22 - Si narrano la crocifissione del nostro salvatore Gesù sul monte Calvario.
La mistica Città di Dio - Libro sesto
Suor Maria d'Agreda

Si narrano la crocifissione del nostro salvatore Gesù sul monte Calvario, le sette parole che pronunciò sulla croce e come Maria santissima lo assistette con immenso dolore.
1375. Il nostro Salvatore, vero e nuovo Isacco, Figlio dell'eterno
Padre, giunse al monte del sacrificio, lo stesso sul quale, in passato,
avrebbe dovuto essere immolato Isacco, figlio del patriarca Abramo e
figura di Cristo. Il durissimo comando, che era stato un tempo sospeso
su Isacco, veniva ora eseguito sull'innocentissimo Agnello. Il Calvario
era un luogo immondo e disprezzato, destinato al castigo dei malfattori,
dei condannati, dai cadaveri dei quali riceveva cattivo odore e in
conseguenza di ciò maggiore ignominia. Il nostro amatissimo Gesù vi
arrivò affaticato, trasformato dalle piaghe e dal dolore, insanguinato,
ferito e sfigurato. La forza della divinità, che deificava la sua
santissima umanità per mezzo dell'unione ipostatica, l'assistette non
tanto per alleviare i suoi tormenti, ma piuttosto per essergli di aiuto e
conforto durante gli stessi, cosicché il suo infinito amore fosse
completamente appagato e la sua vita conservata fino a che non fosse
giunto il momento di consegnarla liberamente alla morte sulla croce.
Raggiunse la sommità del Calvario anche l'afflitta Madre, con il cuore
colmo di amarezza. Era fisicamente molto vicina al suo diletto, ma
spiritualmente fuori di sé per il dolore: tutta si trasformava in lui e
nella sofferenza che egli stava vivendo. Accanto a lei stavano Giovanni e
le tre Marie; ella, infatti, aveva domandato e ottenuto dall'Altissimo
il favore di ritrovarsi presente e vicina al Signore ai piedi della
croce con questa sola e santa compagnia.
1376. Quando la prudentissima Vergine si rese conto che si
stavano compiendo i misteri della redenzione e vide che i soldati
cominciavano a spogliare Gesù per crocifiggerlo, rivolse il suo spirito
all'Onnipotente con questa preghiera: «Mio Signore e mio Dio, siete il
Padre del vostro Unigenito, che per l'eterna generazione nacque Dio vero
dal Dio vero che siete voi e per l'umana generazione nacque dalle mie
viscere, dove assunse la natura di uomo sottoposta alla sofferenza. Con
le mie mammelle lo allattai e nutrii, e come il miglior figlio che poté
giammai nascere da altra creatura lo amo. Come vera madre ho un diritto
naturale su di lui e sulla sua umanità santissima, e so che mai la
vostra provvidenza negherebbe un tale diritto a chi lo possiede. Adesso
dunque vi restituisco questo diritto e lo pongo di nuovo nelle vostre
mani, perché il vostro e mio Unigenito sia sacrificato per la salvezza
del genere umano. Accogliete la mia oblazione e il mio sacrificio; non
potrei infatti offrire così tanto se fossi io stessa ad essere immolata e
sottoposta a tali pene e non solo perché mio Figlio è vero Dio, a voi
consustanziale, ma anche e soprattutto per il dolore che mi dilania il
cuore. Sarebbe per me un gran sollievo e il compimento dei miei desideri
se io morissi al posto suo: cambierebbero le sorti e la sua vita
verrebbe conservata». Questa preghiera fu accolta con gioia e
compiacimento inesprimibili. Nel disegno divino il sacrificio del figlio
di Abramo doveva solamente prefigurare quello del Figlio, a cui il
Padre avrebbe riservato la vera esecuzione. E neppure alla madre di
Isacco fu detto mai nulla del misterioso sacrificio, non solo per la
pronta obbedienza di Abramo, ma anche perché non si sarebbe potuto
comprensibilmente affidare tale decisione all'amore materno di Sara:
ella, benché fosse una donna santa e giusta, avrebbe probabilmente
tentato di impedire il comando del Signore. Questo non avvenne con
Maria; egli, infatti, poté confidarle, senza esitazione, il suo
progetto, perché sottomettendosi alla sua volontà collaborasse e
cooperasse, secondo le sue capacità, all'opera di redenzione di Cristo.
1377. Terminata la supplica, la Regina si accorse che gli
empi soldati del governatore volevano dare a Gesù vino mescolato con
mirra e fiele. Era costume presso i giudei di porgere ai condannati a
morte un miscuglio di vino generoso e aromatico perché potessero
sopportare con più vigore i tormenti del supplizio e i loro spiriti ne
ricevessero aiuto e conforto. Questa usanza trova un riferimento negli
scritti di Salomone: Date bevande inebrianti a chi sta per perire e il
vino a chi ha l'amarezza nel cuore. La loro perfida crudeltà arrivò al
punto di trasformare questa bevanda, che agli altri giustiziati poteva
recare un qualche sollievo, in una pena ancora più grande: gliela
porsero amarissima, mescolata con fiele, per infliggergli maggiori
afflizioni. La Vergine venne a conoscenza di questa inumanità e con
materna compassione lo pregò di non bere. Sua Maestà la assecondò e
senza ricusare del tutto questa tortura, assaggiò l'acre pozione e non
ne volle bere.
1378. Era già l'ora sesta, che corrisponde per noi a quella
di mezzogiorno, quando i soldati, per crocifiggere nudo il Salvatore,
lo spogliarono della tunica inconsutile e delle vesti. Siccome questa
era chiusa e lunga, gliela rovesciarono passandola sopra la testa senza
togliergli la corona di spine e facendo ciò con violenza gliele
strapparono lacerandogli nuovamente le ferite; in alcune rimasero
conficcate le punte delle spine che, per quanto fossero dure e aguzze,
si ruppero per la veemenza con cui i carnefici eseguirono questa
atrocità. Gli rimisero poi la corona con una tale crudeltà da aprire
altre profonde piaghe. Mentre lo spogliavano, si lacerarono anche quelle
del suo corpo, perché la tunica vi era già attaccata e il distaccarla
da esse aggiunse altro dolore al dolore già lancinante. Per quattro
volte lo denudarono e lo rivestirono: la prima per flagellarlo alla
colonna; la seconda per mettergli il mantello di porpora; la terza per
denudarlo di nuovo e rivestirlo; la quarta ed ultima sul monte Calvario,
quando lo spogliarono definitivamente. Qui fu sottoposto a maggiori
tormenti, perché più numerose erano le ferite ed egli era ormai
debilitato. Inoltre in quel luogo soffiava un forte vento che contribuì
col freddo ad aumentare la pena.
1379. A tutto ciò si aggiunse la sofferenza di vedersi nudo
davanti a sua Madre, alle altre donne che l'accompagnavano e alla
moltitudine di gente ivi presente. Indossava solo i panni intimi che
Maria gli aveva messo sotto la veste in Egitto; i carnefici, infatti,
non glieli poterono togliere né quando lo flagellarono né quando lo
innalzarono sulla croce e così fu posto nel sepolcro con essi. E questo
mi è stato manifestato più volte. Nondimeno Cristo, nostro bene, avrebbe
voluto lasciare questo mondo completamente nudo, in somma povertà e
senza avere con sé nulla, se non fosse intervenuta la supplica della
Signora che lo pregò di conservare quei panni. Egli accondiscese perché
con questa obbedienza poteva supplire all'estrema povertà con cui
avrebbe desiderato morire. Il duro legno era disteso sulla terra mentre
si disponeva l'occorrente per ucciderlo insieme a due ladroni, destinati
a essere crocifissi con lui. Intanto il nostro Maestro si rivolse al
Padre così:
1380. «Dio eterno, alla vostra immensa maestà d'infinita
bontà e giustizia offro tutto il mio essere umano unitamente alle azioni
che ho compiuto per la vostra santissima volontà, allorché ho assunto,
scendendo dal vostro seno, la carne passibile per redimere gli uomini.
Con me vi offro mia Madre, il suo amore, le sue opere perfettissime, i
suoi dolori, le sue preoccupazioni, le sue cure e la sua sollecitudine
nel servirmi, nell'imitarmi e nell'accompagnarmi fino alla morte. Vi
offro il piccolo gregge degli apostoli, la Chiesa dei fedeli che è ora e
che sarà fino alla fine del mondo e con essa tutti i discendenti di
Adamo. Tutti pongo nelle vostre mani, Signore onnipotente, e da parte
mia sono pronto a soffrire e morire spontaneamente per loro, e desidero
che siano salvi tutti coloro che vorranno seguirmi e trarre profitto
dall'opera della redenzione: in virtù della grazia che ho acquistato per
essi, da schiavi del demonio diventino vostri figli, miei fratelli e
coeredi. Specialmente vi offro i poveri, i disprezzati, gli afflitti;
essi sono i miei amici perché mi hanno seguito nel cammino della croce.
Voglio che i giusti e i predestinati rimangano scritti nella vostra
memoria eterna. Vi supplico di allontanare il castigo e sospendere il
flagello della giustizia sugli uomini: non siano puniti come meritano le
loro colpe e d'ora innanzi siate loro Padre, come siete mio Padre. Vi
supplico similmente per coloro che con pio affetto assistono alla mia
morte: illuminateli con la vostra luce divina. Vi prego per tutti quelli
che mi perseguitano, affinché si convertano alla verità, e soprattutto
per l'esaltazione del vostro ineffabile e santissimo nome».
1381. La Regina conobbe tale orazione e imitò il Maestro
rivolgendosi all'Altissimo. Non dimenticò né tralasciò l'adempimento di
quelle prime parole che aveva percepito dalla bocca del suo Unigenito
appena nato: «Amica mia, diventate simile a me». Si stava ora adempiendo
la promessa fattale dal Signore che, in contraccambio della vita umana
da lei data al Verbo nel suo grembo verginale, egli le avrebbe
comunicato una nuova vita di grazia, sublime e superiore a quella di
tutte le creature. Questo beneficio avrebbe incluso la conoscenza di
tutte le azioni della santissima umanità di suo Figlio: nessuna di esse
poteva rimanerle celata e, nella misura in cui ella fu in grado di
comprenderle, le imitò. Fu sempre sollecita nel fissarvi l'attenzione,
profonda nel penetrarle, pronta e coraggiosa nell'eseguirle. Perciò non
si lasciò turbare dal dolore, né ostacolare dall'angoscia o imbarazzare
dalla persecuzione e tanto meno scoraggiare dall'amarezza della
passione. Assistette al supplizio di Cristo non come testimone oculare
alla maniera degli altri giusti, perché infatti così non avvenne. La sua
esperienza fu unica e singolare in tutto: sentì nel suo corpo verginale
le sofferenze esterne ed interne che egli pativa nella sua persona. Si
può dire che fu flagellata, coronata di spine, schernita e
schiaffeggiata, caricata della croce e su di essa inchiodata; provò
infatti questi tormenti nel suo purissimo corpo e, benché il modo fosse
diverso, ci fu anche una grande somiglianza: la Madre doveva essere la
perfetta immagine del Figlio. Tale esperienza singolare racchiuse un
ulteriore mistero: recare soddisfazione all'amore di Gesù, alla sua
passione e al divino consenso che questa stessa fosse ricopiata in una
pura creatura. Nessun'altra aveva tanto diritto a ciò quanto lei.
1382. Per poter segnare i fori dei chiodi sulla croce, i
carnefici comandarono con alterigia e tracotanza al Creatore
dell'universo - o temerarietà inaudita! - di stendersi sopra di essa; il
Maestro dell'umiltà obbedì senza opporre resistenza. Con inumano e
crudele istinto disegnarono i fori non in proporzione alla grandezza del
corpo, ma più distanti al fine di poter fare quello che in seguito
eseguirono. La Signora della luce venne a conoscenza di tale nuova
crudeltà e questa fu una delle maggiori afflizioni che soffrì il suo
purissimo cuore in tutta la passione. Penetrò infatti le intenzioni
depravate degli sbirri e previde il martirio che suo Figlio avrebbe
dovuto sopportare nel momento in cui sarebbe stato inchiodato sulla
croce. Non si poté tuttavia rimediare perché il Redentore stesso voleva
sottoporsi a una simile tortura per la salvezza degli uomini. Quando si
rialzò, perché si potesse forare il duro legno, accorse Maria vicino a
lui, lo tenne per un braccio, lo adorò e gli baciò la mano con sommo
rispetto. I carnefici permisero che ciò accadesse perché credevano che,
alla vista di lei, Gesù si sarebbe ancora più contristato e non volevano
risparmiargli nessun dolore. Non compresero però il mistero: in
quell'occasione egli non ebbe maggiori consolazioni né provò gioia
interiore più grande che quella di vedere la sua santissima Madre e la
bellezza della sua anima. In essa scorse riflesso il ritratto di se
stesso e la pienezza del frutto della sua passione e morte.
1383. Fatti i fori nella croce, i carnefici gli comandarono
per la seconda volta di stendersi sopra di essa per inchiodarlo. Egli
obbedì pazientemente e stese le braccia sul felice legno: era spossato,
sfigurato ed esangue, a tal punto che, se nell'empietà ferocissima di
quegli uomini avessero potuto trovare spazio la naturale ragione e il
senso di umanità, non sarebbe stato possibile per la crudeltà accanirsi
sull'innocente e mansueto Agnello, afflitto dalle piaghe e dai dolori.
Ma non fu così, perché i giudei e i suoi nemici - o giudizi terribili e
occultissimi del Signore! - furono afferrati dall'odio e dalla malvagia
volontà del demonio e persero completalmente i sentimenti di cui gli
uomini sensibili sono capaci; agirono pertanto con rabbia e furore
diabolici.
1384. Subito uno dei carnefici prese la mano di Cristo e la
tenne premuta sopra il foro mentre un altro ne conficcò, penetrando a
forza di martellate, il palmo con un chiodo angolato e grosso. Si
ruppero le vene, i nervi e le ossa di quella santissima mano che aveva
creato i cieli e ogni essere vivente. Non era possibile inchiodare
l'altra, giacché il braccio non arrivava al buco; i nervi, infatti, si
erano contratti perché il foro era stato fatto maliziosamente più
distante. Per rimediare a questo difetto, presero la catena con la quale
il Signore era stato legato nell'orto degli Ulivi, ne avvolsero il
polso con una estremità dove c'era un anello con manette, e con una
ferocia inaudita tirarono dall'altro estremo finché riuscirono a portare
la mano sul buco e la inchiodarono. Passarono poi ai piedi: ne misero
uno sopra l'altro, li incatenarono e, tirando con forza e crudeltà, li
fissarono usando un terzo chiodo più forte degli altri due. Il sacro
corpo, unito alla divinità, rimase attaccato saldamente alla croce; ogni
suo membro, formato dallo Spirito Santo, fu talmente reciso e lacerato
che si potevano contare le ossa: quelle del petto e delle spalle erano
tutte slogate, esposte e fuori dalla posizione naturale, avendo ceduto
alla violenta crudeltà dei carnefici.
1385. 1 dolori del Signore furono incredibilmente grandi e
non si può esprimere con le parole la sofferenza che patì. Solamente nel
giorno del giudizio si avrà una conoscenza più chiara, quando la
condanna dei reprobi sarà giustificata e i santi lo loderanno e
glorificheranno adeguatamente; ma in questo momento in cui la fede ci
permette, anzi ci obbliga ad esprimere il nostro giudizio, se l'abbiamo,
io supplico e prego i figli della Chiesa che ciascuno personalmente
consideri questo venerabile mistero, lo ponderi e lo soppesi con tutte
le sue circostanze. Sicuramente troveranno motivi efficaci per aborrire
il peccato, per non commetterlo più, essendo stato la causa
dell'indicibile sofferenza dell'Autore della vita. Consideriamo anche e
contempliamo lo spirito della Vergine, il suo purissimo corpo oppresso e
abbattuto dai tormenti: sono la porta della luce attraverso la quale
entreremo a conoscere il sole che ci illumina. O Regina delle virtù! O
Madre dell'immortale Re dei secoli, il Verbo incarnato! Purtroppo è vero
che la durezza dei nostri cuori ingrati ci rende inetti, indegni e
incapaci di sentire i vostri dolori e quelli del vostro Unigenito; ma ci
sia concesso, per vostra clemenza, questo bene che non siamo in grado
di guadagnare. Purificateci e liberateci dall'indolenza,
dall'ingratitudine e dalla villana rozzezza. Se noi siamo la causa di
tali e tante afflizioni, per quale ragione, o giustizia, queste debbono
essere sopportate solo da voi e dall'amato Salvatore? Passi il calice
degli innocenti ai colpevoli, che lo bevano perché lo meritano. Ma
ahimè! Dov'è il senno? Dove il lume dei nostri occhi? Chi ci ha privato
dei sensi? Chi ci ha rubato il cuore sensibile e umano? Quand'anche,
Signore mio, non fossi stata creata a vostra immagine e somiglianza,
quand'anche non avessi ricevuto da voi il dono della vita, quand'anche
tutti gli elementi e gli esseri formati dalla vostra mano e posti al mio
servizio non mi avessero annunciato la notizia sicura del vostro
immenso amore, lo zelo infinito per cui vi siete lasciato inchiodare
sulla croce avrebbe dovuto essere sufficiente per stringermi a voi con
catene di compassione, di riconoscenza, di carità e di confidenza nella
vostra ineffabile misericordia. Ma se non mi risvegliano tante voci, se
il vostro ardore non mi accende, se la vostra passione e i vostri
tormenti non mi commuovono, se i benefici ricevuti non mi obbligano,
quale fine mai devo sperare della mia stoltezza?
1386. Posto il Signore sul duro legno, i carnefici, per
evitare che i chiodi cedessero al peso e non reggessero il divino corpo,
risolsero di ribatterne e incurvarne la parte sporgente che
oltrepassava la croce e la capovolsero, lasciandolo appeso su di essa
riverso sul terreno. Questa nuova crudeltà suscitò orrore e raccapriccio
fra tutti i presenti e la folla mossa a pietà insorse in grandi
clamori. L'afflitta Madre, partecipe dei patimenti del Figlio, si oppose
a tale smisurata empietà e pregò l'eterno Padre di non permettere
l'esecuzione di quanto era stato progettato; poi comandò ai ministri
celesti di assistere e servire il loro Creatore. Ogni cosa avvenne
secondo il suo desiderio. Quando i carnefici rivoltarono la croce,
sostennero Gesù impedendo che il suo corpo e il suo viso toccassero i
sassi e le immondezze. Quelli ribatterono le punte dei chiodi senza
accorgersi del miracolo: le sacre membra erano così vicine al suolo e la
croce, sostenuta dagli angeli, così salda e ferma che i perfidi giudei
pensarono che egli fosse posato sulla dura terra.
1387. A questo punto avvicinarono la croce al buco dove
doveva essere posta: la sollevarono verso l'alto, aiutandosi alcuni con
le spalle e altri con lance e alabarde, e la piantarono nel fosso che
avevano scavato a tal fine. La nostra vera vita, il nostro Salvatore,
rimase appeso in aria sul duro legno davanti ad una innumerevole folla
di uomini e genti di nazioni diverse. Non posso non ricordare un'altra
crudeltà che ho visto infliggere a sua Maestà: quando fu innalzato, fu
ferito con le lance e altri strumenti di tortura, gli furono conficcati i
ferri nella carne procurandogli sotto le braccia profondi squarci.
Davanti a un simile spettacolo si sollevò da parte del popolo un clamore
di alte grida e si rinnovò la confusione: i giudei bestemmiavano, i
compassionevoli gemevano, gli stranieri si stupivano; alcuni non
potevano nemmeno guardare per il dolore che provavano; altri sostenevano
che l'esempio di tale punizione potesse essere un insegnamento per
molti; altri ancora chiamavano il Crocifisso " il giusto". Tutti questi
giudizi e pareri vani si conficcarono come dardi acuti nel cuore della
Madre addolorata. Il sacro corpo perdeva molto sangue dalle ferite,
perché fu scosso dal pesante movimento della croce che veniva conficcata
nel terreno. Si riaprirono le piaghe e restarono più visibili le
sorgenti alle quali lo stesso Signore per bocca di Isaia ci aveva
invitato ad attingere con gioia le acque con cui spegnere la sete e
lavare le macchie delle nostre colpe. Nessuno potrà addurre scuse, se
non si affretterà ad avvicinarsi all'acqua per dissetarsi, poiché
quest'acqua non si vende in cambio dell'argento e dell'oro, e si dà
gratuitamente solo per il semplice fatto di volerla ricevere.
1388. Successivamente misero in croce i due ladroni, uno
alla destra e l'altro alla sinistra del nostro Redentore riservandogli
così il posto di colui che reputavano essere il malfattore principale. I
pontefici e i farisei non si curarono affatto di essi e rivolsero tutta
la loro ira e il loro furore contro colui che per sua natura era senza
peccato e santo. Scuotendo la testa con scherno e beffe, lanciarono
pietre e polvere contro di lui, dicendo: «Tu che distruggi il tempio e
lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso!», e ancora: «Ha salvato
gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora
dalla croce e gli crederemo». Anche i ladroni lo oltraggiavano allo
stesso modo e tali bestemmie recarono al nostro Maestro un dolore ancora
più profondo e vivo, poiché questi erano vicini alla morte e non
trovavano così alcun vantaggio dal frutto delle sofferenze che avrebbero
subito con essa e con le quali avrebbero potuto parzialmente rendere
soddisfazione per i delitti commessi e opportunamente castigati dalla
giustizia; solo uno di essi approfittò dell'occasione, un'occasione che
mai più si offrì ad alcun peccatore del mondo.
1389. Quando la Regina venne a conoscenza che i giudei
nella loro malvagità e ostinata invidia tentavano di disonorare ancora
di più Cristo e che lo bestemmiavano e giudicavano il peggiore tra
tutti, desiderando dimenticare e cancellare il suo nome dalla terra dei
viventi, come Geremia aveva profetizzato, si accese di nuovo nel suo
fedelissimo cuore l'ardente zelo per l'amore di suo Figlio. Si prostrò
davanti alla regale persona sospesa sulla croce, dove lo stava adorando,
e implorò il Padre affinché si prendesse cura dell'onore del suo
Unigenito, con segni così manifesti da confondere la malizia di quei
perfidi e frustrare le loro perverse intenzioni. Quindi, con lo stesso
fervore si rivolse a tutte le creature insensibili e affermò: «O
creature, prive di sensibilità e tuttavia chiamate all'esistenza dalla
mano dell'Onnipotente, manifestate voi il cordoglio e la compassione che
gli uomini capaci di ragione, nella loro stoltezza, gli negano per la
sua morte. Cieli, sole, luna, stelle e pianeti, fermate il vostro corso e
sospendete i vostri influssi. Elementi, alterate la vostra natura:
perda la terra la sua quiete, si spezzino le pietre e i duri macigni.
Sepolcri, aprite il vostro grembo nascosto per la vergogna dei vivi.
Velo del tempio mistico e simbolico, dividiti in due parti e con la tua
spaccatura scuoti gli increduli, intima loro il castigo e rendi
testimonianza alla verità della gloria del Signore dell'universo, che
essi vogliono oscurare».
1390. Grazie a questa supplica, l'Altissimo ordinò e
dispose tutto ciò che avvenne quando sua Maestà spirò. Illuminò e toccò
il cuore di molti tra i presenti prima che la terra mostrasse segni e
prodigi e anche durante tale evento, affinché riconoscessero in Gesù il
santo, il giusto, il vero Figlio di Dio, come fecero il centurione e
tanti altri che, nel racconto degli evangelisti, si allontanarono
percuotendosi il petto per il dolore. E non solo lo confessarono coloro
che lo avevano ascoltato e avevano aderito al suo insegnamento, ma anche
molti altri che non lo avevano conosciuto né avevano veduto i suoi
miracoli. Sempre per la stessa preghiera di Maria, Pilato venne ispirato
a non cambiate il titolo della croce che era già stato posto sul capo
del Redentore nella lingua ebraica, greca e latina. I giudei avevano
insistito con lui dichiarando: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che
egli ha detto: Io sono il re dei Giudei»; il governatore, però, rispose:
«Ciò che ho scritto, ho scritto». Tutti gli esseri privi di sensibilità
per volere divino obbedirono al comando della Vergine. Dall'ora di
mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, che corrispondono all'ora nona
in cui il Signore morì, come se fossero diventati sensibili, fecero ciò
che è riferito nei Vangeli: il sole nascose la sua luce; i pianeti
mutarono gli influssi; i cieli, le stelle e la luna cambiarono il loro
corso; gli elementi si turbarono; la terra tremò e molti monti si
spezzarono mentre le pietre si frantumarono le une contro le altre;
infine si aprirono i sepolcri e ne uscirono i defunti, risvegliatisi
alla vita. I giudei vennero colti dallo spavento e dalla paura,
quantunque la loro inaudita cattiveria impedisse loro di comprendere la
verità.
1391. I soldati che avevano crocifisso il Salvatore si
divisero le sue vesti, che spettavano loro come esecutori. Fecero in
quattro parti, una per ciascuno, il mantello che avevano portato al
Calvario per disposizione superna (era lo stesso mantello di cui egli si
era spogliato durante l'ultima cena quando aveva voluto lavare i piedi
degli apostoli). Non poterono tuttavia ripartire la tunica inconsutile,
poiché così aveva disposto l'imperscrutabile provvidenza. Gettarono le
sorti su di essa e colui a cui toccò la sorte la prese; si compiva così
letteralmente la profezia di Davide. I misteri relativi a questa
verranno successivamente spiegati dai santi e dai dottori. I giudei
avevano lacerato con i tormenti e le ferite inflitte l'umanità di Gesù,
nostro unico bene, che copriva e nascondeva la sua divinità, ma non
poterono offenderla in alcun modo, né arrivare ad essa col supplizio del
martirio, e colui al quale toccherà la sorte di partecipare per mezzo
della grazia alla giustificazione della divinità sarà chiamato a
possederla e goderla totalmente.
1392. Poiché la croce era il trono della maestà del nostro
Maestro e la cattedra da cui voleva insegnare la scienza della vita,
egli, innalzato su di essa, avendo confermato la dottrina con l'esempio,
pronunciò le parole che comprendevano il sommo grado di carità e
perfezione: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Aveva
vincolato se stesso a questo principio dell'amore fraterno, chiamandolo
il suo comandamento. E per rafforzare la verità del suo insegnamento,
lo praticò sul duro legno, non soltanto amando e perdonando i suoi
nemici, ma perfino scusandoli per la loro stessa ignoranza. E lo fece
nel momento in cui la loro cattiveria giunse al vertice, quando cioè
perseguitarono, crocifissero e bestemmiarono il loro Dio. Questo è ciò
che l'ingratitudine umana operò dopo aver ricevuto tanta luce, tanti
precetti e soprattutto tanti benefici; e questo invece è ciò che il
nostro Salvatore fece con la sua ardentissima carità, avendo in
contraccambio i tormenti, le spine, i chiodi, la croce e le bestemmie.
Oh, fervore impenetrabile! Oh, soavità ineffabile! Oh, pazienza mai
immaginata dagli uomini, ammirata dagli angeli e temuta dai demoni! Uno
dei ladroni, chiamato Dima, intuì un barlume di questo arcano: fu
illuminato interiormente dalla preghiera di intercessione di Maria,
perché potesse riconoscere il suo Redentore dalle prime parole che
pronunciò sulla croce. Mosso da profonda sofferenza e contrizione dei
suoi peccati, rimproverò il suo compagno: «Neanche tu hai timore di Dio e
sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il
giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E
aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
1393. Gli effetti della redenzione trovarono terreno
fertile nel cuore del buon ladrone, del centurione e di tutti coloro che
ebbero il coraggio di confessare il Signore elevato sulla croce; ma il
più fortunato fu Dima, che meritò di sentire le sue seconde parole: «In
verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso». Oh, felice ladrone! Tu
solo ottenesti la parola bramata da tutti i santi e giusti! Agli antichi
patriarchi e profeti non fu concesso di udirla: si reputarono già
favoriti di scendere nel limbo e ivi aspettare per lunghi secoli il
paradiso che tu guadagnasti in un attimo dando lietamente altra forma al
tuo mestiere. Ora cessi di rubare le cose altrui e terrene e subito
rapisci il cielo dalle mani di sua Maestà; ma tu lo rapisci giustamente
perché egli te lo dona per grazia. Tu fosti l'ultimo discepolo del suo
ammaestramento nella vita e il primo a metterlo in pratica dopo averlo
appreso. Amasti e corregesti il tuo fratello, riconoscesti il tuo
Creatore e riprendesti coloro che lo oltraggiavano; lo imitasti nel
patire con docilità, lo pregasti con umiltà affinché in avvenire si
rammentasse delle tue miserie. Egli volle esaudire all'istante i tuoi
desideri senza differire il premio che conseguì per te e per tutti i
mortali.
1394. Dopo che costui ebbe ottenuto la giustificazione,
Cristo posò gli occhi colmi di amore sulla Madre che stava afflitta con
Giovanni ai piedi della croce e, rivolgendosi ad entrambi, disse prima a
lei: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua
madre!». Chiamò Maria "donna" e non "madre", perché questo secondo nome
conteneva qualcosa di dolce e delicato e il pronunciarlo gli avrebbe
arrecato una sensibile consolazione. Durante la sua passione egli non si
concesse alcun conforto o sollievo esteriori, giacché vi aveva
rinunciato totalmente, ma con la parola "donna" volle tacitamente
intendere ciò: «Donna, che sei benedetta fra tutte le donne e la più
saggia tra i figli di Adamo. Donna forte e perfetta, mai vinta dal
peccato, fedelissima nell'amarmi, indefettibile nel servirmi, il cui
amore le molte acque del mio supplizio non hanno potuto né spegnere né
travolgerei, vado dal Padre mio e da adesso in poi non posso stare con
voi, ma il mio discepolo prediletto vi assisterà e avrà cura di voi come
madre: sarà vostro figlio». Da quell'ora Giovanni la prese con sé e la
venerò e servì per tutto il resto della sua vita. Il suo spirito venne
rischiarato da una nuova luce, affinché potesse conoscere e apprezzare
degnamente il bene che gli era stato affidato: il più prezioso ed
eccelso creato dal braccio dell'Onnipotente dopo l'umanità di Gesù.
Anche la Regina, che aveva compreso tutto, con umile riconoscenza lo
accolse come figlio. Gli immensi benefici della passione non impedirono
al suo cuore generoso e colmo di benevolenza di prestargli obbedienza;
ella, infatti, agiva sempre al sommo grado di perfezione.
1395. Si avvicinava già l'ora nona, sebbene per l'oscurità e
la confusione sembrasse essere una notte tenebrosa. Allora il nostro
Salvatore proferì a gran voce la quarta parola dalla croce: «Dio mio,
Dio mio, perché mi hai abbandonato ?». Non tutti capirono quantunque
egli avesse parlato nella sua lingua. Poiché la prima locuzione si
esprime in ebraico con i vocaboli "Elì, El", alcuni pensarono che
invocasse Elia, mentre altri, beffeggiandolo, dicevano: «Lascia, vediamo
se viene Elia a salvarlo!». Il mistero di queste parole fu tanto
profondo quanto occulto ai giudei e ai pagani e in esse si trovano i
molti significati che i dottori di sacra Scrittura hanno loro conferito.
A me fu rivelato che il suo abbandono non consistette nella separazione
della divinità dalla sua santissima umanità, così che cessasse la
visione beatifica o si sciogliesse l'unione sostanziale ipostatica, che
ebbe fin dall'istante in cui fu concepita per opera dello Spirito Santo
nel talamo verginale e mai lasciò. Questa dottrina è cattolica e vera. È
certo che anche l'umanità santissima fu abbandonata dalla divinità
nella misura in cui non fu preservata dalla morte e dai dolori
dell'acerbissima passione; il Padre, però, non lasciò del tutto il
Figlio in quanto prese la difesa del suo onore e lo testimoniò
permettendo alle creature di muoversi e di mostrare sentimento nel
momento in cui egli spirò. Il Signore espresse un altro abbandono
attraverso il lamento che sgorgò dal suo immenso affetto verso il genere
umano, quello dei reietti e dei dannati. Se ne dolse nell'ultima ora
come aveva fatto nella preghiera nell'orto degli Ulivi, quando la sua
santissima anima si era rattristata fino alla morte; infatti, la sua
copiosa ed abbondante redenzione offerta per tutti non sarebbe stata
efficace per essi, ed egli sarebbe stato rifiutato da loro nella
beatitudine eterna per la quale li aveva fatti e riscattati. E poiché
tutto ciò avvenne secondo il decreto dell'Onnipotente, Gesù eruppe in
questo gemito generato dall'amore e dal dolore, volendo intendere:
«Perché mi hai lasciato senza la compagnia degli empi?».
1396. Per rafforzare e dare più credito a ciò, il Signore
aggiunse subito la quinta parola: «Ho sete». I tormenti e le angosce
dovettero suscitare in lui una sete naturale, ma non era tempo di
manifestarla e tanto meno di appagarla: egli non avrebbe mai parlato in
tal senso, sapendo che si trovava vicino al trapasso. L'espressione
aveva un altro significato: la sua sete era che gli schiavi discendenti
di Adamo non sciupassero la libertà che aveva guadagnato loro.
Desiderava ardentemente che tutti gli uomini, mediante la fede e la
carità, la grazia e l'amicizia, traessero vantaggio dai suoi meriti e
dalle sue sofferenze e non perdessero l'eterno gaudio lasciato in
eredità. Questa sola era la sete del nostro Maestro e solo Maria ne
penetrò perfettamente il segreto. Con il cuore colmo di struggimento e
di tenerezza, chiamò interiormente a sé i poveri, gli afflitti, gli
umili, i disprezzati e gli oppressi e li invitò ad accostarsi al
Redentore perché mitigassero parzialmente - completamente sarebbe stato
impossibile - la sua sete di anime. I perfidi giudei e gli sbirri,
coerenti con la loro infelice crudeltà, gli porsero, deridendolo e
schernendolo, una spugna imbevuta di aceto e fiele in cima ad una canna e
gliela accostarono alla bocca, perché ne bevesse e si adempisse così la
profezia di Davide: Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete
mi hanno dato aceto. Egli lo gustò pazientemente e ne inghiottì qualche
sorso significando misteriosamente quanta pena gli avrebbe recato la
dannazione dei reprobi, ma su richiesta della Vergine lo rifiutò
subitaneamente e smise di bere; ella, infatti, sarebbe stata la porta e
la mediatrice per tutti coloro che avrebbero tratto profitto dalla
passione e dalla redenzione.
1397. Quindi Gesù pronunciò la sesta parola avvolta nel
mistero: «Consumatum est», cioè «Tutto è compiuto!». E volle intendere:
«È compiuta l'opera della mia missione e del riscatto del genere umano,
come è compiuta l'obbedienza con cui il Padre mi inviò a patire e morire
per esso. Si sono adempiute le Scritture, le profezie e gli esempi
dell'Antico Testamento, come è compiuto il corso della vita sofferente e
mortale che accettai nel castissimo grembo di mia Madre. Lascio al
mondo il mio esempio, l'insegnamento, i sacramenti e gli aiuti per
rimediare al male e al peccato. È soddisfatta la giustizia
dell'Altissimo ed è assolto il debito della posterità di Adamo. La
Chiesa è già in possesso del perdono dei peccati che saranno commessi, e
tutta l'opera dell'incarnazione e della redenzione ha raggiunto la
massima perfezione per la parte che mi riguarda come Salvatore. Per
l'edificazione della Chiesa trionfante è stato già posto il sicuro
fondamento nella Chiesa militante: nessuno potrà alterarlo né mutarlo».
Tutti questi misteri sono contenuti nelle brevi parole "Consumatum
est!".
1398. Volgendosi l'opera della redenzione verso la
perfezione del compimento, ne conseguì che, come il Verbo incarnato era
uscito dal Padre per mezzo della vita mortale ed era venuto nel mondo,
così, per mezzo della morte, ritornasse da questa vita al Padre con
l'immortalità. A questo punto Cristo pronunciò l'ultima parola: «Padre,
nelle tue mani consegno il mio spirito», e lo fece gridando a gran voce
affinché tutti i presenti potessero udire. Alzò gli occhi al cielo come
se parlasse con Dio e subito, chinato il capo, rese il suo spirito. In
virtù della forza divina di quest'ultima parola, Lucifero fu sconfitto e
scaraventato con tutti i suoi demoni nel precipizio profondo
dell'inferno, dove rimasero atterrati, come avrò modo di riferire nel
prossimo capitolo. L'invincibile Regina, quale madre del Redentore e
corredentrice, penetrò tali arcani più profondamente di tutte le altre
creature, e, come aveva sentito i dolori corrispondenti ai tormenti del
suo Unigenito, così sentì i dolori e i tormenti che egli patì nel
momento della morte senza perdere la vita, e l'Eterno gliela conservò
miracolosamente allorché avrebbe dovuto morire realizzando un miracolo
più grande di quelli con cui le aveva recato conforto nell'intero corso
dell'esistenza terrena. Quest'ultima sofferenza fu più forte, intensa e
viva di tutte le altre. Tutto ciò che subirono i martiri e gli uomini
giustiziati dall'inizio dei tempi non è paragonabile a quello che Maria
provò e sopportò nel martirio del Figlio. Ella rimase ferma ai piedi
della croce fino a sera, quando le sacre membra furono sepolte, e in
ricompensa di questa particolare angoscia venne ancor più
spiritualizzata in quel poco che il suo corpo verginale aveva conservato
dell'essere perituro.
1399. Gli evangelisti non riferiscono gli altri misteri che
il nostro Salvatore operò sulla croce, e noi cattolici non ne abbiamo
alcuna notizia, se non le congetture dedotte dall'infallibile certezza
della fede. Tra quelli che mi sono stati rivelati riguardo alla storia e
al luogo della passione, vi è una preghiera che sua Maestà fece prima
di proferire le sette parole. Dico preghiera perché si trattò
effettivamente di un colloquio con l'Onnipotente, sebbene propriamente
fosse un'ultima espressione di volontà o testamento, che egli volle
lasciare come vero e sapientissimo padre della famiglia affidatagli,
cioè il genere umano. Come la ragione insegna, il capo di una famiglia e
proprietario di molte o poche sostanze non sarebbe un prudente
dispensatore né attento al suo compito, se non dichiarasse nel momento
della morte come disporre dei propri beni onde gli eredi e i successori
siano informati di quello che spetta a ciascuno senza litigi, e ognuno
lo acquisisca secondo giustizia e ne entri in possesso pacificamente.
Per tale motivo e per poter morire liberi dalle cose terrene, gli uomini
del mondo fanno il loro testamento; anche i religiosi si spogliano
dell'uso di queste perché nell'ora della morte pesano molto e la
conseguente preoccupazione impedisce allo spirito di innalzarsi al
Creatore. E benché esse non potessero recare imbarazzo al nostro
Maestro, poiché non ne aveva e, se anche ne avesse avute, non sarebbero
state un ostacolo al suo potere infinito, conveniva che disponesse in
quell'ora dei tesori spirituali e dei doni che aveva conquistato per i
mortali nel corso del suo pellegrinaggio.
1400. Dei beni eterni egli fece testamento sulla croce,
determinando a chi toccassero, quali ne dovessero essere i legittimi
eredi e quali invece i diseredati e le ragioni di questo. Fece ciò
parlando con il Padre, retto giudice di tutte le creature: in lui erano
riepilogati i segreti della predestinazione dei santi e della
riprovazione dei dannati. Il testamento fu tenuto nascosto e solo la
Regina ne conobbe il contenuto, perché, oltre ad esserle rivelati tutti
gli atti dell'anima santissima di Gesù, era sua erede universale e
costituita signora dell'universo. In qualità di corredentrice, doveva
essere anche erede testamentaria, per le cui mani, mani in cui
l'Unigenito pose tutte le cose come il Padre le aveva poste nelle sue,
si eseguisse la sua volontà. A lei è affidato l'incarico di ripartire i
tesori acquisiti dal Figlio, a lui dovuti per i suoi infiniti meriti.
Questa spiegazione mi è stata comunicata affinché sia sempre più
riconosciuta la dignità della nostra sovrana e i peccatori ricorrano a
lei come depositaria delle ricchezze che il Salvatore ha ottenuto
dall'Altissimo. Dobbiamo conseguire ogni aiuto per intercessione della
Vergine, che ha il compito di distribuirli con le sue caritatevoli e
generose mani. Testamento del nostro Salvatore sulla croce
1401. Conficcato il legno della santa croce sul monte
Calvario, il Verbo incarnato, crocifisso su di essa, prima di
pronunciare le sette parole, si rivolse interiormente all'Onnipotente e
disse: «Padre mio, da questo albero della croce io vi confesso e vi
esalto con il sacrificio dei miei dolori e della mia passione e morte,
poiché con l'unione ipostatica della natura divina innalzaste la mia
umanità alla suprema dignità, cosicché sono Cristo, Dio e uomo, unito
alla vostra stessa divinità. Vi lodo perché comunicaste alla mia umanità
fin dal momento dell'incarnazione la pienezza di tutti i doni possibili
di grazia e di gloria. Fin dal principio mi deste per tutta l'eternità
il dominio totale e pieno su tutte le creature. Mi faceste sovrano dei
cieli, del sole, della luna, delle stelle, del fuoco, dell'aria, della
terra, dei mari e di tutti gli esseri sensibili e insensibili che vivono
in essi. Mi affidaste l'ordinamento dei tempi, dei giorni e delle notti
conferendomi dominio e potere su tutto, secondo la mia volontà o il mio
arbitrio. Mi costituiste capo e re di tutti gli angeli e degli uomini
perché li governassi e comandassi, e perché premiassi i buoni e
castigassi i cattivi. Mi donaste la potestà e le chiavi dell'abisso
perché faccia quello che voglio dal supremo delle altezze fino al
profondo degli inferi. Mi assegnaste la giustificazione dei mortali, i
loro imperi, regni e principati, i grandi e i piccoli, i poveri e i
ricchi. Per opera vostra sono diventato per tutto il genere umano
sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, Signore della morte e
della vita, della santa Chiesa e dei suoi tesori, delle Scritture, dei
misteri, dei sacramenti, delle leggi e dei doni della grazia. Tutto ciò,
o Padre mio, poneste nelle mie mani e lo subordinaste al mio volere, e
perciò vi magnifico e vi onoro».
1402. «E ora che morendo in croce mi separo da questo mondo
per fare ritorno alla vostra destra, ora che ho compiuto con la mia
passione l'opera della redenzione che mi affidaste, è mio anelito che
proprio questa croce sia il tribunale della nostra giustizia e
misericordia. Inchiodato su di essa voglio giudicare gli stessi per cui
offro la vita. Giustificando la mia causa voglio dispensare i tesori che
ho meritato con il mio supplizio. Sia fin da adesso stabilito il
compenso che spetta a ciascuno dei giusti e dei reprobi, conformemente
alle azioni con cui mi avranno amato o rifiutato. Ho cercato e chiamato
tutti gli uomini alla mia amicizia, e dall'istante in cui mi sono
incarnato ho faticato incessantemente per loro. Ho sopportato molestie,
fatiche, offese, insolenze, derisioni, flagelli, corone di spine e
adesso patisco l'amarissima morte sul duro legno. Per tutti ho implorato
la vostra immensa pietà e ho pregato vegliando notti intere; ho
digiunato, sono stato pellegrino e forestiero per insegnare loro il
cammino della vita eterna che da parte mia desidero per tutti perché per
tutti l'ho guadagnato senza alcuna eccezione né esclusione, come per
tutti ho fondato e stabilito la legge di grazia. La Chiesa in cui
possono trovare la salvezza sarà stabile e ferma nei secoli dei secoli».
1403. «Nella nostra sapienza e provvidenza conosciamo,
Padre mio, che per la malizia e la cattiveria degli uomini non tutti
vogliono acquisire la beatitudine senza fine, né avvalersi della nostra
misericordia e intraprendere la via che ho tracciato per loro con il mio
esempio e con la crocifissione stessa; essi invece seguono il loro
peccato fino alla perdizione. Voi siete giusto e retto nei vostri
giudizi e poiché mi avete costituito giudice dei vivi e dei morti, dei
buoni e dei malvagi, è d'uopo che io dia ai giusti il premio meritato
per essere venuti dietro a me e per avermi servito, e ai cattivi il
castigo per la loro perversa ostinazione: i primi abbiano parte con me
della mia eredità e i secondi ne vengano privati, dal momento che non
vollero accettarla. Ordunque, nel vostro e mio nome vi esalto:
accogliete la mia ultima volontà che è conforme alla vostra eterna e
divina. Chiedo innanzitutto che fra tutte le creature la mia purissima
Madre, nel grembo della quale mi incarnai, sia nominata erede unica e
universale di tutti i miei beni di natura, grazia e gloria, affinché ne
sia la signora con pieno potere. Le concedo già fin d'ora in effetti
tutto ciò che come pura creatura può ricevere dalla grazia, mentre i
beni della gloria li prometto e riservo per il futuro. È mia brama anche
che gli angeli e gli uomini siano suoi, le appartengano ed ella possa
esercitare su di essi l'assoluto dominio: tutti le obbediscano e la
servano. I demoni invece devono temerla ed essere a lei soggiogati. Pure
le creature prive di ragione devono esserle sottomesse: i cieli, gli
astri, i pianeti, gli elementi e tutti gli esseri viventi sulla terra e
nel mare, gli uccelli, i pesci e gli altri animali. La costituisco
sovrana di tutto, affinché tutti la onorino. Similmente desidero che
ella sia depositaria e dispensatrice di tutti i beni dell'universo. Ciò
che ella disporrà e ordinerà nella Chiesa per i miei figli, sarà
confermato nell'empireo dalle tre divine Persone. E tutto ciò che
domanderà a favore dei mortali ora, in avvenire e sempre lo concederemo
secondo il suo volere».
1404. «Dispongo inoltre che agli angeli, che compirono la
vostra volontà, appartenga il supremo cielo come propria e imperitura
abitazione nell'estasi e somma gioia della chiara visione della nostra
divinità, e che posseggano eternamente la felicità della comunione con
noi. Comando ad essi che riconoscano mia Madre come loro regina, la
servano, l'accompagnino, l'assistano, la portino sulle loro mani in ogni
luogo e tempo; obbediscano a ogni suo comando ed eseguano tutto ciò che
ella vorrà loro ordinare. Esilio e separo dalla nostra vista i diavoli,
in quanto a noi ribelli, li condanno ad essere oggetto del nostro
aborrimento e all'eterna privazione della nostra amicizia e gloria,
della visione di Maria, dei beati e dei giusti; assegno loro come
definitiva dimora il luogo più distante dal nostro trono regale,
l'inferno, il centro della terra, dove sono privati della luce e
costretti a sentire l'orrore delle tenebre più fitte. Sia questa la
parte di eredità scelta per la loro superbia e ostinazione: si
ribellarono infatti contro l'essere divino e i suoi disegni. Vengano
dunque puniti, condannati all'ergastolo dell'oscurità e tormentati con
fuoco inestinguibile».
1405. «Da tutta l'umana natura, con la pienezza del mio
beneplacito, chiamo, eleggo e prescelgo tutti i giusti e predestinati
che per mezzo della mia grazia e imitazione devono essere salvi poiché
hanno adempiuto la mia volontà e obbedito alla mia santa legge. Nomino
questi, al primo posto dopo la purissima Vergine, eredi di tutte le mie
promesse e benedizioni, dei misteri, dei tesori dei sacramenti, dei
segreti delle sacre Scritture. Li faccio eredi della mia umiltà e
mansuetudine di cuore; delle virtù della fede, speranza e carità; della
prudenza, giustizia, fortezza e temperanza; dei miei doni; della mia
croce, delle fatiche, degli obbrobri, del disprezzo, della povertà e
nudità che ho subito. Sia questa la loro parte di eredità nella vita
presente. Poiché la devono scegliere con l'esercizio delle buone opere,
sappiano, per poterlo fare con gioia, che essa è il pegno della mia
amicizia, la stessa che ho scelto per me. Offro la mia protezione e
difesa, le mie sante ispirazioni, i favori di grazia e potenti aiuti, la
giustificazione secondo la loro disposizione, preparazione e carità.
Sarò per loro padre, fratello e amico ed essi saranno miei figli eletti e
carissimi. Come tali li dichiaro eredi di tutti i miei meriti e tesori,
senza limitazione alcuna, per quanto dipende da me. Voglio che essi
facciano parte della Chiesa, partecipino dei sacramenti e possano
conseguire tutto ciò che saranno capaci di ricevere secondo la loro
disponibilità, e possano ricuperare la grazia e i beni nel caso in cui
dovessero perderli, ritornando a me rinnovati e lavati interamente col
mio sangue. Desidero intensamente che in tutte queste circostanze sia
propizia l'intercessione della Regina e dei miei santi: ella li
riconosca come figli e li protegga e li consideri sua proprietà; gli
angeli li difendano, li custodiscano, li portino nelle loro mani, perché
non inciampino e, se dovessero cadere, li aiutino a risollevarsi».
1406. «E ancora chiedo che i miei giusti ed eletti superino
in eccellenza i reprobi e i demoni: i miei nemici devono temerli ed
essere loro soggetti; tutti gli esseri ragionevoli o privi di ragione si
pongano al loro servizio; i cieli, i pianeti, gli astri e i loro
influssi li conservino e trasmettano loro la vita; il suolo, gli
elementi e gli animali siano il loro sostentamento. Le creature che mi
appartengono si sottomettano ad essi come a fratelli ed amici miei, e la
loro benedizione conceda la rugiada del cielo e terre grasse e
abbondanza di frumento e mosto. Ancora voglio porre le mie delizie tra i
figli dell'uomo, comunicare loro i miei segreti, conversare con loro
con fiducia e, fintanto che vivranno nella Chiesa militante, essere
presente sotto le specie del pane e del vino, in pegno e caparra
ineffabili dell'eterna felicità e gloria. Questo prometto loro, di
queste li costituisco eredi affinché ne abbiano in cielo con me il
perenne possesso e gaudio».
1407. «Stabilisco e in qualche modo concedo che
nell'esistenza peritura l'eredità dei dannati e di coloro che sono
rifiutati da noi sia la concupiscenza della carne, degli occhi e la
superbia della vita con tutte le sue conseguenze, quantunque siano stati
creati per un altro fine ben più alto. Si cibino pure e si sazino della
sabbia della terra, ossia delle sue ricchezze, della corruzione e dei
piaceri, del fumo della vanità e della presunzione di questo mondo.
Essi, per acquistare il possesso di queste cose, si sono dati da fare e
in tale preoccupazione hanno impiegato la loro volontà e i sensi. In
questa direzione hanno usato le capacità, le elargizioni che abbiamo
loro concesso e, per propria scelta, si sono lasciati ingannare,
aborrendo quanto ho loro insegnato nella mia santa legge. Hanno
rinunciato alla verità che ho scritto nel loro cuore come anche a quella
ispirata dalla mia grazia; hanno disprezzato la mia dottrina e i miei
benefici e hanno dato ascolto ai miei nonché loro avversari, accettando
l'inganno. Hanno amato la vanità, operato l'iniquità, assecondato
l'ambizione e, compiacendosi della vendetta, hanno perseguitato i
poveri, umiliato i retti, oltraggiato i semplici e gli innocenti. Nella
ricerca della propria esaltazione, hanno voluto innalzarsi sopra i cedri
del Libano secondo i principi dell'ingiustizia».
1408. «Poiché hanno fatto tutto ciò per offendere la nostra
bontà e sono rimasti ostinati nella loro perfidia rinunciando al
diritto da me acquisito di essere figli, li diseredo e li escludo dalla
mia amicizia e gloria. Come Abramo allontanò da sé i figli delle
concubine con alcuni doni e riservò la maggior parte dell'eredità per
Isacco, il figlio di Sara, donna libera, così io escludo dalla mia
eredità i dannati e lascio loro solamente i beni caduchi che essi stessi
hanno scelto. Li separo dalla nostra compagnia, da quella di mia Madre,
dei ministri celesti e dei santi e li condanno alle carceri eterne e al
fuoco dell'inferno insieme a Lucifero e ai suoi, che essi hanno servito
liberamente, e li privo per sempre della speranza nella redenzione.
Padre mio, questa è la sentenza che pronuncio come giudice e capo degli
uomini e degli angeli; questo è il testamento che dispongo per la mia
morte e per l'opera della redenzione umana, garantendo a ciascuno ciò
che gli spetta secondo giustizia, conformemente alle azioni compiute, al
decreto della vostra incomprensibile sapienza e all'imparzialità della
vostra perfetta equità». Così parlò Cristo nostro salvatore sulla croce
con l'Altissimo. Questo mistero restò sigillato e serbato nel cuore di
Maria come un testamento occulto e chiuso, affinché per sua
intercessione e disposizione, al tempo opportuno e da quel momento in
poi, fosse eseguito nella comunità ecclesiale. In realtà in quell'ora si
incominciò la sua esecuzione ed attuazione in conformità alla
conoscenza e previsione divina in cui tutto, passato e futuro, è allo
stesso tempo unito e presente.
Insegnamento della Regina del cielo
1409. Figlia mia, fa' in modo, con tutto l'affetto
possibile, di non dimenticare la scienza degli arcani che ti ho
manifestato in questi capitoli. Come tua madre e maestra, domanderò al
Signore che mediante la sua forza imprima in te le rivelazioni che ti ho
fatto perché rimangano fisse e presenti finché vivrai. Pensa
incessantemente a Gesù crocifisso, mio unigenito e tuo sposo, e non
scordare mai i dolori della croce e l'insegnamento che egli volle
donarci su di essa. In questo specchio devi acconciare la bellezza della
tua anima e riporre quella gloria interiore che si addice alla figlia
del principe, cosicché tu possa avanzare, procedere e regnare come sposa
del supremo Re. Questo titolo onorifico ti obbliga ad imitarlo con
tutta te stessa e a diventare a lui conforme nella misura in cui ti sarà
possibile con l'aiuto della sua grazia. Questo deve essere il frutto
dei miei consigli ed è mio desiderio che tu, da ora innanzi, viva
crocifissa con Cristo e divenga simile a lui, morendo all'esistenza
terrena. Gli effetti della prima colpa siano del tutto estirpati e tu
possa vivere di quanto compie in te la virtù superna. Devi rinunciare
all'eredità avuta come discendente di Adamo, affinché tu possa ricevere
l'eredità del secondo Adamo, Gesù, tuo redentore.
1410. La tua vita deve essere una croce pesante e angusta,
dove tu sia inchiodata e in nessun modo, in forza di dispense e
interpretazioni benevole che la rendono spaziosa, ampia e comoda, sia
una via larga, ma piuttosto sicura e perfetta. Questo è l'inganno dei
figli di Babilonia e di Adamo, che, ciascuno nel proprio stato, cercano
di rendere più leggera la legge di Dio e agiscono in tal senso
mercanteggiando la salvezza delle loro anime. Essi vogliono infatti
comprare il cielo a basso prezzo e si pongono nel pericolo di perderlo
del tutto dal momento che costa loro il doversi sottomettere e adattare
al rigore dei precetti divini. Ne consegue da parte loro la ricerca di
dottrine e opinioni che dilatino i sentieri della beatitudine eterna: si
dimenticano così che mio Figlio insegnò loro quanto stretta sia invece
la porta e angusta la via e che egli stesso la intraprese, affinché
nessuno potesse pensare di percorrerne di più spaziose e comode, adatte
alle bramosie della carne e alle inclinazioni viziate del peccato. Tale
pericolo è maggiore per gli ecclesiastici e i religiosi, che, per la
loro scelta e il loro stato di vita, sono chiamati a seguire il Maestro e
conformarsi alla sua povertà. Per questo scelsero il cammino della
croce e intanto, però, vogliono che la dignità o la religione servano ad
essi al fine di comodità temporali o per accrescere l'onore, la stima e
il plauso che altrimenti non avrebbero mai conseguito. Per ottenere
tutto ciò essi allargano la croce che promisero di portare vivendo
legati e conformati alla carne, servendosi di opinioni e interpretazioni
fallaci. A suo tempo, tuttavia, conosceranno la verità di quella
sentenza dello Spirito Santo: Agli occhi dell'uomo tutte le sue vie sono
rette, ma chi pesa i cuori è il Signore.
1411. Carissima, devi stare lontana da questo inganno e
avere una vita conforme alla tua professione e nella più stretta
osservanza, così che su questa croce tu non ti possa stendere né voltare
da una parte o dall'altra, proprio perché tu sei inchiodata su di essa
con il Signore. Devi tenere la mano destra inchiodata all'obbedienza,
senza riservarti alcun momento o parola o gesto o pensiero che non siano
governati da tale virtù. Non devi avere nessun atteggiamento che sia
opera della tua volontà, bensì dell'altrui: non ti è lecito credere di
essere saggia per te stessa; devi invece essere ignorante e cieca,
affinché i superiori ti guidino. «Colui che promette - dice il Savio -,
inchiodata la sua mano e con le parole delle sue labbra, resta legato e
preso». Hai inchiodato la tua mano col voto dell'obbedienza e con questo
atto hai rinunciato alla libertà e al diritto di volere o non volere.
Terrai quella sinistra inchiodata al voto di povertà senza concederti
nulla di quanto gli occhi sono soliti desiderare, nessuna simpatia né
affetto, perché, riguardo all'uso o al desiderio di cose di tal fatta è
opportuno che tu segua e imiti Cristo povero e nudo sulla croce. Col
terzo voto di castità, devono essere inchiodati i tuoi piedi, perché i
tuoi passi e i tuoi movimenti siano puri, casti e gradevoli. Perciò non
devi permettere che, in tua presenza, si proferiscano parole dissonanti
dalla purezza né tollerare che immagini o figure di questo mondo ti
possano colpire, né guardare o toccare creatura umana. I tuoi occhi e
tutti i tuoi sensi siano consacrati alla castità, senza concederti
alcuna dispensa, se non quella di fissarli in Gesù crocifisso.
Osserverai e custodirai sicura il quarto voto di clausura nel costato e
nel petto di sua Maestà: è la dimora che ti assegno. E affinché questa
dottrina ti sembri soave e questo cammino meno aspro, mira e considera
con attenzione nel tuo cuore l'immagine che di lui hai conosciuto: pieno
di piaghe, tormenti e dolori, alla fine inchiodato sulla croce senza
avere nel suo corpo parte alcuna che non fosse ferita e tormentata.
Entrambi eravamo più delicati e sensibili di tutti i figli degli uomini,
e per loro abbiamo sofferto e sopportato dolori amarissimi per
incoraggiarli a non rifiutarne altri minori in vista del loro eterno e
proprio bene e dell'amore che li ha obbligati. Per esso dovrebbero
mostrarsi grati, intraprendendo con fiducia e abbandono il sentiero
seminato di spine e di affanni, e portare la croce, per imitare e
seguire Cristo ed ottenere la felicità senza fine: questa è la diritta
via per arrivarvi.