25 - La Regina del cielo consola Pietro e gli altri apostoli, usa prudenza dopo la sepoltura del Figlio.
Suor Maria d'Agreda

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La Regina del cielo consola Pietro e gli altri apostoli, usa prudenza dopo la sepoltura del Figlio e vede discendere la sua anima al limbo, dove si trovavano i santi padri.
1454. La pienezza di sapienza che illuminava l'intelletto di Maria
beatissima non lasciava spazio ad alcuna mancanza ed ella, in mezzo ai
suoi dolori, continuava a porre attenzione ad ogni azione che
l'occasione richiedeva. Con questa superna provvidenza non trascurava
niente, operando ciò che era più santo e perfetto in tutto. Dopo la
sepoltura di Cristo, nostro bene, si ritirò, come si è detto, nel
cenacolo; nel luogo dove era stata celebrata la Pasqua parlò con
Giovanni, con le Mafie e con le altre che lo avevano seguito dalla
Galilea, ringraziandoli con semplicità e nel pianto per la perseveranza
con la quale sino a quel momento l'avevano accompagnata con pietà ed
affetto nel corso della passione del suo adorato Gesù, in nome del quale
promise loro il premio. Al tempo stesso, si offrì alle pie discepole
come ancella e amica. Tutte le si mostrarono riconoscenti per questo
grande favore e le baciarono la mano chiedendo la benedizione; la
supplicarono poi di distendersi un po' e di mangiare qualcosa, ma ella
rifiutò: «Mio riposo e mio ristoro deve essere il vedere risorto il mio
Signore. Voi, o carissime, soddisfate le vostre necessità come è giusto,
mentre io me ne sto con lui in disparte».
1455. Si separò da loro assistita dall'Apostolo e quindi,
postasi in ginocchio, affermò: «Tenete a mente le parole con le quali il
mio Unigenito dalla croce ha voluto costituire voi mio figlio e me
vostra madre. Siete sacerdote dell'Altissimo: per questa eccelsa dignità
è opportuno che io dipenda da voi in tutto e da adesso bramo che mi
comandiate quello che sarò tenuta a fare, considerando che sono sempre
stata serva e che tutta la mia gioia sta nell'obbedire fino alla morte».
Proclamò ciò tra molte lacrime ed egli, spargendone ugualmente in
abbondanza, rispose: «Signora mia, che avete dato alla luce il mio
Redentore, sono io che devo sottostare a voi, perché al figlio non
compete autorità, ma abbandono e docilità nei confronti della propria
madre. Chi mi ha reso suo ministro vi ha fatto sua genitrice ed è stato
soggetto al vostro beneplacito, sebbene fosse il Creatore dell'universo.
Occorre, dunque, che anch'io lo sia allo stesso modo e mi impegni con
tutte le forze per corrispondere adeguatamente all'incarico di
assistervi; per adempierlo con decoro, vorrei essere più angelo che
uomo». Tali espressioni furono molto prudenti, ma non sufficienti per
vincere l'umiltà della Regina delle virtù, la quale replicò: «Mio
diletto, sarà mia consolazione reputarvi mio capo, dato che lo siete. Io
nel pellegrinaggio terreno devo sempre avere un superiore al quale
subordinare i miei aneliti e le mie opinioni. Per questo siete inviato
dall'Onnipotente e come figlio vi compete darmi tale sollievo nella mia
triste solitudine». Egli riprese: «Madre mia, sia fatta la vostra
volontà, poiché in essa è riposta la mia sicurezza di non sbagliare».
Ella, senza aggiungere altro, gli domandò licenza di rimanere a
contemplare i misteri di sua Maestà e lo pregò di recarsi a procurare
del cibo per le donne, e di sostenerle e confortarle; eccettuò soltanto
le Marie, che intendevano continuare il digiuno sino alla risurrezione,
scongiurandolo di permettere loro di attuare quel devoto proposito.
1456. Giovanni andò a incoraggiare queste ultime ed eseguì
quanto gli era stato ordinato, curandosi dei bisogni delle altre; tutte,
poi, si appartarono e passarono la notte in mesta e straziante
meditazione del supplizio del Salvatore. La Vergine, tra i flutti delle
sue angustie e delle sue pene, faceva ogni cosa con questa saggezza così
divina, senza scordare affatto a causa di esse di praticare con
puntualità l'obbedienza, la sottomissione, la carità e la previdenza,
per quanto era importante. Né si dimenticò di se stessa nell'attendere
alle esigenze delle sue compagne, né per queste tralasciò di fissare il
pensiero su ciò che conveniva alla sua maggiore perfezione. Ammise
l'astinenza delle Marie, più robuste e fervorose nell'amore, e provvide
alle più deboli; dispose l'Evangelista, avvertendolo di come dovesse
comportarsi con lei, e agì in tutto come vera maestra della santità e
dispensatrice della grazia, proprio mentre le acque della tribolazione
le giungevano fino all'anima. Quando, poi, restò da sé, sciolse il freno
alla corrente impetuosa della sofferenza e si fece possedere
completamente dall'amarezza, richiamando alla memoria le immagini di
tutti i tormenti e dell'ignobile condanna del suo Gesù, e riflettendo
anche sulla sua vita, la sua predicazione, i suoi miracoli, il valore
infinito della redenzione, la Chiesa fondata con tanta bellezza e tante
ricchezze di sacramenti e tesori di misericordia, la felicità
incomparabile dell'intero genere umano così abbondantemente e
gloriosamente riscattato, la sorte inestimabile degli eletti che ne
avrebbero goduto, la spaventosa sventura dei reprobi che per loro volere
si sarebbero resi indegni della beatitudine eterna che era stata
meritata loro.
1457. Attese l'alba ponderando nel modo dovuto realtà così
sublimi, lamentandosi, lodando ed esaltando le opere di Cristo, il suo
sacrificio, i suoi imperscrutabili giudizi ed altri altissimi arcani
della sua provvidenza. Si elevava al di sopra di tutti, come unica madre
della vera sapienza, conversando ora con gli angeli ora con sua Maestà
riguardo a ciò che l'illuminazione celeste le faceva sentire nel suo
castissimo petto. Il sabato mattina, dopo le quattro, il nuovo figlio
entrò, desideroso di rinfrancare l'Addolorata, che, genuflessa, lo
implorò di concederle la benedizione come sacerdote e suo superiore;
anch'egli, gemendo, la chiese a lei, e se la dettero scambievolmente.
Maria lo invitò ad uscire senza indugio, perché ben presto fuori avrebbe
incontrato Pietro, che veniva a cercarlo; lo esortò ad accoglierlo,
consolarlo e condurlo là, ed a fare lo stesso con gli altri discepoli
che avrebbe trovato, dando loro la speranza del perdono e manifestando a
ciascuno l'amicizia di lei. Egli lasciò il cenacolo e dopo pochi passi
lo scorse mentre, pieno di confusione e tra le lacrime, arrivava dalla
grotta in cui aveva pianto il suo rinnegamento e si recava assai
timoroso dalla Regina. Giovanni alleviò un po' la sua angoscia riferendo
il messaggio, e subito entrambi provarono a rintracciare gli altri; ne
incontrarono alcuni e tutti insieme tornarono alla casa dove stava il
loro rimedio. Pietro si introdusse per primo e da solo al cospetto della
Signora e, gettandosi ai suoi piedi, esclamò con grande afflizione: «Ho
peccato davanti al mio Dio, ho offeso il mio Maestro e voi». Non riuscì
a proferire altro, oppresso dai singhiozzi e dai sospiri che
provenivano dal profondo del suo intimo.
1458. Ella, vedendolo prostrato a terra e stimandolo da una
parte penitente per la sua recente caduta e dall'altra responsabile
della comunità ecclesiale, scelto dal suo Unigenito come vicario, non
riteneva opportuno inchinarsi al pastore che poco prima aveva dichiarato
di non conoscere il suo Signore né del resto sopportava nella sua
umiltà di tralasciare di prestargli la riverenza che gli spettava in
considerazione del suo ufficio. Valutò, allora, conveniente dargli
ossequio, nascondendone però il motivo; perciò, si inginocchiò dinanzi a
lui venerandolo con questa azione e, per dissimulare il suo intento,
disse: «Invochiamo la remissione del vostro sbaglio». Pregò e lo
rincuorò, confortandolo e muovendolo a confidare. Gli ricordò la bontà
di Gesù con i colpevoli pentiti e l'obbligo che egli aveva, come capo
del collegio apostolico, di confermare tutti con il suo esempio nella
costanza e nella confessione della fede. Con queste ed altre parole,
molto veementi e dolci, lo rinsaldò nella fiducia nella clemenza.
Quindi, si fecero avanti gli altri, i quali, stesi al suolo, la
supplicarono di scusare la loro codardia, che li aveva indotti ad
abbandonare il Salvatore nella passione. Si dolsero amaramente del loro
errore, spinti a maggiore dispiacere dalla presenza della
compassionevole Vergine, il cui mirabile aspetto provocava in essi
straordinari effetti di contrizione e di affezione verso di lui. Ella li
fece rialzare e li rianimò con la promessa dell'indulgenza che
bramavano e della sua intercessione per ottenerla. Incominciarono subito
tutti per ordine a raccontarle ciò che a ciascuno era successo nella
fuga, come se ne avesse ignorato qualche circostanza. Li ascoltò traendo
occasione da quello che affermavano per parlare al loro cuore allo
scopo di rafforzarli nell'adesione a sua Maestà e di risvegliare in essi
il suo amore; conseguì tutto ciò, perché, dopo averla udita, si
separarono da lei infervorati e resi giusti con aumenti di grazia.
1459. In questo la Madre impiegò parte del sabato e quando
fu sera si ritirò un'altra volta nel suo oratorio allontanandosi da
loro, ormai rinnovati nello spirito e colmi di sollievo e di gaudio, ma
sempre tristi per l'uccisione di Cristo. Durante la notte ella rivolse
la sua mente alle opere che l'anima beatissima del Figlio compiva dopo
essersi staccata dal sacro corpo; infatti, seppe fin da quel momento che
essa, unita alla divinità, discendeva al limbo per liberare i padri che
vi erano trattenuti, dal primo retto morto nel mondo aspettando la
venuta del Redentore universale. Per spiegare questo mistero, che è uno
degli articoli del credo circa la santissima umanità del Verbo, mi è
sembrato bene far intendere ciò che mi è stato rivelato intorno a quel
carcere sotterraneo e alla sua ubicazione. Informo, dunque, che il
nostro pianeta da una superficie all'altra ha un diametro di
duemilacinquecentodue leghe, milleduecentocinquantuno sino alla metà; la
circonferenza si deve misurare in rapporto a questo. Al centro, come
nel cuore della terra, sta l'inferno, una spelonca o un caos contenente
molte stanze buie con supplizi diversi, tutti terribili e spaventosi,
che formano un globo simile a una brocca immensa con una bocca o entrata
molto larga e spaziosa. In questa orribile fossa di confusione e di
tormenti stanno i demoni e tutti i dannati, e vi rimarranno per tutta
l'eternità', finché Dio sarà Dio, perché laggiù non vi è scampo.
1460. Da un lato degli inferi c'è il purgatorio, dove le
anime dei giusti si purificano, se in questa vita non hanno finito di
pagare per le loro mancanze e non ne sono usciti così puliti e senza
difetti da poter raggiungere subito la contemplazione dell'Altissimo.
Questa caverna è ampia, ma molto meno dell'inferno, alla quale non è
collegata, quantunque anche in essa vi siano duri castighi. Dal lato
opposto sta il limbo, diviso in due antri: uno è per i piccoli deceduti
prima del battesimo con il solo peccato originale, senza atti buoni o
cattivi del proprio arbitrio; l'altro serviva per farvi sostare gli
uomini dopo l'espiazione del male commesso, perché non potevano essere
ammessi in paradiso né esultare nel Signore finché non fossero stati
salvati e non fosse stato aperto l'ingresso che la trasgressione di
Adamo aveva chiuso. Il limbo è ancora meno vasto, non comunica con
l'inferno e non ha pene come il purgatorio, perché vi si perveniva da
esso dopo averle già scontate, avendo come unico danno quello di non
poter godere del sommo Bene. Vi si trovavano tutti coloro che erano
periti in stato di grazia dal principio fino alla crocifissione di Gesù.
In questo luogo si recò la sua anima santissima con la divinità, quando
diciamo che scese agli inferi; con tale nome, infatti, si designano
tutte le parti che stanno nelle profondità, anche se nel linguaggio
comune lo riferiamo all'inferno, perché questo è il significato più
noto, come parlando di cielo ordinariamente pensiamo all'empireo, dove
stanno e staranno sempre gli eletti, e perché il limbo e il purgatorio
hanno queste denominazioni particolari. Dopo il giudizio finale saranno
abitati solo il cielo e l'inferno, perché il purgatorio non sarà più
necessario e dal limbo i bambini devono ancora trasferirsi in un'altra
dimora.
1461. L'anima santissima vi giunse, accompagnata da
innumerevoli angeli, che lodavano il loro sovrano vittorioso e
trionfante e rendevano a lui onore, gloria e potenza. Per rappresentare
la sua grandezza e magnificenza comandarono che si spalancassero le
porte di quell'antica prigione, perché il Re della gloria, potente in
battaglia e signore delle virtù, le potesse varcare. A questo ordine si
spaccarono alcune rupi, benché non ce ne fosse bisogno per l'accesso di
Cristo e della sua milizia, interamente composta da spiriti
sottilissimi. Per la sua presenza quell'oscuro abisso si convertì in
cielo, perché si riempì tutto di mirabile splendore. Le anime dei giusti
che erano lì furono beatificate con la visione chiara della Trinità e
istantaneamente passarono da una condizione di così lunga speranza al
possesso perpetuo del gaudio, e dalle tenebre alla luce inaccessibile.
Riconobbero il loro vero Dio e lo esaltarono con nuovi cantici,
affermando: «L'Agnello che è stato immolato è degno di ricevere potenza,
onore e forza. Tu ci hai riscattati con il tuo sangue da tutte le tribù
e le nazioni, e ci hai costituiti per il nostro Dio un regno, e
regneremo. Tua è la potenza, tuo è il regno, tua è la gloria per le tue
opere». Egli ingiunse immediatamente ai suoi ministri di portare davanti
a lui dal purgatorio le anime che vi erano, le quali, come primi frutti
della redenzione, furono assolte da ciò di cui restava loro da saldare
il debito e furono innalzate come le altre; così, dinanzi a lui rimasero
vuote le due carceri del limbo e del purgatorio.
1462. Solo per l'inferno questo giorno fu terribile, perché
fu disposto che tutti i suoi abitanti intendessero e sperimentassero la
discesa al limbo del Figlio dell'Eterno. Anche i padri e i retti
capirono lo spavento che questo mistero infuse nei demoni e nei dannati.
Gli uni, che erano abbattuti ed oppressi per la rovina sofferta sul
monte Calvario, appena udirono le voci delle schiere che precedevano sua
Maestà si turbarono e si intimorirono: come serpenti perseguitati si
nascondevano e si rintanavano nei pertugi più remoti. Negli altri si
aggiunse confusione a confusione, perché compresero con più dispetto
come si fossero ingannati, perdendo così il beneficio del quale molti
avevano approfittato. Siccome Giuda e il ladrone malvagio erano gli
ultimi arrivati, e assai singolari in questa sciagura, ebbero un loro
tormento maggiore e i diavoli si infuriarono in particolar modo contro
di essi. Per quanto dipendeva da loro, i nemici si proposero di
torturare più degli altri i cattolici che professassero la fede e di
castigare più duramente coloro che la negassero o cadessero,
giudicandoli meritevoli di pene peggiori dei pagani, ai quali non era
pervenuta la predicazione.
1463. La Signora del mondo, dal luogo in cui stava
ritirata, fu informata attraverso una straordinaria illuminazione di
tutti questi arcani e di altri che non posso spiegare. La meravigliosa
gioia che ottenne nella parte superiore dello spirito non ridondò, come
avrebbe potuto, nelle sue membra verginali; al contrario, quando ella
percepì che si estendeva un po' alla sensibilità, pregò che ciò fosse
impedito. Non voleva, infatti, ammetterla nel suo corpo, finché quello
del suo Unigenito fosse stato nel sepolcro, non ancora glorificato.
L'affetto così accorto e prudente di Maria verso di lui era proprio di
una immagine viva, adeguata e perfetta della sua umanità divinizzata.
Con questa diligenza sopraffina ella fu piena di letizia nell'anima, e
di dolori e di angosce nel corpo, appunto come avvenne in lui. In tale
occasione compose inni di lode celebrando questo trionfo, nonché la
carità e la saggezza della provvidenza di Gesù, il quale, come padre
premuroso e sovrano onnipotente, decise di andare di persona a prendere
possesso del dominio che gli era stato consegnato e a salvare quei
giusti con la sua presenza, affinché in lui stesso cominciassero a
gustare il premio che aveva guadagnato loro. Per tutte queste ragioni e
per altre che sapeva, ella giubilava e lo osannava come sua madre e
cooperatrice.
Insegnamento della Regina del cielo
1464. Carissima, considera bene il messaggio contenuto in
questo capitolo, in quanto è il più necessario per te nella condizione
in cui Dio ti ha posta e per ciò che egli ti chiede in corrispondenza
del suo amore; tra le attività, gli esercizi e le relazioni con gli
altri, sia come superiora sia come suddita, governando, comandando o
obbedendo, non devi mai rimuovere l'attenzione da lui né cessare di
contemplarlo nella parte più recondita ed elevata di te né distrarti
dalla luce dello Spirito Santo, che ti assisterà comunicandosi
incessantemente. Il mio adorato, infatti, predilige nel segreto del tuo
cuore quei sentieri che sono celati a Lucifero ed ai quali non giungono
le passioni. Essi conducono al santuario, dove entra solo il sommo
sacerdote e dove l'anima assapora i misteriosi abbracci del Re, quando,
tutta intera e senza occupazioni, gli prepara il talamo del suo riposo.
Lì troverai propizio il tuo Redentore, generoso l'Altissimo,
misericordioso il tuo creatore e tenero il tuo dolce sposo. Non temerai
il potere delle tenebre né gli effetti del peccato, che in tale regione
di splendore e di verità si ignorano. L'attaccamento disordinato a ciò
che è visibile e le negligenze nella custodia della legge superna, però,
sbarrano queste vie; ogni pendìo e sregolamento le ostruisce; ogni cura
inutile le blocca, e molto più l'inquietudine e il non conservare
serenità e pace interiore, perché per godere il Signore bisogna che
l'intimo sia solitario, puro e distaccato da quanto non è autentico e
luminoso.
1465. Tu hai compreso e sperimentato a fondo questo
insegnamento, che io ti ho manifestato nella mia vita come in un chiaro
specchio. Ti ho messo davanti il mio modo di agire mentre ero da un lato
in mezzo ai tormenti, alle angustie e alle afflizioni del supplizio di
mio Figlio e dall'altro tra le preoccupazioni, gli impegni e la
sollecitudine per la sepoltura, gli apostoli e le pie donne. Anche in
tutto il resto della mia storia hai conosciuto come unissi tali atti con
quelli spirituali, senza che si opponessero e ostacolassero fra loro.
Perché tu ricalchi in questo le mie orme, come voglio, è opportuno che
né per i rapporti indispensabili né per le fatiche del tuo stato né per
le pene di codesto esilio né per le tentazioni e la malizia del demonio
tu accolga in te alcuna affezione che ti sia di intralcio o alcun
interesse che ti distolga. Ti avverto che, se non sarai assai vigilante,
perderai molto tempo, ti renderai inutili favori infiniti e
straordinari, defrauderai i sublimi fini di sua Maestà e contristerai me
e gli angeli, poiché tutti bramiamo che tu conversi con noi. Inoltre,
smarrirai la tua quiete e consolazione, e ti priverai di parecchi dei
gradi di grazia e degli aumenti di ardore per lui che desideri, nonché,
infine, della ricchissima ricompensa nel cielo. L'ascolto e l'osservanza
di quello che ti espongo con benignità materna comportano tutto questo.
Mia diletta, rifletti e serba le mie parole per praticarle con la mia
intercessione e l'aiuto divino. Sforzati alla stessa maniera di
modellarti su di me nella fedeltà con la quale io evitai il gaudio per
imitare il mio Maestro, e nel lodarlo per il beneficio che egli recò ai
santi del limbo con la discesa della sua anima beatissima a riscattarli e
a riempirli della gioia della sua vista, poiché ciò fu opera della sua
immensa carità.