Natuzza Evolo e le anime del Purgatorio
Purgatorio

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Anche due nipoti del parroco di Paravati, don
Clemente, di nome Maria Domenica e Rosa Silipo, hanno affidato a
Marinelli la loro testimonianza sulle trance della Evolo tra il 1944 e
il 1945. (La prima fra l’altro venne incaricata dallo zio prete di
rispondere alle tante lettere che lui riceveva da parte di fedeli di
altre città che chiedevano notizie su Natuzza e un suo parere
sull’opportunità o meno di incontrarla.) Una sera il medico condotto di
Paravati, Francesco Domenico Valente, riuscì a convincere don Silipo,
fino ad allora risoluto nel ribadire: “La Chiesa deve restarne fuori!”,
ad accompagnarlo dalla Evolo. “Durante la trance” riferì Maria Domenica
“intervenne la voce roca di monsignor Giuseppe Morabito del quale mio
zio era stato segretario; mio zio, emozionatissimo, rimase zitto e il
colloquio con i defunti fu tenuto, come spesso avveniva, dal dottor
Valente. Questi chiese al vescovo: “Diteci qualcosa dell’altro mondo!”.
La voce rispose: “Ho conosciuto la cecità in codesto mondo, ora sono
nella Visione Beatifica”. Fu un particolare, questo, che piegò
definitivamente le ultime resistenze del parroco poiché lui era tra i
pochi a sapere che negli ultimi anni di vita Morabito aveva
effettivamente perduto del tutto la vista. Subito dopo, attraverso le
labbra di Natuzza, si manifestò un’altra entità, quella del vescovo
Albera, proprio lui, l’intransigente assertore dell’isterismo della
giovane. Silipo ne riconobbe subito il caratteristico timbro di voce e
trasalì ancora, restando però sempre muto. Valente chiese invece ad
Albera dove si trovasse e gli fu risposto: “Al prato verde!”.
Quest’ultimo nei messaggi che arrivavano dai defunti attraverso Natuzza
corrispondeva a una sorta di stato intermedio, tra il Purgatorio e il
Paradiso, dove le anime, senza più sofferenze, pregavano dopo aver
scontato le pene del primo e in attesa di entrare nella pace eterna del
secondo. Valente lo interrogò ancora: “Ma come, eccellenza, non siete in
Paradiso?”. La voce di Albera concluse: “Avevo anch’io i miei
difettucci!”.
Quella stessa sera si manifestò la madre, scomparsa diversi anni prima,
di don Silipo, che a quel punto non resistette e le chiese dove si
trovasse. La risposta lo convinse ulteriormente della veridicità di
quelle comunicazioni, poiché si sentì rispondere: “Sai benissimo che il
giorno in cui sono entrata in Paradiso tu hai detto una messa”. Ebbene,
diverso tempo addietro un’anziana di Paravati, molto devota, gli aveva
raccomandato di dedicare una messa a sua madre perché presto sarebbe
entrata nel Regno dei Cieli. Il prete non aveva dato corda alla donna,
ma si era convinto che comunque una messa avrebbe fatto bene all’anima
della sua mamma e perciò l’aveva officiata il giorno seguente.
Da allora in poi, don Clemente, non esiterà più a esprimere apertamente
il suo favore per Natuzza, ritenendo la “sua opera positiva nei
confronti della fede”. E quando Nicodemo, il successore di Albera, gli
intimò di non incontrare più la Evolo, ventilandogli addirittura il
rischio di una sospensione a divinis, don Clemente con coraggio replicò:
Eccellenza, sento in coscienza di dover dire la verità: questa donna
suda sangue e io vedo quando fa la Comunione, non fa assolutamente cose
cattive. Con questo parlare di lei, in paese, non si fanno altro che
Comunioni, preghiere, ascoltar messe; se questo è male, io preferisco
essere sospeso a divinis.
Quanto a Rosa Silipo, l’altra nipote del canonico, ha raccontato anche di alcune sue esperienze dirette in casa di Natuzza:
Si andava a casa sua e si dicevano preghiere, rosari, poi si conversava
con lei di vari argomenti. Ella era così dolce, pacata, sorridente, era
piacevole sentirla, spesso venivano le suore, anche la Superiora
dell’asilo di Mileto; a un certo momento, improvvisamente, Natuzza
cadeva in trance mentre si conversava, ma qualche volta anche durante la
recita del Rosario. Le anime che si presentavano avevano ognuno una
voce diversa: voci maschili e femminili, di adulti, di giovani e di
bambini; talvolta erano riconosciute dai presenti [...]. La trance
durava quindici, venti minuti, mezz’ora e poi, quando ella rinveniva,
non ricordava e non sapeva nulla di quanto era accaduto. La gente andava
da lei a tutte le ore e lei non mandava via nessuno.
Fonte: Libro, Natuzza Evolo, il miracolo di una vita (Luciano Regolo) Mondadori.