Dives in Misericordia
I nove primi venerdì del mese
AA.VV.

L’enciclica del Papa Giovanni Paolo II «Dives in
Misericordia » ha riproposto il grande tema dell‘infinita
misericordia di Dio.
«La Chiesa — dice il Papa —
deve professare e proclamare la misericordia divina in tutta verità,
quale ci è tramandata dalla rivelazione. La Chiesa vive una
vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più
stupendo attributo del Creatore e del Redentore, e quando accosta gli
uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui è
depositaria e dispensatrice. La Chiesa sembra massimamente professare
e venerare la misericordia di Dio quando si rivolge al Cuore di
Cristo» (n. 13).
L’uomo moderno, leggiamo al quarto
capitolo della citata Enciclica, è il «figliuol prodigo»
della parabola evangelica, proprio nel punto in cui, ridottosi, per
la sua ribellione, a uno stato di vergognosa miseria materiale e
morale, comincia a rimeditare sulla sua follia e a provare la
pungente nostalgia per la casa del Padre. Sappiamo che il Padre lo
aspetta con ansia e desidera solo di perdonano, ma occorre prima che
il figlio prenda la grande decisione riportata dalla paraboia nei
testo dell’evangelista Luca: «Mi leverò e andrò
da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e
contro di te...».
L’insegnamento del Papa risponde
appieno alle esigenze del nostro tempo, alle invocazioni di tanti
cuori umani, alle loro sofferenze e speranze, alle loro angosce ed
attese. Appunto per questo bisogna cooperarsi perché questa
confortante dottrina sia conosciuta, accolta, accettata e inserita
nella vita di ogni credente. Di conseguenza le considerazioni
premesse ad ogni primo venerdì di mese vertono sulla
«Misericordia Divina», che nella Grande Promessa del
Sacro Cuore di Gesù arriva all’eccesso: «Io ti
prometto, — dice Gesù a S. Margherita M. Alacoque —
nell’eccesso della misericordia del mio Cuore, che il mio Amore
onnipotente concederà...».
Nei riguardi della divina
Misericordia bisogna evitare l’errore dei Giansenisti e quello
odierno dei modernisti.
Nei secoli passati i seguaci dell’eretico
Cornelio Giansenio, morto a Ypres nel 1638, famoso per il suo
intransigente rigorismo etico, fecero di Dio un giudice tanto severo,
un giustiziere così rigoroso, un Dio tanto terribile da
gettare lo sgomento e la paura nell’anima dei peccatori,
distogliendo così il cuore dei figli dal più tenero dei
padri.
Un secolo prima anche Lutero non vedeva in Dio che un
Giudice severo, irritato, scontroso, sempre pronto a punire.
Purtroppo questa mentalità è più diffusa di quel
che si pensi: appena succede qualche contrarietà, dispiacere,
disgrazia ecc. quasi tutti dicono: Perché il Signore ci
castiga così?
L’eresia di Giansenio ha fatto un male
immenso e ha spento in molti cuori la fiducia nella bontà
misericordiosa di Dio. La Chiesa ha condannato la funesta dottrina
giansenistica con la Bolla «In eminenti» del Papa Urbano
VIII il 6 marzo 1642.
Ai nostri giorni si cade
nell’estremo opposto. La dottrina modernista nega praticamente
l’esistenza del l’inferno. Questi sedicenti progressisti
insegnano che Dio è Amore; che Dio è buono e
misericordioso; che Dio vuole che tutti si salvino e perciò
non condanna alla perdizione eterna nessuno dei suoi figli riscattati
dal Sangue prezioso di Gesù.
In questo modo l’uomo
non ha più bisogno di lottare contro il peccato, che Gesù
ha dovuto espiare con la sua atroce Passione e la sua ignominiosa
Morte; non ha più bisogno di fare penitenza in espiazione dei
peccati passati perché già espiati da Gesù;
basta che si fidi del Signore, che confidi nella sua misericordia per
aver assicurato il Paradiso.
Chi ragiona a questo modo si adegua
alla dottrina dei Protesanti che si può riassumere in quel
noto detto «Pecca fortemente e credi più fortemente! »,
cioè pecca come e quanto vuoi, tanto Dio è buono e
misericordioso, ti perdonerà lo stesso e ti salverà,
basta che tu creda in Lui e confidi nella sua misericordia. Questo è
un grande errore, un subdolo inganno, un vero tranello del demonio
per fare perdere eternamente tante anime lasciandole marcire nella
loro vita disordinata. Per questo la Madonna ci ha voluto mettere in
guardia contro questo inganno diabolico col dire ai tre fanciulli di
Fatima nella terza apparizione: «Avete visto l’inferno
dove vanno a finire i poveri peccatori? Per salvarli il Signore vuole
stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato... pregate,
pregate molto per la conversione dei peccatori! Badate che molte,
molte anime vanno all’inferno perché non vi è chi
si sacrifichi e preghi per loro».
Dio è
Amore (Giov. 4:8) e manifesta la sua bontà amando i peccatori,
compatendoli, perdonandoli, cercando di attirarli a sé per
renderli felici eternamente in Paradiso. Tutta la vita di Gesù
fu una continua manifestazione di amore e misericordia. Egli per
attuare la sua giustizia ha tutta l’eternità, ma per
attuare la sua misericordia ha solo il tempo: «Io sono venuto a
cercare e salvare ciò ch’era perduto (Lc.
19:10).
«L’amore che Gesù porta a noi —
dice Padre Matteo Crawley, famoso apostolo della devozione al Sacro
Cuore di Gesù, morto a Valparaiso il 4 maggio 1960 — non
è come l’amore ch’Egli ha per sua Madre. No, sua
Madre Egli l’ama tutta bella, tutta pura, tutta santa come se
l’è formata. Non è come l’amore che Egli
porta ai suoi Angeli, anch’essi puri. Non è neppure come
l’amore che Egli porta a un piccolo numero di anime
privilegiate, creature incomparabili plasmati di luce e di fiamma:
esse hanno in qualche modo meritato il suo amore. Ma l’amore
che Gesù ha per noi, indegni e miserabili peccatori, è
fatto di una condiscendenza infinita. L’abbiamo offeso,
oltraggiato, messo a morte questo Dio infinitamente buono ed Egli ci
viene incontro offrendoci il suo perdono... più del perdono,
la sua amicizia, la sua grazia, il suo amore, tutto il suo Cuore. E
davvero il mistero dei misteri questa sua misericordia mai
soddisfatta nella sua sete di perdonare, che perseguita i deicidi’,
cioè i peccatori, in tutte le vie e in fondo a tutti gli
abissi, per offrire loro, in tono supplichevole e con pazienza
infinita, il suo perdono. Ma perché Gesù ha tanta
misericordia nell’aspettare pazientemente a penitenza le anime
traviate? Perché non vuole la morte del peccatore, ma che egli
si converta e viva (Ez. 33:11)».
Dobbiamo avere
quindi una grande confidenza nella bontà misericordiosa del
Signore. Però questa nostra confidenza deve essere fondata:
1)
nel pentimento sincero dei propri peccati;
2) nel serio proposito
di evitarli per l’avvenire;
3) nella massima fiducia nella
bontà misericordiosa di Dio;
4) nel ricorso al Sacramento
della Confessione istituito da Gesù per la remissione dei
peccati.
Dopo commesso il peccato bisogna sperare nella
misericordia di quel Cuore divino che accoglie con amore e gioia
l’anima pentita. Il disperare del perdono, anche dopo un numero
stragrande di peccati, è un insulto al Cuore di Gesù
fonte di ogni bontà.
Tanti però peccano pensando
così: Gesù è buono e misericordioso perciò
farò questo peccato e poi me lo confesserà certamente
Dio me lo perdonerà, quante altre volte mi ha
perdonato!...
Dice S. Alfonso: «Non merita la misericordia
di Dio chi si serve di essa per offenderlo. Dio promette il perdono e
lo concede volentieri all’anima pentita e risoluta di lasciare
il peccato, ma chi pecca abusando della divina bontà, dice S.
Agostino, non è penitente ma uno schernitore di Dio, e con Dio
non si scherza! (Gai. 6:7)».
Infelicità del povero peccatore
Non c’è sulla terra nessuno che sia più
infelice di colui che abbia la sua anima macchiata di peccato
mortale. Ha l’inferno nel cuore anche se ostenta fatua
sicurezza. Come potrà egli vivere tranquillo in mezzo ai suoi
disordini? Per l’empio, dice il Signore, non c’è
pace (Is. 48:22). Una cupa-angoscia e un sottile rimorso, a guisa di
serpe velenoso, gli attossica l’esistenza. Egli non è
vivo ma morto. Il peccato ha spento la vita soprannaturale dell’anima
sua. Egli quindi è oggetto di non minore ribrezzo davanti agli
occhi dì Dio, di quello che possa essere ai nostri occhi un
cadavere verminoso e ripugnante. Come un morto non può più
agire, così egli non può fare più nulla che
abbia valore per la vita eterna.
Il peccatore può possedere
tutti i tesori e le ricchezze della terra, ma la sua anima è
più povera e misera dell’ultimo accattone che stenda la
mano per chiedere l’elemosina. Egli è legato alla catena
di Satana che lo tiene suo schiavo, e guai se la morte lo colpisce in
questo stato! Triste e infelice condizione! Si trova sospeso per un
sottile filo sull’abisso dell’inferno, e quel filo è
tenuto da quel Dio ch’egli continua ad offendere! Che sarà
di lui quando si presenterà al tribunale del Giudice
Divino?
Talvolta accade di sentire poveri peccatori che dicono al
Sacerdote: Lei ha ragione, vorrei avere anch’io un pò di
fede per fare questi Nove Primi Venerdì che lei ci suggerisce.
Ma per fare questo dovrei confessarmi, ed io non mi sento di mutare
vita, non posso convertirmi! Non puoi convertirti? E come potrai,
povero peccatore, sostenere lo sguardo del Giudice Divino quando ti
presenterai al suo tribunale? Come potrai stare per tutta l’eternità
in mezzo alle fiamme dell’inferno?...
Fratello peccatore,
hai tu pensato a tutte queste cose? Che decidi? Dio ti vuole
perdonare e riammettere nella sua amicizia, ti vuole stringere al suo
Cuore divino. Vorrai tu continuare a fare il sordo alla voce della
sua misericordia?... Rifletti, mentre ancora sei in tempo, sulle
riflessioni che troverai ad ogni primo venerdì e deciditi di
approfittare della Grande Promessa del Sacro Cuore di Gesù.
Scopo delle considerazioni di ogni Primo Venerdì
Lo scopo delle considerazioni sulla divina Misericordia proposte
ad ogni primo venerdì è triplice:
1) Sollevare le
anime cadute nel peccato ispirando loro una grande fiducia
nell’infinita misericordia di Dio;
2) Impedire che le anime
peccatrici, atterrite dalle loro miserie e continue ricadute, si
abbandonino in preda alla disperazione;
3) Invogliare le anime a
fare i Nove Primi Venerdì per ottenere la Grande Promessa
sgorgata dall'infinita bontà misericordiosa del Cuore di Gesù.