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Mercoledi, 24 aprile 2024 - San Fedele da Sigmaringen ( Letture di oggi)

Discorsi nel giorno della Consacrazione

San Leone Magno

Discorsi nel giorno della Consacrazione
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I DISCORSO DI SAN LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NEL GIORNO DELLA SUA CONSACRAZIONE

«Le mie labbra proclamino la lode del Signore»: l'anima mia e il mio spirito, la carne e la lingua benedicano il suo santo nome. Infatti non è indice di modestia, ma di ingratitudine tacere i benefici divini, ed è cosa conveniente che si incominci a prestare la venerazione al consacrato pontefice innalzando un sacrificio di lode al Signore. Egli «nella nostra bassezza si ricordò di noi», e ci ha benedetti; «Lui solo ha operato cose meravigliose» per me, quando l'affetto della vostra santità mi ha tenuto a voi presente, mentre un viaggio, lungo e necessario, mi aveva portato lontano. Per questo rendo grazie al nostro Dio e sempre lo ringrazierò per quanto mi ha donato.

Nello stesso tempo esalto con i dovuti ringraziamenti la libera decisione del vostro favore, comprendendo chiaramente quanta riverenza, quanto amore e quanta fiducia mi offrono le vostre devote attenzioni, mentre io bramo con pastorale sollecitudine la salvezza delle anime vostre, che hanno dato di me un giudizio così sacrosanto, quando io non avevo nessun precedente merito.

Dunque, vi scongiuro per la misericordia del Signore, aiutate con le preghiere colui che avete richiesto con desiderio, affinché lo Spirito di grazia resti in me e le vostre decisioni non abbiano a barcollare. Conceda a noi tutti il bene della pace colui che dona a voi l'amore per la concordia. In ogni giorno della mia vita, servendo l'onnipotente Dio e accogliendo la vostra obbedienza, io possa supplicare con fiducia il Signore: «Padre santo, conserva nel tuo nome coloro che tu mi hai dato».

Mentre voi progredite di continuo nella via della salvezza, l'anima mia magnifichi il Signore e nel premio del futuro giudizio l'esercizio del mio sacerdozio appaia agli occhi del giusto giudice in modo che voi con le vostre opere buone siate il mio gaudio, voi siate la mia corona, che con la buona volontà avete reso una sincera testimonianza nella vita presente. Per Gesù Cristo, nostro Signore.

SECONDO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE



I - La generosità della divina bontà

Dilettissimi, la divina degnazione ha reso venerando per me il presente giorno. Il Signore, innalzando alla somma dignità la mia umile persona, ha mostrato di non disprezzare nessuno dei suoi. Onde, nonostante sia necessario, conoscendo i miei demeriti, stare sempre in timore, è sensibilità religiosa rallegrarsi per il dono: poiché egli che mi ha affidato un tal peso, mi offre il suo aiuto. Colui che mi ha conferito questa dignità, mi donerà anche la forza perché io non soccomba sotto l'immensità della grazia. Dunque, nella ciclica ricorrenza del giorno in cui il Signore ha voluto dare inizio al mio ufficio episcopale, io ho un giusto motivo di rallegrarmi a gloria di Dio. Egli, affinché io molto lo ami, mi ha perdonato molto: e per mostrare mirabile la sua grazia ha elargito i suoi doni a colui nel quale non ha trovato titoli speciali di merito. Con questo fatto il Signore ha voluto suggerire e raccomandare ai nostri cuori che nessuno presuma della propria santità e nessuno diffidi della misericordia di lui, la quale con più evidenza è glorificata quando il peccatore viene santificato e chi giace viene rialzato. La misura dei doni celesti non dipende dalla natura delle nostre opere. In questo mondo dove tutta la vita è un servizio , non si attribuisce a ciascuno ciò che merita. Se, infatti, il Signore stesse a far caso dei peccati, nessuno potrebbe reggere al suo giudizio.

II - La venerazione dei vescovi per il successore di S.Pietro

Ora, dilettissimi, «magnificate il Signore con me, e insieme esaltiamo il suo nome», perché il motivo della festa di oggi deve essere riferito totalmente a lode di Dio. Per quel che riguarda propriamente il mio affetto, confesso di godere moltissimo per la vostra devozione. E quando contemplo questa splendidissima presenza di tanti miei venerabili vescovi, ho l'impressione che a noi sia presente uno stuolo di angeli . Sono certo che oggi noi siamo visitati da più abbondante grazia della divina presenza, quando simultaneamente sono presenti e risplendono di una sola luce tanti fulgidissimi tabernacoli di Dio, tante eccellentissime membra del corpo di Cristo. Non è assente da questa assemblea - ne ho piena fiducia - la pia degnazione e il sincero amore del beatissimo apostolo Pietro: egli non trascura la devozione vostra e la riverenza che a lui portate e che ora vi ha qui riuniti. Certamente pure lui si rallegra del vostro affetto e si compiace in quelli che gli sono soci nella dignità, per la grande venerazione con cui circondano la Sede Apostolica, istituita dal Signore, approvando l'ordinatissima carità di tutta la chiesa che accoglie Pietro nella sede di Pietro e non si intiepidisce nell'amore di un tanto pastore neppur quando ne è successore una persona così meschina. E perché, dilettissimi, questa venerazione che voi all'unisono offrite alla mia persona, possa raggiungere il risultato che merita, pregate supplichevolmente la misericordiosissima clemenza del nostro Dio, affinché nei nostri giorni prostri quelli che ci fanno guerra, difenda la nostra fede, accresca la carità, aumenti la pace e si degni farmi idoneo a tanto lavoro e utile alla vostra edificazione, giacché ha voluto che io, suo servo, presiedessi al governo della sua Chiesa per mostrare l'abbondanza della sua grazia. Egli si degni far sì che il tempo del nostro servizio sia proteso verso questo scopo, che cioè il prolungamento della nostra età giovi alla religione. Per Cristo, nostro Signore. Amen.

TERZO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE



I - L'origine soprannaturale del sacerdozio cristiano

Ogni qualvolta la misericordia di Dio si degna rinnovarci il giorno della sua grazia, vi è giusto e ragionevole motivo di essere lieti, purché si riferisca a gloria di Dio l'origine dell'ufficio ricevuto. Io so che questo atteggiamento dell'animo, conveniente a tutti i sacerdoti, è necessario soprattutto a me, perché, guardando la mia pochezza e la grandezza dell'ufficio ricevuto, pure io debbo esclamare con la frase del profeta: «Signore, io ho udito il tuo annuncio e ho temuto; son preso dal timore per l'opera tua». Che c'è di più insolito e più terribile della fatica per chi è debole, della grandezza per chi è umile, della dignità per chi non la merita? Tuttavia non disperiamo, né veniamo meno, perché non presumiamo di noi stessi ma di colui che opera in noi. Per questo abbiamo cantato all'unisono il salmo di David, non per nostra esaltazione, ma per gloria di Cristo Signore. Infatti è lui del quale con spirito profetico è stato scritto: «Tu sei sacerdote in eterno al modo di Melchisedec»: cioè non al modo di Aronne, il cui sacerdozio, propagandosi attraverso la generazione, appartiene a un ministero temporaneo, e di fatto è cessato insieme alla legge del Vecchio Testamento; ma al modo di Melchisedec in cui si significò prima la figura del pontefice eterno. E siccome non viene riferito da quali genitori sia nato, si comprende che in lui è mostrato quegli la cui generazione non può narrarsi. Così, pervenendo all'umana natura il mistero di questo divin sacerdozio, non si propaga per via della generazione, né viene eletto quel che la carne e il sangue ha formato. E' cessato il privilegio dei padri; è abolita la gerarchia delle famiglie: la Chiesa riceve come pastori quelli che lo Spirito santo ha preparato. In tal modo, nel popolo, adottato alla figliolanza divina, totalmente sacerdotale e regale, non ottengono l'unzione i privilegiati dall'origine terrena, ma fa nascere il sacerdozio il favore della grazia celeste.

II - Cristo in San Pietro

Dilettissimi, nel ministero che il nostro ufficio ci impone ci ritroviamo deboli e pigri, giacché, se abbiamo desiderio di fare qualcosa con devozione e prontezza, siamo ritardati dalla fragilità della nostra stessa condizione. Tuttavia, avendo a nostro favore l'ininterrotta propiziazione dell'onnipotente ed eterno sacerdote, il quale, simile a noi e uguale al Padre, ha abbassato la divinità fino alle cose umane, e ha innalzato l'umanità fino alle cose divine, degnamente e con pietà ci rallegriamo della sua glorificazione. Infatti, benché abbia delegato a molti pastori la cura delle sue pecore, egli non ha abbandonato la custodia del suo amato gregge. Da questo singolare ed eterno sostegno deriva anche la protezione della fortezza della Sede Apostolica, che certamente non resta inattiva rispetto alla sua missione. La stabilità della base, su cui s'innalza l'edificio della chiesa, non viene meno, comunque sia grande la mole del tempio che la sovrasta. Infatti la fortezza di quella fede, lodata nel principe degli apostoli, è perpetua: e come resta quel che Pietro ha creduto in Cristo, così persiste quello che Cristo ha istituito in Pietro. In realtà, avendo il Signore, come la pericope evangelica ha narrato, domandato ai discepoli chi essi lo credessero, tra tante diverse opinioni degli altri, e avendo san Pietro risposto: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente», il Signore disse: «Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te, che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai prevarranno contro di lei. E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli».

III - San Pietro nei suoi successori

Resta dunque, la deliberazione della verità; e Pietro, perseverando in quella fermezza di pietra che ha ricevuto, non abbandona il governo della Chiesa, che una volta ha assunto. Egli è stato messo al sommo della gerarchia, sicché quando viene detto Pietra, quando lo si afferma fondamento, quando lo si costituisce portinaio del regno dei cieli e quando lo si istituisce arbitro che lega e scioglie con decisione valida anche nei cieli, noi possiamo comprendere quale unione egli abbia con Cristo attraverso i misteri contenuti nei suoi titoli. Egli adesso compie con più perfezione e potenza quanto gli è stato commesso, ed esegue ogni parte del suo ufficio e della sua cura insieme a quegli e in quegli dal quale è stato glorificato. Se, dunque, qualcosa è da noi compiuta bene e rettamente giudicata, se si ottiene qualcosa dalla misericordia di Dio con le quotidiane suppliche, è opera e merito di colui del quale la potestà vive e l'autorità eccelle nella propria sede. Dilettissimi, quella confessione che, ispirata da Dio Padre al cuore dell'apostolo, trascese tutte le incertezze delle opinioni umane e ricevette la stabilità della pietra, al fine di non essere scossa da nessun attacco, ha ottenuto questo felice risultato. Infatti, in tutta la Chiesa Pietro ogni giorno esclama: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente»; e ogni lingua, che confessa il Signore, viene ammaestrata dal magistero di questa voce. Questa fede vince il diavolo e spezza le catene che tengono stretti gli schiavi. Questa fede fa entrare nel cielo quelli che sono stati liberati: contro di essa le porte dell'inferno non possono vincere: è stata premunita divinamente con tanta fortezza che mai potrà corromperla l'eretica iniquità, né superarla la pagana perfidia. Soltanto così, dilettissimi, viene celebrata con intelligente venerazione la festività di oggi, sicché si veda e si onori nella mia umile persona colui nel quale persevera la sollecitudine di tutti i pastori e la cura delle pecore che gli sono state affidate, e la cui dignità non viene meno neppure nell'indegno successore. Per questo la presenza desiderata e degna di ogni onore, dei miei venerabili fratelli nell'episcopato, è più sacra e più devota se trasferiscono la venerazione verso questa sede, nella quale si sono degnati di venire, principalmente a colui che non solo conoscono essere il presule di questa sede, ma anche il primate di tutti i vescovi. Quando, dunque, rivolgiamo le nostre esortazioni all'attenzione della vostra santità, pensate che vi parla colui del quale noi facciamo le veci: noi vi ammoniamo con l'affetto di lui e non altro vi predichiamo che la dottrina da lui insegnata. Vi scongiuro, che cinti i fianchi della vostra mente, conduciate una vita casta e sobria nel timore di Dio: la mente non acconsenta, dimentica del proprio dominio, alle concupiscenze della carne. Le gioie dei piaceri terreni sono brevi e caduche, e tentano di allontanare dal sentiero della vita quelli che sono chiamati all'eternità. L'uomo, religioso e fedele, brami le cose celesti, e, avido delle divine promesse, si innalzi all'amore del bene incorruttibile e alla speranza della vera luce. Siate certi, dilettissimi, che la vostra fatica con cui resistete ai vizi e combattete i carnali desideri, è gradita e preziosa al cospetto di Dio e gioverà non solo a voi, ma anche a me presso la misericordia di Dio, perché il sollecito pastore si gloria del progresso che fa il gregge del Signore. Infatti come dice l'apostolo, «la nostra gioia, la nostra corona siete voi», se la vostra fede, predicata in tutto il mondo fin dai primordi del Vangelo, rimarrà nella carità e nella santità. E' vero, tutta la Chiesa, diffusa nel mondo intero, deve fiorire di tutte le virtù; ma tra gli altri popoli voi dovete eccellere per merito di devozione, perché siete fondati sul baluardo della pietra apostolica. Infatti, Gesù Cristo, nostro Signore, pur avendo redenti tutti, ammaestrò meglio di tutti san Pietro apostolo. Per lo stesso Cristo, nostro Signore. Amen.

QUARTO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE



I - La comune dignità dei cristiani

Dilettissimi, mi rallegro per il religioso affetto della vostra devozione, e ringrazio Dio perché vedo in voi l'amore per l'unità cristiana. Come lo attesta lo stesso vostro accorrere qui, voi siete convinti che questo giorno è motivo di gioia per tutti e che l'annua festa del pastore deve essere celebrata con la venerazione di tutto il gregge. Infatti la Chiesa di Dio, secondo distinti gradi gerarchici, è ordinata in modo che attraverso i differenti membri sussista l'integro suo corpo. Quindi, come dice l'Apostolo, «tutti siete un solo uomo in Cristo Gesù»; né alcuno, benché sia un umilissimo membro, è diviso dalla funzione di un altro così da non appartenere per connessione al capo. Perciò nella unità della fede e del battesimo noi formiamo una indistinta società, dilettissimi, e abbiamo una generale dignità, secondo l'insegnamento di san Pietro apostolo, che dice: «E voi pure, come pietre vive, costruitevi in modo da formare una casa spirituale, un santo sacerdozio, per offrire dei sacrifici spirituali, graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo»; e un poco più avanti: «Voi però siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo tratto in salvo». Infatti, tutti i rigenerati in Cristo sono trasformati in re dal segno della croce e consacrati sacerdoti dall'unzione dello Spirito santo. Perciò, salvo il servizio del nostro speciale ministero, tutti i cristiani, divenuti spirituali e sapienti, si riconoscono di stirpe regale e partecipi di un ufficio sacerdotale. Che cosa è più regale di un animo sottomesso a Dio, dominatore del proprio corpo? Che cosa è tanto sacerdotale, quanto sacrificare al Signore una coscienza pura e offrire vittime immacolate sull'altare del cuore? Questo per grazia di Dio è diventato a tutti comune. Tuttavia è per voi cosa pia e ottima godere per il giorno della nostra esaltazione quasi come fosse a vostro onore, perché si celebri in tutto il corpo della Chiesa l'unico sacramento dell'episcopato che, con l'effusione dell'unguento consacrato, è scorso, bensì, più abbondantemente nelle parti più alte, ma è anche disceso non scarsamente nelle parti inferiori.

II - Il primato di Pietro

Pertanto, dilettissimi, avendo noi grande motivo di rallegrarci per questa nostra comune dignità, sarà per noi più vera ed eccellente causa di letizia se non vi fermerete a considerare la nostra umile persona. E', infatti, molto più utile e più conveniente innalzare lo sguardo della mente a contemplare la gloria del beatissimo Pietro e soprattutto celebrare questo giorno in ossequio a lui che è stato inondato dal fonte stesso di tutti i carismi con grazie abbondantissime, tanto che, avendo Pietro molto ricevuto da solo, nulla passa agli altri che non sia partecipazione a quanto è stato dato a lui. Il Verbo, fatto carne, già abitava tra noi. Cristo già si dedicava totalmente alla redenzione del genere umano. Tutto era ben disposto dalla sua sapienza; nulla era arduo per la sua potestà. Gli elementi del mondo si piegavano soggetti, gli spiriti obbedivano, gli angeli servivano: in nessun modo poteva riuscire senza risultato il mistero della redenzione che era operato allo stesso tempo da Dio uno e trino. Eppure di tutti gli uomini soltanto Pietro è scelto perché sia preposto all'economia divina, che chiama tutte le genti alla salvezza, e sia il capo di tutti gli Apostoli e di tutti i Padri della Chiesa. E' vero, nel popolo di Dio molti sono i sacerdoti e molti i pastori, tuttavia Pietro a titolo proprio governa tutti quelli che in modo principale sono guidati da Cristo. Dilettissimi, la divina bontà ha favorito questo uomo di una grande e mirabile partecipazione alla potenza divina. E se volle che gli altri principi della Chiesa avessero qualcosa in comune con lui, mai donò, senza far passare per Pietro, quello che ha elargito agli altri. Il Signore interroga tutti gli apostoli che cosa pensino di lui gli uomini. E più suona simile la loro risposta e più appare evidente l'ambiguità della ignoranza umana. Ma quando si chiede quale sia il parere degli apostoli, nel confessare il Signore è primo colui che è il primo nella dignità apostolica. E appena disse: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente», Gesù gli rispose: «Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli». E voleva dire: precisamente per questo sei beato, cioè perché il Padre mio ti ha ammaestrato; non ti sei lasciato ingannare da congetture terrene, ma è stata l'ispirazione celeste a istruirti; non un uomo mi ha svelato a te, ma colui del quale io sono l'unigenito. «E io dico a te»: cioè, come il Padre mio ti ha manifestato la mia divinità, così io faccio nota a te la tua eccellenza. «Perché tu sei Pietro»: cioè come io sono pietra inviolabile, pietra di angolo che unisco i due in un solo popolo, così anche tu sei pietra, perché in forza della mia virtù acquisti stabilità e quelle prerogative che mi appartengono per potestà sono comuni tra me e te per comune partecipazione. «E su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai prevarranno contro di lei»: cioè, sopra questa pietra voglio costruire un tempio eterno e la grandezza della mia Chiesa, che deve essere trapiantata nel cielo, si eleverà con la fermezza di questa fede.

III - Poteri e grazie agli Apostoli attraverso san Pietro

Le porte dell'inferno non fermeranno questa confessione, né i lacci della morte la legheranno. Queste parole, infatti, sono parole di vita: come esaltano fino al regno celeste quelli che le ritengono, così fanno scendere nell'inferno quelli che le negano. Per questo è detto a san Pietro: «E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai legato sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli». Il diritto di questa potestà è stato trasmesso anche agli altri apostoli, però non senza ragione è attribuito a uno quel che si dice a tutti. Lo si afferma singolarmente di Pietro, perché l'esempio di Pietro è proposto a tutti i rettori della Chiesa. Resta, dunque, la prerogativa di Pietro, dovunque sia emessa sentenza in conformità alla giustizia di lui: non vi è troppa severità né troppa indulgenza dove nulla sarà sciolto e nulla legato se non ciò che avrà sciolto o legato san Pietro. Mentre era imminente la passione, che doveva scuotere la costanza degli apostoli, il Signore disse a Pietro: «Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto che gli foste consegnati, per vagliarvi come il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno: e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli, perché non cadiate in tentazione». Il pericolo della prova e della paura era comune a tutti gli apostoli e tutti avevano ugualmente bisogno dell'aiuto della divina protezione, perché il diavolo voleva molestare e piegare tutti; però il Signore si prende cura speciale di Pietro e prega propriamente per la fede di Pietro, quasi che la condizione degli altri sarebbe più sicura, qualora la mente del capo non fosse sconfitta. Dunque, in Pietro è difesa la fortezza di tutti e l'aiuto della divina grazia è ordinato in modo che, donato a Pietro per mezzo di Cristo, è distribuito agli apostoli attraverso Pietro.

IV - Il buon Pastore

Perciò, dilettissimi, vedendo l'aiuto divino che ci è stato donato, giustamente e con ragione ci rallegriamo dei meriti e della dignità della nostra guida. Rendiamo pure grazie a Gesù Cristo, Signore, eterno re e nostro redentore, perché ha investito di tanti poteri colui che ha fatto capo di tutta la Chiesa, sicché se nei nostri tempi noi operiamo bene e governiamo a dovere, bisogna attribuirlo all'opera e al governo di colui al quale è detto: «E tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli», e al quale, dopo la sua risurrezione, il Signore, invitandolo con mistica allusione alla triplice professione di eterno amore, tre volte disse: «Pasci le mie pecore». Certamente anche ora egli pascola e, qual pio pastore, esegue il comando del Signore dandoci forza con le sue esortazioni e non cessando di pregare per noi, affinché nessuna tentazione ci superi. Ma se estende, come è da credersi, questa cura amorosa dovunque e a tutto il popolo di Dio, quanto più si degnerà donare il suo aiuto a noi che siamo i suoi protetti e che abbiamo vicino a noi, nella sacra tomba, ove beato riposa, quello stesso corpo che qui presiedette? Perciò, a sua gloria questo giorno natalizio del nostro servizio! A lui ascriviamo questa festa: infatti, solo per il suo patrocinio abbiamo meritato di essere suoi successori in questa sede. Ci aiuti in tutto la grazia di Gesù Cristo, nostro Signore, il quale vive e regna con Dio Padre e lo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.

QUINTO DISCORSO DI S.LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE

I - Dio origine di ogni grazia

Dilettissimi, come è onore dei figli la dignità dei padri, così è letizia del popolo il gaudio del vescovo. Or questo proviene dal dono divino, infatti, «ogni grazia eccellente, ogni dono perfetto, discendono dall'alto, dal Padre della luce»; perciò dobbiamo ringraziare l'autore di tutti i beni, poiché sia riguardo agli sviluppi naturali, sia riguardo alle istituzioni morali, «egli ci creò e di lui siamo». Quando con pietà e fedeltà confessiamo questa verità, non gloriandoci in noi, ma nel Signore, con il ciclo del tempo i nostri voti con frutto si rinnovano, e le feste religiose costituiscono dei gaudi giusti, perché celebrandoli non siamo ingrati tacendo dei doni ricevuti, né siamo superbi presumendo dei nostri meriti. Dilettissimi, riferiamo ogni motivo dell'odierna festività a colui che ne è l'origine e il capo. Lodiamo con dovuto ringraziamento colui nelle mani del quale stanno la dignità degli uffici e gli istanti del tempo. Se, infatti, volgiamo lo sguardo a noi e alle cose nostre, difficilmente troviamo qualche cosa da poterne meritatamente godere, giacché, circondati da carne mortale e soggetti alla fragilità della corruzione, non siamo mai del tutto liberi e sicuri dagli attacchi della guerra. In tale lotta non si ottiene mai una vittoria così completa, che dopo i trionfi non sorgano nuove battaglie. Per questo nessun pontefice è così perfetto, nessun vescovo è tanto immacolato che possa offrire la vittima di propiziazione soltanto per i delitti del popolo e non debba offrirla anche per i suoi peccati.

II - L'universale sollecitudine del Vescovo di Roma

Se tale condizione è propria di ogni vescovo, quanto più aggrava e lega noi, per i quali la stessa grandezza dell'ufficio ricevuto è prossima occasione d'inciampo? I singoli pastori presiedono con particolare sollecitudine ai loro greggi e sanno che dovranno rendere conto delle pecorelle loro affidate. Ma noi abbiamo una cura comune con tutti: non vi è amministrazione di alcuno che non sia parte della nostra fatica. Infatti, se da una parte da tutto il mondo si ricorre alla sede di Pietro, dall'altra si esige dal nostro ministero quella carità verso la Chiesa universale che il Signore raccomandò a san Pietro. E noi siamo tanto più consapevoli del peso che portiamo, quanto è maggiore il nostro debito verso tutti. Tra questi motivi di timore potremmo noi nutrire fiducia per l'esercizio del nostro ministero per altro, se non perché non sonnecchia né dorme chi custodisce Israele? se non perché si degna essere non solo il custode del gregge, ma anche il pastore dei pastori colui che ai discepoli suoi disse: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo»? Egli non si vede con sguardo corporeo, ma si sente presente con intuito spirituale: è assente con il corpo per cui poteva essere visto, è presente con la divinità con la quale è sempre e dovunque. Infatti «il giusto vive di fede» e la giustizia del credente è proprio questa, che, cioè, accolga con l'animo quello che non vede con l'occhio. «Quando il Signore è asceso in alto, ha trascinato con sè i prigionieri: ha dato doni agli uomini»; cioè, ha dato la fede, la speranza e la carità che sono virtù grandi, forti e preziose per il fatto che senza vedere con gli occhi della carne, con mirabile affetto del cuore si crede, si spera, si ama.

III - La perenne presenza di Cristo nella Chiesa

E' vero, dunque, dilettissimi, che noi non senza motivo ma seguendo la fede confessiamo che Gesù Cristo, il Signore, è in mezzo ai credenti. Benché egli sieda alla destra del Padre, finché avrà posto i suoi nemici a scanno dei suoi piedi, tuttavia il Pontefice sommo non è assente dall'assemblea dei suoi pontefici. Giustamente a lui si canta con le labbra di tutta la Chiesa e di tutti i sacerdoti: «Il Signore ha giurato e non si pente: tu sei sacerdote in eterno al modo di Melchisedec». Egli è il vero ed eterno vescovo, la cui cura non può mutare né finire. Egli è colui del quale il pontefice Melchisedec fu figura offrendo a Dio non le vittime giudaiche, ma il sacrificio di quel sacramento che il nostro Redentore consacrò nel suo corpo e nel suo sangue. Egli è colui del quale il Padre con attestato di inviolabile giuramento istituì il sacerdozio non al modo di Aronne, che doveva passare insieme con il tempo della legge, ma al modo di Melchisedec che si doveva in perpetuo celebrare. Come tra gli uomini il giuramento si usa nelle questioni che sanciscono patti perpetui, così anche la conferma del giuramento divino si trova in quelle promesse che si stabiliscono con decreti immutabili. E perché il pentirsi significa la mutazione della volontà, Dio non si pente in quelle cose che, secondo l'eterno beneplacito, non può volere diversamente da quel che ha voluto.

IV - La continua cura di san Pietro per il gregge di Cristo

Perciò, dilettissimi, non è una festa presuntuosa la nostra, quella con cui, memori del dono divino, onoriamo l'anniversario della nostra esaltazione a pontefice, poiché con pietà e verità confessiamo che in tutto quello che operiamo di bene è presente Cristo che compie l'opera del nostro ministero. E non ci gloriamo in noi stessi, che senza di lui nulla possiamo, ma soltanto in lui che è la nostra sufficienza. Si aggiunge, inoltre, come motivo della nostra solennità, non solo la dignità apostolica, ma anche quella episcopale di san Pietro, che non cessa di presiedere nella sua sede e che possiede una inalienabile partecipazione con l'eterno sacerdote. La fermezza che dalla Roccia, cioè Cristo, ha ricevuto, divenendo egli stesso Pietra, si tramanda anche nei suoi eredi e, dovunque c'è stabilità, appare evidente la fortezza del pastore. Se, infatti, a tutti i martiri e dovunque, in premio della pazienza con cui hanno accolto le sofferenze e perché si manifestino i loro meriti, è stata data la possibilità di portare soccorso alle persone che si trovano in pericolo, di allontanare le malattie, di scacciare gli spiriti immondi e di curare innumerevoli infermità, chi sarà così ignaro della gloria di san Pietro, chi così invidioso estimatore, da credere che le diverse parti della Chiesa non siano governate dalla sua sollecitudine e non siano incrementate dal suo aiuto? Fiorisce, senza dubbio, e vive nel principe degli apostoli quella carità di Dio e degli uomini che non i recinti del carcere, né le catene, né il furore dei popoli, né le minacce dei re poterono spaventare; e vive in lui quella fede insuperabile che non cessò di combattere, né si intiepidì per la vittoria.

V - A Pietro la venerazione dei popoli

Ma poiché ai nostri giorni la tristezza è cambiata in letizia, la fatica in riposo, la guerra in pace, noi riconosciamo di essere aiutati dai meriti e dalle preghiere del nostro presule e con prove frequenti sperimentiamo che egli presiede ai sani consigli e ai giusti giudizi, sicché, rimanendo presso noi il diritto di legare e di sciogliere, chi dai decreti di san Pietro è stato condannato sia richiamato a penitenza e chi è stato riconciliato sia graziato dal perdono. E perciò tutta quella venerazione che, e con la degnazione dei fratelli e con la pietà dei figli, voi avete reso a me, siate convinti di averla, con più devozione e verità, resa insieme con me a colui alla sede del quale noi godiamo non tanto di presiedere, quanto di servire. Abbiamo fiducia che, per le preghiere di lui, Dio misericordioso benignamente riguardi i tempi del nostro ministero e si degni sempre di custodire e pascere il pastore delle sue pecore.