Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

12 - Quali furono i moti interiori dell'anima santissima di Cristo nostro Signore nel primo istante del suo concepimento.

Suor Maria d'Agreda

12 - Quali furono i moti interiori dell'anima santissima di Cristo nostro Signore nel primo istante del suo concepimento.
font righe continue visite 284

Quali furono i moti interiori dell'anima santissima di Cristo nostro Signore nel primo istante del suo concepimento e ciò che allora operò la sua purissima Madre.

144. Per comprendere meglio i primi moti dell'anima santissima di Cristo nostro Signore, consideriamo ciò che nel capitolo precedente si è accennato, cioè che tutta la sostanza di quel divino mistero - la formazione del corpo, la creazione e l'infusione dell'anima, l'unione dell'umanità con la persona del Verbo - accadde e si verificò in un istante. Così, non si può dire che in qualche momento Cristo nostro bene sia stato solo uomo, perché sempre fu uomo vero e Dio vero, uomo-Dio e Dio-uomo. Come nella natura umana, appena comincia ad esistere, entrano in funzione le sue facoltà, così l'anima santissima di Cristo nostro Signore godette della visione e dell'amore di Dio nello stesso istante in cui si compì l'incarnazione, poiché le sue facoltà, intelletto e volontà, s'incontrarono subito con la Divinità. La natura umana si unì ad essa nella propria sostanza e nelle proprie facoltà, affinché tanto nell'essere quanto nell'operare fosse tutta divinizzata.

145. La meraviglia di questo mistero sta nel fatto che tanta gloria e, più ancora, la grandezza infinita della Divinità erano ristrette in un corpicino così piccolo, non più grande di un'ape o di una mandorla non molto grossa, dato che le dimensioni del corpo santissimo di Cristo Signore nostro non erano maggiori di queste quando si verificarono il concepimento e l'unione ipostatica. In quella piccolezza erano presenti la sua gloria e la sua passibilità, poiché la sua umanità era contemporaneamente gloriosa e passibile ed egli era insieme comprensore e viatore. Ma il medesimo Dio, che nel suo potere e nella sua sapienza è infinito, poté restringere ed annientare la sua divinità sempre infinita e racchiuderla nella sfera limitata di un corpo così piccolo, con un ammirabile e nuova maniera di stare in esso, senza smettere di essere Dio. Con la stessa onnipotenza fece si che l'anima santissima di Cristo nostro Signore fosse gloriosa, ma restassero sospesi gli effetti e le doti che tale gloria doveva comunicare al suo corpo, affinché Cristo fosse anche passibile e viatore. Tutto questo avvenne al solo scopo di realizzare la nostra redenzione per mezzo della sua croce, passione e morte.

146. Per effettuare queste opere e le altre che la sua santissima umanità doveva compiere, gli vennero infuse nel medesimo istante del suo concepimento tutte le attitudini che si addicevano alle sue facoltà e che erano necessarie per le azioni sia di comprensore che di viatore; così ebbe la conoscenza beatifica e quella infusa, la grazia santificante e i doni dello Spirito Santo, che, come dice Isaia, riposarono su Cristo'. Ebbe tutte le virtù, eccettuate la fede e la speranza, che non potevano stare insieme con la pienezza della visione beatifica. E se vi sono delle virtù che tollerino delle imperfezioni in colui che le possiede, queste non potevano trovarsi nel Santo dei santi, il quale non poté commettere peccato, né si trovò inganno sulla sua bocca. Inoltre, sulla dignità ed eccellenza della conoscenza e della grazia, nonché sulle virtù e perfezioni di Cristo nostro Signore, non occorre trattenersi oltre, perché questo insegnano ampiamente i santi dottori e i maestri di teologia. Mi basta sapere che tutto questo fu operato dal potere divino con perfezione tale che il giudizio umano non può comprendere. Infatti, quell'anima santissima di Cristo doveva bere alla sorgente stessa, che è la Divinità, e dissetarsi senza fine al torrente delle sue delizie, come dice Davide 3 . E così ebbe la pienezza di tutte le virtù e le perfezioni.

147. L'anima santissima di Cristo nostro Signore fu dunque divinizzata ed abbellita con la divinità e con i suoi doni, e questi furono i suoi moti interiori: prima di tutto vide e conobbe la divinità intuitivamente come è in se stessa e come stava unita alla sua santissima umanità; poi, l'amò subito con sommo amore beatifico; dopo ciò, conobbe la propria natura umana come inferiore all'essere di Dio; di conseguenza si umiliò profondissimamente e, in questa umiliazione, rese grazie all'immutabile essere di Dio per averla creata e per il beneficio dell'unione ipostatica, con cui aveva innalzato la sua natura umana all'essere di Dio. Conobbe il fine della redenzione e anche che la sua umanità santissima era passibile; allora, si offrì in sacrificio gradito come redentore del genere umano e, accettando la passibilità a nome proprio e degli uomini, rese grazie all'eterno Padre. Riconobbe la struttura della sua umanità santissima, la materia della quale era stata formata e come gli era stata comunicata da Maria purissima mediante la carità e l'esercizio di virtù eroiche. Prese possesso di quella santa dimora, facendone la sua abitazione, si compiacque di essa e della sua bellezza eminentissima, ammirò e si aggiudicò come sua proprietà in eterno l'anima della più perfetta tra le semplici creature. Lodò l'eterno Padre per aveila creata con ornamenti di grazie e di doni tanto eccellenti e per averla fatta libera dalla legge del peccato, comune a tutti i discendenti di Adamo, pur essendo ella stessa sua figlia. Pregò per la purissima Signora e per san Giuseppe, chiedendo per loro la salvezza eterna. Tutte queste opere, ed altre che Gesù Cristo compì, furono altissime, come di vero uomo e vero Dio; ed eccetto quelle che riguardano la visione e l'amore beatifico, con tutte e con ciascuna di esse acquistò così tanti meriti che col loro valore si sarebbero potuti redimere infiniti mondi, se fosse stato possibile che ve ne fossero.

148. Anzi, il solo atto di obbedienza, che la santissima umanità unita al Verbo fece accettando la passibilità e acconsentendo che la gloria dalla sua anima non ridondasse al corpo, sarebbe stato sovrabbondante per la nostra redenzione. Ma anche in quel caso, non avrebbe saziato l'amore immenso che portava agli uomini, se con volontà immutabile non ci avesse amato fino alla fine, dando la sua vita per noi con le dimostrazioni e le condizioni del più grande affetto che l'intelletto umano e quello angelico potessero mai immaginare. Ora, se appena entrò nel mondo ci arricchì tanto, quali tesori e quali ricchezze di meriti ci dovette lasciare quando ne usci per mezzo della sua passione e morte di croce, dopo trentatré anni di tribolazioni e di opere tanto divine! Oh, immenso amore! Oh, carità senza limiti! Oh, misericordia senza misura! Oh, pietà generosissima! Oh, ingratitudine e riprovevole dimenticanza dei mortali di fronte ad un così inaudito quanto importante beneficio! Che sarebbe di noi senza di esso? E che faremmo per questo Signore e redentore, se per noi egli avesse fatto meno, dal momento che ci mostriamo tanto ingrati e impassibili di fronte a ciò che ha operato? Se non gli corrispondiamo come a redentore che ci diede vita e libertà eterna, ascoltiamolo almeno come maestro, seguiamolo come luce, come guida che c'insegna il cammino per giungere alla nostra vera felicità.

149. Questo Signore e maestro non soffrì per se stesso, né al fine di meritare il premio per la sua anima santissi ma o l'aumento della sua grazia, ma meritò tutto per noi, perché egli non ne aveva bisogno, né poteva ricevere aumento di gloria, poiché di tutto era pieno; come dice l'Evangelista, infatti, essendo uomo era ad un tempo Unigenito del Padre. In ciò non ebbe uguali, né può averne, perché tutti i santi e le semplici creature acquistarono meriti per sé e soffrìrono in vista del loro premio. Solo l'amore di Cristo fu senza interesse, tutto per noi. Se studiò e progredì nella scuola dell'esperienza, fece questo anche per ammaestrarci ed arricchirci con lo sperimentare lui stesso l'obbedienza, con i meriti infiniti che acquistò e con l'esempio che ci diede, affinché fossimo dotti e saggi nell'arte dell'amore, che non si apprende perfettamente con i soli desideri se non si mette in pratica concretamente. Data la mia inadeguatezza, non mi dilungherò nei misteri della vita santissima di Cristo nostro Signore, rimetten domi ai Vangeli e prendendone solamente quello che sarà necessario per questa divina Storia della Madre sua e signora nostra. Infatti, essendo la vita del Figlio e quella della Madre santissima tanto unite e legate l'una all'altra, non posso dispensarmi dal riferirmi all'opera degli Evangelisti; aggiungerò poi qualcosa che essi non scrissero, perché non necessaria per la loro storia e per i primi tempi della Chiesa.

150. A tutti i moti interiori dell'anima di Cristo Signore nostro nell'istante del suo concepimento, seguì in Maria santissima, in un altro momento o istante di natura, la visione beatifica della Divinità, come si è detto nel capitolo precedente; infatti, in un istante di tempo vi possono essere molti istanti di quelli che chiamano di natura. In questa visione la purissima Signora conobbe con chiarezza e distinzione il mistero dell'unione ipostatica delle due nature, divina e umana, nella persona del Verbo eterno; inoltre, la beatissima Trinità la confermò nel titolo, nel nome e nel diritto di Madre di Dio, poiché era davvero tale, essendo madre naturale di un figlio, che era Dio eterno con la stessa certezza e verità con cui era uomo. Sebbene questa grande Signora non avesse cooperato immediatamente all'unione della Divinità con l'umanità, non per questo perdeva il diritto di vera Madre di Dio, poiché vi contribuì con la sua carne e con le sue facoltà, in quanto le spettava come madre, e più madre delle altre, dato che ella sola prendeva parte a quella generazione senza l'apporto dell'uomo. Negli altri concepimenti si chiamano padre e madre coloro che vi concorrono nel modo stabilito per ciascuno dalla natura, benché non partecipino immediatamente alla creazioiie dell'anima né alla sua infusione nel corpo del figlio; a maggior ragione, Maria santissima si doveva chiamare e si chiama Madre di Dio, anche se ella sola collaborò come madre, senza altra causa naturale, alla generazione di Cristo, vero Dio e vero uomo.

151. Similmente, la vergine Madre di Dio conobbe in questa visione tutti i misteri futuri della vita e morte del suo Figlio dolcissimo, della redenzione del genere umano e della nuova legge del Vangelo che con essa doveva essere fondata; inoltre, conobbe altri grandi ed imperscrutabili misteri, che a nessun altro santo furono manifestati. La prudentissima Vergine, vedendosi alla presenza della Divinità, con la pienezza di conoscenza e di doni che le furono elargiti in quanto Madre del Verbo, si umiliò dinanzi al trono della Maestà infinita e, tutta profusa nella sua umiltà e nel suo amore, adorò il Signore prima nel suo essere infinito e subito dopo nell'unione con l'umanità santissima. Gli rese grazie per il beneficio e la dignità di madre e per quello che sua Maestà faceva a favore di tutto il genere umano. Gli diede gloria e lode per tutti i mortali; si offrì in sacrificio gradito per nutrire, crescere e servire il suo Figlio santissimo e per assisterlo e cooperare, per quanto fosse possibile da parte sua, all'opera della redenzione. La santissima Trinità l'accettò e la designò coadiutrice in questo mistero. A tale scopo ella chiese nuova grazia e luce divina, sia per comportarsi in modo conveniente alla dignità e al compito di madre del Verbo incarnato, sia per trattarlo con la venerazione e la magnificenza dovute a Dio. Offrì al suo Figlio santissimo i futuri figli di Adamo, con i Padri del limbo, e a nome di tutti e di se stessa fece molti atti eroici di virtù e innalzò grandi suppliche, che ora mi trattengo dal riferire per averne riportate altre simili in differenti occasioni. Da esse si può desumere ciò che la santissima Regina fece in questa circostanza, tanto superiore a tutte le altre in cui si era trovata fino a quel fortunato e felice giorno.

152. Tuttavia, è nel chiedere di comportarsi degnamente come Madre dell'Unigenito del Padre che fu più insistente ed affettuosa con l'Altissimo, perché tale motivazione era più forte della sua timidezza e a ciò la obbligava il suo cuore umile, per cui desiderava essere guidata in tutte le sue azioni in questo compito di madre. Le rispose l'Onnipotente: «Colomba mia, non temere, perché io ti assisterò e ti guiderò, ordinandoti tutto quello che dovrai fare col mio Figlio unigenito». Avuta questa promessa, usci dall'estasi, in cui era avvenuto tutto ciò che ho detto e che fu la più ammirabile fra tutte. Ritornata così in se stessa, la prima cosa che fece fu prostrarsi a terra e adorare il suo Figlio santissimo, Dio e uomo, concepito nel suo grembo verginale, perché non aveva ancora compiuto questa azione con le facoltà e con i sensi; infatti, la prudentissima Madre non tralasciò mai di adempiere ed eseguire nessuna di quelle azioni che poté fare in ossequio al suo Creatore. Da allora conobbe e sentì nuovi effetti divini nella sua anima santissima, nonché in tutte le sue facoltà interiori ed esteriori. E quantunque in tutta la sua vita avesse goduto di uno stato nobilissimo nella disposizione della sua anima e del suo santissimo corpo, da questo giorno dell'incarnazione del Verbo in poi restò più spiritualizzata e divinizzata, con nuovi splendori di grazia e nuovi doni indicibili;

153. Nessuno pensi però che la purissima Madre abbia ricevuto tutti questi favori e questa unione con la divinità e umanità del suo Figlio santissimo per vivere sempre in mezzo a consolazioni spirituali, godendo e non soffrendo. Non fu affatto così, poiché a imitazione del suo dolcissimo Figlio, e nel modo possibile, questa Signora visse godendo e soffrendo nello stesso tempo; infatti, la memoria e l'alta conoscenza che ella aveva ricevuto delle future tribolazioni e della morte del suo Figlio santissimo le trafiggevano il cuore. Questa sofferenza deve essere misurata con la conoscenza e con l'amore che tale madre doveva e portava ad un simile figlio, e frequentemente le si rinnovava con la presenza e la conversazione di lui. Sebbene tutta la vita di Cristo e della sua santissima Madre fosse un continuo martirio con incessanti pene e tribolazioni, nel candidissimo e amorevole cuore della purissima Signora vi era questo speciale tipo di sofferenza, che cioè teneva sempre presenti la passione, i tormenti, gli oltraggi e la morte del suo Figlio. Quindi, col dolore di trentatré anni continui, celebrò la lunga vigilia della nostra redenzione, rimanendo questo mistero sempre nascosto nel suo cuore, senza compagnia né sollievo di creature.

154. Con questo amore sofferto, piena di amara dolcezza, molte volte contemplava il suo Figlio santissimo. Prima e dopo la sua nascita, parlandogli nell'intimo del suo cuore, gli ripeteva queste parole: « Signore e padrone dell'anima mia, dolcissimo figlio delle mie viscere, oh, perché mi avete concesso di possedervi come madre per poi dovervi dolorosamente perdere, restando orfana e priva della vostra desiderabile compagnia? Ecco che voi avete appena un corpo dove ricevere la vita e già conoscete la sentenza della vostra tragica morte per la redenzione degli uomini! La prima delle vostre opere sarebbe già un prezzo ben superiore a quello necessario per riscattarli dai loro peccati! Oh, se con questo si considerasse soddisfatta la giustizia dell'eterno Padre e i tormenti e la morte si compissero su di me! Dal mio sangue e dal mio essere avete preso il corpo, senza il quale per voi, che siete Dio immortale, non sarebbe possibile soffrìre. Dunque, se io vi diedi lo strumento dei dolori, che almeno possa subire con voi la stessa morte! O colpa disumana, come è possibile che tu, tanto crudele e causa di tanti mali, abbia meritato la grande fortuna di avere come tuo redentore proprio colui che, essendo il sommo bene, ti poté far felice? Dolcissimo Figlio e amore mio, oh, chi potrebbe proteggervi dai vostri nemici? Oh, se fosse volontà del Padre che io vi custodisca e vi allontani dalla morte o almeno muoia con voi, senza che vi separiate da me! Ma purtroppo adesso non succederà più ciò che avvenne al patriarca Abramo, perché si realizzerà quanto fu deciso. Si adempia la volontà del Signore». La nostra Regina, come dirò qui di seguito, non faceva che ripetere questi sospiri pieni d'amore, poiché l'eterno Padre li accettava come sacrificio gradito. Essi erano quasi dolci carezze per il Figlio.

 

Insegnamento che mi diede la nostra Regina e signora

 

155. Figlia mia, giacché mediante la fede e la luce divina giungesti a conoscere la grandezza della Divinità e la sua ineffabile degnazione nello scendere dal cielo per te e per tutti i mortali, bada bene di non ricevere questi benefici in modo che restino in te senza frutto. Adora Dio con profonda riverenza e lodalo per quanto conosci della sua bontà. Non ricevere invano la luce e la grazia, anzi ti sia di esempio e di stimolo ciò che fece il mio Figlio santissimo e ciò che feci io a sua imitazione. Infatti, sebbene egli fosse vero Dio e io fossi sua Madre, perché in quanto uomo la sua umanità santissima era creata, noi riconoscemmo la nostra natura umana, ci umiliammo ed esaltammo la Divinità più di quanto possano comprendere le creature. Tu devi offrire un simile culto a Dio in ogni tempo e in ogni luogo senza differenza, ma specialmente quando ricevi il Signore nell'Eucaristia. In questo ammirabile sacramento vengono e rimangono in te, in modo nuovo e incomprensibile, la divinità e l'umanità del mio Figlio santissimo e si manifesta la sua magnifica benignità, poco considerata e rispettata dai mortali, i quali non corrispondono a tanto amore.

156. Tu, dunque, fa' in modo di essergli riconoscente con umiltà e con riverenza tanto profonde, quanto potranno le tue forze e facoltà; infatti, nonostante si sforzino, sarà sempre meno di ciò che tu devi e di ciò che Dio merita. Per supplire come ti è possibile alla tua inadeguatezza, offrìrai quello che il mio Figlio santissimo ed io operammo e unirai il tuo spirito e il tuo amore a quello della Chiesa trionfante e militante. In questo modo domanderai, offrendo a tal fine la tua stessa vita, che tutte le nazioni vengano a conoscere, confessare e adorare il loro vero Dio incarnato per tutti, mostrandoti riconoscente per i benefici che ha fatto e fa a tutti, a coloro che lo riconoscono come a coloro che lo negano. Ma soprattutto voglio questo da te, o carissima, cosa che al Signore e a me sarà molto gradita: affliggiti della crudeltà, ignoranza e pigrizia degli uomini e del pericolo cui sono esposti, delringratitudine dei fedeli, figli della Chiesa, che hanno ricevuto la luce della fede e vivono del tutto dimentichi di queste opere e grazie dell'incarnazione, e anzi di Dio stesso; giungono al punto di distinguersi dagli infedeli soltanto in alcune cerimonie esteriori, che fanno senz'anima e senza sentimento del cuore, spesso offendendo e provocando con esse la giustizia divina, che dovrebbero placare.

157. Questa terribile ignoranza viene loro dal non essere ben disposti ad acquistare e raggiungere la vera conoscenza dell'Altissimo, per cui meritano che la luce divina si allontani da loro e li lasci in balia delle tenebre, con cui si rendono più indegni degli stessi infedeli; per questo subiranno un castigo senza confronto maggiore. Affliggiti, dunque, per un simile danno del tuo prossimo e chiedine il rimedio dal profondo del cuore. Ma affinché tu sia immune da un pericolo tanto terribile, non negare i favori e i benefici che ricevi, non disprezzarli e non dimenticarli col pretesto di essere umile. Ricordati e medita nel tuo cuore quanto da lontano la grazia dell'Altissimo si mosse per chiamarti. Considera come ti attese consolandoti nei tuoi dubbi, calmando i tuoi timori, nascondendo e perdonando le tue mancanze e moltiplicandoti i favori, le carezze e i benefici. Ti assicuro, figlia mia, che devi confessare di cuore che l'Altissimo non ha fatto tanto con nessun altro, poiché tu niente valevi né potevi, anzi eri povera e più inutile di tutti. Sia, dunque, la tua gratitudine maggiore di quella di tutte le altre creature.