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Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Contro le due lettere dei Pelagiani: libro terzo

Sant'Agostino d'Ippona

Contro le due lettere dei Pelagiani: libro terzo
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Breve introduzione.

1. 1. Qui continuano ancora le calunnie che costoro scagliano contro di noi e non cominciano ancora a tessere le tesi della loro stessa dottrina. Ma per evitare che la prolissità dei volumi offendesse i lettori, abbiamo distribuito le loro obiezioni in due libri, dei quali, finito il precedente che è il secondo di tutta quest'opera, ne impostiamo da qui un altro e lo congiungiamo come terzo al primo e al secondo.

Accusa pelagiana sulla legge mosaica.

2. 2. Ci accusano di dire: "La legge dell'Antico Testamento non fu data per giustificare coloro che le obbedivano, ma per diventare causa di più grave peccato". Assolutamente non capiscono cosa diciamo noi della legge, perché diciamo quello che dice l'Apostolo che essi non capiscono. Chi dirà infatti che non sono giustificati coloro che obbediscono alla legge, quando non potrebbero obbedire alla legge se non fossero già giustificati? Ma noi diciamo: la legge fa udire cosa Dio vuole che sia fatto, la grazia invece fa obbedire alla legge. Poiché, dice l'Apostolo, non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati 1. La legge dunque fa uditori della giustizia, la grazia esecutori. Dice il medesimo Apostolo: Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio l'ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo spirito 2. Ecco quello che diciamo noi. Preghino di capire finalmente e non litighino con il pericolo di non capire perpetuamente. È impossibile infatti che la legge si possa osservare per mezzo della carne, cioè della presunzione carnale dei superbi che, ignorando la giustizia di Dio, ossia quella che viene da Dio all'uomo per essere giusto, e cercando di stabilire la propria, come se la legge si possa osservare con il loro arbitrio senza l'aiuto divino, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio 3. Perciò la giustizia della legge si adempie in coloro che non camminano secondo la carne, cioè secondo l'uomo che ignora la giustizia di Dio e cerca di stabilire la propria, ma camminano secondo lo spirito. Ora, chi altri cammina secondo lo spirito se non chi è guidato dallo Spirito di Dio? Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio 4. Dunque la lettera uccide, lo Spirito dà vita 5. Né la lettera è un male perché uccide, ma convince di trasgressione i cattivi. Infatti la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento 6. Ciò che è bene è allora diventato morte per me?, chiede l'Apostolo. E risponde: No davvero! È invece il peccato: esso per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento 7. Ecco che vuol dire: La lettera uccide. Infatti il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge 8. Acuisce appunto i desideri del peccato proibendo, ed è per questo che dà morte, se la grazia soccorrendo non dà vita.

La legge senza la grazia genera schiavitù.

2. 3. Ecco quello che diciamo, ecco perché ci rinfacciano di dire: "La legge è stata data perché sia causa di più grave peccato", non prestando essi orecchio all'Apostolo che dice: La legge infatti provoca l'ira; al contrario dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione 9, e ancora: La legge fu aggiunta per le trasgressioni fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa 10, e: Se fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo 11. Questa è la ragione per cui il Vecchio Testamento del monte Sinai dove fu data la legge genera nella schiavitù, rappresentata da Agar 12. Noi invece, afferma, non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera 13. Non sono pertanto figli della donna libera coloro che hanno ricevuto la legge della lettera, che li possa mostrare non solo peccatori, ma per giunta anche trasgressori, bensì coloro che hanno ricevuto lo spirito della grazia, con il quale si possa adempiere la stessa legge, santa, giusta e buona. Ecco quello che noi diciamo: intendano costoro e non contendano, s'illuminino e non calunnino.

Accusa pelagiana sulla perfetta purificazione battesimale.

3. 4. Scrivono di noi: Asseriscono pure che il battesimo non fa gli uomini veramente nuovi, cioè non dà la piena remissione dei peccati, ma sostengono che i battezzati diventano figli di Dio sotto un aspetto e rimangono figli del secolo, ossia del diavolo, sotto un altro. Costoro mentiscono, insidiano, cavillano. Non è questo che noi diciamo. Infatti tutti gli uomini che sono figli del diavolo li diciamo pure figli del secolo, ma non tutti i figli del secolo li diciamo pure figli del diavolo. Lungi da noi infatti il dire che sono stati figli del diavolo i santi patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe e gli altri simili a loro, quando generavano per mezzo delle nozze, e quei fedeli che generano finora e genereranno in seguito. Eppure non possiamo contraddire il Signore che dichiara: Sono i figli di questo secolo che prendono moglie e maritano le figlie 14. Certuni dunque sono figli di questo secolo senza essere figli del diavolo. Benché infatti il diavolo sia l'ispiratore e il principe di tutti i peccatori, non tutti i peccati però fanno figli del diavolo i peccatori. Peccano infatti anche i figli di Dio, perché, se dicono che sono senza peccato, ingannano se stessi e la verità non è in loro 15. Ma peccano per la condizione che li fa essere ancora figli di questo secolo, in forza invece della grazia che li fa essere figli di Dio non peccano certamente, perché chiunque è nato da Dio non commette peccato 16. Ora, a fare figli del diavolo è la mancanza di fede: un peccato questo che, quando non si specifica la qualità del peccato, si chiama peccato in senso così proprio come se fosse l'unico peccato. Come quando si dice l'Apostolo senza precisare quale apostolo, non s'intende se non Paolo, perché è più noto per il maggior numero di Lettere e perché ha faticato più di tutti gli altri 17. Perciò in quello che il Signore disse dello Spirito Santo: Egli convincerà il mondo quanto al peccato, volle che s'intendesse la mancanza di fede. E infatti spiegandolo disse: Quanto al peccato, perché non credono in me 18. Così pure nel testo: Se non fossi venuto e non avessi parlato a loro, non avrebbero alcun peccato 19. Non che prima non avessero il peccato, ma volle che s'intendesse il peccato della "diffidenza", a causa della quale non credettero a lui, benché fosse presente e parlasse, dimostrando così di appartenere al diavolo, del quale l'Apostolo dice: Seguendo il principe delle potenze dell'aria, che ora opera nei figli della diffidenza 20. Figli del diavolo sono dunque coloro che non hanno fede, perché nel loro intimo non c'è nulla per cui si rimettano ad essi tutti quei peccati che l'uomo commette o per debolezza o per ignoranza o addirittura per una qualche cattiva volontà umana. Verso i figli di Dio invece, i quali, se dicono d'esser senza peccato, certo ingannano se stessi e non hanno la verità dentro di sé, sicuramente, come seguita a dire Giovanni, "se riconoscono i propri peccati - e i figli del diavolo non lo fanno o lo fanno ma non con la fede che è propria dei figli di Dio -, il Signore è così fedele e giusto da rimettere a loro i peccati e purificarli da ogni colpa" 21. Ma perché si capisca più appieno quello che diciamo, si ascolti lo stesso Gesù che parlava certamente a figli di Dio quando diceva: Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano 22! Se infatti non fossero figli di Dio, non direbbe ad essi: Il Padre vostro che è nei cieli. E tuttavia dice che sono cattivi e che sanno dare cose buone ai loro figli. Cattivi forse e figli di Dio sotto il medesimo aspetto? Non sia mai! ma cattivi sotto l'aspetto per cui sono figli ancora del secolo, e tuttavia già fatti figli di Dio per il pegno dello Spirito Santo.

Il battesimo purifica da tutti i peccati originali o aggiunti.

3. 5. Il battesimo dunque lava, sì, da tutti i peccati, assolutamente da tutti: dai peccati delle opere, delle parole, dei pensieri; siano peccati originali, siano peccati aggiunti, siano peccati commessi per ignoranza, siano peccati commessi scientemente, ma non toglie la debolezza, alla quale il rigenerato non cede quando combatte la sua buona battaglia e viceversa cede quando come uomo è sorpreso da qualche colpa 23, godendo nel rendere grazie per non aver ceduto, gemendo nell'allegare orazioni per aver ceduto. Nel primo caso dice: Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato 24? Nel secondo caso dice: Rimetti a noi i nostri debiti 25. Per il beneficio dice: Ti amo, Signore, mia forza 26. Per la colpa: Pietà di me, Signore: vengo meno 27. Per la vittoria dice: Tengo i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede 28. Per la sconfitta dice: Per l'ira è turbato il mio occhio 29. E altre innumerevoli espressioni che riempiono le Scritture divine e che, nelle alterne vicende, o esultando dei beni dati da Dio o dolendoci dei mali fatti da noi, sono dette per ispirazione di fede dai figli di Dio finché continuano ad essere figli anche di questo secolo secondo la debolezza di questa vita. I quali tuttavia Dio li separa dai figli del diavolo 30 non solo con il lavacro della rigenerazione, ma anche con la probità della stessa fede che opera per mezzo della carità 31, poiché il giusto vive mediante la fede 32. Tale debolezza però, con la quale fino alla morte corporale combattiamo nell'alternanza di mancamenti e di avanzamenti - e conta parecchio che cosa vinca in noi -, sarà fatta finire dall'altra rigenerazione, della quale il Signore dice: Nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, sederete anche voi su dodici troni, ecc. 33. Rigenerazione appunto in questo luogo chiama - e nessuno ne dubita - la risurrezione finale, che l'apostolo Paolo denomina pure adozione e redenzione scrivendo: Ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo 34. Che forse non siamo stati rigenerati, adottati, redenti, per mezzo del santo lavacro? E tuttavia resta la rigenerazione, l'adozione e la redenzione che è ancora da venire al momento della fine e che adesso dobbiamo aspettare pazientemente per non essere più allora sotto nessun aspetto figli di questo secolo. Chiunque perciò detrae dal battesimo quello che riceviamo attualmente per mezzo di esso, corrompe la fede; chiunque poi attribuisce al battesimo già fin d'ora quello che riceveremo, sì, per mezzo di esso, ma alla fine, mutila la speranza. Se qualcuno infatti mi chiederà se siamo stati salvati per mezzo del battesimo, non lo potrò negare, dicendo l'Apostolo: Ci ha salvati mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo 35. Ma se mi domanderà se per mezzo del medesimo lavacro ci ha già salvati assolutamente sotto tutti gli aspetti, risponderò: Non è così. Lo stesso dice appunto il medesimo Apostolo: Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza: infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza 36. La salvezza dunque dell'uomo è stata fatta nel battesimo, perché è stato rimesso quello che di peccato ha contratto dai genitori o anche qualsiasi peccato che egli stesso abbia commesso personalmente prima del battesimo; ma alla fine la sua salvezza sarà tanta da non poter più peccare in nessun modo.

L'Antico Testamento figura del Nuovo.

4. 6. Poiché queste sono le nostre posizioni, da esse si confutano anche le obiezioni che ci muovono nel seguito. Chi tra i cattolici infatti potrà dire quello che costoro spargono come detto da noi: "Lo Spirito Santo nel Vecchio Testamento non ha prestato aiuto alla virtù" se non quando intendiamo il Vecchio Testamento nel senso in cui l'Apostolo ha detto: Quello del monte Sinai che genera nella schiavitù 37? Poiché però nel Vecchio Testamento era prefigurato il Nuovo, gli uomini di Dio che allora capivano questa verità, sebbene secondo la distribuzione dei tempi fossero senz'altro dispensatori e portatori del Vecchio Testamento, si mostrano tuttavia eredi del Nuovo. O forse negheremo l'appartenenza al Nuovo Testamento di colui che prega così: Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo 38? O di colui che dice: I miei piedi ha stabiliti sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi; mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, lode al nostro Dio 39? O del famoso padre dei credenti, che è anteriore al Vecchio Testamento del monte Sinai e del quale l'Apostolo scrive: Fratelli, ecco, vi faccio un esempio comune: un testamento legittimo, pur essendo solo un atto umano, nessuno lo dichiara nullo o vi aggiunge qualche cosa. Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura: - ai tuoi discendenti -, come se si trattasse di molti, ma: - e alla tua discendenza -, come a uno solo, cioè il Cristo. Poi dichiara: Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso non può dichiararlo nullo una legge che è venuta quattrocentotrent'anni dopo, annullando così la promessa. Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo mediante la promessa 40.

Il Nuovo Testamento occultato nell'Antico.

4. 7. Certamente se qui cerchiamo di sapere se in questo Testamento che, stabilito da Dio, l'Apostolo dice non annullato dalla legge, emanata quattrocentotrent'anni dopo, sia da intendersi quello Nuovo o quello Vecchio, chi dubiterà di rispondere: Quello Nuovo, ma occultato nelle oscurità profetiche, finché non arrivasse il tempo della sua rivelazione nel Cristo? Se infatti diremo: Quello Vecchio, che cosa sarà il Testamento del monte Sinai che genera nella schiavitù 41? Lassù infatti dopo quattrocentotrent'anni fu emanata la legge che l'Apostolo dichiara incapace d'annullare questo Testamento della promessa fatta ad Abramo; e la promessa fatta ad Abramo l'Apostolo vuole che sia riferita piuttosto a noi che vuole figli della donna libera e non della schiava, eredi per la promessa e non per la legge, quando dice: Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo mediante la promessa 42. Che dopo quattrocentotrent'anni sia stata fatta la legge vuol dire che essa sopraggiunse perché abbondasse la colpa, dal momento che attraverso il peccato della trasgressione si smaschera la superbia dell'uomo presuntuoso della propria giustizia: ma laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia 43 attraverso la fede dell'uomo già umile che, mancando nella legge, si rifugia nella misericordia di Dio. Perciò dopo aver detto: Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo mediante la promessa, come se gli si chiedesse: Perché mai dunque è stata fatta successivamente la legge? ha soggiunto domandandosi: Perché allora la legge? Al quale interrogativo dà immediatamente la risposta: Essa fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa 44. Lo dice ugualmente così: Poiché se diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede e nulla la promessa. La legge infatti provoca l'ira; al contrario dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione 45. Quello che dice nel passo: Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo mediante la promessa 46, lo ripete in questo passo: Poiché se diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede e nulla la promessa 47, facendo sufficientemente capire che alla nostra fede, la quale è certo del Nuovo Testamento, si riferisce il favore che Dio concesse ad Abramo mediante la promessa. E quello che ha detto nella domanda: Perché allora la legge? e nella risposta: Essa fu aggiunta per le trasgressioni 48, lo ripete similmente in questo luogo: La legge infatti provoca l'ira, al contrario dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione 49.

I giusti prima e dopo Abramo sono i figli della promessa.

4. 8. E Abramo dunque e i giusti prima di lui e i giusti dopo di lui fino allo stesso Mosè, per mezzo del quale fu dato il Testamento del monte Sinai che genera nella schiavitù, e tutti gli altri profeti dopo di lui e i santi uomini di Dio fino a Giovanni Battista sono figli della promessa e della grazia a somiglianza d'Isacco, figlio della donna libera, e non in base alla legge, ma in base alla promessa sono eredi di Dio e coeredi del Cristo. Lungi da noi infatti il negare che il giusto Noè e i giusti delle epoche precedenti e tutti i giusti che poterono esserci da lui fino ad Abramo, o manifesti o occulti, appartengano alla Gerusalemme di lassù che è la nostra madre 50, benché si trovino ad essere anteriori a Sara, la quale portava in sé la profezia e l'immagine della stessa nostra libera madre. Quanto più evidentemente sono dunque da ritenersi figli della promessa tutti coloro che piacquero a Dio dopo Abramo, al quale Dio fece la stessa promessa così da chiamarlo padre di una moltitudine di popoli 51! Non è infatti che da Abramo in poi si trovi più vera la generazione dei giusti, ma si trova più manifesta la profezia.

Nei giusti dell'Ant. Test. operava la fede per mezzo della carità.

4. 9. Appartengono invece al Vecchio Testamento, che è del monte Sinai e genera nella schiavitù, rappresentata da Agar 52, coloro che, avendo ricevuto una legge santa e giusta e buona, credono che possa bastare ad essi per la vita la lettera della legge e quindi non ricercano la misericordia divina che li faccia diventare esecutori della legge, ma, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio 53. A questa categoria appartenne quella moltitudine che nel deserto mormorò contro Dio e si costruì un idolo, e quella moltitudine che già in possesso della stessa terra promessa si prostituì agli dèi stranieri. Ma questa moltitudine fu fortemente riprovata anche nello stesso Vecchio Testamento. Inoltre costoro, tutti quelli che appartenevano a tale categoria in qualsiasi modo, andando dietro ai soli beni terreni promessi allora da Dio e ignorando che cosa essi significassero in ordine al Nuovo Testamento, osservavano i comandamenti di Dio per l'amore dell'acquisizione di quei beni e per il timore della loro perdita; anzi non li osservavano, ma sembrava ad essi d'osservarli. In loro infatti non operava la fede mediante la carità 54, ma la cupidità terrena e la timidità carnale. Ora, chi osserva i comandamenti in tale maniera, li osserva certamente contro voglia e quindi non li osserva nell'animo, perché stando alle sue brame e alle sue paure vorrebbe piuttosto non osservarli affatto, se fosse permesso impunemente. E per questo è reo nell'intimo della sua volontà, dove lo stesso Dio che comanda ben figge lo sguardo. Tali erano i figli della Gerusalemme terrena, della quale l'Apostolo scrive: È schiava insieme ai suoi figli, appartenendo essi al Vecchio Testamento del monte Sinai che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar 55. Alla stessa categoria appartennero coloro che crocifissero il Signore e rimasero nella medesima incredulità. Da quella parte stanno attualmente anche i loro figli, nella grandissima moltitudine dei Giudei, benché ormai, come fu profetato, il Nuovo Testamento sia stato manifestato e ratificato con il sangue del Cristo e il suo Vangelo sia stato fatto conoscere fino agli estremi paesi della terra, a partire dal fiume dove Gesù fu battezzato ed esercitò il suo magistero 56. I quali Giudei, secondo le profezie che hanno l'abitudine di leggere, sono dispersi dovunque in ogni parte della terra, perché non manchi alla verità cristiana una testimonianza anche dai loro codici.

Anche i cristiani sono tenuti a osservare il decalogo.

4. 10. Anche il Vecchio Testamento fu dunque istituito da Dio, perché piacque a Dio di velare fino alla pienezza del tempo con promesse di beni terreni, posti come in premio, le promesse celesti, e di dare una legge spirituale, sì, ma tuttavia in tavole di pietra, ad un popolo che smaniava per i beni della terra e aveva perciò un cuore duro 57. Eccettuati appunto nei Libri antichi i sacramenti, che furono comandati per sola ragione simbolica - sebbene la legge giustamente si dica spirituale anche in tali sacramenti, poiché devono intendersi in modo spirituale -, è certo che tutte le altre prescrizioni concernenti la pietà e la morale non sono da ridursi per nessuna interpretazione a un qualche senso simbolico, ma sono assolutamente da osservarsi così come sono state espresse. Che quella legge di Dio non solo al popolo di allora, ma anche a noi di ora sia necessaria per governare in modo utile la vita, nessuno sicuramente ne dubiterà. Infatti il Cristo ci ha tolto il gravissimo giogo di molte osservanze: di non essere circoncisi nella carne, di non immolare vittime di animali, di non astenerci dalle opere anche necessarie ogni sabato che torna ogni settimana sulla ruota dei giorni, e di altre simili, ma le conserviamo intendendole spiritualmente e, rimosse le ombre dei simboli, stiamo attenti a cogliere la luce delle stesse realtà che sono significate. Ma ci autorizza forse per questo a dire che non ci riguarda la norma scritta che ciascuno, se trova una qualsiasi cosa perduta da altri, la restituisca a chi l'ha perduta 58, e molte altre norme simili dalle quali s'impara a vivere piamente e onestamente, e soprattutto lo stesso Decalogo, contenuto in quelle due tavole di pietra, fuorché l'osservanza materiale del sabato, che significa la santificazione e la quiete spirituale 59? Chi infatti dirà che i cristiani non sono tenuti a servire con l'ossequio della religione a Dio soltanto, a non adorare gli idoli, a non nominare invano il nome di Dio, a onorare i genitori, a non commettere adultèri, omicidi, furti, false testimonianze, a non desiderare la moglie e assolutamente nessuna cosa altrui 60? Chi è tanto empio da dire che questi precetti della legge non li osserva precisamente per il fatto che è cristiano né si trova a vivere sotto la legge, ma sotto la grazia 61?

Chi si fa asservire dal timore carnale e dalla cupidigia terrena appartiene all'Antico Testamento.

4. 11. Ma qui c'è palesemente una grande differenza: coloro che vivono sotto la legge e che la lettera uccide 62, osservano tali comandamenti per la bramosia di raggiungere la felicità terrena o per la paura di perderla, e in tanto non li osservano veramente in quanto la cupidità carnale, che fa piuttosto variare e aumentare il peccato, non è risanata dall'altra cupidità. Costoro appartengono al Vecchio Testamento che genera nella schiavitù, perché li rende schiavi la paura e la cupidità carnale, e non li rende liberi la fede, la speranza, la carità evangelica 63. Coloro invece che vivono sotto la grazia e ai quali dà vita lo Spirito 64, osservano i comandamenti in forza della fede che opera mediante la carità, con la speranza di beni non carnali ma spirituali, non terreni ma celesti, non temporali ma eterni, e soprattutto credendo nel Mediatore, per mezzo del quale non dubitano e che si somministri ad essi lo spirito della grazia per osservare bene i comandamenti e possa perdonarsi ad essi se peccano. Costoro appartengono al Nuovo Testamento, figli della promessa, rigenerati da un padre che è Dio e da una madre che è libera. A questa categoria appartennero tutti i giusti dell'antichità e lo stesso Mosè, ministro del Vecchio Testamento ed erede del Nuovo, perché vissero mediante l'unica e medesima fede mediante la quale viviamo noi, credendo venture l'incarnazione, la passione e la risurrezione del Cristo, come noi le crediamo venute. Tale categoria giunge fino allo stesso Giovanni Battista, limite per così dire della provvidenza del passato, il quale non ha indicato l'avvento dello stesso Mediatore con qualche adombrazione dell'avvenire o con qualche significazione allegorica o con qualche predizione profetica, ma l'ha mostrato a dito dicendo: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo 65, quasi per dire: "Colui che molti giusti ebbero il desiderio di vedere 66, colui che fino dall'inizio del genere umano credettero venturo, colui che fu promesso ad Abramo, colui del quale scrisse Mosè 67, colui del quale sono testimoni la Legge e i Profeti 68, eccolo: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo". Da questo Giovanni in poi cominciarono a farsi passati o presenti gli avvenimenti riguardanti il Cristo che da tutti quei giusti del tempo antico si credevano, si speravano, si desideravano futuri. C'è dunque la medesima fede e in coloro che già furono cristiani antecedentemente, non ancora di nome ma di fatto, e in questi di oggi che non lo sono soltanto ma anche si chiamano cristiani, e in tutti, di un tempo e dell'altro, c'è la medesima grazia per mezzo dello Spirito Santo. L'Apostolo scrive per questo: Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: - Ho creduto, perciò ho parlato -, anche noi crediamo e perciò parliamo 69.

Le diverse denominazioni dell'Ant. Testamento.

4. 12. In un senso dunque si dice Antico Testamento, per l'abitudine del linguaggio che ormai si tiene, l'insieme della Legge e dei Profeti che profetarono fino a Giovanni - e questo insieme sarebbe più appropriato chiamarlo Vecchio Insegnamento che Vecchio Testamento -; in un altro senso poi si dice Vecchio Testamento nel modo in cui lo chiama così l'autorità dell'Apostolo, sia adoperando esplicitamente questo vocabolo, sia alludendo implicitamente al Vecchio Testamento. L'adopera esplicitamente infatti dove dice: Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore nella lettura del Vecchio Testamento, non essendo ancora rimosso, poiché è solo nel Cristo che il velo viene eliminato 70. In questo modo infatti mette molto evidentemente il Vecchio Testamento in relazione al ministero di Mosè. Implicitamente nello stesso senso dice: Per servire nel regime nuovo dello Spirito e non nel vecchio regime della lettera 71, alludendo al medesimo Vecchio Testamento con il nome di lettera 72. Lo stesso quando altrove scrive: Dio ci ha resi ministri adatti di un Nuovo Testamento, non della lettera, ma dello Spirito, perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita 73. Anche qui nel nominare il Nuovo Testamento ha voluto certamente che si pensasse al Vecchio Testamento. Ma molto più evidentemente, pur senza dire né Vecchio né Nuovo, ha distinto gli stessi due Testamenti nei due figli di Abramo, l'uno nato da una donna schiava e l'altro da una donna libera: è un fatto che abbiamo già ricordato più sopra. Che cosa infatti di più esplicito di questo suo modo di parlare? Scrive: Ditemi. Voi che volete essere sotto la legge, non sentiste forse cosa dice la legge? Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. Ma quello dalla schiava è nato secondo la carne; quello dalla donna libera, in virtù della promessa. Ora, tali cose sono state dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano i due Testamenti; uno, quello del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar - il Sinai è un monte dell'Arabia -; esso corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli. Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre 74. Che cosa di più chiaro, di più certo, di più lontano da ogni oscurità e ambiguità? E poco dopo dice: Ora noi, fratelli, siamo i figli della promessa alla maniera di Isacco 75. Lo stesso ancora un poco dopo: Fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera. Il Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi 76. Scegliamo dunque: se dire gli antichi giusti figli della donna schiava oppure della donna libera. Non sia mai che diciamo della donna schiava. Se dunque della donna libera, essi appartengono al Nuovo Testamento nello Spirito Santo, che l'Apostolo oppone come datore di vita alla lettera datrice di morte. Per quale ragione infatti non apparterrebbero alla grazia del Nuovo Testamento costoro le cui parole e libri ci servono a confutare e convincere i più dementi e ingrati nemici della medesima grazia?

Anche per i giusti dell'Ant. Test. la virtù fu un dono dello Spirito Santo.

4. 13. Ma domanderà qualcuno: Perché si chiama Vecchio il Testamento che fu fatto per mezzo di Mosè quattrocentotrent'anni dopo Abramo e si dice Nuovo il Testamento che fu dato con Abramo tanti anni prima? Chi è mosso da questa difficoltà, non per litigare ma per indagare, comprenda prima di tutto che nel dire Vecchio Testamento quello che viene da un tempo anteriore e Nuovo Testamento quello che viene da un tempo posteriore, si considerano in queste denominazioni le rivelazioni e non le istituzioni dei due Testamenti. Il Vecchio Testamento fu rivelato appunto per mezzo di Mosè, mediante il quale fu data la legge, santa e giusta e buona 77, destinata non all'abolizione del peccato, ma alla sua cognizione, destinata a disingannare i superbi, che cercavano di stabilire la propria giustizia, come se non avessero bisogno dell'aiuto di Dio, e farli ricorrere, divenuti rei della lettera, allo spirito della grazia, per essere giustificati non dalla giustizia propria, ma dalla giustizia di Dio, cioè da quella che veniva a loro da Dio. Lo dice l'Apostolo: Per mezzo della legge si ha solo la cognizione del peccato. Ora invece, indipendentemente dalla legge si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti 78. La legge appunto, per il fatto stesso che nessuno in essa viene giustificato, testimonia la giustizia di Dio. Infatti che nessuno possa giustificarsi davanti a Dio per la legge risulta dal.fatto che il giusto vive in virtù della fede 79. Così dunque la legge, non giustificando l'empio, convinto di trasgressione, lo rimanda a Dio che giustifica, e in tal modo rende testimonianza alla giustizia di Dio. Quanto poi ai Profeti, essi rendono testimonianza alla giustizia di Dio preannunziando il Cristo, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: Chi si vanta si vanti nel Signore 80. Questa legge però era occulta all'inizio, quando la natura stessa convinceva di peccato gli uomini malvagi, che facevano agli altri ciò che non avrebbero voluto per sé. La rivelazione poi del Nuovo Testamento è stata fatta nel Cristo, quando egli si manifestò nella carne 81 e in lui apparve la giustizia di Dio, cioè quella che viene agli uomini da Dio. È infatti per questo che dice: Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio 82. Ecco per quale ragione l'uno si chiama Vecchio Testamento: perché fu rivelato anteriormente; e l'altro si chiama Nuovo Testamento: perché fu rivelato posteriormente. Un'altra ragione è che il Vecchio Testamento spetta all'uomo vecchio, dal quale deve necessariamente cominciare l'uomo, e il Nuovo Testamento spetta invece all'uomo nuovo al quale l'uomo deve passare dal suo vecchio regime. Perciò nel primo ci sono promesse terrene, nel secondo promesse celesti, perché anche questo rientra nella misericordia di Dio: che la stessa felicità terrena, qualunque essa sia, non si ritenga che possa essere conferita a chicchessia da nessuno tranne che da Dio, creatore dell'universo. Ma se è per questa felicità che si onora Dio, allora il culto è servile e proprio dei figli della donna schiava; se invece Dio si onora per lui stesso, perché nella vita eterna Dio sia tutto in tutti 83, allora il culto di Dio è servitù liberale, propria dei figli della donna libera, che è la nostra madre eterna nei cieli. La quale appariva prima come se fosse sterile, quando non aveva figli visibili; ma ora vediamo la realtà di ciò che fu profetato di lei: Esulta, o sterile che non hai mai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia, tu che non hai provato i dolori, perché più sono i figli dell'abbandonata che i figli della maritata 84, cioè più numerosi dei figli di quella Gerusalemme che fu maritata per modo di dire sotto il vincolo della legge ed è schiava insieme ai suoi figli. Noi dunque diciamo che lo Spirito Santo al tempo del Vecchio Testamento in coloro che anche allora erano figli della promessa a somiglianza d'Isacco fu non solo il collaboratore della virtù, come costoro ritengono sufficiente al proprio dogma, ma fu anche il donatore della virtù; e ciò essi negano, perché attribuiscono la virtù piuttosto al libero arbitrio, contraddetti dai padri, che a Dio sapevano gridare con sincera pietà: Ti amo, Signore, mia virtù 85!

Accusa pelagiana sulla santità dei Profeti e degli Apostoli.

5. 14. Un'altra accusa è che "tutti gli Apostoli o Profeti non sono ritenuti da noi pienamente santi, ma meno cattivi a confronto di persone peggiori, e questa è la giustizia alla quale rende testimonianza Dio: come il Profeta 86 dichiara giustificata Sodoma a confronto dei Giudei, così anche noi a confronto degli scellerati diciamo che i santi hanno esercitato una qualche virtù". Lungi da noi il dirlo, ma costoro o non arrivano a capire o non vogliono avvertire e per amore di calunnia dissimulano di sapere ciò che diciamo noi. Ascoltino dunque o essi stessi o piuttosto coloro che essi tramano d'ingannare, perché semplici e non istruiti. La nostra fede, cioè la fede cattolica, distingue i giusti dagli ingiusti non in base alla legge delle opere, ma in base alla legge della stessa fede, perché il giusto vive mediante la fede 87. A cosa porta questo criterio distintivo? Ecco un uomo che conduce una vita senza omicidio, senza furto, senza falsa testimonianza, senza desiderio di nessuna cosa altrui; che rende ai genitori l'onore dovuto, che è così casto da contenersi assolutamente da ogni unione anche nel matrimonio, che è generosissimo nelle elemosine, pazientissimo delle offese, che non solo non prende quello che è degli altri ma non richiede nemmeno il suo se gli è stato preso o che, dopo aver venduto tutte le sue sostanze e averle distribuite ai poveri, non possiede più nulla di suo; ebbene, se costui con sì lodevoli costumi non ha la fede retta e cattolica in Dio, parte da questa vita per essere condannato. Viceversa un altro pratica, sì, le buone opere in forza della fede retta, la quale agisce mediante la carità, ma tuttavia non è al medesimo livello morale del primo, affida la sua incontinenza all'onestà delle nozze concedendo ed esigendo il debito del coniugio carnale, né si unisce soltanto per la procreazione ma anche per il piacere, benché unicamente con la propria moglie, come l'Apostolo concede per venia ai coniugati 88; non subisce le offese con tanta pazienza, ma nell'ira si lascia trasportare dal desiderio di vendicarsi e tuttavia perdona se lo pregano per poter dire: Come noi li rimettiamo ai nostri debitori 89; ha un suo patrimonio e ne usa, sì, per fare delle elemosine, benché non così larghe come l'altro; non si appropria di cose altrui ma rivendica le proprie, anche se presso un tribunale ecclesiastico e non civile: ebbene, costui che moralmente sembra inferiore al primo, per la retta fede che ha in Dio e mediante la quale vive e secondo la quale in tutte le sue mancanze accusa se stesso e in tutte le sue opere buone loda Dio, attribuendo a sé l'ignominia e a Dio la gloria, ricevendo da Dio sia l'indulgenza dei peccati, sia l'amore delle rette azioni, costui, dico, emigrerà da questa vita per essere liberato e per essere accolto nella società di coloro che regneranno con il Cristo. Per quale ragione se non per la fede? Sebbene questa non salvi nessuno senza le opere - fede non reproba è una fede che opera mediante la carità -, tuttavia per mezzo di essa si sciolgono anche i peccati, perché il giusto vive mediante la fede 90; senza la fede invece si cambiano in peccati anche le opere che sembrano buone: tutto quello infatti che non viene dalla fede è peccato 91. E a causa di questa grandissima differenza avviene che, pur essendo per consenso di tutti l'integrità verginale perseverante migliore della castità coniugale, tuttavia una donna cattolica, anche sposata per la seconda volta, si preferisce ad una vergine professa eretica; né si preferisce così da essere migliore di lei nel regno di Dio, ma così che l'altra non sia affatto nel regno di Dio. Infatti anche quel cristiano che abbiamo descritto come di moralità più alta, supera l'altro se possiede la retta fede, ma ambedue si troveranno nel regno di Dio; se invece gli manca la fede, è così superato dall'altro da non essere nel regno di Dio.

La perfezione possibile in questa vita.

5. 15. Poiché dunque tutti i giusti, siano quelli più antichi o siano gli Apostoli, vissero mediante la retta fede che si ha nel Cristo Gesù, nostro Signore, e poiché insieme alla fede ebbero una condotta morale tanto santa che, sebbene non abbiano potuto essere in questa vita di una virtù così perfetta come quella che ci sarà dopo questa vita, tuttavia ogni infiltrazione peccaminosa dovuta alla debolezza umana veniva subito eliminata mediante la pietà della fede stessa, com'è possibile che li dobbiamo dire giusti a confronto dei cattivi che Dio condannerà, quando per la pietà della loro fede, in direzione opposta a quella degli empi, sono così lontani da loro che l'Apostolo grida: Che ha di comune il fedele con l'infedele 92? Ma evidentemente ai nuovi eretici pelagiani sembra di amare e di lodare scrupolosamente i santi se non si azzardano a dire che furono imperfetti nella virtù, mentre lo riconosce il Vaso di elezione 93, il quale, considerando dove stesse ancora e come il corpo corruttibile appesantisce l'anima 94, afferma: Non che io abbia già conquistato il premio o sia arrivato alla perfezione. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto 95. E tuttavia, poco dopo che ha dichiarato di non esser perfetto, dice: Quanti dunque siamo perfetti dobbiamo avere questi sentimenti 96, per dimostrare che una qualche perfezione esiste secondo lo stato di questa vita e che a tale perfezione si fa appartenere anche la consapevolezza di ciascuno di non essere ancora perfetto. Che cosa infatti di più perfetto, che cosa di più eccellente dei santi sacerdoti nel popolo antico? E tuttavia Dio comandò ad essi d'offrire prima d'ogni altro sacrificio il sacrificio per i propri peccati 97. E che cosa di più santo degli Apostoli nel popolo nuovo? E tuttavia il Signore comandò ad essi di dire nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti 98. Di tutte le persone pie dunque che gemono sotto il peso di questa carne corruttibile e nella debolezza della vita presente una sola è la speranza: Abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto, ed egli è la vittima di espiazione per i nostri peccati 99.

La perfetta santità di Cristo.

6. 16. Non hanno questo avvocato 100 coloro che sono distanti dai giusti in lungo e in largo - fosse anche questa sola la differenza -. Il quale giusto avvocato lungi da noi l'affermare, come costoro ci accusano di dire: "per necessità della carne ha mentito". Ma noi diciamo che in una carne simile a quella del peccato e con il peccato egli ha condannato il peccato nella carne 101. Il che forse non intendendo costoro e accecati dalla smania di calunniare, ignorando in quanti sensi diversi compaia il nome di peccato nelle Scritture sante, spargono che noi affermiamo nel Cristo il peccato. A tal proposito noi diciamo che il Cristo e non ebbe nessun peccato né nell'anima né nella carne e che, assumendo una carne simile a quella del peccato, con il peccato, condannò il peccato. Il termine peccato, usato dall'Apostolo con una certa oscurità, si spiega in due modi: o perché si è soliti denominare le immagini con i nomi delle realtà che rappresentano, così da intendere che l'Apostolo abbia voluto chiamare peccato la stessa carne somigliante alla carne del peccato; o perché i sacrifici per i peccati si chiamavano peccati nella Legge. Tutti i sacrifici per i peccati furono figure della carne del Cristo, la quale è il vero ed unico sacrificio per i peccati, non solo per quelli che sono distrutti universalmente nel battesimo, ma anche per quelli che successivamente si insinuano per la debolezza di questa vita. Per essi ogni giorno la Chiesa universalmente grida a Dio nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti; e ci vengono rimessi mediante il singolare sacrificio per i peccati che l'Apostolo parlando secondo la Legge non ha esitato a chiamare peccato. Dal che viene anche quest'altro suo passo, molto più evidente, né incerto per la presenza di un qualsiasi bivio di qualsiasi ambiguità: Vi supplico in nome del Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio 102. Infatti la frase che ho ricordato più sopra: Con il peccato ha condannato il peccato, non essendo stato detto: Con il suo peccato, qualcuno la può intendere nel senso che Paolo dica: Ha condannato il peccato con il peccato dei Giudei, perché a causa del peccato di coloro che crocifissero Gesù avvenne che egli versò il suo sangue per la remissione dei peccati; la frase invece dove si dice che Dio trattò da peccato lo stesso Cristo che non aveva conosciuto peccato, non mi sembra più conveniente intenderla in nessun modo che in questo: Il Cristo fu fatto sacrificio per i peccati, e questa è la ragione per cui fu chiamato peccato.

La perfezione nella vita presente e in quella futura

7. 17. Chi poi sopporterà che costoro ci rinfaccino di dire che "dopo la risurrezione ci saranno tali progressi che allora gli uomini cominceranno ad osservare i comandamenti di Dio che non hanno voluto osservare in questa vita", poiché diciamo che là non vi sarà più nessun peccato, né conflitto con una qualche cupidigia di peccato, quasi che essi osassero negarlo? Che anche la sapienza e la conoscenza di Dio saranno allora perfette in noi e che nel Signore avremo tale carica di esultanza che essa sarà la nostra vera e piena sicurezza, chi lo negherà all'infuori di chi sia così avverso alla verità da non poter giungere per questo a tale carica d'esultanza? Ma la sapienza e la conoscenza di Dio non saranno allora dei comandamenti per noi, bensì il premio dei comandamenti che dobbiamo adesso osservare. Certo il disprezzo di questi comandamenti non conduce al premio dell'aldilà, ma qui la grazia di Dio dona la sollecitudine d'osservare i comandamenti. La qual grazia anche ci perdona, se qualcosa in questi precetti è osservato un po' meno del dovuto, e per questo nell'orazione diciamo: Sia fatta la tua volontà, e: Rimetti a noi i nostri debiti 103. Qui dunque c'è il precetto di non peccare, là ci sarà il premio di non poter più peccare. Qui c'è il precetto di non obbedire ai desideri del peccato 104, là ci sarà il premio di non avere desideri di peccato. Qui c'è il comandamento: Comprendete, dunque, insensati tra il popolo e voi, stolti, imparate una volta! 105 Là ci sarà per premio la sapienza piena e la conoscenza perfetta. Perché, dice l'Apostolo, ora vediamo come in uno specchio, in una maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente come anch'io sono conosciuto 106. Qui c'è il comandamento: Esultate in Dio, nostra forza 107, e ancora: Esultate, giusti, nel Signore 108, là ci sarà il premio d'esultare di un gaudio perfetto e ineffabile 109. Infine nel comandamento è stabilito: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, ma nel premio è stabilito: Perché saranno saziati 110. Di che, domando, saranno saziati, se non della giustizia della quale hanno fame e sete? Chi dunque si opporrà non solo al sentimento divino, ma anche a quello umano così da dire che nell'uomo può esserci tanta giustizia ora che ne ha fame e sete quanta ne avrà allora quando ne sarà saziato? Quando però abbiamo fame e sete della giustizia, di che dobbiamo credere d'aver fame e sete se non del Cristo, se la fede del Cristo è vigile in noi? Il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: Chi si vanta si vanti nel Signore 111. E poiché adesso crediamo in lui senza vederlo, proprio per questo abbiamo fame e sete della giustizia. Infatti finché abitiamo nel corpo, siamo in esilio lontani dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora nella visione 112. Quando lo vedremo, nel raggiungimento della visione, esulteremo d'inenarrabile gaudio 113, e allora saremo saziati della giustizia, poiché ora diciamo al Signore con pio desiderio: Sarò saziato, quando si manifesterà la tua gloria 114.

La perfezione raggiunta dall'apostolo Paolo.

7. 18. Quanto è poi non dico superbia sfacciata, ma pazzesca, non essere ancora pari agli angeli di Dio e credere di poter avere già una giustizia pari a quella degli angeli di Dio, né guardare ad un uomo tanto grande e santo, che aveva certamente fame e sete della perfezione della giustizia, quando non voleva insuperbirsi della grandezza delle rivelazioni, e che tuttavia, perché non si inorgoglisse, non fu lasciato al suo arbitrio e alla sua volontà, ma ricevé una spina nella carne, un messo di satana che lo schiaffeggiasse, e per questo pregò tre volte il Signore che l'allontanasse da lui e il Signore gli rispose. Ti basta la mia grazia: la virtù infatti si manifesta pienamente nella debolezza 115. Quale virtù se non quella cui spetta di non insuperbirsi? E chi dubita che questo spetti alla giustizia? Della perfezione dunque di questa giustizia sono dotati gli angeli di Dio che vedono sempre il volto del Padre 116 e quindi di tutta la Trinità, perché vedono per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Ora, non c'è nulla di più sublime di questa rivelazione e tuttavia nessuno degli angeli festanti di quella contemplazione ha bisogno d'un messo di satana che lo schiaffeggi, perché non lo faccia montare in superbia tanta grandezza di rivelazione. Questa perfezione di virtù mancava evidentemente all'apostolo Paolo, non ancora pari agli angeli, ma c'era in lui la debolezza di montare in superbia, da reprimersi anche per mezzo di un messo di satana, perché egli non s'insuperbisse per la grandezza delle rivelazioni. Sebbene dunque ad abbattere lo stesso satana sia stato il primo colpo di orgoglio 117, tuttavia quel sommo Medico che sa servirsi bene anche dei mali fu per mezzo di un messo di satana che apprestò contro il vizio dell'orgoglio un medicamento salutare, benché molesto, come anche l'antidoto contro il veleno dei serpenti si suole estrarre dai serpenti. Qual è dunque il senso della frase: Ti basta la mia grazia, se non questo: Perché tu non soccomba per debolezza sotto lo schiaffo del messo di satana? E quale il senso della frase: La virtù si manifesta pienamente nella debolezza, se non questo: Nel presente mondo di debolezza ci può esser tanta poca perfezione di virtù che la superbia debba essere repressa dalla stessa presenza della debolezza? La quale debolezza sarà sicuramente risanata dall'immortalità futura. Come infatti deve dirsi piena qui la sanità dove è ancora necessario prendere la medicina anche dallo schiaffo d'un messo di satana?

Paolo fu un perfetto viator.

7. 19. Da questo è sorta l'abitudine che la virtù in possesso dell'uomo giusto in questa vita in tanto si dica perfetta in quanto nella sua perfezione rientri anche e la conoscenza verace e la confessione umile della sua imperfezione. Allora infatti, secondo la debolezza attuale, è a suo modo perfetta questa nostra piccola giustizia quando riesce anche a capire quello che le manca. Perciò l'Apostolo dice se stesso e imperfetto e perfetto 118: cioè imperfetto pensando a quanto gli manca per la giustizia, della cui pienezza ha fame e sete ancora; perfetto invece, e perché non arrossisce di confessare la sua imperfezione e perché avanza di buon passo per raggiungere la perfezione. Alla stessa maniera possiamo dire che è perfetto un viandante il cui procedere è buono, sebbene il suo intendimento non si realizzi appieno se non nel raggiungimento della meta. Per questo, dopo aver detto: Irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge 119, Paolo continua subito: Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo del Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza del Cristo Gesù nostro Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose, e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare il Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede nel Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede 120. Ecco, l'Apostolo dice certamente senza mentire d'essere stato inappuntabile secondo la giustizia legale, e tuttavia rifiuta per il Cristo quanto per lui era stato un guadagno, e stima danno, perdita, sterco non solo queste cose, ma anche tutte le altre cose che ha rammentate sopra, non di fronte ad una conoscenza qualsiasi, bensì di fronte alla sublimità della conoscenza del Cristo Gesù nostro Signore, com'egli si esprime, conoscenza che senza dubbio aveva ancora in fede e non ancora in visione. Allora infatti sarà sublime la conoscenza del Cristo quando egli sarà così svelato che sia veduto quello che è creduto. Per questo in un altro passo dice così: Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con il Cristo in Dio. Quando si manifesterà il Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria 121. E lo stesso Signore dice in proposito: Chi mi ama, sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui 122. L'evangelista Giovanni scrive nello stesso senso: Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è 123. Allora sarà sublime la conoscenza del Cristo. Per ora infatti c'è essa certamente nascosta nella fede, ma non apparisce ancora sublime nella visione.

La giustizia secondo lo spirito viene da Dio.

7. 20. Il beato Paolo dunque butta via la ricchezza della sua giustizia di prima come danno e sterco al fine di guadagnarsi il Cristo e d'esser trovato in lui, non con una sua giustizia che deriva dalla legge. Perché sua, se deriva dalla legge? Non è vero infatti che quella legge non derivi da Dio: chi l'ha detto all'infuori di Marcione, di Manicheo e di altre simili pesti? Pur derivando dunque da Dio quella legge, dice sua la giustizia che deriva dalla legge, e non vuole avere questa sua giustizia, ma la butta via come sterco. Perché così se non in base alla verità che abbiamo mostrata anche più sopra: sono sotto la legge coloro che, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio 124? Credono infatti di osservare con le forze del loro arbitrio la legge che comanda e, legati da questa superbia, non si convertono alla grazia che aiuta. Così li uccide la lettera 125: o perché, consapevolmente rei anche di fronte a se stessi, non fanno ciò che comanda; o perché credono di farlo, ma non lo fanno con la carità spirituale che viene da Dio. Così restano o consapevolmente ingiusti o illusoriamente giusti, evidentemente sfrontati nell'ingiustizia cosciente, insipientemente esaltati nella giustizia fallace. E per questo, in modo certamente paradossale ma vero, la giustizia della legge non si adempie con la giustizia che sta nella legge o che deriva dalla legge, bensì con la giustizia che sta nello spirito della grazia. La giustizia della legge si adempie appunto in coloro che, com'è scritto, non camminano secondo la carne, ma secondo lo Spirito 126. Ora, secondo la giustizia che sta nella legge, l'Apostolo dice d'essere stato irreprensibile nella carne, non nello spirito, e la giustizia che deriva dalla legge la dice sua e non di Dio 127. Si deve dunque intendere che la giustizia della legge non si adempie secondo la giustizia che sta nella legge o che deriva dalla legge, ossia secondo la giustizia dell'uomo, ma secondo la giustizia che sta nello spirito della grazia, dunque secondo la giustizia di Dio, ossia secondo quella giustizia che viene all'uomo da Dio. Lo si può dire in maniera più piana e più breve così: La giustizia della legge non si adempie quando la legge comanda e l'uomo, quasi lo facesse con le proprie forze, la manda in esecuzione, bensì quando lo Spirito aiuta e la volontà dell'uomo, non libera ma liberata dalla grazia di Dio, manda in esecuzione quello che comanda la legge. Giustizia della legge è dunque comandare ciò che piace a Dio e vietare ciò che gli dispiace; giustizia che sta nella legge è invece servire la lettera della legge e non cercare fuori di essa nessun aiuto di Dio per vivere rettamente. Infatti, dopo aver detto: Non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede nel Cristo, aggiunge: Cioè con la giustizia che deriva da Dio 128. Questa stessa è dunque la giustizia di Dio che i superbi, ignorandola, vogliono sostituire con la propria 129. La ragione infatti per cui si dice giustizia di Dio non è perché di essa è giusto Dio, ma perché viene all'uomo da Dio.

L'Apostolo finché visse tendeva alla pienezza della carità.

7. 21. Ma secondo questa giustizia di Dio, cioè quella che viene a noi da Dio, la fede di ora opera mediante la carità 130. Opera poi perché l'uomo arrivi a colui nel quale per ora crede senza vederlo, e quando lo vedrà allora ciò che era nella fede come in uno specchio e in maniera confusa sarà già nella visione faccia a faccia 131; allora toccherà la sua perfezione anche lo stesso amore. Sarebbe appunto troppo sciocco dire che Dio tanto si ami adesso che non si vede quanto si amerà quando si vedrà. Ebbene, se in questa vita, come non ne dubita nessuna persona pia, quanto più amiamo Dio tanto più siamo giusti, chi potrebbe contestare che la giustizia pia e vera raggiungerà allora la sua perfezione quando sarà nella sua perfezione l'amore di Dio? Allora dunque si adempirà così che non le manchi assolutamente nulla la legge, il cui pieno compimento, secondo l'Apostolo, è l'amore 132. Perciò, dopo aver detto: Non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede nel Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio basata sulla fede, aggiunge: E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione e la partecipazione alle sue sofferenze 133. Tutte queste realtà non erano ancora nell'Apostolo piene e perfette, ma egli correva come un corridore sulla buona strada verso la loro pienezza e perfezione. In che modo infatti conosceva già perfettamente il Cristo lui che in un altro luogo dice: Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto 134? E in che modo conosceva già perfettamente la potenza della sua risurrezione lui al quale restava di conoscerla più appieno sperimentandola al tempo della risurrezione della carne? E in che modo conosceva già perfettamente la partecipazione alle sue sofferenze lui che non aveva ancora sperimentato la passione della morte per il Signore? Poi aggiunge e dice: Con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti 135. E dopo dice: Non però che io abbia già conquistato il premio o che sia ormai arrivato alla perfezione 136. Che è dunque ciò che confessa di non avere ancora conquistato e ciò dove non si sente ancora perfetto se non quella giustizia che deriva da Dio, desiderando la quale non voleva avere la sua derivante dalla legge? Di questo infatti parlava e questo fu per lui il motivo di dire tali verità, resistendo ai nemici della grazia di Dio, per la cui elargizione il Cristo è stato crocifisso. Alla risma di quelli appartengono anche questi.

Sono nemici della croce di Cristo coloro che pretendono stabilire una propria giustizia.

7. 22. Nel capitolo infatti dove ha preso a fare queste affermazioni ha esordito: Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno circoncidere! Siamo infatti noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio, o, come hanno alcuni codici: serviamo allo Spirito che è Dio, oppure: serviamo allo spirito di Dio e ci gloriamo nel Cristo Gesù, senza avere fiducia nella carne 137. Di qui si fa chiaro che egli parla contro i Giudei, i quali, osservando carnalmente la legge e volendo stabilire la propria giustizia, rimanevano uccisi dalla lettera, non ricevevano la vita dallo Spirito e si vantavano di sé, mentre gli Apostoli e tutti i figli della promessa si vantano nel Cristo. Poi soggiunge: Sebbene io possa vantarmi anche nella carne. Se alcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui 138. E nella enumerazione di tutte le cose che hanno merito secondo la carne termina con il dire: Irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge 139. E avendo poi detto che per guadagnarsi il Cristo tutte queste cose erano diventate per lui assolutamente danno, perdita e sterco, aggiunge l'argomento di cui trattiamo: Essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede nel Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio 140. Di questa giustizia dunque ha confessato di non aver raggiunto ancora la perfezione, che non ci sarà se non in quella sublime conoscenza del Cristo, per la quale ha detto che tutto era un danno per lui, e quindi confessa di non essere ancora perfetto. Solo mi sforzo, dice, di correre per conquistare Gesù Cristo, perché anch'io sono stato conquistato da lui 141. Le parole: Conquistare, perché anch'io sono stato conquistato equivalgono alle altre: Conoscerò perfettamente come anch'io sono stato conosciuto. Scrive: Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, nel Cristo Gesù 142. La logica delle parole è tutta qui: Ad una meta sola io corro dietro. Della quale unica meta ben s'intende che anche il Signore ammonì Marta dove disse: Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno 143. Quest'unica meta volendo raggiungere Paolo come viandante in marcia, dice di tendere al premio a cui dall'alto lo chiamava Dio nel Cristo Gesù. Ora, chi esiterà a credere che quando avrà conseguito ciò che afferma d'inseguire avrà allora una giustizia pari a quella degli angeli santi, nessuno dei quali sicuramente è schiaffeggiato da un messo di satana perché non si insuperbisca per la grandezza delle rivelazioni 144? Ammonendo poi coloro che potevano credersi già perfetti della pienezza di tale giustizia, dice: Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti 145, quasi dicesse: "Se siamo perfetti secondo la capacità dell'uomo mortale nei limiti della vita presente, dobbiamo capire che la stessa perfezione importa anche la saggezza di non ritenerci ancora perfetti di quella giustizia angelica che noi avremo nella manifestazione del Cristo". E assicura: Se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo 146. A quale condizione se non di camminare e di progredire sulla via della retta fede finché non finisca questo pellegrinaggio e non si arrivi alla visione? Conseguentemente aggiunge: Intanto dal punto a cui siamo arrivati, continuiamo ad avanzare sulla stessa linea 147. Poi conclude con l'avvertimento a guardarsi da coloro dai quali ha preso l'avvio questo capitolo della sua Lettera: Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti, ve l'ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce del Cristo: la perdizione però sarà la loro fine 148, eccetera. Sono quelli dei quali cominciando aveva detto: Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai 149. Sono pertanto nemici della croce del Cristo tutti coloro che, cercando di stabilire la propria giustizia derivante dalla legge, ossia dalla lettera che comanda soltanto e non dallo Spirito che fa osservare il comando, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio 150. Poiché se diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede 151. Se la giustificazione viene dalla legge, il Cristo è morto invano 152, è dunque annullato lo scandalo della croce 153. E per questo nemici della croce del Cristo sono coloro che dicono che la giustificazione viene tramite la legge, alla quale spetta di comandare e non di aiutare. La grazia di Dio invece tramite il Signore Gesù Cristo nello Spirito Santo aiuta la nostra debolezza.

La perfetta giustizia sarà il premio della vita

7. 23. Perciò chi seguendo la giustizia che si ha nella legge vive senza la fede della grazia del Cristo, come l'Apostolo ricorda d'esser vissuto egli stesso irreprensibilmente 154, è da ritenersi privo assolutamente di vera giustizia, non perché la legge non sia vera e santa, ma perché voler obbedire alla lettera che comanda senza lo Spirito di Dio che dà vita, come se tale obbedienza provenisse dalle forze del libero arbitrio, non è vera giustizia. La giustizia invece della quale chi è giusto vive mediante la fede 155, poiché proviene all'uomo da Dio tramite lo Spirito di grazia, è vera giustizia. La quale, benché non senza ragione si dica perfetta in alcuni giusti secondo la capacità di questa vita, è tuttavia una piccola giustizia rispetto a quella grande giustizia di cui ci dà la capacità la parità con gli angeli. La quale parità non avendola ancora l'Apostolo, diceva sia di esser perfetto per la giustizia che era già in lui, sia di essere imperfetto per la giustizia che non era ancora in lui. Ma è chiaro: questa giustizia minore fa merito, quella giustizia maggiore si fa premio. Pertanto chi non persegue la giustizia minore non consegue la giustizia maggiore. Perciò negare che dopo la risurrezione dell'uomo ci sarà la pienezza della giustizia e pensare che nel corpo di quella vita ci sarà tanta giustizia quanta ce ne può essere nel corpo di questa morte è una singolare follia. Che invece non comincino di là gli uomini ad osservare i comandamenti di Dio che non hanno voluto osservare di qua è verissimo. Ci sarà infatti la pienezza della più perfetta giustizia, non tuttavia di uomini che seguano i comandamenti e si adoperino di progredire per raggiungere quella pienezza; ma in un batter d'occhio, nel modo stesso in cui avverrà la stessa risurrezione dei morti 156, poiché quella grandezza di giustizia perfetta sarà data in premio a coloro che hanno osservato di qua i comandamenti e non sarà comandata essa stessa come un comandamento da osservare. Ma hanno osservato i comandamenti in tal modo, vorrei dire, da ricordarci che appartiene agli stessi comandamenti l'orazione nella quale quotidianamente i figli santi della promessa dicono con sincerità e la petizione: Sia fatta la tua volontà; e la petizione: Rimetti a noi i nostri debiti 157.

I principali punti dell'eresia pelagiana e i tentativi di mascherarli.

8. 24. Ordunque i pelagiani con queste e simili testimonianze o voci della verità sono incalzati perché non neghino il peccato originale, perché non dicano che la grazia di Dio con la quale siamo giustificati 158 non è data gratuitamente ma secondo i nostri meriti, perché non dicano che in un uomo mortale, per quanto santo e ben operante, si può trovare tanta giustizia da non essergli necessaria la remissione dei peccati anche dopo il lavacro della rigenerazione fino a quando non cessi di vivere questa vita. Ma quando sono incalzati a non dire questi tre spropositi e a non allontanare per mezzo di essi dalla grazia del Salvatore quelli che credono a loro e a non farli precipitare nella condanna del diavolo dopo averli sollevati in superbia 159, essi spargono le nebbie di altre questioni dove possa andare a nascondersi la loro empietà agli occhi delle persone un po' semplici o un po' dure di mente o meno erudite nelle Lettere sante. Queste sono le nebbie: la dignità della creatura, la dignità delle nozze, la dignità della legge, la dignità del libero arbitrio, la dignità dei santi; quasi che qualcuno di noi vituperi questi valori e non li esalti piuttosto tutti con le dovute lodi ad onore del Creatore e del Salvatore. Ma né la creatura vuol essere lodata così da non voler essere risanata, e le nozze quanto più sono da lodare, tanto meno è da imputare ad esse la vergognosa concupiscenza della carne, che non viene dal Padre, ma dal mondo 160, e che le nozze hanno certamente trovata e non provocata negli uomini, perché essa ed esiste in moltissimi anche senza le nozze e, se nessuno avesse peccato, le nozze avrebbero potuto esistere anche senza la concupiscenza. E la legge santa e giusta e buona 161 né è grazia per se stessa, né per mezzo di essa si fa rettamente alcunché senza la grazia. Perché la legge non fu data con la capacità di vivificare ma in vista della trasgressione, affinché rinchiudesse sotto il peccato coloro che avesse convinti di trasgressione, e ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo 162. E il libero arbitrio, diventato schiavo, non vale che a peccare; per la giustizia invece non vale, se non è liberato e aiutato da Dio. E per questo anche tutti i santi, sia dall'antico Abele fino a Giovanni Battista, sia dagli stessi Apostoli fino ad oggi e in seguito fino al termine del secolo, sono da lodarsi nel Signore e non in se stessi. Perché dei primi è voce l'esclamazione: L'anima mia si gloria nel Signore 163, dei secondi è voce la dichiarazione: Per grazia di Dio sono quello che sono 164. A tutti poi si riferisce l'avvertimento: Chi si vanta si vanti nel Signore 165, e comune a tutti è la confessione: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi 166.

I cattolici contrari al manicheismo e al pelagianesimo.

9. 25. Ma poiché in questi cinque problemi da me accennati, nei quali cercano costoro di nascondersi e con i quali intessono le loro calunnie, sono smascherati e confutati in forza degli insegnamenti divini, essi hanno escogitato d'atterrire con il detestabile nome di manichei quanti più potessero tra i fedeli non istruiti, perché non prestassero orecchio alla verità contro i loro perversissimi dogmi; ciò evidentemente per la ragione che i manichei condannano in modo blasfemo i primi tre di questi cinque valori, dicendo che non è stato il sommo e vero Dio a fare né la creatura, né le nozze, né la legge. Non accettano poi i manichei ciò che dice la verità: dal libero arbitrio ebbe inizio il peccato e dal peccato deriva ogni male o dell'angelo o dell'uomo, perché, troppo esorbitando da Dio, hanno preferito credere che il male sia una natura cattiva da sempre e coeterna a Dio. Anche i santi Patriarchi e Profeti li ricoprono, i manichei, d'insulti quanto più possono. Ecco per quale via i nuovi eretici, buttandoci in faccia il nome di manichei, pensano di sfuggire alla forza della verità, ma non le sfuggono. È la verità appunto che li insegue e insieme sbaraglia manichei e pelagiani. L'uomo infatti quando nasce, poiché è qualcosa di buono in quanto uomo, redarguisce il manicheo e loda il Creatore; in quanto però contrae il peccato originale, redarguisce Pelagio e ha necessità del Salvatore. L'affermazione infatti che questa natura è da sanare colpisce l'uno e l'altro errore, perché né avrebbe bisogno di medicina se fosse sana - e questo è contro Pelagio -, né potrebbe in nessun modo esser sanata se fosse un male eterno e immutabile - e questo è contro Manicheo -. Similmente il nostro non imputare la concupiscenza della carne alle nozze che lodiamo come istituite dal Signore va sia contro i pelagiani che ne celebrano le lodi, sia contro i manichei che l'attribuiscono ad una natura cattiva diversa da Dio, mentre la concupiscenza, essendo un male accidentale della nostra natura, non va separata inventando un Dio diverso, ma risanata dalla misericordia di Dio. Ugualmente l'asserire come facciamo noi che la legge santa e giusta e buona 167 non è stata data per la giustificazione degli empi ma in vista della trasgressione per disingannare i superbi 168, va contro i manichei per un verso, perché si loda la legge seguendo l'Apostolo, e va per un altro verso contro i pelagiani, perché secondo l'Apostolo nessuno è giustificato dalla legge 169. Per dare quindi la vita a coloro che la lettera uccide, ossia a coloro che la legge buona comandando rende rei di trasgressione, viene gratuitamente in aiuto lo Spirito di grazia 170. Così pure la nostra affermazione che l'arbitrio umano, libero nel male, dev'essere liberato dalla grazia di Dio a fare il bene, è contro i pelagiani; ma la nostra affermazione che dal libero arbitrio è sorto il male che prima non esisteva, è contro i manichei. Parimenti che onoriamo in Dio con debite lodi i santi Patriarchi e Profeti è contro i manichei, ma che anche a loro, sebbene giusti e piacenti a Dio, diciamo che è stata necessaria la propiziazione del Signore, è contro i pelagiani. Entrambi dunque la fede cattolica trova suoi avversari, come anche tutti gli altri eretici, ed entrambi confuta con l'autorità delle testimonianze divine e con la luce della verità.

La dottrina dei peccato originale e il traducianismo.

10. 26. Alle nebbie dei loro nascondigli aggiungono i pelagiani la questione non affatto necessaria dell'origine dell'anima, per tentare di costruirsi un riparo, turbando le verità manifeste con l'oscurità di altri problemi. Dicono infatti "che noi confondiamo la trasmissione delle anime con la trasmissione del peccato". Il che dove e quando l'abbiano udito nei discorsi o letto negli scritti di coloro che difendono la fede cattolica contro i pelagiani non lo so. Perché, sebbene io trovi che qualcosa è stato scritto dai cattolici su questo problema, tuttavia non si era a quei tempi intrapresa ancora la difesa della verità contro i pelagiani, né si pensava a rispondere ad essi. Ma questo io dico: è tanto manifesto secondo le Scritture sante il peccato originale ed è confermata da tanta antichità e autorità della fede cattolica ed è notissima per così chiara prassi della Chiesa la sua remissione nei bambini con il lavacro della rigenerazione che nella discussione sull'origine dell'anima qualsiasi ricerca ed affermazione si faccia da parte di chiunque, se è contro tale dottrina, non può essere vera. Perciò chiunque o riguardo all'anima o riguardo a qualsiasi problema oscuro costruisce un'ipotesi che distrugga questo insegnamento, che è verissimo, fondatissimo, notissimo, sia egli figlio della Chiesa o suo nemico, costui è da correggere o da espellere. Ma qui sia la fine di questo volume per poter dare inizio al successivo.


Note:
 

1 - Rm 2, 13.

2 - Rm 8, 3-4.

3 - Rm 10, 3.

4 - Rm 8, 14.

5 - 2 Cor 3, 6.

6 - Rm 7, 12.

7 - Rm 7, 13.

8 - 1 Cor 15, 56.

9 - Rm 4, 15.

10 - Gal 3, 19.

11 - Gal 3, 21-22.

12 - Cf. Gal 4, 24.

13 - Gal 4, 31.

14 - Lc 20, 34.

15 - Cf. 1 Gv 1, 8.

16 - 1 Gv 3, 9.

17 - Cf. 1 Cor 15, 10.

18 - Gv 16, 8-9.

19 - Gv 15, 22.

20 - Ef 2, 2.

21 - Cf. 1 Gv 1, 9.

22 - Mt 7, 11.

23 - Cf. 2 Tm 4, 7.

24 - Sal 115, 12.

25 - Mt 6, 12.

26 - Sal 17, 2.

27 - Sal 6, 3.

28 - Sal 24, 15.

29 - Sal 30, 10.

30 - Cf. Tt 3, 5.

31 - Gal 5, 6.

32 - Rm 1, 17.

33 - Mt 19, 28.

34 - Rm 8, 23.

35 - Tt 3, 5.

36 - Rm 8, 24-25.

37 - Gal 4, 24.

38 - Sal 50, 12.

39 - Sal 39, 3-4.

40 - Gal 3, 15-18.

41 - Gal 4, 24.

42 - Gal 3, 18.

43 - Rm 5, 20.

44 - Gal 3, 19.

45 - Rm 4, 14-15.

46 - Gal 3, 18.

47 - Rm 4, 14.

48 - Gal 3, 19.

49 - Rm 4, 15.

50 - Gal 4, 26.

51 - Cf. Gn 17, 4; Rm 9, 8.

52 - Gal 4, 24.

53 - Rm 10, 3.

54 - Cf. Gal 5, 6.

55 - Gal 4, 25.24.

56 - Sal 71, 8; cf. Mt 3, 16-17; At 1, 8.

57 - Cf. Es 24, 12.

58 - Cf. Lv 6, 3-4.

59 - Cf. Es 20, 11.

60 - Ibidem.

61 - Cf. Rm 6, 14.

62 - Cf. 2 Cor 3, 6.

63 - Cf. Gal 4, 24.

64 - Cf. Gal 5, 6.

65 - Gv 1, 29.

66 - Cf. Mt 13, 17.

67 - Cf. Gal 3, 16.

68 - Cf. Rm 3, 21.

69 - 2 Cor 4, 13.

70 - 2 Cor 3, 14-15.

71 - Rm 7, 6.

72 - Ibidem.

73 - 2 Cor 3, 6.

74 - Gal 4, 21-26.

75 - Gal 4, 28.

76 - Gal 4, 31; 5, 1.

77 - Cf. Rm 7, 12.

78 - Rm 3, 20-21.

79 - Gal 3, 11.

80 - 1 Cor 1, 30-31; cf. Ger 9, 23.

81 - Tm 3, 16.

82 - Rm 3, 21.

83 - 1 Cor 15, 28.

84 - Is 54, 1.

85 - Sal 17, 2.

86 - Cf. Ez 16, 46ss.

87 - Rm 1, 17; cf. Gal 3, 11.

88 - Cf. 1 Cor 7, 3.6.

89 - Mt 6, 12.

90 - Rm 1, 17.

91 - Rm 14, 23.

92 - 2 Cor 6, 15.

93 - Cf. At 9, 15.

94 - Cf. Sap 9, 15.

95 - Fil 3, 12-13.

96 - Fil 3, 15.

97 - Cf. Lv 9, 7; 16, 6.

98 - Mt 6, 12.

99 - 1 Gv 2, 1-2.

100 - Cf. 1 Gv 2, 1.

101 - Rm 8, 3.

102 - 2 Cor 5, 20-21.

103 - Mt 6, 10.12.

104 - Cf. Rm 6, 12.

105 - Sal 93, 8.

106 - 1 Cor 13, 12.

107 - Sal 80, 2.

108 - Sal 32, 1.

109 - Cf. 1 Pt 1, 8.

110 - Mt 5, 6.

111 - 1 Cor 5, 30-31.

112 - 2 Cor 5, 6-7.

113 - Cf. 1 Pt 1, 8.

114 - Sal 16, 15.

115 - 2 Cor 12, 9.

116 - Cf. Mt 18, 10.

117 - Cf. 2 Cor 12, 7.

118 - Cf. Fil 3, 12.15.

119 - Fil 3, 6.

120 - Fil 3, 7-9.

121 - Col 3, 3-4.

122 - Gv 14, 21.

123 - 1 Gv 3, 2.

124 - Cf. Fil 3, 7-9; Rm 10, 3.

125 - Cf. 2 Cor 3, 6.

126 - Cf. Rm 8, 4.

127 - Cf. Fil 3, 6-9.

128 - Fil 3, 9.

129 - Cf. Rm 10, 3.

130 - Cf. Gal 5, 6.

131 - Cf. 1 Cor 13, 12.

132 - Rm 13, 10.

133 - Fil 3, 9-10.

134 - 1 Cor 13, 12.

135 - Fil 3, 11.

136 - Fil 3, 12.

137 - Fil 3, 2-3.

138 - Fil 3, 4; cf. Rm 10, 3; 2 Cor 3, 6.

139 - Fil 3, 6.

140 - Fil 3, 9.

141 - Fil 3, 12.

142 - Fil 3, 13-14; 1 Cor 13, 12.

143 - Lc 10, 41-42.

144 - Cf. 2 Cor 12, 7.

145 - Fil 3, 15.

146 - Ibidem.

147 - Fil 3, 16.

148 - Fil 3, 17-19.

149 - Fil 3, 2.

150 - Cf. Rm 10, 3.

151 - Rm 4, 14.

152 - Gal 2, 21.

153 - Gal 5, 11.

154 - Cf. Fil 3, 6.

155 - Cf. Rm 1, 17.

156 - Cf. 1 Cor 15, 52.

157 - Mt 6, 10.12.

158 - Cf. Rm 3, 24.

159 - Cf. 1 Tm 3, 6.

160 - Cf. 1 Gv 2, 16.

161 - Cf. Rm 7, 12.

162 - Cf. Gal 3, 19-22.

163 - Sal 33, 3.

164 - 1 Cor 15, 10.

165 - 1 Cor 1, 31.

166 - 1 Gv 1, 8.

167 - Cf. Rm 7, 12.

168 - Cf. Gal 3, 19.

169 - Cf. Gal 3, 11.

170 - Cf. 2 Cor 3, 6.