lo spirito, e del quale è detto e profetizzato: Ascolta, popolo mio, voglio parlarti: testimonierò contro di te, Israele 154 e le altre cose che ho sopra ricordato. Dall'Israele carnale Dio non accettai vitelli, né i capri dai suoi greggi 155. L'Israele spirituale immola a Dio un sacrificio di lode non secondo l'ordine di Aronne, ma secondo l'ordine di Melchisedech 156. E ciò sta nel salmo che il Signore Gesù nel Vangelo dice che si riferisce a lui quando interrogò i Giudei, che risposero che Cristo era figlio di Davide perché lo conoscevano solo carnalmente, mentre Davide in spirito lo aveva chiamato Signore. Quindi egli ricordò loro l'inizio di quel salmo: Ha detto il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi 157. Sempre lì si dice anche quanto segue:Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedech 158. Coloro che leggono sanno cosa offrì Melchisedech in sacrificio quando benedisse Abramo 159. E se già ne sono a parte, vedono anche come ora tale sacrificio è offerto a Dio da tutta la terra. Orbene, il giuramento di Dio è rimprovero per gli increduli. E il fatto che Dio non si pentirà significa che Dio non cambierà questo sacerdozio, mentre mutò il sacerdozio secondo l'ordine di Aronne. Un altro profeta dice all'Israele secondo la carne: Non mi compiaccio di voi, dice il Signore onnipotente, e non accetto l'offerta dalle vostre mani 160. Ecco ciò che avviene secondo l'ordine di Aronne. Poiché non l'accetta, aggiunge e dice: Poiché dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le Genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome tra le Genti, dice il Signore onnipotente 161. Ecco ciò che avviene secondo l'ordine di Melchisedech. L'incenso, che in greco si dice , come afferma Giovanni nell'Apocalisse, sono le orazioni dei santi 162. Certamente, come viene cantato nel salmo, è il Signore che ha convocato la terra dall'oriente all'occidente: quella terra, ovvero quel popolo esteso da oriente a occidente, a cui dice: Non accetterò i giovenchi dalla tua casa; offri a Dio un sacrificio di lode 163. Egli stesso dice per mezzo di questo profeta ciò che sicuramente si sarebbe verificato in futuro come se fosse già accaduto: Da oriente a occidente grande è il mio nome fra le Genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome tra le Genti 164.

Impossibilità, per il linguaggio umano, di esprimere l'ineffabile.

20. 40. Dio non si pente come l'uomo, ma come Dio; allo stesso modo non si adira come l'uomo, né come l'uomo prova compassione, né come l'uomo prova invidia, ma tutto ciò fa come Dio. Il pentimento di Dio non avviene in seguito ad un errore; l'ira di Dio non ha l'ardore di un animo sconvolto; la misericordia di Dio non comporta la miseria di un cuore che prova compassione - proprio da miseria del cuore infatti la misericordia in latino prende il suo nome -, né la gelosia di Dio contiene il livore dell'animo. Viene detto pentimento di Dio il cambiamento, imprevisto dagli uomini, delle cose che sono regolate dal suo potere; l'ira di Dio è la punizione del peccato, la misericordia di Dio è la sua bontà nell'aiutare e nel perdonare; la gelosia di Dio è la provvidenza in virtù della quale Dio non permette che quanti sono suoi sudditi amino impunemente ciò che egli proibisce. Pertanto, questo tale che ha attaccato così loquacemente il pentimento di Dio, apprenda innanzi tutto che a mala pena si trova qualche cosa che sia degno d'esser detto di Dio; ma noi abbiamo la necessità di dire di lui moltissime cose, anzi quasi tutte, commensurandole con quanto fanno gli uomini fra loro, cosicché ciò che di lui deve venir compreso, viene afferrato solo da pochi uomini spirituali. Ragion per cui la Scrittura divina, parlando con speciale provvidenza dell'Ineffabile, si è abbassata a utilizzare alcune di queste parole che, quando si parla di Dio, sembrano assurde e indegne anche agli uomini carnali. Ciò affinché, per timore che esse vengano intese nel modo consueto degli uomini, e attraverso le discussioni sul modo in cui possano esser bene intese quanto a Dio, si apprenda che quelle parole che nelle stesse Scritture sembrano degne di Dio nel loro senso umano, non vanno intese o pensate secondo l'uso degli uomini. Subito infatti ci appare che non si adatta bene a Dio il pentimento nel modo in cui lo intendono gli uomini; ma non è altrettanto evidente che la misericordia, quanto all'aver compassione gli uni degli altri che è proprio degli uomini, non convenga a Dio. E così, attraverso ciò che riconosce di dover ancora indagare, l'uomo comincia anche a ricercare più accuratamente ciò di cui credeva di non aver bisogno. Dunque quando diciamo di Dio che si pente, Dio non si muta, e tuttavia muta; così quando si adira, non si sconvolge, eppure punisce; e quando prova compassione non si addolora, e tuttavia libera; e quando prova gelosia non prova tormento, ma tormenta.

L'uomo non può dir nulla di sufficientemente degno di Dio e di appropriato.

20. 41. Mancano forse nei libri del Nuovo Testamento parole tali che se le si interpreta come gli uomini di solito le intendono non si addicono in nessun modo alla divinità e addirittura sono una grande offesa? Ecco infatti come l'evangelista a proposito di Cristo dice, verissimamente, che non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza sull'uomo, egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo 165. Come fa poi egli stesso a dire ad alcuni: non vi conosco 166? E se conosceva da sempre ed aveva eletto i suoi stessi santi prima della creazione del mondo 167, cos'è ciò che dice l'Apostolo: Ora dunque che avete conosciuto Dio, anzi che siete stati da lui conosciuti 168, come se Dio avesse conosciuto solo allora ciò che prima non conosceva? E l'affermazione: Non spegnete lo spirito 169, come se fosse possibile spegnere lo Spirito, chi può tollerarla se non colui che tutto intende con sapienza? Nel Vangelo non sta forse scritto: Chi crede nel Figlio ha la vita eterna, chi non crede nel Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui 170? Che questo blasfemo calunni anche questa parola e dica: Com'è che si irrita, dato che è stato scritto: l'ira dell'uomo non compie ciò che è giusto dinanzi a Dio 171? Che calunni in questo modo anche l'Apostolo che dice: forse è ingiusto Dio quando riversa su di noi la sua ira? 172. Ma attenzione! Se qualcuno dicesse che Cristo proverà vergogna perfino nel momento in cui dovrà giudicare i vivi e i morti, quale cristiano ascolterà ciò con rassegnazione? Nel Vangelo però egli dice: Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi 173. Perché poi quando preghiamo diciamo: sia santificato il tuo nome 174 che è sempre santo, se non perché è vero ciò che sta scritto di alcuni che hanno profanato il nome del Signore loro Dio 175? E perché al Signore, che non si dimentica di nulla, fu detto: Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno 176, se non perché a lui non in modo stolto ma intelligente è detto: Tu dimentichi la nostra miseria e oppressione 177? Dunque egli ignora in modo consapevole, e ciò che da sempre sa ad un certo punto lo conosce; e quando viene oscurato da coloro che lo negano egli resta inoscurabile. Egli si adira ma con mitezza; non patisce confusione nemmeno quando lo si vilipende; e il suo nome non può venir profanato, neppure quando viene profanato, e non può venir dimenticato neppure quando viene dimenticato, e ricorda sempre anche quando viene messo sull'avviso. Così è ineffabile. E tuttavia, queste cose vengono dette di lui, del quale però dall'uomo o all'uomo nulla può dirsi che gli sia sufficientemente degno e adeguato. Stando così le cose, quale persona religiosa non respingerà costui come polvere che il vento disperde dalla faccia della terra 178? Eccolo infatti che, enfiato e superbo, e desideroso di imporsi agli occhi dei deboli, turbandoli, si dà l'aria di chi dice cose importanti quando nel Vecchio Testamento critica le parole che non capisce, e nel Nuovo non penetra a fondo ciò che comprende.

Il pentimento di Dio.

20. 42. Torniamo al pentimento di Dio di cui stavamo parlando nel ricordare la profezia di Cristo nella quale si dice: Il Signore ha giurato e non si pentirà: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedech 179. Ciò viene detto al fine di annunciare il sacrificio di salvezza nel quale il sangue sacro fu versato per noi e del quale non furono che una figura 180 i sacrifici di animali senza macchia, che era stato ordinato di immolare 181. In questo dunque [egli] aveva accanto a sé un fatto che l'avvertiva di non pensare che il pentimento di Dio dovesse prendersi in modo che da cose non comprese potesse uscire rabbioso in latrati blasfemi. In effetti egli stesso ha ricordato ciò che aveva detto Dio: mi sono pentito di aver unto Saul re 182. Però sta scritto che ciò fu detto al santo Samuele, per mezzo del quale Dio riprese Saul, che, simulando la misericordia e disprezzando l'obbedienza, risparmiò l'uomo che Dio gli aveva ordinato di uccidere: come se Saul sapesse cosa si doveva fare di quell'uomo meglio di chi, quello stesso uomo, aveva creato. Da questo noi apprendiamo una cosa massimamente utile alla salvezza, cioè che il precetto divino deve prevalere in noi sempre su l'affetto umano. E tuttavia lo stesso Samuele, a cui Dio aveva detto: mi sono pentito di aver unto Saul re, proclama con ogni evidenza che Dio non si pente. Perché così sta scritto: allora fu rivolta a Samuele questa parola del Signore: Mi pento di aver costituito Saul re, perché si è allontanato da me e non ha messo in pratica la mia parola. E poco oltre lo stesso Samuele disse a Saul: Il Signore oggi ha strappato da te il regno d'Israele e l'ha dato ad un altro migliore di te e Israele sarà diviso in due: ed egli non mentisce né può ricredersi, perché non è uomo per ricredersi 183. Ecco uno che comprendeva bene come Dio prova compassione senza provar angoscia, si adira senza ira, è geloso senza invidia, non sa senza essere ignorante, si pente senza pentimento. Al contrario di costui che, non parlando secondo la parola di Dio, non considerando le sue Lettere e non ascoltando la loro voce, si è reso parlatore muto, lettore cieco e ascoltatore sordo.

La dimenticanza di Dio.

20. 43. Dice però: " Dio è uno smemorato, ed essendogli svanita la memoria, pose nelle nubi un arco, detto arcobaleno, per ricordarsi che non avrebbe più cancellato il genere umano con il diluvio 184; non sa infatti assolutamente cosa debba fare uno che necessita di un suggeritore continuo ". Quest'individuo che non sa quel che dice - e non perché è morta la sua memoria, ma la sua anima -, se si mette a cavillare dinanzi all'evidenza delle cose più chiare, quanto più vedrà in modo offuscato quelle poco chiare e sarà portato al delirio? Comunque, per dargli subito una risposta, gli dico che Dio ha sì voluto che gli fosse ricordato qualcosa, non certo perché se ne fosse dimenticato ma come Cristo volle che gli si spiegasse dov'era stato posto Lazzaro, certo non perché non lo sapesse 185. Non voglio spiegare quali persone significhi quell'arco in cielo quando esso risplende dalle nubi con fulgore e con i raggi di luce illumina il cielo oscuro ancora umido; esso stesso risponde in qualche modo con una attraente confessione: indicando cioè in che modo Dio non vorrà perdere il mondo con un diluvio spirituale, se egli è memore di coloro ai quali le nubi illuminate conducono un messaggio. Infatti i loro nomi sono scritti nei cieli 186 e così il Padre che è nei cieli si ricorda di loro, giacché essi sanno che non brillano di per sé, ma per il sole della giustizia, come quelle nubi brillano grazie al sole visibile. Ma costui dev'essere confutato in base a quanto ho ricordato e cioè come intenda il passo dove il Signore dice, a proposito di Lazzaro: dove lo avete posto? 187 Ed essi gli mostrano il luogo in cui si trova come se egli non lo conoscesse. Se infatti non ammettiamo che egli, presentando questa richiesta da cui appare come uno che non sa, non abbia voluto significare qualche [altra cosa], in che modo potremo sostenere che Cristo conosce non solo le cose presenti, ma ha anche prescienza delle cose future? Tanto più che quest'individuo si è lanciato con la sua straordinaria cecità su quest'affermazione per sentenziare che " nessuno chiede se non colui che non sa "! Dalla qual cosa si vede come non abbia avuto tempo per riflettere su quante volte Cristo abbia posto delle domande. Non pone infatti una domanda quando dice: Che ne pensate di Cristo? Di chi credete che sia figlio? 188 Vi è una testimonianza più chiara di questa? E se resta straordinariamente duro di cervice, potrà negare anche che Cristo fece una domanda quando egli stesso rispondeva a ciò che gli era stato chiesto, dicendo: Vi farò anch'io una domanda, e se voi mi rispondete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini? 189 In che cosa cercherà rifugio ancora costui, loquacissimo contro Dio e disputatore disperatissimo? Dove sta mai scritto ciò che lui stesso ha detto: " Nessuno chiede se non colui che non sa "? Eccolo qua! Cristo non ignora e tuttavia fa delle domande. Con gli stessi occhi con cui non vede Cristo riprende senza dubbio anche il Dio dei Profeti. Ma attraverso tutte queste domande Cristo vuole chiarissimamente insegnare qualche cosa. E anche in quelle in cui dice: Dove lo avete posto? 190 e Chi mi ha toccato? 191 Anche quando si leggono espressioni di questo genere, egli sembra volere che gli sia spiegato ciò che non conosce, tuttavia sa. Così dunque anche negli altri Libri Dio viene avvisato come se potesse dimenticare, ma sia lungi da noi l'idea che possa mai dimenticare qualcosa.

L'arcobaleno e i nomi degli eletti.

20. 44. Cosa disse egli stesso ai suoi discepoli? Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli 192. Non sembra che quell'arco rifulga dalle nubi proprio a modo di lettere scritte in cielo a promemoria di Dio? Se tutto ciò non lo si accetta in modo pio fin tanto che la fede non abbia ottenuto che tutto venga compreso, non si finirà per metterlo in ridicolo come delle fantasticherie? Ma chi sono coloro che ridono, se non quegli ignoranti che per il fatto stesso di credersi sapienti sono più dementi? Chi può pensare infatti che per promemoria di Dio stanno in qualche modo scritti in cielo i nomi di coloro che seguono il Signore, mentre sono scritti in terra quelli di coloro che non lo seguono, riguardo ai quali il profeta Geremia dice: quanti ti abbandonano restino confusi; quanti si allontanano da te siano scritti sulla terra 193? Si comprende bene che Gesù intendeva riferirsi a costoro quando i Giudei uno dopo l'altro se ne andarono sconfitti e confusi all'udire: Chi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei: e intanto il Signore, mostrando di che risma fossero, scriveva con il dito in terra 194.

Il diluvio universale, figura del battesimo.

21. 45. " Se crediamo, dice, che gli uomini del diluvio ricevettero giustamente il castigo per i loro costumi corrotti e che il giusto Noè fu salvato per dar vita ad una stirpe migliore 195, perché dopo il diluvio ne sono nati di peggiori e nel corso della stessa vita anche ora torna a ripetersi la nascita di un genere umano corrotto? ". Così parla costui, come se fosse vissuto con coloro che sono morti nel diluvio e avesse poi notato che ora gli uomini nascono peggiori di prima. Ma se il genere umano dopo il diluvio viva in una maniera peggiore, nella stessa o in una migliore, credo che debba essere rimesso al giudizio di Dio che sa retribuire a ciascuno secondo i suoi meriti: mai comunque al giudizio di questo cane rabbioso che latra contro il suo Signore, di questo asino stolto che recalcitra allo sprone. L'Apostolo grida: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti chi ha mai potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi è mai stato suo consigliere? 196 Eppure costui osa mettersi contro colui che non necessita di consiglieri! E cosa interessa a tutti coloro che muoiono se, quanto alla morte del corpo, muoiono insieme o uno ad uno, quando, se muoiono ad uno ad uno, muoiono comunque tutti e [quelli che restano] soffrono tutti per quelli che muoiono, mentre se sono rapiti tutti in una sola volta da una sola morte, perlomeno non c'è nessuno che rimanga in lutto? Poi il disegno divino nel diluvio va al di là di quanto il cuore degli increduli possa capire o intendere. Ma non chiedo che questo tale ascolti me, quanto piuttosto l'apostolo Pietro, che dice: Nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, furono salvate per mezzo dell'acqua otto persone: anche voi, in forma simile, vi salva il battesimo; esso non è rimozione di sporcizia del corpo, ma invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo 197. Ecco come ha interpretato il sacramento del diluvio. E per questo vi è stato aggiunto: In virtù della risurrezione di Gesù Cristo, affinché capissimo bene cosa sia l'ottavo giorno: la qual cosa viene raffigurata dal numero delle persone racchiuse nell'arca: infatti nell'ottavo giorno, ovvero dopo il settimo della settimana, il Signore resuscitò. Così le vicende che vengono tramandate, se si è in grado di capirle, furono anche delle profezie. Ma costui, essendo al di fuori dell'arca, cioè fuori della Chiesa, è sommerso e non lavato dal diluvio.

Il pessimo seme.

22. 46. Costui calunnia anche Isaia e critica il passo in cui questi dice: " Ho generato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me; poco dopo li chiama seme pessimo 198, presentandosi come il padre dei cattivi, dei figli che sono un pessimo seme ". Ma non si cura di sapere che quelli sono chiamati così perché, peccando, si sono allontanati dalla grazia di Dio in virtù della quale erano stati fatti figli e si sono resi figli di coloro che essi stessi volevano imitare. Per questo si legge in un altro passo: tuo padre era Amorreo e tua madre Cetea 199, inquanto da queste nazioni pagane essi hanno ereditato l'empietà e la malizia, pur non discendendo da loro quanto alla carne. Ma che costui risponda alla domanda del Vangelo quando il Signore dice: Se dunque voi che siete così cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà cose buone a coloro che glielo chiedono 200? Che costui dica come Dio potrà esser buono se è padre dei cattivi, perché la Verità ha detto entrambe le cose. O forse non erano cattivi coloro a cui dice: se voi che siete così cattivi 201? O forse non avevano un Dio buono per padre coloro ai quali dice: quanto più il Padre vostro celeste darà cose buone a coloro che glielo chiedono 202? Se inoltre essi sono chiamati cattivi a causa dei peccati, dai quali non resta immune neppure la vita dei giusti, con qual nome più adatto di: " pessimo seme " si sarebbe potuto chiamare ciò che nasce da una volontà empia e si diffonde con costumi esecrabili?

Dio albero guasto?

22. 47. Dice: " Ma Cristo Signore ha detto che quel Dio è un albero guasto che produce frutti guasti ". Tutt'altro! Anzi, frutto cattivo di questa razza d'albero cattivo è proprio il parlare blasfemo di costui, che la pensa in questa maniera. Perché lo stesso Signore ha affermato che per albero cattivo intende l'uomo malvagio i cui frutti cattivi sono le opere cattive e per albero buono l'uomo buono le cui opere buone sono i frutti buoni 203: sono cioè le volontà stesse degli uomini, quella cattiva dell'uomo cattivo e quella buona dell'uomo buono, ad essere come degli alberi differenti che producono frutti differenti, come attesta egli stesso con bastante chiarezza quando dice: L'uomo buono trae dal buon tesoro del suo cuore cose buone, mentre l'uomo cattivo dal cattivo tesoro del suo cuore trae cose cattive 204. Come, altrimenti, avrebbe potuto dire: se rendete un albero buono anche il suo frutto sarà buono; se rendete un albero cattivo anche il suo frutto sarà cattivo 205, se l'uomo, cambiando la sua volontà, non avesse potuto rivolgersi ora a questo ora a quello?

La bontà e la severità di Dio.

23. 48. Dice ancora: " Lo stesso Dio, parlando per bocca dello stesso profeta afferma: Io sono il Dio che fa i beni e crea i mali 206 ". È proprio così. Egli è infatti quel Dio del quale l'Apostolo dice: considera dunque la bontà e la severità di Dio 207. Ora, questa sua severità è una cosa cattiva per coloro che meritano condanna, perché implica per loro il male della condanna. Invece, poiché è giusta, in un altro senso è anche buona: perché tutte le cose giuste sono buone. Ma come fa costui a pensare di potersi permettere discussioni e giudizi a proposito di questi testi, quando non sa neppure ciò che dice? Poiché infatti il testo stesso che ha addotto come testimonianza affinché non si dicesse che Dio fa i beni e i mali, o crea i beni e i mali, o crea i beni e fa i mali, ma fa i beni e crea i mali 208, costui vuole trasformarlo in un'accusa: vuol dimostrare che ciò che è fatto sta al di fuori di colui che lo fa, mentre ciò che è creato sta nello stesso creatore da cui procede, cosicché sembrerebbe che il Dio dei Profeti sia stato in un certo momento autore del bene come di un qualcosa estraneo a sé, creatore del male invece facendo procedere da sé ciò che ha creato, essendo egli cattivo per natura. Questi termini, se li consideriamo in base alle consuetudini del linguaggio umano, li si usa - tanto l'" esser fatto " come l'" esser creato " - non solo in riferimento ai figli che ciascuno genera da se stesso, ma anche in riferimento ai magistrati e alle città e, in generale, ad altre cose che non procedono da un generante, ma vengono realizzate al di fuori di lui. Se poi indaghiamo il modo in cui usano esprimersi le sante Scritture, che costui mette in discussione, " fare " e " creare " sono la stessa cosa: da tali verbi invece si distingue il generare. E in base al variare delle parole non si può dedurre nessuna differenza quanto alle cose: colui che fa i beni e crea i mali, lo si potrebbe esprimere anche così: colui che crea i beni e fa i mali. O, se lo Spirito profetico avesse voluto che qui vi fosse una qualche differenza, queste parole sarebbero state intese con molto maggiore esattezza se avessimo interpretato "ciò che viene fatto " come ciò che, se non fosse fatto, non sarebbe per nulla esistito; invece " ciò che viene creato " come ciò che viene fondato e costruito a partire da qualche cosa di preesistente, così come diciamo che vengono creati la città e i magistrati. Infatti " creare dei magistrati " significa elevare a questi onori alcuni tra gli uomini che già esistono; ed anche la legna e le pietre con cui vengono costruite le case già esistevano però non erano disposte in quella forma, in quell'ordine e in quella composizione che vediamo nella città. Quando si fa ciò diciamo che vengono create le città. In effetti ciò che i greci chiamano , i latini lo chiamano a volte creare, a volte costituire, a volte fondare, e spessissime volte tutto ciò significa nelle sacre Scritture la stessa cosa, ovvero " fare ". Infatti leggiamo sia che Dio fece l'uomo ad immagine di Dio 209, sia che Dio ha creato l'uomo per l'immortalità 210. Se invece talvolta le parole vengono usate con qualche differenza, la maniera più giusta di intenderla è quella che dicevo: si " fa " ciò che non esisteva affatto; invece, "creare " significa costruire - strutturando - qualcosa a partire da qualcosa che già preesiste. E perciò in quel passo sta scritto che Dio " crea i mali " perché per disposizione della sua severità trasforma in mali per i peccatori quei beni che dalla liberalità divina erano stati fatti buoni. Per cui l'apostolo Paolo dice: noi siamo il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono: per gli uni odore di vita per la vita e per gli altri odore di morte per la morte, e proseguendo dice: e chi è mai all'altezza di questi compiti? 211 O che per caso siamo in qualche modo molesti se con insistenza offriamo cose come queste a coloro che sono carnali e sono non solo ignoranti, ma anche litigiosi e incapaci del tutto a cogliere ciò che magari almeno cessassero di denigrare?

Dio, artefice della luce e autore della pace.

23. 49. Forse costui ignora quanto fu intensa la polemica contro gli Ariani, secondo i quali il Figlio unigenito era una creatura poiché ritenevano che fosse la stessa cosa l'esser creato e l'esser generato. Ma perché fosse infranta la sua regola fallace e distorta mediante la stessa testimonianza evangelica e profetica cui egli si rifà, Dio ha parlato come segue per mezzo del profeta: Io creo la luce e faccio le tenebre, faccio la pace e creo i mali 212. Ma costui non ha citato l'intero passo e non l'ha citato in modo fedele al testo. Certo si può facilmente sorvolare sul fatto che abbia scritto " i beni " al posto di " pace ", perché la pace è buona. Ma non si deve passare sotto silenzio il fatto che ha osato togliere la prima parte del testo con inganno così da non dover dire: " Colui che crea la luce " poiché, dato che la luce è cosa buona, come egli stesso ammette, non avrebbe più potuto sostenere che è stata creata da colui che non vuole creare se non cose cattive. Dobbiamo quindi piuttosto comprendere senza differenza di significato creare e fare: per cui il criterio della distinzione che costui si è posto viene demolito, perché il Dio dei Profeti, che egli accusa in base a un'espressione che non intende, viene descritto nel Vecchio Testamento come creatore dei beni, cosa che egli invece nega. E ciò è confermato anche dal Vangelo. In effetti costui per sostenere per quanto possibile le sue opinioni ci contrappone ciò che il Signore dice: ogni albero buono fa frutti buoni e ogni albero cattivo fa frutti cattivi 213. Perché dunque costui di Dio non ha detto che " crea " invece che " fa ", se è vera questa differenza in base alla quale distingue colui che fa e colui che crea, e per cui ciò che viene fatto è distinto da colui che lo fa perché viene dal di fuori e, invece, ciò che nasce è proprio di colui che lo genera? Egli infatti ritiene che Dio genera i cattivi, perché sta scritto: Colui che crea i mali, ragionando così come ragionavano gli Ariani, secondo i quali non fa differenza se nella Scrittura di un qualche cosa si dice che è generato o creato. Tuttavia nel fatto che il Signore non abbia detto creare, ma fare, quanto all'albero buono che fa i frutti buoni e all'albero cattivo che fa i frutti cattivi, deve certo riconoscere che la sua regola viene infranta e quindi deve tacere. Che cosa vi è allora di più stolto che affermare che il Dio dei Profeti è l'albero del male e poi voler intendere così l'affermazione del Signore: L'albero cattivo fa frutti cattivi insistendo peraltro nell'affermare che egli " non fa i mali, ma li crea; perché se li facesse sarebbero esteriori a lui e verrebbero dal di fuori e, invece, quando crea li genera egli stesso come da sue radici "? Quindi di questo Dio il Signore non dice che l'albero cattivo fa frutti cattivi, intendendo che egli crea i mali e non li fa. Ecco come colui che osa accusare i Profeti viene confutato dalle testimonianze citate da lui stesso e tratte dal Vangelo.

Timore del castigo come mezzo per evitare il male.

24. 50. Allo stesso modo, come chi inorridisce di fronte alle cose impure, questo impuro critica alcune parole tratte dal libro del Deuteronomio, come se Dio avesse dovuto vergognarsi di imporre tormenti ignominiosi o di preannunciarli agli empi, e non minacciarli in termini come questi: La donna più raffinata e delicata tra di voi, che per delicatezza e raffinatezza non si sarebbe provata a porre in terra la pianta del piede, guarderà di malocchio il proprio marito, il figlio e la figlia e si ciberà di nascosto di quanto esce dai suoi fianchi 214. E, in verità, una cosa, quanto più è orribile, tanto più è terribile. Né infatti ciò è stato detto dal Profeta come ammonizione, ma proprio come minaccia: non affinché gli uomini facessero tali cose, ma perché non facessero quelle cose che vanno contro natura e non giungessero a ciò che ripugna alla ragione umana. Chi può sostenere che la bruttezza dell'animo sia più esecrabile per il temere le pene meritate che per il fatto di non voler evitare di meritare i castighi? Che lo Spirito Santo, che è incontaminato e incontaminabile, dica pure chiaramente ciò che un'anima immonda rifiuta di udire e che però, essendo immonda, non rifiuta di essere. Perché l'anima si oppone all'impurità della carne quando sono offesi i sensi della stessa carne, ed ama la sua impurità quando i sensi del cuore sono estinti. Che dica queste cose lo Spirito di Dio e attraverso l'orrore per la prospettiva di patire tali mali, ispiri il timore dinanzi al fare il male.

Il castigo dell'indurimento del cuore.

24. 51. Vediamo che lo stesso Spirito, anche parlando attraverso l'Apostolo, mentre voleva istruire i pii, non si è vergognato affatto di offendere i sensi degli empi: dopo aver ricordato l'empietà di certuni che adoravano e servivano la creatura piuttosto che il Creatore 215, aggiunse che: Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami. Le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento 216. Se qualche nemico dell'Apostolo si volesse scandalizzare per queste parole come questo blasfemo fa per alcuni passaggi dei Libri antichi, non avrebbe costui materia sufficiente per smaniare loquacemente? E quanto più eloquenti gli sembreranno tali affermazioni, tanto più detestabili saranno le maledizioni che lancia; soprattutto perché sta scritto: ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento. Che lo meritassero, in effetti, l'Apostolo non ha paura a dirlo perché avevano adorato e servito la creatura piuttosto che il creatore 217 e quindi non ricevevano tali cose turpi subendole ma facendole volentieri: e ciò per il giudizio non di qualche uomo sommamente immondo che di queste cose potrebbe anche dilettarsi, ma per il giudizio del Dio giustissimo, che li ha abbandonati a passioni infami, per cui i crimini sono vendicati da altri crimini e i supplizi dei peccatori non sono solo tormenti, ma un aumentare di vizi. Il saggio invece, nell'udire ciò, in questa vita teme di più l'ira di Dio, per la quale l'uomo non subisce una pena che acutamente gli dispiace, ma fa ciò che turpemente ama; e disprezza le parole insensate di colui al quale tali giudizi non piacciono perché riconosce in lui la pena toccata al Faraone, ovvero l'ostinazione del cuore 218. In effetti se coloro che hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in preda di un'intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno 219, che c'è di strano se Dio ha abbandonato anche costui, che bestemmia le parole divine, ad un'intelligenza depravata così da fargli dire cose lontane dalla verità? Perché, come dice l'Apostolo, è necessario che vi siano delle eresie tra di voi perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi 220. I vasi di ira sono sistemati nei luoghi e nei tempi opportuni in modo tale che per mezzo loro Dio possa manifestare anche la ricchezza della sua gloria verso i vasi di misericordia 221 i quali, della stessa pasta di quelli votati alla perdizione, sono da lui predisposti alla gloria, per grazia di Dio e non per i loro meriti. Dio ha fatto sì, infatti, che a noi giovi non solo ciò che insegna la verità, ma anche ciò che la vanità proclama sghignazzando. Così, nel respingere la vanità più irrequieta, si ascolta la verità più pura.

Il turpiloquio.

24. 52. La vanità denuncia il ricorso all'espressione indecente, ma la verità misericordiosa indica come, pur nominando cose indecenti, si possa evitare la turpitudine: e la vanità insensata viene così domata. In verità anche l'apostolo Paolo da ciarlatani empi potrebbe venir accusato di ricorrere a invettive oscene, quando dice: Dovrebbero farsi mutilare coloro che vi turbano 222: il che, a coloro che bene l'intendono, sembra piuttosto una benedizione, poiché in tal modo possono diventare eunuchi per il regno dei cieli 223. Invece la cecità logorroica giunge a riprendere anche nell'Apostolo questa espressione sostenendo che non avrebbe dovuto enunciare una cosa onesta con parole turpi. E allora possono riprendere anche il Signore che, nel raccomandare lo stesso dono della continenza, dice: vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli 224. Infatti questi pedanti - così bisognerebbe chiamarli piuttosto che letterati poiché leggono senza aver imparato ad aver senno - leggono dunque in Cicerone qualche cosa per cui suppongono di poter disapprovare da dotti le parole di Cristo, ma in tal modo dimostrano di essere privi di orientamento piuttosto che degli esperti. Cicerone insegna appunto che nella traduzione dei testi si debbono evitare le oscenità dicendo: Non voglio che si dica che con la morte dell'Africano la repubblica è stata castrata 225. Ma se questa parola che egli voleva che fosse evitata, per mostrare che dovesse venir evitata, non l'ha evitata e si è visto obbligato a dire ciò che non voleva che si dicesse, quanto più quella cosa che viene convenientemente significata dalla parola stessa verrà enunciata nella sua accezione propria affinché colui che ascolta possa capire? E per tornare a quanto costui contesta nel Deuteronomio 226: se Cicerone, uomo eloquentissimo, uso a riflettere in modo attentissimo sulle parole e a soppesarle, ha detto ciò che voleva che non si dicesse, affinché appunto non lo si dicesse, quanto più Dio, che cerca la bellezza e la purezza dei costumi piuttosto che non quella delle parole, non avrà potuto dire una cosa turpe in modo non turpe ma come minaccia, affinché se ne provasse orrore e così non si commettesse la cosa attraverso cui si giungerebbe a ciò di cui si ha orrore al solo sentirla? Eppure, quando lo si legge, l'incredulità si tura le orecchie, gira la faccia, corruccia il volto, vibra la lingua e lancia bestemmie. Guardate se costoro non sono di quel genere di uomini che quando Cristo parlò del sacramento del suo corpo e del suo sangue, dissero: questo linguaggio è duro, chi può intenderlo? 227 Se non che sono più scusabili coloro che pigliavano come orride quelle parole divine, che non comprendevano [dette] non a maledizione ma a benedizione. Né ci si deve stupire che una maledizione, quando la si ode, provochi orrore, né si deve pretendere che venga espressa con parole non orrende perché è per questo che la si pronuncia, affinché provochi il timore di ciò che va evitato. Il Signore diceva infatti quelle parole per insegnare cose da amarsi, non da temersi. Ma quale incredulità può tollerare una simile affermazione: La mia carne è il vero cibo e il mio sangue la vera bevanda; e anche: Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue non avrete in voi la vita 228? Se dunque la Sapienza di Dio che alimenta l'anima del credente con parole appropriate al sacramento non ha dato peso alla ripugnanza di gente stolta, quanto più quella stessa Sapienza, quando era il luogo e il tempo del timore, e non dell'amore, volendo infondere un terrore salvifico, poteva tenere incalcolato l'errore degli stolti, pur conoscendone l'orrore? Chi infatti di costoro è in grado di provare orrore per la bruttezza spirituale dell'anima quando una certa sua fame e denutrizione le ordina di mangiare ciò che scaturisce dai suoi pensieri carnali come dai suoi fianchi? 229 In effetti è raro l'avverarsi di quella maledizione, che costui stigmatizza perché turpe, come è anche raro che capiti che il flagello della fame sia tanto grande da spingere a compiere atti così nefandi; invece di questa fame a causa della quale l'anima dei miseri sprovvisti di verità mangiano, come se fosse verità, ciò che si procurano mediante i sensi carnali, la si trova ovunque e tutto ne è pieno. E ciò in modo tanto più nefasto quanto maggiore è il danno che produce e minore l'orrore che suscita.

Fine del primo libro.

24. 53. Credo però che, per non diventar prolisso, non debbo rispondere con un solo libro al libro che mi hai inviato: per questo motivo pongo qui fine al primo, per incominciarne un altro con le cose che ancora restano da discutere. In questa maniera, raggiunto il termine del libro, l'attenzione del lettore in certo qual modo si rinfranca, come la fatica del viandante, raggiunto l'ospizio.


Note:


1 - Gn 1, 1.

2 - Cf. 1 Cor 3, 16-17; Ef 2, 21-22.

3 - Cf. Gv 3, 16-18.

4 - 1 Cor 1, 24.

5 - Sal 103, 24.

6 - Col 1, 16.

7 - Gn 1, 1.

8 - Cf. Gv 8, 25.

9 - Gv 1, 1.

10 - Gv 1, 10.

11 - Cf. Gv 1, 10.

12 - Mt 6, 30.

13 - Sal 101, 27-28.

14 - Sap 11, 20.

15 - Gn 1, 4.

16 - Cf. 1 Cor 12, 12.

17 - Cf. Gn 9, 15.

18 - Cf. Rm 9, 22-23.

19 - Sal 110, 2.

20 - Gn 1, 4.

21 - Mt 8, 10.

22 - Cf. Is 9, 9.

23 - Gn 1, 1-2.

24 - Sap 11, 18.

25 - Cf. Mt 5, 9.

26 - Gv 1, 10.

27 - Gv 1, 9.

28 - Sal 33, 5.

29 - Sal 18, 9.

30 - Sal 12, 4.

31 - Ef 1, 18.

32 - Ef. 5, 8.

33 - Gn 1, 3.

34 - 2 Cor 4, 6.

35 - Sap 7, 26.

36 - Sal 95, 1-2.

37 - Lc 2, 29-30.

38 - Ef 5, 8.

39 - Gn 1, 3.

40 - Cf. 2 Cor 5, 6.

41 - Cf. Mt 18, 10.

42 - Gn 1, 5.

43 - Gn 1, 8.

44 - Cf. Gn 1, 4-5. 14-18.

45 - Cf. Gn 1, 5.

46 - Gn 1, 9.

47 - Rm 9, 20-23.

48 - Cf. Gn 2, 17.

49 - Gn 1, 26.

50 - 2 Cor 5, 21.

51 - Ef 5, 13.

52 - Cf. Gn 2, 9.

53 - Cf. Col 1, 13; Gv 4, 24; 1 Gv 3, 14.

54 - Gn 2, 9.

55 - Cf. Gn 2, 7.

56 - Cf. Gn 3, 1-6.

57 - Prv 16, 18.

58 - Cf. Rm 1, 21.

59 - Cf. Gv 1, 9.

60 - Cf. Sir 18, 1.

61 - Cf. Ap 20, 2.

62 - Gn 3, 22.

63 - 2 Cor 12, 13.

64 - Cf. Gb 13, 28.

65 - Prv 3, 18.

66 - Cf. Gn 2, 15; 2, 22.

67 - Gn 5, 21-24; 1 Re 17; 2 Re 2.

68 - Lc 23, 43.

69 - Prv 3, 18.

70 - Cf. Mt 25, 14-18.

71 - Mt 25, 30.

72 - Cf. Gn 3, 24-19.

73 - Cf. Gn 25, 30.

74 - Cf. Sal 18, 15.

75 - Gv 5, 46.

76 - Rm 11, 22.

77 - Cf. Mt 25, 30.

78 - Lc 17, 26-27.

79 - Cf. Es 7, 13.

80 - Rm 1, 28.

81 - Cf. 1 Re 22, 19-23.

82 - 2 Ts 2, 11-12.

83 - Nm 25, 4.

84 - Cf. Es 32, 25-28.

85 - Lc 19, 27.

86 - Mt 10, 28.

87 - Cf. TERENZIO, Phormio, 77.

88 - Nm 25, 8.

89 - Cf. Mt 25, 41.

90 - Cf. 2 Sam 24.

91 - Cf. 1 Sam 2, 12-17.

92 - Cf. 1 Sam 2-4.

93 - Cf. Mt 22, 11.

94 - Mt 22, 13.

95 - Mt 5, 21-22.

96 - Mt 25, 41.

97 - Mt 25, 42.

98 - Cf. Sal 115, 11.

99 - Cf. Nm 25, 9.

100 - Dt 32, 41-42.

101 - Mt 25, 41.

102 - Cf. Dt 32, 32-35.

103 - Rm 2, 5-6.

104 - Cf. 2 Tm 4, 1.

105 - Cf. Prv 21, 20 [sec. LXX].

106 - Prv 8, 21.

107 - Is 33, 6.

108 - Sal 102, 8-13.

109 - Ez 18, 23; 33, 11.

110 - Cf. Mt 25, 14-30.

111 - Cf. Mt 22, 11-13.

112 - Cf. Mt 25, 11-12.

113 - Cf. Mt 5, 22.

114 - Cf. Mt 25, 41-42.

115 - Es 23, 4-5.

116 - Prv 25, 21; Rm 12, 20.

117 - Sal 7, 4-5.

118 - Cf. Lam 3, 30.

119 - Cf. Lv 19, 18.

120 - Cf. Mt 25, 41-42.

121 - Cf. Es 21, 24.

122 - Cf. Gal 5, 6.

123 - Cf. Gal 4, 22-31.

124 - Cf. 2 Cor 3, 6.

125 - Cf. 2, 3; Ag 2, 8; Eb 10, 37.

126 - Cf. Mt 3, 12; Lc 3, 17.

127 - Mt 18, 18.

128 - Mt 18, 17.

129 - Mt 18, 18.

130 - Cf. Mt 5, 39; 18, 35.

131 - Cf. 2 Sam 24.

132 - Cf. Eb 8, 5.

133 - Cf. Mt 4, 10.

134 - Cf. Mt 26, 28; Mc 14, 24.

135 - Cf. Lv 1, 3.

136 - Cf. Eb 8, 1-10; 1 Pt 1, 19.

137 - Sal 49, 1-2.

138 - Sal 49, 7-14.

139 - Sal 49, 23.

140 - Cf. Gv 1, 17.

141 - Rm 4, 25.

142 - 1 Cor 5, 7.

143 - 1 Cor 10, 18-20.

144 - Cf. 1 Cor 8, 7.

145 - 1 Cor 10, 14.

146 - 1 Cor 10, 15-17.

147 - 1 Cor 10, 18.

148 - 1 Cor 10, 20.

149 - Mt 8, 4.

150 - Cf. Gv 2, 21.

151 - Mt 21, 13.

152 - Cf. Sal 49, 14.

153 - Sal 49, 1.

154 - Sal 49, 7.

155 - Cf. Sal 49, 9.

156 - Cf. Sal 109, 4-6; Eb 5, 6.

157 - Mt 22, 44; Sal 109, 1.4.

158 - Sal 109, 4; Eb 5, 6.

159 - Cf. Gn 14, 18.

160 - Ml. 1, 10.

161 - Ml 1, 10-11.

162 - Ap 5, 8.

163 - Sal 49, 1. 9. 14.

164 - Ml 1, 11.

165 - Gv 2, 25.

166 - Mt 25, 12.

167 - Cf. Rm 8, 29.

168 - Gal 4, 9.

169 - 1 Ts 5, 19.

170 - Gv 3, 36.

171 - Gc 1, 20.

172 - Rm 3, 5.

173 - Mc 8, 38.

174 - Mt 6, 9.

175 - Ez 43, 8.

176 - Lc 23, 42.

177 - Sal 43, 24.

178 - Sal 1, 4.

179 - Sal 109, 4.

180 - Cf. Eb 8, 5.

181 - Cf. Lv 1, 3.

182 - 1 Sam 15, 11.

183 - 1 Sam 15, 10-11. 28, 29; cf. Nm 23, 19.

184 - Cf. Gn 9, 12-17.

185 - Cf. Gv 11, 34.

186 - Cf. Lc 10, 20; Ap 20, 12.

187 - Cf. Gv 11, 34.

188 - Mt 22, 42.

189 - Mt 21, 24-25.

190 - Cf. Gv 11, 34.

191 - Lc 8, 45.

192 - Cf. Lc 10, 20; Cf. Ap 20, 12.

193 - Ger 17, 13.

194 - Cf. Gv 8, 7-9.

195 - Cf. Gn 6-9.

196 - Rm 11, 33-34.

197 - 1 Pt 3, 20-21.

198 - Cf. Is 1, 2-4.

199 - Ez 16, 3.

200 - Lc 11, 13.

201 - Lc 11, 13.

202 - Lc 11, 13.

203 - Cf. Mt 7, 15-20.

204 - Mt 12, 35.

205 - Mt 12, 33.

206 - Is 45, 7.

207 - Rm 11, 22.

208 - Is 45, 7.

209 - Sap 2, 23; Gn 1, 27.

210 - Sap 2, 23.

211 - 2 Cor 2, 15-16.

212 - Is 45, 7.

213 - Mt 7, 17.

214 - Dt 28, 56-57.

215 - Rm 1, 25.

216 - Rm 1, 26-27.

217 - Rm 1, 27.

218 - Cf. Es 7, 13.

219 - Rm 1, 28.

220 - 1 Cor 11, 19.

221 - Cf. Rm 9, 23.

222 - Gal 5, 12.

223 - Cf. Sap 3, 14.

224 - Mt 19, 21.

225 - CICERONE, De orat. 3, 41, 164.

226 - Cf. Dt 28, 56-57.

227 - Gv 6, 60.

228 - Gv 6. 56. 53.

229 - Cf. Dt 28, 56-57.