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Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Omelia VIII sul Genesi

Origene

Omelia VIII sul Genesi
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Abrahamo offre suo figlio Isacco

1. Porgete orecchio, o voi che vi siete avvicinati a Dio, che vi credete fedeli, e considerate con grande diligenza come viene messa a prova la fede dei fedeli, dalla lettura che ci è stata proclamata.

E avvenne, dopo queste parole, che Iddio tentò Abrahamo, e gli disse: Abrahamo, Abrahamo. Ed egli disse: Eccomi (Gen 22, 1). Osserva bene le parole scritte, una per una: in ciascuna, infatti, se uno sa scavare in profondo, troverà un tesoro; e forse, anche dove non pensa, sono nascosti i gioielli preziosi dei misteri.

Quest'uomo prima si chiamava Abramo, e da nessuna parte leggiamo che Dio lo abbia chiamato con questo nome, o gli abbia detto: Abramo, Abramo. Infatti non poteva essere chiamato da Dio con un nome destinato a essere cancellato, ma lo chiama con il nome che egli stesso gli ha donato (Gen 17, 5), e non solo lo chiama con questo nome, ma anche lo ripete.

E quando egli ha risposto: Eccomi, gli dice: Prendi il tuo figlio carissimo, che ami, Isacco, e offrilo a me. Va' in un luogo elevato, e là offrilo in olocausto su uno dei monti che ti mostrerò (Gen 22, 2). Dio stesso poi spiega perché gli ha dato un nome e lo ha chiamato Abrahamo: Poiché ti ho posto padre di molte genti (Gen 17, 5). Dio gli fece questa promessa quando aveva il figlio Ismaele, ma gli promise che tale promessa si sarebbe compiuta nel figlio che sarebbe nato da Sara. Aveva dunque infiammato i suoi desideri per l'amore di un figlio non solo a motivo della discendenza, ma anche per la speranza delle promesse.

Ma ora gli è ingiunto di offrire in olocausto al Signore su uno dei monti questi, nel quale sono state riposte per lui queste promesse grandi e mirabili, questo figlio, dico, nel quale il suo nome è stato chiamato Abrahamo.

Come reagisci tu a queste cose, o Abrahamo? Quali pensieri, e di qual genere, si agitano nel tuo cuore? Da Dio è uscita una voce per vagliare e mettere alla prova la tua fede. Cosa rispondi a queste cose? Cosa pensi? Cosa rimetti in discussione? Forse che rivolgi in cuor tuo il pensiero: se in Isacco mi è stata fatta la promessa, e ora lo offro in olocausto, resta che io non debba sperare più in quella promessa? O pensi piuttosto, e dici che è impossibile che mentisca colui che ha promesso, e che, qualunque cosa accada, la promessa resterà?

Davvero, io che sono il minimo (cf 1 Cor 15, 9), non sono capace di scrutare i pensieri di un così grande patriarca, e non posso sapere quali pensieri gli abbia mosso, quale sentimento gli abbia arrecato la voce di Dio, che si era manifestata per tentarlo, quando gli comandò di uccidere il figlio unico. Ma poiché lo spirito dei profeti è soggetto ai profeti (1 Cor 14, 32), l'apostolo Paolo che, per opera dello Spirito, credo, aveva appreso quale sentimento, quale consiglio portasse in sé Abrahamo, li indicò dicendo: Per la fede Abrahamo non esitò, nell'offrire l'unico figlio, nel quale aveva ricevuto le promesse, pensando che Dio è potente a risuscitarlo anche dai morti (Eb 11, 17. 19). L'Apostolo ci ha dunque rivelato i pensieri dell'uomo fedele, e cioè che già allora, in Isacco, ebbe il suo inizio la fede nella risurrezione. Abrahamo dunque sperava che Isacco sarebbe risorto, e credeva che sarebbe accaduto quel che ancora non si era verificato. Come dunque possono essere figli di Abrahamo (Gv 8, 37), coloro che non credono che si sia compiuto nel Cristo quello che egli credette sarebbe accaduto in Isacco?

Anzi, per esprimermi più chiaramente, Abrahamo sapeva di prefigurare un'immagine della verità futura, sapeva che dal suo seme sarebbe nato il Cristo, il quale avrebbe dovuto essere offerto come vera vittima di tutto il mondo, e sarebbe risorto dai morti.

In Isacco le promesse

2. Ma intanto ora Dio tentava Abrahamo, e gli dice: Prendi il tuo figlio carissimo, che ami (Gen 22, 1-2); non gli era bastato aver detto figlio, ma aggiunge anche carissimo; sia pure, ma perché aggiunge ancora: che ami? Considera la gravità della tentazione: mediante questi dolci e cari nomi, di nuovo e più volte ripetuti, sono eccitati i sentimenti del padre, affinché, essendo ben desta la memoria dell'amore, la destra del padre sia trattenuta nell'immolare il figlio, e tutta la milizia della carne faccia lotta contro la fede dell'anima.

Prendi, dice dunque, il tuo figlio carissimo, che ami, Isacco ; sia pure, Signore, che tu ricordi il figlio al padre; aggiungi anche carissimo di colui che comandi di uccidere; basti questo al supplizio del padre; di nuovo aggiungi anche che ami; pure in questo siano triplicati i supplizi del padre; ma che bisogno c'è ancora che tu ricordi anche Isacco? Forse che Abrahamo non sapeva che quel suo figlio carissimo, colui che egli amava, si chiamava Isacco? Ma perché si aggiunge ciò a questo punto? Perché Abrahamo si ricordasse che gli avevi detto: In Isacco si chiamerà per te la discendenza, e in Isacco saranno per te le promesse (cf Gen 21, 12; Rm 9, 7-8; Eb 11, 18; Gal 3, 16.18; 4, 23). Viene anche ricordato il nome, affinché subentri la disperazione nei confronti delle promesse che erano state fatte in questo nome. Ma tutto questo, perché Iddio tentava Abrahamo.

Il luogo elevato

3. E dopo ciò? Va' in un luogo elevato, su uno dei monti che ti mostrerò, e là offrilo in olocausto (Gen 22, 2); considerate dai particolari come si accresce la tentazione: Va' in un luogo elevato; forse che Abrahamo, con il fanciullo, non poteva essere condotto prima a quel luogo elevato, ed essere collocato prima sul monte, scelto dal Signore, e lì essergli detto di offrire il suo figlio? Ma prima gli viene detto che deve offrire il suo figlio, e poi gli è comandato di andare in un luogo elevato e di salire sul monte. A che mira ciò?

A che, mentre cammina, mentre fa la strada, per tutta la via sia lacerato dai pensieri, e a tratti sia tormentato dall'urgenza del comando, a tratti dall'affetto riluttante per l'unico figlio.

Per questo, dunque, gli è comandata anche la via, anche l'ascesa del monte, perché in tutti questi passi possano ampiamente misurarsi a battaglia i sentimenti e la fede, l'amore di Dio e l'amore della carne, la grazia delle cose presenti e l'attesa delle future. E' mandato dunque in un luogo elevato, e il luogo elevato non basta per il patriarca che deve compiere per il Signore un'opera così grande, ma gli viene comandato anche di salire su un monte, ossia che, elevatosi per la fede, abbandoni le cose terrene e ascenda alle cose celesti.

Il terzo giorno

4. Si levò dunque Abrahamo al mattino, e mise il basto alla sua asina, e tagliò la legna per l'olocausto. E prese il suo fglio Isacco e due servi, e giunse al luogo che Dio gli aveva detto, il terzo giorno (Gen 22, 3-4). Si levò Abrahamo al mattino (con l'aggiunta al mattino, ha forse voluto mostrare che un principio di luce splendeva nel suo cuore), mise il basto alla sua asina, preparò la legna, prese con sé il figlio. Non riflette, non mette in discussione, non comunica ad alcun uomo la sua intenzione, ma subito affretta il viaggio.

E giunse al luogo che il Signore gli aveva detto, il terzo giorno: tralascio ora quale mistero contenga il terzo giorno; considero la sapienza e il consiglio di colui che tenta.

E così nelle vicinanze non c'era alcun monte, benché tutto accadesse fra i monti, ma il cammino si prolunga per tre giorni, e per tre giorni le viscere del padre sono tormentate dai pensieri ricorrenti, cosi che per tutto questo spazio tanto lungo il padre guardava il figlio, mangiava con lui, e per tante notti il fanciullo riposava nelle braccia del padre, gli si stringeva al petto, gli giaceva in grembo. Vedi fino a qual punto aumenta la tentazione.

Il terzo giorno, poi è sempre stato adatto ai misteri: infatti anche il popolo, uscito dall'Egitto, offre a Dio il sacrificio il terzo giorno, e si purifica nel terzo giorno; il terzo giorno è quello della risurrezione del Signore; e molti altri misteri sono racchiusi in questo giorno (cf Es 19, 16; 24, 5; Mt 27, 63; Mc 8, 31).

Dio è potente

5. Guardando, Abrahamo vide il luogo di lontano, e disse ai suoi servi: sedetevi qui con l'asina, io e il fanciullo andremo fin là, e, quando avremo adorato, ritorneremo a voi (Gen 22, 4-5). Lascia i servi; infatti i servi non potevano salire con Abrahamo al luogo dell'olocausto, che Dio gli aveva mostrato.

Dice dunque: Voi sedete qui, io e il bambino andremo, e, quando avremo adorato, ritorneremo a voi. Dimmi, Abrahamo, dici il vero ai servi, che adorerai e ritornerai con il bambino, o menti? Se dici il vero, dunque non farai olocausto di lui; se menti... a un così grande patriarca non si addice mentire. Dunque, quale intenzione manifesta in te questa parola?

Dico il vero, afferma, e offro il fanciullo in olocausto; per questo infatti porto anche con me la legna, e con lui ritornerò a voi, perché credo, e questa è la mia fede: Che Dio è potente a risuscitarlo anche dai morti (Eb 11, 19).

Isacco figura del Cristo

6. Dopo ciò, Abrahamo prese la legna per l'olocausto, vi pose sopra Isacco suo figlio, e prese nelle sue mani il fuoco e la spada, e si avviarono insieme (Gen 22, 6). Per il fatto che Isacco si porta lui stesso la legna per l'olocausto, è figura del Cristo che si portò lui stesso la croce (Gv 19, 17); e tuttavia portare la legna per l'olocausto è compito del sacerdote; diviene cosi insieme vittima e sacerdote.

Ma anche l'aggiunta: E si avviarono tutti e due insieme , si riferisce a ciò: infatti, mentre Abrahamo, che si accingeva a sacrificare, portava il fuoco e il coltello, Isacco non va dietro a lui, ma con lui, affinché appaia che egli, con lui, parimenti funge da sacerdote.

Cosa avviene dopo questo? Isacco disse ad Abrahamo suo padre: Padre (Gen 22, 7). In questo momento la voce che proviene dal figlio è una tentazione. Infatti come pensi che il figlio, che doveva essere immolato, abbia scosso le viscere paterne con questa voce? E benché Abrahamo fosse così inflessibile in grazia della fede, tuttavia anch'egli ricambiò una parola d'affetto e disse: Cosa c'è, figlio? E lui: Ecco il fuoco e la legna, ma dov'è la pecora per l'olocausto? (Gen 22, 7). Abrahamo rispose: Dio stesso si provvederà la pecora per l'olocausto, figlio (Gen 22, 8).

Mi commuove la risposta di Abrahamo, così attenta e cauta; non so quel che vedeva in spirito, perché non riguardo al presente, ma al futuro dice: Dio stesso si provvederà la pecora : al figlio che gli domanda del presente, risponde le cose future. Infatti il Signore stesso si provvederà la pecora nel Cristo, poiché anche la sapienza stessa si è edificata una casa (Pv 9, 1), ed egli ha umiliato se stesso fino alla morte (Fil 2, 8); e troverai che tutto quello che leggi del Cristo, è stato fatto non di necessità, ma liberamente.

Costanza nel proposito

7. Proseguirono dunque entrambi, e giunsero al luogo che Dio gli aveva detto (Gen 22, 8-9). A Mosè, giunto al luogo che il Signore gli aveva mostrato, non è consentito di salire, ma prima gli viene detto: Sciogli il legaccio dei calzari dai tuoi piedi (Es 3, 5); ad Abrahamo ed Isacco non è detto nulla di simile, ma salgono, e non depongono i calzari. In ciò, forse, il motivo è che Mosè, benché fosse grande (Es 11, 3), tuttavia veniva dall'Egitto, e vi erano alcuni legami di mortalità annodati ai suoi piedi; invece Abrahamo e Isacco non hanno nulla di ciò, ma giungono al luogo. Abrahamo edifica l'altare, pone sopra l'altare la legna, lega il fanciullo, si prepara a scannare (cf Gen 22, 9-10).

Siete in molti, nella Chiesa di Dio, che ascoltate queste cose e siete padri. Pensate che qualcuno dì voi, dalla narrazione stessa del fatto acquisti tanta costanza e forza d'animo, che, se per caso perde un figlio per la morte comune e che spetta a tutti, anche se è unico, anche se è amato, prenda come esempio Abrahamo, e si ponga davanti agli occhi la sua grandezza d'animo? Eppure da te non si richiede questa grandezza d'animo, da legare proprio tu il figlio, da forzarlo tu stesso, da essere tu a preparare la spada, da scannare tu l'unico figlio. Non ti sono domandati tutti questi servizi.

Sii almeno costante nel proposito e nell'animo: saldo nella fede offri lieto il figlio a Dio; sii sacerdote della vita del tuo figlio; giacché non conviene piangere al sacerdote che immola a Dio.

Vuoi vedere che questo ti è richiesto? Dice il Signore nel Vangelo: Se foste figli di Abrahamo, certo fareste le opere di Abrahamo (Gv 8, 39). Ecco, questa è l'opera di Abrahamo. Fate le opere che ha fatto Abrahamo, ma non con tristezza, giacché Dio ama chi dà con gioia (2 Cor 9, 7). Che se anche voi sarete tanto pronti per Dio, anche a voi si dirà: Sali a una terra elevata e al monte che io ti mostrerò; e là offrimi il tuo figlio (Gen 22, 2). Non nelle profondità della terra, non nella valle del pianto (Sal 84, 7), ma nei monti alti ed eccelsi offri il tuo figlio. Mostra che la fede in Dio è più forte degli affetti della carne. Infatti Abrahamo amava Isacco suo figlio, ma all'amore della carne antepose l'amore di Dio, e fu trovato non nelle viscere della carne, ma nelle viscere di Cristo (Fil 1, 8), cioè nelle viscere del Verbo di Dio, della verità, della sapienza.

Non risparmiò il proprio figlio

8. Dice: E Abrahamo stese la sua mano, per prendere la spada, e scannare il suo figlio. E l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo, e disse: Abrahamo, Abrahamo. Ed egli disse: Eccomi. E disse: Non mettere la tua mano sopra il fanciullo, e non fargli niente [di male]. Ora infatti so che tu temi Dio (Gen 22, 10-12). Riguardo a questo discorso ci si obietta di solito che Dio dice che ora sa che Abrahamo teme Dio, come se prima lo avesse ignorato.

Dio lo sapeva, e non gli era nascosto, in quanto è colui che conosce tutte le cose prima che siano (Dn 13, 42), ma per te sono state scritte, poiché anche tu, certo, hai creduto a Dio, ma se non compirai le opere della fede (cf 2 Ts 1, 11), se non sarai obbediente in tutti i comandamenti, anche i più difficili, se non offrirai il sacrificio e non mostrerai che non preferisci a Dio né il padre, né la madre, né i figli (cf Mt 10, 37), non si riconoscerà che temi Dio, e non si dirà di te: Poiché ora so che tu temi Dio(Gen 22, 12).

Dobbiamo poi considerare che si riferisce che un angelo dice queste cose ad Abrahamo, e che nel seguito questo angelo appare chiaramente come il Signore . Per cui ritengo che, come fra noi uomini fu trovato nel sembiante come uomo (Fil 2, 7), così anche fra gli angeli sia stato trovato nel sembiante come angelo. E, seguendo il suo esempio, gli angeli nel cielo si rallegrano per un solo peccatore che faccia penitenza (Lc 15, 10), e si gloriano dei progressi degli uomini. Essi hanno come l'incarico delle nostre anime, e a loro, mentre ancora siamo piccoli, siamo affidati come a tutori e amministratori fino al tempo stabilito dal padre (cf Gal 4, 3-2). Dunque, essi stessi, ora, riguardo al progresso di ciascuno di noi dicono: Ora so che tu temi Dio.

Per esempio, se ho il proposito del martirio, non per questo l'angelo mi potrà dire: Ora so che tu temi Dio; poiché il proposito dell'anima è noto solo a Dio. Ma se accederò ai combattimenti, proferirò la bella confessione (1 Tm 6, 12), sosterrò senza vacillare tutte le prove che mi verranno inflitte, allora l'angelo, come per confermarmi e darmi forza, potrà dire: Ora so che tu temi Dio.

Ma in verità queste cose sono state dette ad Abrahamo, ed è stato proclamato che egli teme Dio. Perché? Perché non ha risparmiato il suo figlio. E noi ora rapportiamo questo alle parole dell'Apostolo, ove dice di Dio: Egli che non risparmiò il proprio Figlio, ma lo consegnò per noi tutti (Rm 8, 32). Vedi che Dio lotta con gli uomini con magnifica liberalità: Abrahamo offri a Dio un figlio mortale, che non sarebbe morto; Dio, per gli uomini, consegnò alla morte il Figlio immortale. Che diremo noi di fronte a queste cose? Che cosa renderemo al Signore, per tutto quello che egli ci ha donato (cf Sal 116, 12)?

Iddio Padre, per noi, non risparmiò il proprio Figlio .

Secondo te, chi di voi udrà una buona volta la voce dell'angelo che dice: Ora so che tu temi Dio, poiché non hai risparmiato il tuo figlio , la tua figlia, o la tua moglie, o non hai risparmiato il denaro, o gli onori del secolo e le ambizioni del mondo, ma hai disprezzato tutto, e tutto hai stimato come sterco, per guadagnare Cristo (Fil 3, 8), hai venduto tutto, e l'hai dato ai poveri e hai seguito la parola di Dio (cf Mt 19, 21)? Secondo te, chi di voi udrà dall'angelo parole di tal genere?

Intanto, Abrahamo ode questa voce e gli viene detto: Poiché non hai risparmiato il tuo figlio diletto per me.

Cristo patisce nella carne

9. E volgendosi indietro a guardare, Abrahamo vide coi suoi occhi, ed ecco un ariete era impigliato per le corna in un roveto (Gen 22, 13).

Abbiamo detto, mi pare, in precedenza, che Isacco era figura del Cristo, ma qui anche l'ariete sembra altrettanto figura del Cristo; vale la pena di conoscere come l'uno e l'altro convengano al Cristo, sia Isacco, che non è stato sgozzato, sia l'ariete, che è stato sgozzato.

Il Cristo è il Verbo di Dio, ma il Verbo si è fatto carne (Ap 19, 13; Gv 1, 14): per un aspetto, dunque, il Cristo è dall'alto, per un altro è assunto dall'umana natura e dall'utero verginale. Infatti il Cristo patisce, ma nella carne; e ha sopportato la morte, ma nella carne, di cui è figura l'ariete; come diceva anche Giovanni: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che prende il peccato del mondo (Gv 1, 29).

Quanto al Verbo, rimase nella incorruzione (cf 1 Cor 15, 42), e questo è il Cristo secondo lo Spirito, di cui è immagine Isacco: perciò egli stesso è vittima e sacerdote. Infatti secondo lo Spirito offre la vittima al Padre, secondo la carne egli stesso viene offerto sull'altare della croce, poiché, come è stato detto di lui: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che prende il peccato del mondo (Gv 1, 29), così è stato detto di lui: Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec (Sal 110, 4). Dunque l'ariete è impigliato per le corna in un cespuglio (Gen 22, 13).

Il Signore ha veduto

10. Dice: E prese l'ariete, e l'offri in olocausto al posto di Isacco suo figlio, e Abrahamo chiamò il nome di quel luogo: Il Signore ha veduto (Gen 22, 13-14).

Per chi sa ascoltare queste cose, si spalanca con evidenza la via dell'intelligenza spirituale; infatti, tutte le cose che si sono compiute giungono alla visione; giacché è detto che il Signore ha veduto.

La visione, poi, che il Signore ha veduto, è nello spirito, affinché anche tu veda in spirito queste cose che sono state scritte, e, come in Dio nulla è corporeo, così anche tu non intenda nulla di corporeo in tutte queste cose, ma generi anche tu nello spirito il figlio Isacco, quando incomincerai ad avere il frutto dello spirito, la gioia, la pace (Gal 5, 22).

Questo figlio, tuttavia, allora soltanto lo genererai, se, come è stato scritto di Sara che erano cessati a Sara i corsi delle donne (Gen 18, 11), e allora generò Isacco, parimenti anche nella tua anima cessi ciò che è femminile, così che tu non abbia più nella tua anima nulla di muliebre e di effeminato, ma ti comporti virilmente (cf Dt 31, 6), e virilmente cinga i tuoi fianchi, se il tuo petto sarà difeso dalla corazza della giustizia, se ti rivestirai dell'elmo della salvezza e della spada dello spirito (cf Ef 6, 14. 17).

Se dunque verrà meno ciò che è femminile nella tua anima, genererai dalla tua moglie - la virtù e la sapienza -, un figlio: la gioia e la pace.

Generi poi la gioia, se tutto stimerai gioia, quando ti imbatterai in varie tentazioni (Gc 1, 2), e offrirai questa gioia in sacrificio a Dio; e quando ti avvicinerai lieto a Dio, ti renderà nuovamente quello che avrai offerto, e ti dirà: Di nuovo mi vedrete, e gioirà il vostro cuore, e nessuno vi toglierà la vostra gioia (cf Gv 16, 22. 17). Così dunque riceverai moltiplicato quel che avrai offerto a Dio.

Qualcosa di simile, anche se sotto altra figura, è riportato negli Evangeli, quando è detto in parabola che un tale ricevette una mina, per trafficarla e guadagnare il denaro per il padre di famiglia (cf Lc 19, 12 ss. e Mt 25, 14 ss.); ma se tu ne porterai cinque moltiplicate in dieci, saranno donate e concesse proprio a te. Senti infatti quel che dice: Prendete a questi la mina, e datela a quello che ne ha dieci (Lc 19, 24).

Così dunque sembra che traffichiamo per il Signore, ma i guadagni del commercio sono ceduti a noi; e sembra che offriamo vittime al Signore, ma esse sono ridonate a noi che offriamo. Dio infatti non ha bisogno di nessuno, ma vuole che noi siamo ricchi, desidera il nostro profitto in ogni cosa.

Questa figura ci è mostrata anche in quel che si è compiuto per Giobbe: anch'egli infatti, essendo ricco, perdette tutto per Dio. Ma poiché sopportò bene i combattimenti della pazienza, e fu magnanimo in tutto quello che patì, e disse: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come è piaciuto al Signore, cosi è accaduto, sia benedetto il Nome del Signore (Gb 1, 21), vedi, alla fine, ciò che si scrive di lui: Ricevette il doppio di tutto quello che aveva perduto (Gb 42, 10).

Vedi cosa vuol dire perdere qualcosa per Dio? Riceverla per te moltiplicata. Ma a te, gli Evangeli promettono qualcosa di più abbondante: ti offrono il centuplo, e per di più la vita eterna (cf Mt 19, 29 e par.) in Gesù Cristo nostro Signore, al quale è la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen (1 Pt 4, 11).