Nono Venerdì - IL DOLORE
Santa Maria Alacoque

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—1—
Se Dio è Amore e Misericordia, come si spiega il dolore che
attanaglia l’umanità? Questa è la difficoltà
più frequente che si sente fare anche dal credente, dal
cristiano che frequenta la Chiesa e i Sacramenti, perché si
dimentica che il mondo com’è adesso non è quello
voluto da Dio, ma quello rovinato dal peccato.
Dio, dopo aver
creato il mondo con tutte le meraviglie che ci circondano: il sole,
la luna, le stelle, i mari, i monti, le piante, i fiori, i frutti di
ogni genere; dopo aver creato l’indefinita varietà di
pesci, di uccelli, di animali; dopo aver preparato la culla del
genere umano con tutte le delizie del paradiso terrestre, volle
creare l’uomo a sua immagine e somiglianza per renderlo
partecipe un giorno della sua stessa felicità eterna.
Creando
l’uomo avrebbe potuto lasciarlo nel semplice stato naturale e,
dopo una vita naturalmente onesta, dargli una felicità
naturale, infinitamente inferiore a quella soprannaturale del
Paradiso. Dio, invece, elevò l’uomo allo stato
soprannaturale facendolo suo figlio adottivo. Siccome il figlio deve
avere la stessa natura del padre, Dio lo fece partecipe della sua
natura divina mediante la grazia santificante, per cui Gesù ci
fa pregare: «Padre nostro, che sei nei cieli... » (Matt.
6,9), e San Giovanni (I Gv. 3,1-2) ci dice: «Quale grande amore
ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo
realmente!... Carissimi noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma
ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo
però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo
simili a Lui perché lo vedremo così come Egli è».
Oltre
il dono soprannaturale della grazia santificante, che ci fa partecipi
della vita divina, Dio aveva dato all’uomo altri doni, fra i
quali quelli preternaturali dell’impassibilità e
dell’immortalità, per cui l’uomo non doveva mai
soffrire e mai morire. Tali doni erano però legati alla
riuscita della prova alla quale Dio sottopose l’uomo.
Che
cosa poteva mancare all’uomo in quella dimora incantevole?
Nulla: godeva un paradiso in terra in attesa di entrare un giorno
nella gloria e nel possesso di Dio per tutta l’eternità.
Un
solo comando gli aveva dato Dio: non mangiare i frutti dell’albero
che si trovava nel mezzo del giardino del paradiso terrestre.
Conosciamo la storia della sua dolorosa caduta:
Adamo, spinto da
Eva già sedotta da Satana, si ribellò a Dio mangiando
il frutto dell’albero vietato. Commise il primo peccato grave
di superbia e di ribellione, chiamato «peccato originale»,
perché Adamo è il capostipite dell’umanità.
L’uomo,
staccandosi da Dio con una scelta libera ed errata, ha innescato
tutto un processo di realtà negative, delle quali la peggiore
è la morte. Infatti la parola di Dio (Sap. 2:23) dice «Dio
ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a
immagine della sua natura. La morte è entrata nel mondo per
invidia del Diavolo» che convinse Adamo a ribellarsi all’ordine
di Dio.
Come conseguenza del peccato non dobbiamo intendere solo
la morte, ma anche la sofferenza di ogni tipo che ne è il
sottoprodotto.
Il Padre, sin dal primo istante dopo il peccato,
incalza col suo amore questi figli ribelli che si nascondono e cerca
di provocare il loro pentimento, rivolgendosi prima ad Adamo: «Dove
sei?», e poi ad Eva:
«Che cosa hai fatto?» (Gen.
3,8-12).
Sarebbe bastato che almeno uno di loro gli avesse detto:
«Ho sbagliato! E colpa mia! » per permettere al Padre di
reintegrarli nel primitivo stato di grazia, cioè della vita
divina che li aveva resi figli di Dio e re del creato.
Dal momento
che Adamo ed Eva non aff errarono il suo richiamo d’amore, il
Padre prova con le maniere forti, presentando il drammatico quadro
delle conseguenze del loro peccato, nella speranza che (se non per
amore almeno per timore) riconoscano il loro errore, il loro peccato.
Il Padre è sempre pronto al perdono, per convincercene basta
citare un parallelo biblico con quello che Dio, mediante il profeta
Natan, dice a Davide, dopo i suoi grandi peccati (2 Sam. 12,9-13):
«Tu hai colpito di spada Uria 1’Hittita, hai preso in
moglie sua moglie e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti.
Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché
ti mi hai disprezzato... Ecco io sto per suscitare contro di te la
sventura dalla tua stessa casa.
Allora Davide disse a Natan: Ho
peccato contro il Signore! Natan rispose a David: Il Signore ha
perdonato il tuo peccato; tu non morirai». Dio per mezzo del
profeta Natan che parla a suo nome, usa con Davide lo stesso tono e
lo stesso stile che usò con Adamo.
Davide riconosce il suo
peccato ed è salvo; tutte le sciagure prospettate su di lui e
sulla sua famiglia vengono sciolte dal Padre che «perdona il
peccato» e libera dalle sue conseguenze. Adamo invece non
riconosce la sua colpa e il Padre non può intervenire con la
sua misericordia. La famiglia umana, perché discendente da
Adamo ed Eva, dovrà subire tutte le conseguenze del peccato:
la sofferenza, la morte e tutte le angherie del Demonio, il padrone
di cui il capostipite, Adamo, si è reso schiavo. Perciò
il dolore e la morte sono le conseguenze del peccato originale
aggravate dei peccati personali di ogni uomo.
Questo ci spiega
perché la sofferenza e la morte ci ripugnano, proprio perché
Dio ci ha creati per la felicità e l’immortalità.
Gesù Cristo, la seconda Persona della SS.ma Trinità,
s’incarnò nel seno purissimo dell’Immacolata e
sempre Vergine Maria, e s’immolò sulla croce per rifare
l’uomo decaduto di nuovo figlio di Dio ed erede del Paradiso.
Per realizzare questo Gesù scelse la via della sofferenza,
insegnandoci così che la sofferenza è condizione
necessaria per salvarsi.
—2—
Dio è Amore (Gv. 4:8). La fede in questa fondamentale
verità è necessaria per poter scorgere nell’amore
di Dio la causa prima ed efficiente di tutte le sue opere.
È
la sovrabbondanza del suo amore che ha reso Dio Creatore: «Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è
stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv. 1:3).
È
il suo amore che ha ispirato l’Incarnazione: «Dio ha
tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito» (Gv.
3:16).
È l’ineffabile suo amore che ha voluto la
redenzione: «Vivo nella fede che ho sul Figlio di Dio che mi ha
amato e ha sacrificato sé stesso per me» (Gal.2:20).
È
il suo tenero amore che ci ha dato i Sacramenti e particolarmente
l’Eucaristia: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo,
li amò fino alla fine» (Gv. 13:1).
È il suo
amore che ha disposto il Purgatorio per le anime che le prove e le
sofferenze della vita non hanno abbastanza purificato.
È il
suo amore infinito che ha preparato il Paradiso per le anime di buona
volontà.
È il suo amore oltraggiato, respinto e
giusto che ha creato l’inferno per gli Angeli ribelli e per gli
uomini che, fino all’ultimo istante della loro vita terrena,
disprezzano e rifiutano la grazia dell’Amore misericordioso che
li chiama al pentimento e alla salvezza. Un paragone chiarisce
l’affermazione. Immaginiamo un padre molto buono, che sacrifica
tempo, energie, salute, sostanze, tutto sé stesso per il bene
di un figlio. Costui, anziché ricambiare con amore
riconoscente, pensa solo a sfruttare i benefici del padre e a
beffarlo e ingiuriarlo. Il padre potrà sopportare, perdonare,
correggere, richiamare per moltissime volte, ma quando tutto ciò
è diventato inutile, si sdegnerà e punirà il
figlio malvagio. Così fa Dio col peccatore ostinato. Egli ha
amato l’uomo smisuratamente fino a sacrificare sé
stesso. Ma se l’uomo sdegna quest’amore, allora Dio deve
dare corso alla sua giustizia per riparare il suo amore.
L’inferno
stesso è diventato nei mirabili disegni di Dio un
efficacissimo mezzo di salvezza. Infatti se non ci fosse l’inferno
pochissimi andrebbero in Paradiso: solo i Santi che amano Dio con
tutto l’ardore del loro cuore, mentre la stragrande maggioranza
degli uomini, incantata, stordita e ingannata dai piaceri terreni,
dimenticherebbe Dio e disprezzerebbe il suo Paradiso. Invece la paura
dell’inferno eterno spinge moltissimi a pentirsi dei loro
peccati, a confessarsi per rimettersi in grazia di Dio e quindi a
salvarsi. Per que— sto si può benissimo dire che salva
più anime l’inferno che il Paradiso.
—3—
Inoltre dobbiamo credere nell’amore di Dio nei singoli
avvenimenti di cui s’intreccia la vita del mondo e dei singoli
individui. Dio non può fare che opera di amore anche quando
castiga su questa terra, perché il castigo di Dio è uno
solo, 1inferno eterno, mentre i castighi temporali sono atti di
misericordia per la salvezza delle anime.
Ecco al riguardo quanto
diceva Gesù ad un’anima privilegiata, Suor Consolata
Betrone. Durante il conflitto italo-etiopico (1935-36), pregando Suor
Consolata per i Cappellani militari perché si mantenessero
all’altezza della loro missione, Gesù le rispondeva:
«Vedi questi giovani (i soldati), la maggior parte nelle loro
case marcirebbero nei vizi. Invece in guerra, lontani dell’occasione,
con l’assistenza del Cappellano, mori ranno e saranno
eternamente salvi». La stessa cosa le ripeteva circa la crisi
economica che già travagliava il mondo primi dell’ultimo
conflitto mondiale:
«Anche la miseria attuale che regna nel
mondo non è opera della mia giustizia, ma della mia
misericordia. Quante colpe di meno per mancanza di denaro. Quante
preghiere di più s’innalzeranno verso il cielo nelle
strettezze finanziarie. Oh, non credere che i dolori della terra non
mi commuovono, ma Io amo le anime, le voglio salve, e per raggiungere
il mio scopo sono costretto ad usare rigori. Ma credilo, è per
fare misericordia. Nell’abbondanza le anime si dimenticano di
me e sì perdono, nella miseria tornano a Me e si
salvano».
Durante la tremenda seconda guerra mondiale, l’8
dicembre 1940 fra Gesù e Suor Consolata supplicante per la
pace, si svolgeva il seguente dialogo:
— Vedi, Consolata, se
oggi Io concedessi la pace, il mondo ritornerebbe nel fango... la
prova non sarebbe sufficiente...
— Ma, Gesù, tutta
questa gioventù inviata al macello!
— Oh, non è
meglio due, tre anni di acerbe, intense, inaudite sofferenze e poi
un’eternità di gaudii, anziché un’intera
vita di dissolutezze e poi un’eterna dannazione?...
—
Ma, Gesù, non sono tutti cattivi!
— Ebbene, i buoni
aumenteranno i loro meriti. No, non dare la colpa ai capi delle
nazioni, essi sono semplici strumenti nelle mie mani. Per potere
salvare il mondo oggi è necessario così. Oh, quanta
gioventù ringrazierà in eterno Dio per essere perita in
questa guerra che l’ha salvata eternamente! Hai capito?... Se
Io permetto tanto, tanto dolore nel mondo è per questo unico
scopo: salvare le anime per l’eternità». Non passi
inosservata la luminosa profondità delle parole «Non
dare la colpa ai capi delle nazioni, essi sono semplici strumenti
nelle mie mani», che ricordano il divino insegnamento al
profeta Isaia (Is. 10:5-6):
«Oh! Assiria, verga del mio
furore, bastone del mio sdegno. Contro una nazione empia (Giuda) io
la mando e la comando contro un popolo con cui sono in collera perché
lo saccheggi, Io depredi e lo calpesti come fango di strada».
Anche
per bocca del profeta Geremia (Ger. 51:20) Dio dice di Babilonia:
«Un
martello sei stata per me, uno strumento di guerra; con te martellavo
i popoli, con te annientavo i regni». Questa mistica visione
delle tragedie storiche prodotte dai «capi delle nazioni>’
che sono «semplici strumenti» nelle mani del Signore: 1)
Non toglie la loro responsabilità del male che fanno e di cui
hanno da rendere conto; 2) non impedisce che l’onnipotenza di
Dio faccia servire anche la malvagità umana all’attuazione
del suo disegno provvidenziale di eterna salvezza; 3) i flagelli
della vita presente, accettati a purificazione nostra, servendocene
pazientemente, diventano mezzi di soddisfazione e di espiazione, di
santificazione e di apostolato.
—4—
Come nelle sventure pubbliche, così in quelle familiari e
individuali bisogna credere nell’amore di Dio. Sempre, anche
nei casi più intensamente dolorosi, davanti ai quali l’umana
ragione si domanda smarrita: ma perché? La risposta che viene
dal cielo è ancora: amore, bontà, misericordia di
Dio.
Un giorno alle lacrime di Suor Consolata per l’improvvisa
morte di una sua compagna d’infanzia, certa Celeste Canda, che
lasciava orfani quattro bimbi, dei quali la maggiore di appena nove
anni, Gesù rispondeva: «Celeste Candia ora gode la mia
dolce eterna visione e dal Paradiso veglia con maggiore tenerezza
sulle anime dei suoi quattro bimbi, più che se fosse rimasta
sulla terra». Quale soave conforto, quanta luce di Cielo
gettano queste semplici parole su tutti i lutti familiari! La fede è
l’unica forza nel dolore!
—5—
Insomma credere all’amore misericordioso di Gesù vuol
dire che Egli ci ama, ci vuole salvi e che tutto ciò che Egli
opera, vuole o permette, sia nel mondo universo come nel piccolo
mondo dell’anima, è sempre per il nostro bene. Sono
poche però le anime, anche se dedite alla pietà, che
abbiano questa fede viva e pratica nell’amore di Dio. Ce
l’hanno forse, ma debole e facilmente essa vacilla sotto i
colpi di scalpello del divino Artefice intesi a perfezionare l’opera
delle sue mani.
Lo scultore ha dinnanzi a sé un blocco di
marmo informe e ne vuole ricavare una bella statua. Prende lo
scalpello e batte e ribatte sul marmo fino a quando la figura umana
marmorea corrisponde a quella che ha ideato. Se il marmo potesse
sentire e parlare direbbe all’artista: ma perché mi
batti?... perché mi tormenti?... lasciami in pace! Lo scultore
potrebbe rispondere: Faccio tutto questo per il tuo bene. Tu saresti
un blocco di marmo insignificante, mentre col mio lavoro ti rendo
celebre. Verranno a visitarti uomini illustri. Tu passerai alla
storia e verrai custodito come un tesoro! — Così fa Gesù
con noi. Sotto lo scalpello del dolore quante virtù
esercitiamo: la fede, la speranza, la carità, l’umiltà,
la pazienza e tante altre virtù. Quale cumulo di meriti
guadagniamo per il Paradiso. Quante anime potremo salvare.
Le
nostre sofferenze, in sé stesse di pochissimo valore, unite
però alle sofferenze di Gesù Cristo, acquistano un
valore inestimabile per la salvezza di tanti nostri fratelli
peccatori. Ecco al riguardo il luminoso esempio del Papa Giovanni
Paolo Il. Il giorno 24 maggio 1981, a undici giorni del sacrilego
attentato, il Papa alla folla, accorsa in Piazza S. Pietro a
mezzogiorno, rivolge un significativo messaggio registrato in cui
dice fra l’altro: «Desidero oggi rivolgermi in modo
particolare a tutti gli ammalati, esprimendo ad essi io, infermo come
loro, una parola di conforto e di speranza. Quando, all'indomani
della mia elezione alla Cattedra di Pietro, venni per una visita al
Policlinico Gemelli, dissi di volere appoggiare il mio ministero
papale soprattutto su quelli che soffrono. La Provvidenza ha disposto
che al Policlinico Gemelli ritornassi da malato. Riaffermo ora la
medesima convinzione di allora: la sofferenza accettata in unione con
Cristo sofferente ha una sua efficacia impareggiabile per
l’attuazione del disegno divino della salvezza. Ripeterò
quindi con San Paolo: Sono lieto delle sofferenze che sopporto per
voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di
Cristo a favore del suo Corpo che è la Chiesa. Invito tutti
gli ammalati ad unirsi a me nell’offerta a Cristo dei loro
patimenti per il bene della Chiesa e dell’umanità. Maria
Santissima ci sia di sostegno e di conforto».
Quante
anime sono portate a vedere in Dio più che il Padre buono il
Padrone severo! E per esse questo dolce lamento di Gesù a Suor
Consolata: «Non fatemi Dio di rigore, mentre Io non sono che
Dio di amore!».
— E per esse la risposta di Gesù
a Suor Consolata, che gli aveva domandato come preferisse essere
chiamato: «Amore immenso, Bontà infinita». —
per esse ancora il consiglio di Gesù a lei, indecisa se
mettere in una lettera — che veniva inviata ad una persona
benefattrice del monastero — «Il Cuore Sacratissimo di
Gesù» oppure «Il Cuore buono di Gesù»:
“Metti «il Cuore buono di Gesù» perché
che Io sia santo lo sanno tutti, ma che sia buono non tutti lo
sanno”.
L’anima pertanto che vuole vivere di amore,
deve ben fondarsi in questa verità: Dio è Amore e tutto
quello che vuole o permette nei riguardi di ciascuno di noi è
per il nostro maggior bene, per la nostra santificazione e salvezza
eterna — ed applicarla ai mille casi della vita quotidiana. Non
fermarsi alle creature o agli eventi, ma in tutto vedere Dio e il suo
amore misericordioso; e sempre, tanto nelle cose prospere quanto
nelle avverse, nella quiete o tra i flutti in tempesta, raccogliere
le proprie energie per far giungere al Cielo il grido della sua fede
incrollabile: Sacro Cuore di Gesù, credo al tuo amore per
me!
Ma se quando siamo provati dalla sofferenza ci lamentiamo
contro il Signore, dimostriamo di avere pochissima fede. Chi non ha
assistito qualche volta ad una vaccinazione di bambini? La mamma
stessa porta dal dottore il suo bambino tanto amato. Il piccolo
strilla, sferra calci con i suoi piedini per sfuggire dalle braccia
materne, graffia e piange: Mamma cattiva, mamma cattiva! Ma la mamma,
nonostante la sofferenza interna del suo cuore, non si lascia
commuovere, denuda le rosee braccine e le sottopone alla lancetta
pungente del dottore perché le scalfisca fino al sangue. La
mamma perché fa vaccinare il suo bambino? Per farlo soffrire?
No certamente, ma per preservarlo dalle malattie e fargli godere
ottima salute. Così Dio, Padre nostro, fa con noi: ci
sottopone alla vaccinazione del dolore per farci scampare dalle
malattie gravi del peccato, che possono mandarci all’inferno, e
per farci godere eternamente il Cielo. — Sotto la stretta del
dolore noi, come un bambino che ancora non capisce, ci rivoltiamo
contro Dio con i nostri insulti, bestemmie, insofferenze quasi a
volerlo graffiare come i bambini della vaccinazione, ma il Signore
che ci ama di un amore infinito non si lascia commuovere perché
vuole il vero bene: la nostra salvezza e felicità eterna. —
Quei bambini vaccinati, quando saranno cresciuti diranno: benedetta
la severità della mia mamma che mi ha fatto soffrire perché
così ora godo ottima salute! — Così noi provati
ora dalla sofferenza, quando saremo in Paradiso, esclameremo:
benedetta la severità di Dio che ci ha fatto soffrire sulla
terra perché così abbiamo evitato l’inferno ed
ora possiamo godere dell’eterna felicità dei beati!
La sofferenza è anche castigo ma sempre
permeato di misericordia.
Quando Gesù incontrò nel
tempio il paralitico, guarito miracolosamente, gli disse: «Non
peccare più affinché non ti accada di peggio!»
(Gv. 5). Queste parole di Gesù ci dicono chiaramente che tanti
mali, tante sofferenze piombano sugli uomini come punizioni dei
peccati. Il Signore manda i suoi castighi sulla terra ora qua, ora là
secondo i suoi provvidi disegni. Gli uomini non sempre si accorgono
della giustizia di Dio ed attribuiscono, specialmente i grandi
cataclismi, alle leggi naturali. Un terremoto distrugge una città;
una alluvione devasta un paese; un’eruzione vulcanica
seppellisce una contrada; una violenta grandinata rovina un raccolto;
una prolungata siccità rende inutile il lavoro dei contadini
ecc. Questi fenomeni si possono spiegare mediante le leggi naturali,
però chi opera è sempre Dio che, servendosi delle cause
seconde, dà libero corso alla sua giustizia per punire qui la
bestemmia, là la profanazione del giorno festivo, in un luogo
l’impurità, in un altro luogo l’omicidio ecc. —
Una conferma di questo ci viene dalla Madonna nella sua terza
apparizione a Fatima, 13 luglio 1917: « La guerra (1914-18) sta
per finire, ma se gli uomini non cessano di offendere il Signore...
ne incomincerà un’altra peggiore. Quando vedrete una
notte illuminata da una luce sconosciuta — (la così
detta straordinaria aurora boreale che illuminò il cielo la
notte dal 25 al 26 gennaio 1938) — sappiate che quello è
il grande segno che vi dà Dio che prossima è la
punizione del mondo per i suoi tanti delitti mediante la guerra, la
fama e le persecuzioni contro la Chiesa e il Santo Padre)».
—
E i giusti, i bambini, gli innocenti?
Tanti dicono: Ma fra i
peccatori non ci sono pure i bambini innocenti, i buoni? Perché
devono soffrire anche loro se non hanno peccato? Questa difficoltà
sorge perché noi in ogni tribolazione, in ogni sofferenza
vediamo soltanto un castigo. Ma non è così, perché
mentre il dolore è castigo per i peccatori, è fonte di
meriti per i giusti, per gl’innocenti. — Non dobbiamo
dimenticare che la felicità del Paradiso è
proporzionata ai meriti e quindi i giusti, gl’innocenti avranno
una gloria immensa in Cielo per le sofferenze subite sulla terra.
Inoltre le sofferenze degl’innocenti, dei giusti riparano i
peccati dei cattivi e attirano su di essi la misericordia di Dio. Con
la moneta falsa non si può comprare nulla perché essa
non ha alcun valore, invece con la moneta buona si può
comprare quel che si vuole. Così la sofferenza del peccatore è
moneta falsa davanti a Dio e non ha nessun valore. Invece la
sofferenza del giusto, deIl’innocente è moneta buona ed
ha un gran valore soddisfatorio, impetratorio e meritorio. E sono
proprio le sofferenze dei buoni, degli innocenti che riparano
l’offesa fatta a Dio dai peccatori, ottengono ad essi la
conversione e la salvezza.
Cosa dice e ripete in proposito la
Vergine di Fatima ai piccoli Lucia, Giacinta e Francesco? «Pregate,
pregate molto e fate sacrifici per i peccatori, perché molte
anime vanno all’inferno perché non c’è
nessuno che preghi e si sacrifichi per esse...».
Questo
appello materno al dolore dei buoni, degli innocenti per la salvezza
dei peccatori è una conferma che viene dal Cielo
sull’efficacia della preghiera e della sofferenza dei giusti
per la salvezza dei peccatori.
Leggiamo una pagina, molto
istruttiva al riguardo, della biografia di Aldo Marcozzi, nato nel
1920 e morto nel 1940, scritta dal P. Petazzi 5.3.
Questo giovane
dall’età di dieci anni era stato colpito da artrite
deformante che poco a poco lo ridusse ad una completa immobilità.
Una signora, che lo conosceva da parecchio tempo, venuta a fargli una
visita un giorno che la sofferenza gli toglieva quasi la forza di
parlare, gli disse: «Senti, Aldo; tu che parli sempre del tuo
Gesù e dici che egli è tanto buono e misericordioso,
dovresti sapermi dire in che consiste la sua misericordia dal momento
che ti dà tante sofferenze senza un po’ di compassione.
Che cosa hai fatto di male in questo mondo per essere così
castigato? Se egli è un Dio giusto, come tu sei convinto, non
dovrebbe martoriarti così. Queste tue sofferenze le doveva
dare a un delinquente, non ti sembra?». Aldo, assumendo un
aspetto grave e raccogliendo le sue povere forze, disse: «Povera
signora! Quanto mi fa pena! Lei vorrebbe che un Dio così
onnipotente e d’infinità bontà facesse soffrire
un delinquente e quale bene ne potrebbe ottenere? Non conoscendo
questi l’amore di Gesù, non saprebbe offrire i suoi
dolori per la gloria del Signore; la sua vita diverrebbe una continua
bestemmia e offesa di Dio, e dopo tutto si dannerebbe per sempre.
Questo il Signore non lo vuole. Sceglie invece un’anima pura
che sappia offrire la sua vita per la salvezza dei suoi fratelli
peccatori. Quindi io sono il più felice di questo mondo,
felice di fare la volontà di Dio ora e sempre per la sua
maggior gloria!». Quindi, ripetendo quanto è stato
detto, le sofferenze mandateci su questa terra in castigo dei peccati
sono sempre atti della misericordia di Dio perché esse ci
vengono inflitte per distaccarci dal peccato, per convertirci, per
evitare l’inferno e raggiungere il Cielo. Perciò quando
Dio castiga il peccatore, agisce sempre per amore perché con i
castighi Egli vuole convertino e salvarlo.
Inoltre le sofferenze,
se noi siamo in grazia di Dio, se le accettiamo e le offriamo con
pazienza al Signore, ci fanno espiare su questa terra tutta o parte
della
pena temporane dovuta ai nostri peccati e quindi ci fa
evitare, o almeno abbreviare le pene del Purgatorio, che, secondo la
maggior parte dei teologi con S. Tommaso, non sono paragonabili alle
sofferenze terrene, perché la sofferenza più leggera
del Purgatorio supera immensamente le più gravi di questa vita
terrena.
— Tre difficoltà —
1) — Molti dicono: Perché Dio fa prosperare i cattivi
e soffrire i buoni?
Anzitutto chi sono i cattivi e i buoni? I
cattivi sono coloro che, mettendo da parte ogni legge morale, vivono
sfrenatamente dandosi in braccio a ogni sorta di piacere e
assecondando l’orgoglio e la sensualità. Vivono senza
timore di Dio curando solo di conservare la vernice dell’onestà
per non sfigurare nella società.
I buoni sono coloro che si
sforzano di osservare la legge di Dio e fanno sforzi per resistere
alle attrattive del male. Lo sforzo per rimanere in grazia di Dio
richiede molti sacrifici e quindi la vita dei buoni è cosparsa
di spine.
Dopo questa chiarificazione diamo una breve risposta
alla difficoltà:
Dio è infinitamente giusto per cui
premia ogni opera buona e castiga ogni opera cattiva. Ora anche
l’uomo più malvagio di questa terra, durante la vita,
certamente fa qualche opera buona. Dio, prevedendo che costui, per la
sua cattiva volontà e per la sua ostinazione nel male, si
dannerà, non potendogli ricompensare in Paradiso quell’opera
buona che ha fatto, gliela ricompensa su questa terra con la
prosperità temporale, con abbondanza di beni materiali. Per
questo i cattivi godono e prosperano su questa terra.
Al contrario
Dio, prevedendo che i buoni per la loro buona volontà
nell’amarlo e servirlo su questa terra si salveranno, li fa
soffrire in questa vita per ricompensarli poi smisuratamente in
Paradiso. — Dice Gesù (Gv. 15:1): «Io sono la vera
vite ed il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me
non porta frutto lo toglie, e ogni tralcio che porta frutto lo pota
perché porti più frutto». Perciò i buoni
su questa terra vengono potati con le forbici delle tribolazioni,
delle sofferenze affinché, portando con pazienza la croce ed
esercitando le virtù, possano godere una incommensurabile
felicità in Cielo proporzionata ai loro meriti.
2) —
Nel mondo quanti peccati ci sono: bestemmie, scandali, impurità,
omicidi, furti, ecc. Ora se è vero il detto «Non si
muove foglia che Dio non voglia» si potrebbe dire che Dio
voglia tanto male. Se Egli non volesse tutto questo male, questo non
capiterebbe!
A quest’altra difficoltà diamo una
piccola risposta. — Dio non vuole il male, anzi lo proibisce
assolutamente a tutti con la minaccia dei castighi temporanei ed
eterni. Infatti la legge di Dio dice: Non profanare il nome di Dio;
non commettere atti impuri; non rubare; non ammazzare; ama il
prossimo come te stesso, ecc. — Il Signore, quantunque non
vuole il male, tuttavia su questa terra lo permette per rispettare la
nostra libertà, domandandocene però conto nel giudizio
particolare che avverrà subito dopo la nostra morte. Quindi i
cattivi sono liberi — (certamente sempre fino ad un certo
limite stabilito da Dio) — di fare il male. Ma Dio, nella sua
infinita sapienza e potenza, dal male ricava sempre il bene facendo
convergere tutto alla sua gloria e alla santificazione e salvezza
eterna delle anime. Così per es. nella passione e morte di
Gesù, il Padre Celeste permise il tradimento di Giuda;
l’invidia e l’odio dei Farisei, dei sommi Sacerdoti e dei
Capi del popolo che fecero condannare Gesù a morte; la
vigliaccheria del governatore romano Pilato che, per timore di
perdere il posto, condannò Gesù a morte, nonostante
l’avesse riconosciuto innocente, ecc. Però Dio da tutto
questo immenso male trasse il sommo bene della Redenzione
dell’umanità.
3) — Alcuni dicono: Una volta
che ci si è pentiti e confessati perché soffrire
ancora?
Per espirare il male fatto. Un esempio illustra la
risposta. — Un assassino viene condannato alla pena di morte o
dell’ergastolo per i suoi delitti. Dopo 20-30 anni di buona
condotta in carcere, egli inoltra domanda di grazia. Se il Capo dello
Stato l’accetta, gli toglie la pena di morte o dell’ergastolo
e lo fa rimettere in libertà. Però quell’uomo ha
già espiati i suoi delitti con 30 anni di carcere. Così
avviene per i peccatori pentiti e confessati. Con l’assoluzione
del confessore il Signore toglie loro la pena dell’inferno
eterno, però dovranno espiare i loro peccati o con le
sofferenze di questa vita bene accettate e sopportate, oppure con le
terribili sofferenze del Purgatorio. Conviene espiare la pena
temporale dei peccati su questa terra le cui sofferenze sono
immensamente inferiori a quelle del Purgatorio, ed anche perché,
accettando e sopportando le sofferenze terrene con pazienza si
acquistano meriti, mentre questo in Purgatorio non è più
possibile. Perciò i buoni non dovrebbero mai lagnarsi delle
sofferenze terrene, ma dovrebbero sottomettersi con gioia alla
volontà del buon Dio che li vuole purificare in quella vita
facendo loro guadagnare meriti e risparmiare del tutto o in parte le
pene del Purgatorio.
TESORO SOTTO LA CROCE
Quando S. Gregorio Magno era segretario alla corte di
Costantinopoli, regnava sul trono di Oriente il giovane imperatore
Tiberio Il. Costui, passando un giorno in un corridoio stretto ed
oscuro del suo palazzo, vide scolpita una croce su una lastra di
marmo del pavimento. «Signore, esclamò l’imperatore,
noi ci segniamo con la tua croce la fronte, il petto e le spalle e
poi la calpestiamo a terra? Non è possibile! E dà
ordine di togliere subito quella lastra di marmo dal pavimento. Però
sotto quella se ne trovò una seconda con lo stesso segno di
croce. Tolta la seconda, la terza fino alla settima, le lastre
portavano lo stesso segno di croce. Quando fece togliere anche quella
ci fu una grande sorpresa: si trovò una cassetta piena di
anelli d’oro, di verdi smeraldi, collane di perle, pallidi
ametisti e tanti altri preziosissimi brillanti che l’imperatore
guardava trasognato.
Come l’imperatore Tiberio ciascuno di
noi attraversa il corridoio stretto ed oscuro della propria vita
terrena. Ci si fanno incontro anni dolorosi segnati con la croce
della sofferenza. Non disperiamoci, non lamentiamoci, ma ripetiamo
anche noi: «Signore, noi ci segniamo con il segno della croce
la fronte, il petto e le spalle e poi bestemmiamo, imprechiamo, ci
lamentiamo quando ce la fai portare? No, ma vogliamo portare le
nostre sofferenze con pazienza e dolce rassegnazione alla tua santa
volontà perché alla fine della vita terrena, superata
l’ultima croce, troveremo in Paradiso un tesoro incalcolabile
di felicità eterna. Diceva Padre Pio al comico Campanini
«Tutti quelli che ricorrono a me lo fanno per essere liberati
dalle loro sofferenze, ma se costoro sapessero il grande Conclusione
Per portare con pazienza e con gioia la nostra croce giornaliera, le
nostre sofferenze, i nostri dolori di ogni giorno, dobbiamo scolpire
nella nostra mente due verità:
1) - Nulla accade sia nel
mondo materiale che in quello morale che Dio non abbia previsto,
voluto o permesso fin dall’eternità.
2) - Tutto
quello che accade nel mondo e a ciascuno di noi è voluto o
permesso da Dio per il nostro maggior bene e cioè per la
nostra santificazione, per la nostra salvezza e per la nostra
felicità eterna del Paradiso.
Se vivremo in pratica queste
due verità allora anche noi ripeteremo con S. Francesco di
Assisi: « E tanto il bene che io mi aspetto che ogni pena mi è
diletto».
Ecco come il P. Giovanni Bigazzi S.J.,
morto il 13 luglio 1938, esprime il valore del dolore nell’ultima
sua malattia: Il mio penare è una chiavina d’oro...
piccola sì, ma che apre un gran tesoro.
È la croce,
ma è la croce di Gesù:
quando l’abbraccio non
la sento più.
Non ho contato i giorni del dolore; so che
Gesù li ha scritti nel suo Cuore.
valore della croce,
correrebbero incontro ad essa come i mondani corrono incontro ai
piaceri.
Vivo momento per momento, e allora il giorno passa come
fosse un’ora.
Mi han detto che, guardata dal di là,
la vita tutta un attimo parrà.
Passa la vita, vigilia di
festa; muore la morte.., il Paradiso resta.
Due stille ancora
dell’amaro pianto, e di vittoria poi l’eterno
canto.
Carissimo fratello, che oggi, con la grazia di Dio e
l’assistenza della Madre Celeste, compi i Nove Primi Venerdì
del mese secondo le intenzioni del Cuore di Gesù per ottenere
la sua Grande Promessa, rifletti spesso sulla conclusione delle
riflessioni di questo nono venerdì e sforzati di viverla nella
vita pratica di ogni giorno ed allora vedrai la tua vita illuminata e
riscaldata dall’amore sconfinato del Cuore di Gesù che
con la sua Grande Promessa ti assicura il Paradiso: il Regno
dell’Amore e della Felicità vera, piena ed eterna.
Preghiera per ottenere la forza di portare bene la nostra
croce. Signore Gesù, abbi pietà di noi che abbiamo
paura della Croce. Nonostante questa paura ti adoriamo, ti
benediciamo, ti ringraziamo d’averla istituita: La Croce,
salvezza del mondo!
La Croce, glorificazione di Dio!
La Croce,
santificazione dei Santi!
Piega il nostro cuore ad amarla. Per
virtù della Croce dà a noi:
la forza nel dolore, per
non soffrire male la pace nel dolore, per soffrire bene iniziaci
anche alla gioia nel dolore per soffrire molto bene come soffrono i
Santi.
(P. Plus S.J.)
l Esempio
Il fatto avvenne nella città di Lovanio (Belgio) ed è
narrato da un Sacerdote testimone di questa grazia singolare concessa
dal Sacro Cuore di Gesù ad una pia signora di quella città,
che era solita, conclusa una serie delle Comunioni dei nove primi
venerdì, di cominciarne un’altra.
Era costei
leggermente indisposta ed essendo vicino il primo venerdì del
mese mandò ad avvertire il suo Confessore perché
desiderava confessarsi e ricevere subito i Sacramenti. Il Sacerdote
venne, la confessò per aderire al suo desiderio, ma quanto ad
amministrarle il S. Viatico e l’estrema Unzione disse che non
c’era una ragione sufficiente per farlo.
Si manda intanto a
chiamare il dottor Levebre, insigne professore dell’università
cattolica di Lovanio.
Al suo apparire la signora gli dice:
—
Dottore siamo alla fine, desidero ricevere gli ultimi Sacramenti.
—
Signora —, dice il dottore che era della stessa opinione del
Sacerdote — per ricevere gli ultimi Sacramenti si richiede che
vi sia almeno qualche pericolo di morte, mentre in lei non ve n’è
alcuno, perciò non potrei in alcun modo dare il mio
consenso.
La signora però tanto insistette e scongiurò
di essere accontentata, che il Sacerdote, impensierito della
sicurezza con cui ripeteva che tra poco sarebbe morta, finì
col portarle la Comunione.
Appena comunicata in pochi istanti si
ridusse agli estremi e si fece appena in tempo a somministrarle
l’Estrema Unzione, ricevuta la quale, 4isse: «Ora bisogna
lasciare tutto».
Ed in verità lasciava molto: un
marito che era un angelo di bontà, quattro cari figliuoli e un
ricchissimo patrimonio dalla cui rendita poteva sottrarre ogni anno
una forte somma per opere pie.
— Bisogna lasciare tutto, —
ripeteva — tale è la volontà di Dio; il mio cuore
è in pace.
Pochi istanti dopo spirò con la dolce
speranza di raggiungere il Paradiso promesso dal Sacro Cuore di Gesù
ai suoi devoti.
(Milani: La Grande Promessa. Ediz. Luigi Favero -
Vicenza).
2° Esempio
Una mattina di giugno — racconta il Sacerdote Ildebrando
Antonio Santangelo (vedi opera citata) — fui chiamato al
capezzale di Rosa M. Ella era ormai in corna per un colpo
apoplettico. Dispiaciutissimo per non poterla confessare per
riconciliarla con Dio, raccomandai ai parenti di chiamarmi sé
essa avesse acquistato i sensi.
Dopo due giorni mi chiamarono.
Rosa M. ragionava perfettamente. Si confessò, si comunicò
e ricevette l’estrema Unzione con devozione. Meravigliato di
tale lucidità improvvisa e completa, le chiesi: Hai fatto
forse i Nove Primi Venerdì? — Sì, mi rispose
l’ammalata, molti anni addietro —.
Poco dopo perdette
i sensi e morì.