Scrutatio

Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

2 - Si spiega che l'evangelista san Giovanni nel capitolo ventu­nesimo dell'Apocalisse parla letteralmente della visione che ebbe quando contemplò la discesa dal cielo di Maria, nostra signora.

Suor Maria d'Agreda

2 - Si spiega che l'evangelista san Giovanni nel capitolo ventu­nesimo dell'Apocalisse parla letteralmente della visione che ebbe quando contemplò la discesa dal cielo di Maria, nostra signora.
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Si spiega che l'evangelista san Giovanni nel capitolo ventu­nesimo dell'Apocalisse parla letteralmente della visione che ebbe quando contemplò la discesa dal cielo di Maria, nostra signora.

10. All'eccelsa dignità di figlio della Vergine che il no­stro Salvatore aveva conferito dalla croce a Giovanni, pre­scelto in maniera singolare come oggetto del suo divino af­fetto, era conseguente che questi fosse segretario degli inef­fabili segreti di lei, nascosti agli altri fedeli. Quindi, gliene furono rivelati molti di quelli precedenti e fu reso quasi te­stimone oculare di ciò che accadde nel giorno dell'ascen­sione, poiché a questa santa aquila fu concesso di vedere salire Gesù con luce sette volte maggiore e la luna Maria, splendente come il Sole per la sua somiglianza con lui, co­me dichiara Isaia. Il fortunatissimo Evangelista la con­templò innalzarsi e stare alla destra dell'Unigenito. Allo stesso modo la osservò discendere, con enorme meraviglia perché conobbe come tornasse trasformata dall'incompa­rabile gloria che aveva ricevuto nell'empireo con rinnova­ti influssi di Dio e la partecipazione dei suoi attributi. Il Signore aveva già promesso agli apostoli che non sarebbe partito per il cielo senza avere stabilito con sua Madre che ella restasse per consolarli e istruirli. Il discepolo predilet­to, però, per la felicità e lo stupore di fissarla accanto a Cristo, se ne dimenticò per qualche istante e addirittura temette o sospettò che sarebbe rimasta in tale stato beato; perciò, in mezzo alla gioia che sentiva, soffrì deliqui di amore che lo afflissero molto, fino a quando non si rammentò delle parole del suo Maestro e non scorse che ella veniva sulla terra.

11. Questi misteri si impressero nella sua memoria e non li scordò mai, come neppure gli altri che della Regi­na degli angeli gli furono dischiusi, ed anzi desiderava ar­dentemente comunicarli. Lo trattenne l'umiltà prudentissi­ma di lei, affinché non li svelasse mentre era viva, ma li conservasse nel suo cuore finché non fosse stato ordinato altrimenti, dato che non era ancora opportuno renderli no­ti. Egli obbedì alla sua volontà e in seguito, allorché l'Al­tissimo ritenne giunta l'ora che prima di morire arricchis­se la Chiesa con il tesoro di tali arcani, lo Spirito dispose che li scrivesse con metafore ed enigmi assai difficili da capire; fu bene che non fossero palesi a tutti, ma sigillati come le perle nella conchiglia e l'oro nelle miniere, perché essa li traesse fuori con nuova luminosità e diligenza quan­do ne avesse avuto necessità e frattanto stessero come in un deposito nell'oscurità dei testi sacri, che i dotti confes­sano di trovare specialmente nel libro dell'Apocalisse.

12. Nel corso della Storia ho accennato come l'Eterno nella sua provvidenza celò le prerogative della Signora al­la comunità primitiva, ma non esito a ripeterlo per la sor­presa che ciò ancora provocherà. Per vincere gli eventuali dubbi, aiuterà molto considerare quello che vari santi e dottori affermano, cioè che l'Onnipotente nascose agli ebrei il corpo e il sepolcro di Mosè per togliere a un popolo co­sì incline all'idolatria l'occasione di errare, dando adora­zione alle spoglie del profeta che tanto aveva stimato o ve­nerandolo con qualche culto superstizioso e vano. Sosten­gono che per la medesima ragione l'autore della Genesi, narrando la creazione dell'universo e di quanto è in esso, non parlò apertamente di quella degli esseri celesti, che pure ne erano la parte più nobile, ma la incluse nell'e­spressione: Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Così, per­mise che si potesse intendere la luce materiale che rischiara il mondo visibile e allo stesso tempo con una occulta me­tafora si riferì alle luci sostanziali e spirituali che sono gli angeli, dei quali per il momento non era conveniente of­frire una comprensione più accessibile.

13. Se Israele fu contagiato dai rapporti con le nazioni circostanti, tanto cieche e tendenti ad attribuire la divinità a tutto quello che pareva loro grande, forte o superiore al resto in qualcosa, molto peggiore sarebbe stato per esse stesse il rischio di cadere in errore mentre cominciavano ad udire l'annuncio del Vangelo del Salvatore, se fosse sta­ta simultaneamente presentata loro l'eccellenza della Ver­gine. Per provare quanto asserisco basta la testimonianza di san Dionigi Areopagita, il quale, pur essendo stato pri­ma un filosofo così sapiente da arrivare a conoscere il Dio della natura, quando già convertito poté vedere Maria e conversare con lei proclamò che, se la fede non gli avesse insegnato che ella era una semplice creatura, l'avrebbe ri­tenuta una dea e l'avrebbe onorata come tale. Sarebbero incorsi facilmente in questo pericolo i pagani più ignoranti: essi avrebbero confuso la divinità del Redentore, che do­vevano credere, con la perfezione della sua Madre purissi­ma, ed avrebbero pensato che anch'ella fosse della sua stes­sa natura, essendogli tanto somigliante. Ora, però, non c'è più questa possibilità, poiché la dottrina cattolica è ormai ben radicata, nonché esplicata dagli ammaestramenti dei dottori e dalle numerose meraviglie operate nella manife­stazione di Gesù. Noi sappiamo con abbondante chiarezza che egli solo è vero Dio e vero uomo, pieno di grazia e di verità, e che ella, pur essendo soltanto una creatura, fu piena di grazia, vicinissima a Dio e al di sopra di tutti gli altri. Nel nostro secolo così illuminato dalle realtà super­ne, il Signore sa quando e come sia appropriato dilatare la gloria di lei, rivelando gli enigmi e i segreti delle Scrit­ture, dove la tiene racchiusa.

14. Giovanni nel capitolo ventunesimo dell'Apocalisse espose sotto metafora, con molti altri che la riguardavano, quello che sto raccontando, soprattutto chiamandola "Città santa di Gerusalemme" e descrivendone le qualità. Nella prima parte l'ho spiegato più estesamente in tre capitoli, adattandolo, secondo quanto mi fu reso noto, all'immaco­lata concezione; ma adesso, voglio illustrarlo guardando al­la discesa dal cielo della Regina degli angeli dopo l'ascen­sione del suo diletto. Da ciò non si deve dedurre che ci sia qualche contraddizione, perché entrambe le interpretazio­ni trovano spazio nella lettera del testo. Non c'è, inoltre, dubbio che l'Altissimo nelle stesse frasi abbia potuto ab­bracciare molti arcani, per cui in una medesima parola ci è consentito di capire due cose, come Davide assicura di aver fatto egli stesso senza equivoci. Questa è una delle cause della difficoltà dei libri sacri, complessità che fu però necessaria affinché l'oscurità li rendesse più fecondi e de­gni di stima, e i fedeli si accostassero ad essi con maggiore umiltà, attenzione e riverenza. Quindi, sono ricchi di enig­mi e metafore perché con tale stile e modo di esprimersi si possono dare meglio molte indicazioni senza fare vio­lenza ai termini più propri.

15. Sarà evidente prendendo in esame il mistero di cui discorriamo, poiché l'Apostolo dice: Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Di certo questo conviene alla Signora, che discese dal cielo dopo esservi salita con il suo Unigenito benedetto ed anche prima della sua immacolata concezione, quando venne giù dalla mente divina, dove era stata formata come ter­ra nuova e cielo nuovo; egli congiunse i due eventi straor­dinari, dichiarando di averla vista scendere corporalmen­te. Perciò, bisogna ora commentare quella pagina secon­do l'intento presente, sebbene la si ripeta, ma lo farò più brevemente, tenendo conto di quanto ho già palesato. Per acquistare sveltezza, parlerò identificandomi con l'Evan­gelista.

16. Egli afferma: Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non cera più. Denominò cielo nuovo e terra nuova l'umanità santissima del Verbo incarnato e quella della Principessa: cielo per la dimora, nuovo per il rinnova­mento. In Cristo la divinità abita in una sola persona, per unione sostanziale indissolubile; in Maria abita in un mo­do singolare di grazia dopo di lui. Questi cieli sono nuovi perché io, Giovanni, vidi l'umanità passibile, che era ri­masta piagata e defunta nel sepolcro, innalzata, collocata alla destra del Padre e coronata della gloria e delle doti che aveva conseguito con la sua vita e morte. Vidi anche colei che gli dette questa natura passibile e cooperò alla redenzione seduta alla destra del Figlio e assorta nell'o­ceano della luce inaccessibile, partecipando del suo splen­dore come madre e come donna che se ne era resa meritevole con i propri atti di ineffabile carità. Denominò cie­lo nuovo e terra nuova anche la patria dei viventi, rinno­vata con la lampada dell'Agnello, con le spoglie dei suoi trionfi e con la venuta della Vergine, in quanto entrambi, come veri sovrani, avevano preso possesso del regno che sarà perenne. Essi lo rinnovarono con il loro arrivo, con il nuovo godimento che suscitarono nei suoi antichi occu­panti e con i nuovi figli di Adamo che vi condussero, af­finché lo possedessero come nuovi cittadini senza poterlo perdere mai più. Con questa novità scomparvero il cielo e la terra di prima, non solo perché il cielo dell'umanità san­tissima di Gesù e quello della Regina, dove egli era vissu­to come nel primo cielo, partirono per le eterne dimore, portando con sé la terra dell'essere umano, ma anche per­ché in quell'antico cielo e in quell'antica terra gli uomini passarono dallo stato passibile a quello dell'impassibilità. Se ne andò il rigore della giustizia e giunse il riposo. Finì l'inverno delle tribolazioni e venne la primavera del gau­dio perpetuo. La terra e il cielo di prima scomparvero al­lo stesso modo da ognuno, poiché, all'ingresso nella Geru­salemme celeste del Salvatore e di colei che l'aveva gene­rato, si ruppero i catenacci e le serrature che ne avevano tenuto chiuse le porte per cinquemiladuecentotrentatré an­ni così che nessuno entrasse e tutti restassero sulla terra, finché l'equità superna non fosse stata soddisfatta dell'of­fesa ricevuta per le colpe.

17. In particolare la Signora fu un cielo nuovo e una terra nuova ascendendo con il nostro Maestro e prenden­do il possesso della sua destra, elevata in anima e corpo, senza aver subito la morte comune a tutti. Anche antece­dentemente, sulla terra della sua condizione umana, era stata un cielo dove sua Maestà aveva vissuto in maniera assolutamente speciale; ma in lei scomparvero questo pri­mo cielo e questa prima terra ed ella divenne mirabilmente un nuovo cielo e una nuova terra in cui egli stesse in som­ma gloria fra tutti. Per tale novità in questa nuova terra nella quale risiedeva il Creatore non c'era più il mare, per­ché sarebbero terminate per lei le amarezze e le burrasche delle angustie, se avesse voluto accettare di fermarsi in quella condizione felicissima. Per gli altri che lo fecero, in anima e corpo o solo con l'anima, non vi fu più un pela­go di tempeste e pericoli come nella prima terra della cor­ruzione.

18. L 'Apostolo prosegue: Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta co­me una sposa adorna per il suo sposo. Io, indegno mini­stro del Signore, sono colui al quale fu manifestato un si­mile arcano, affinché lo rivelassi al mondo. Vidi la Madre , autentica città mistica di Gerusalemme, visione di pace, che scendeva dal trono dell'Altissimo stesso sulla terra, co­me vestita della medesima divinità ed adorna di una nuo­va comunicazione dei suoi attributi, di sapienza, potenza, santità, immutabilità, amabilità e somiglianza con l'Uni­genito nel procedere e nell'operare; veniva come strumento della sua mano e come sua vicaria per nuova partecipa­zione. Benché ella scendesse sulla terra per faticare a van­taggio dei fedeli, privandosi volontariamente a questo sco­po della gioia che già aveva con la contemplazione beati­fica, il Padre decise di inviarla preparata e adornata con tutto il potere del suo braccio e di compensarla di quan­to per il momento lasciava con un altro modo di ammi­rarlo e di aver parte alla sua eccellenza che fosse compa­tibile con l'essere viatrice, ma anch'esso tanto sublime da sorpassare ogni immaginazione umana e angelica. Perciò, la arricchì egli stesso con tutti i doni che poté offrirle e la dispose come sposa per il suo uomo, il Verbo incarna­to, in maniera tale che questi non potesse bramare in lei dote o virtù alcuna che le mancasse e, pur non avendola più al suo fianco, non cessasse di stare in lei e con lei, come in un cielo e seggio adeguato a lui. Come la spugna si imbeve e si impregna del liquido in cui viene immersa, riempiendone ogni vuoto, così ella fu colma degli influs­si divini.

19. Continua: Udii allora una voce potente che usciva dal trono: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimo­rerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà i1 "Dio-con-loro"». Questa voce che uscì dal trono rapì com­pletamente la mia attenzione con effetti ineffabili di dol­cezza e di letizia. Intesi che Maria raggiungeva prima di perire il possesso del premio guadagnato, per un favore ec­cezionale spettante a lei sola fra tutti. Se nessuno di colo­ro che arrivano ad avere la debita ricompensa può torna­re in vita, né ciò è rimesso al suo arbitrio, a questa unica sposa fu fatta tale concessione per accrescere maggior­mente la sua gloria; infatti, avendone goduto ed essendo già riconosciuta ed acclamata dagli abitanti della corte ce­leste come loro legittima sovrana, discese liberamente a farsi serva dei suoi stessi vassalli, per allevarli e guidarli come figli. Per la sua carità senza misura le fu accordato ancora che tutti i mortali fossero suo popolo e che le ve­nisse data nuova preminenza e autorità nella Chiesa mili­tante, nella quale rientrava come membro e capo. Ottenne pure che l'Eterno stesse con gli uomini e fosse benigno e propizio verso di loro, perché egli rimase nelle specie con­sacrate nel suo seno per tutti gli anni in cui questo ciborio visse tra noi dopo la sua discesa dal cielo. Quando an­che non avesse avuto altre ragioni, sua Maestà sarebbe re­stato sulla terra nell'eucaristia solo per stare in lei; ma inol­tre, per i suoi meriti e le sue preghiere, vi dimorava per mezzo della grazia e di ulteriori benefici. Dunque il testo va avanti:

20. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate. La Signora , infatti, viene come ma­dre della grazia, della misericordia, del gaudio e della vi­ta. Ella è colei che porta al mondo la felicità e asciuga le lacrime introdotte dalla caduta, che ebbe inizio dalla no­stra progenitrice Eva. Ella è colei che trasforma il lutto in esultanza, il pianto in giubilo, il lamento in lode, la mor­te del peccato in vita per chi la cerchi in lei. Hanno già avuto termine la fine dovuta alla colpa, le grida dei reprobi e la loro irrimediabile sofferenza; se essi si fossero ripara­ti in tempo in questo sacro rifugio vi avrebbero trovato perdono e consolazione. I primi secoli nei quali era assente la Regina degli angeli già sono passati con dolore, come anche i gemiti di coloro che la desiderarono e non la vi­dero. Ora l'umanità l'ha con sé come suo aiuto e sua di­fesa, essendo ella colei che trattiene la giustizia superna e sollecita la clemenza per i rei.

21. E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Questo fu pronunciato dall'Altissimo, che mi rivelò che faceva nuove tutte le cose: la Chiesa , la legge, i sacramenti. Dopo elargizioni così nuove come quel­la di dare il suo Unigenito, ne dispensava un'altra singo­larissima mandando la Vergine tanto rinnovata, con pre­rogative mirabili e con la facoltà di distribuire i tesori della redenzione che il Signore aveva posto nelle sue mani, perché li ripartisse con il suo prudentissimo volere. Per­ciò, la inviò dal suo seggio regale, fatta nuova secondo l'im­magine di Cristo, recando in sé l'impronta degli attributi divini, come riprodotta da tale originale per quanto era realizzabile in una semplice creatura, affinché i credenti copiassero da lei la santità.

22. E soggiunse: «Scrivi, perché queste parole sono cer­te e veraci. Ecco sono compiute! Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita. Chi sarà vittorioso erediterà que­sti beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio». Il Pa­dre medesimo mi comandò di annotare questo mistero, perché attestassi la fedeltà e verità delle sue parole e del­le sue opere straordinarie relative alla Principessa, per la cui grandezza ed eccellenza aveva impegnato il suo pote­re. Trattandosi di arcani sublimi, lo feci con un linguag­gio cifrato ed enigmatico, finché non venissero manifestati da lui stesso nel momento e luogo stabilito e si capisse che era già stato fatto quello che si poteva per il riscatto degli uomini. Affermando che tutte le sue parole erano compiute rendeva questi ultimi responsabili della venuta di Gesù per liberarli con la sua passione ed istruirli con il suo esempio e i suoi ammonimenti, di Maria, arricchi­ta per soccorrere e tutelare la comunità ecclesiale, e del­lo Spirito, che doveva darle prosperità, illuminarla, con­fermarla e rinsaldarla con i suoi doni, come egli le aveva promesso; e poiché non aveva nient'altro da consegnarci proclamò che tutte le sue parole erano compiute. Era co­me se avesse dichiarato: «Ho fatto quanto era possibile al­la mia onnipotenza e conveniente alla mia equità e bontà, essendo io principio e fine. Come principio do vita a tutte le cose con l'illimitata sovranità della mia volontà e co­me fine le ricevo disponendo con la mia sapienza i mez­zi perché si arrivi a conseguire questo. Essi si riducono a mio Figlio e alla Madre, mia prediletta tra i discendenti di Adamo. In loro stanno le acque pure e vive della gra­zia, affinché come dalla fonte, origine e sorgente ne be­vano tutti coloro che le cercheranno assetati di salvezza eterna. Saranno date gratuitamente, poiché non possono meritarle, anche se per essi le guadagnò a costo del san­gue il Verbo incarnato e la Signora le ottiene a quanti ri­corrono a lei. Io sarò Dio vigoroso, generoso e amorevo­le verso chi vincerà se stesso, il mondo e il demonio, che tentano di impedirgli di raggiungerle. Egli possederà i miei beni e tutto quello che gli tengo preparato attraverso sua Maestà e colei che lo ha generato, perché lo adotterò e sarà erede della mia gloria».

23. Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte. A tutti ho lasciato il mio Unigenito come redentore, maestro e fratello, e la Regina come custode, mediatrice e avvocata influentissima presso di me, riman­dandola come tale tra loro affinché intendano che voglio che si avvalgano della sua protezione. Quanto, però, a co­loro che non supereranno il timore davanti alla sofferenza oppure non presteranno fede alle meraviglie che ho fatto per essi e che sono testimoniate nelle Scritture o, avendo­le credute, si daranno in preda alle turpi immondezze del piacere sensuale, quanto ai fattucchieri e agli idolatri, che abbandonano la mia vera forza e divinità e seguono sata­na, e quanto poi a coloro che agiscono con malvagità, tut­ti questi non aspettino altra eredità se non quella che essi stessi si sono scelti. Si tratta del terribile fuoco dell'in­ferno, che come uno stagno di zolfo arde senza luce con una puzza insopportabile e nel quale per i reprobi ci so­no varie pene, corrispondenti alle abominazioni commes­se da ciascuno, benché tutte siano perenni e privino della visione dell'Altissimo che beatifica gli eletti. Questa sarà la seconda morte, che non ha rimedio perché non hanno ap­profittato di quello che aveva la prima, dovuta al peccato, dal quale il Messia e la Vergine avrebbero potuto affran­carli risollevandoli con la vita della grazia. Continuando, l'Evangelista dice:

24. Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello». Conobbi che tale angelo e gli altri sei erano tra i più vicini al trono della Trinità e che era stata data loro la potestà speciale di castigare l'ardire di chi si fosse macchiato dei suddet­ti misfatti dopo che si era manifestato il mistero salvifi­co con le opere, l'insegnamento e il sacrificio di Cristo. Compresi l'eccellenza e l'autorità della Principessa per of­frire aiuto a chi la invoca di tutto cuore. Nel tempo que­sto si sarebbe palesato meglio mediante i miracoli e l'il­luminazione che l'umanità avrebbe avuto, nonché gli esempi dei santi, specialmente dei fondatori degli Ordi­ni religiosi, e di tanti martiri e confessori; perciò, negli ultimi secoli le colpe sarebbero state più gravi e detesta­bili, e dopo tanti benefici l'ingratitudine sarebbe stata più villana e degna di condanne più dure. Conseguentemen­te, i malfattori avrebbero provocato maggiormente l'in­dignazione dell'ira e della giustizia superna! Dunque in futuro - cioè per noi nel presente - l'Eterno avrebbe pu­nito rigorosamente con nuovi flagelli, poiché questi sarebbero stati gli ultimi, dato che ogni giorno si appros­sima sempre più il giudizio finale.

25. L 'angelo mi trasportò in spirito su di un monte gran­de e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scen­deva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Fui trasportato dal potere divino su un monte elevato di su­blime intelligenza di imperscrutabili arcani. Con lo spiri­to così rischiarato, vidi la sposa dell'Agnello, sotto la for­ma della città santa di Gerusalemme. Era sposa dell'A­gnello per la somiglianza e l'amore reciproco che la lega­vano a colui che tolse il peccato del mondo, e perché fu sua compagna inseparabile in ogni atto e prodigio, ed egli per lei era uscito dal seno del Padre allo scopo di porre le sue delizie tra i figli dell'uomozz, fratelli di questa Ma­dre e, per lei, di lui stesso. La vidi come città di Geru­salemme, perché racchiuse in sé, donandogli una spazio­sa abitazione, colui che i cieli e la terra non possono con­tenere, e perché egli in tale luogo collocò il tempio e il propiziatorio, dove vuole essere cercato e vincolato per ri­velarsi generoso e benigno. La vidi come città santa an­che perché al suo interno si trovavano tutte le perfezioni della Gerusalemme trionfante, e l'adeguato frutto della re­denzione era completamente dentro di lei. Benché quag­giù si umiliasse mettendosi al di sotto di tutti e si pro­strasse ai nostri piedi come l'infima delle creature, la con­templai innalzata alla destra del suo Unigenito, dalla qua­le scendeva nuovamente nella Chiesa militante, ricca per favorire i fedeli.