19 - Pilato manda il Signore da Erode e gliene sottopone la causa.
La mistica Città di Dio - Libro sesto
Suor Maria d'Agreda

Pilato manda il Signore da Erode e gliene sottopone la causa; il Redentore viene accusato davanti al re, che lo disprezza e lo invia di nuovo a Pilato. Maria santissima lo segue; si narra ciò che accade in questa circostanza.
1314. Una delle accuse che i giudei e i loro capi presentarono a Pilato
contro Gesù salvatore nostro fu che egli aveva predicato, incominciando a
fomentare il popolo fin dalla Galilea. Per questo il governatore gli
domandò se fosse galileo. Una volta informato che era nato e cresciuto
in quella provincia, gli parve di avere un qualche motivo per dichiarare
non di sua competenza la causa di Cristo nostro bene - che egli trovava
senza colpa -, liberandosi dal fastidio di coloro che insistevano
perché lo condannasse a morte. Erode in quei giorni si trovava a
Gerusalemme per celebrare la Pasqua. Costui era figlio dell'altro Erode
che aveva ordinato la strage degli innocenti perseguitando Gesù appena
nato e che, avendo sposato una donna giudea, era passato al giudaismo e
divenuto un proselito israelita. Per questa ragione, anche suo figlio
Erode Antipa osservava la legge di Mosè ed era venuto a Gerusalemme
dalla Galilea, di cui era tetrarca. Fra Pilato ed Erode non
intercorrevano buoni rapporti, perché entrambi avevano autorità sulle
principali province della Palestina e poco tempo prima il governatore,
sollecito nell'affermare il dominio dell'impero romano, aveva fatto
decapitare alcuni galilei mentre offrivano, sacrifici, mescolando il
loro sangue con quello dei sacrifici stessi. Il re se ne era sdegnato,
per cui Pilato, volendogli opportunamente dare qualche soddisfazione,
decise di mandargli il Signore in quanto suo suddito, affinché lo
esaminasse e giudicasse; in realtà egli sperava che Erode lo avrebbe
lasciato libero, riconoscendolo innocente e denunciato per invidia dai
sommi sacerdoti e dagli scribi.
1315. Il Redentore, legato e incatenato com'era, uscì dalla
casa del governatore romano scortato dagli scribi e dai sacerdoti, che
andavano per accusarlo di fronte al nuovo giudice, e da un gran numero
di soldati e servi, che lo conducevano tirandolo con le corde.
L'esercito si apriva il passaggio attraverso la folla accorsa a vedere
e, poiché i soldati e i capi del popolo erano talmente assetati del
sangue del Salvatore da volerlo spargere in quello stesso giorno,
affrettavano il passo e quasi correndo conducevano per le vie sua Maestà
in un disordinato tumulto. Anche Maria santissima, insieme alle persone
che erano con lei, seguì il suo dolcissimo Gesù per stargli accanto
negli altri momenti della passione, fino alla croce. Ma sarebbe stato
impossibile alla gran Signora continuare questo percorso senza perderlo
di vista se i santi angeli non avessero disposto tutto come ella
desiderava, in modo che si trovasse sempre così vicina a suo Figlio da
poter godere della sua presenza e partecipare dei suoi tormenti. Tanto
appunto ottenne col suo ardentissimo amore, cosicché udiva nello stesso
tempo gli insulti e i colpi che il Signore riceveva, le mormorazioni del
popolo e i vari giudizi che ciascuno formulava da sé o riferiva di
altri.
1316. Quando Erode seppe che Pilato gli mandava il
Nazareno, si rallegrò grandemente. Sapeva che Gesù era stato molto amico
di Giovanni, che egli aveva fatto decapitare, ed era informato sulla
sua predicazione; inoltre, con stolta e vana curiosità desiderava
vedergli compiere qualche portento per farne oggetto di meraviglia e
materia d'intrattenimento nelle conversazioni. L'Autore della vita,
dunque, giunse alla presenza del re omicida, contro il quale il sangue
di Giovanni Battista gridava vendetta al cospetto di Dio più del sangue
del giusto Abele. L'infelice adultero lo accolse ridendo, come uno che
ignori i terribili giudizi dell'Altissimo, considerando Cristo nostro
bene un incantatore e un mago. Accecato da un così funesto errore,
incominciò ad esaminarlo e a fargli diverse domande, pensando d'indurlo
in questo modo a compiere qualche miracolo. Ma il Maestro della sapienza
e della prudenza tacque, rimanendo sempre con umile severità davanti
all'indegno giudice, il quale per le sue malvagità ben si meritava la
punizione di non ascoltare le parole di vita eterna che, se fosse stato
ben disposto, sarebbero uscite dalla bocca del Figlio dell'eterno Padre.
1317. I principi dei sacerdoti e gli scribi lì convenuti
muovevano al nostro Salvatore le medesime accuse che in precedenza
avevano presentato a Pilato. Neppure qui sua Maestà replicò alle loro
calunnie, come invece avrebbe voluto Erode; non aprì le labbra né per
rispondere alle domande, né per difendersi, perché il re non era
comunque degno di udire la verità. Questo fu il suo giusto castigo, ed è
ciò che i principi e i potenti del mondo devono maggiormente temere.
Erode si adirò perché il Redentore, silenzioso e mansueto, deludeva la
sua vana curiosità; quasi confuso, dissimulò il suo dispetto facendosi
beffe di lui e, schernendolo insieme a tutto il suo esercito, ordinò che
venisse ricondotto dal governatore. I soldati, dopo essersi presi gioco
della modestia di Cristo, gli misero addosso una tunica bianca - segno
distintivo di coloro che perdevano il senno - al fine di trattarlo come
matto ed insensato, in modo che tutti si guardassero da lui. Indossata
dal Signore, invece, questa veste fu simbolo e testimonianza della sua
innocenza e purezza. Così infatti aveva stabilito l'imperscrutabile
provvidenza dell'Altissimo, affinché quei malvagi, compiendo azioni di
cui ignoravano il significato, testimoniassero la verità che
pretendevano di oscurare insieme alle meraviglie compiute dal Redentore e
da essi maliziosamente misconosciute.
1318. Erode si mostrò grato per la cortesia usatagli dal
governatore romano nel sottoporgli il caso del Nazareno, e gli mandò a
dire che non trovava colpa alcuna in lui, ma anzi gli pareva uomo
ignorante e di nessun conto. Conforme agli arcani disegni della sapienza
divina, da quel giorno i due si riconciliarono e divennero amici.
Condotto dai soldati, Gesù tornò per la seconda volta al pretorio tra lo
schiamazzo e il tumulto della folla. Infatti, gli stessi che prima lo
avevano acclamato e osannato come Messia benedetto da Dio, pervertiti
già dall'esempio dei sacerdoti e dei giudici, avevano cambiato parere,
condannando e disprezzando ora colui al quale pochi giorni prima avevano
dato gloria e venerazione. È di tale efficacia l'errore e il cattivo
esempio dei capi da trascinare il popolo. Sua Maestà camminava tra le
imprecazioni della gente, ripetendo di continuo dentro di sé con
ineffabile amore, umiltà e pazienza quelle parole che aveva dette per
bocca di Davide: Io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto
del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le
labbra, scuotono il capo. Il Redentore era "verme e non uomo": non fu
generato, infatti, come gli altri e non era solo e meramente uomo, bensì
vero uomo e vero Dio; per di più non fu trattato da essere umano, ma da
verme vile e spregevole. Di fronte a tutti gli insulti che gli venivano
lanciati non fece strepito né oppose resistenza maggiore di quella di
un umile verme da tutti pestato e considerato ributtante. Quelli che
guardavano Cristo nostro salvatore - ed erano innumerevoli - storcevano
le labbra e scuotevano il capo, quasi ritrattando l'opinione che ne
avevano avuto e la considerazione in cui lo avevano tenuto.
1319. Rimasta fuori dal tribunale in cui era stato fatto
entrare il Signore, l'afflitta Madre non si trovò corporalmente presente
agli oltraggi e alle accuse che i sacerdoti mossero contro l'Autore
della vita al cospetto di Erode, né alle domande che costui gli rivolse,
ma vide tutto in visione interiore. Quando però Gesù uscì fuori la
incontrò, ed entrambi si comunicarono con lo sguardo l'intimo dolore e
la reciproca compassione, intensi come l'amore di un tale figlio e di
una tale madre. La tunica bianca, che gli avevano fatto indossare alla
stregua di un insensato e senza giudizio, fu un nuovo strumento per
trafiggere il cuore della Regina del cielo; in realtà, ella sola fra
tutti i mortali conosceva il mistero dell'innocenza che quell'abito
significava, per cui adorò con grandissima venerazione il suo divin
Figlio così rivestito. Lo seguì fino alla casa di Pilato, dove veniva
condotto per la seconda volta, poiché in essa sarebbe stato eseguito ciò
che Dio aveva disposto per la nostra salvezza. In questo tratto di
strada accadde che i soldati, per la moltitudine del popolo e per la
fretta con cui conducevano Gesù ingiuriandolo, tirandolo crudelmente per
le corde e facendolo stramazzare a terra più volte, gli facessero
uscire molto sangue; inoltre, siccome egli non poteva rialzarsi
facilmente perché aveva le mani legate e la furia della gente non poteva
né voleva trattenersi, qualcuno cadeva sopra di lui, lo pestava e lo
percuoteva con molti colpi e calci, provocando nei soldati grandi risa,
anziché la naturale pietà di cui, per astuzia del demonio, erano del
tutto privi, come se non fossero stati neppure uomini.
1320. Alla vista di così smisurata efferatezza, crebbero la
compassione e l'afflizione di Maria santissima, la quale ordinò agli
angeli che l'accompagnavano di raccogliere il sangue divino sparso per
le strade, in modo che il Salvatore non fosse ulteriormente offeso e
calpestato dai peccatori; e così essi fecero. Sua Altezza, inoltre,
comandò loro che impedissero agli operatori d'iniquità di calpestare il
Redentore del mondo, qualora fosse caduto un'altra volta. In tutto
prudentissima, ella non volle che i suoi celesti servitori facessero ciò
contro la volontà del Signore; così impose loro che in suo nome gliene
chiedessero il permesso e gli presentassero le angustie che ella, come
madre, soffriva vedendolo trattato con tanto disprezzo tra gli immondi
piedi di quei malvagi. Per obbligare maggiormente il suo santissimo
Figlio, attraverso i medesimi angeli gli chiese di commutare
l'umiliazione di essere calpestato e offeso dagli empi mortali
nell'obbedienza alle preghiere della sua afflitta Madre, la quale era
anche sua schiava e fatta di polvere. Gli spiriti celesti portarono le
sue richieste a Cristo nostro bene non perché sua Maestà le ignorasse -
giacché le conosceva e ispirava egli stesso per virtù divina - ma perché
Dio vuole che in questo si osservi l'ordine della ragione, conosciuto
allora dalla gran Signora con eminente sapienza.
1321. Il Redentore accolse i desideri e le preghiere della
beatissima Vergine e diede il permesso ai suoi angeli, quali ministri
della volontà di lei, di fare ciò che ella desiderava. Essi, quindi, non
permisero che nel rimanente percorso l'Unigenito del Padre fosse
gettato a terra o calpestato come prima era accaduto, anche se fu dato
il consenso ai soldati e al popolo, accecato dalla malizia, d'infierire
con folle rabbia ingiuriandolo in altri modi. La Regina guardava e udiva
tutto con cuore invitto ma addolorato, come pure le Marie e san
Giovanni, che piangendo copiosamente seguivano il Maestro divino insieme
a lei. Non mi soffermo però a parlare delle lacrime di queste ed altre
sante donne lì presenti, perché sarebbe necessario fare una lunga
digressione, specialmente per narrare della Maddalena, di tutte la più
ardente nell'amore e la più grata al Signore, come disse egli stesso
quando la perdonò, affermando che ama di più colui al quale più è
perdonato.
1322. Gesù arrivò per la seconda volta in casa di Ponzio
Pilato e di nuovo i giudei incominciarono a reclamarne la condanna alla
crocifissione. Il governatore, che conosceva l'innocenza dell'accusato e
la mortale invidia dei Giudei, fu molto dispiaciuto che Erode gli
avesse rimesso la causa da cui egli desiderava esimersi. Trovandovisi
obbligato come giudice, in diverse maniere tentò di placare gli
accusatori, per esempio parlando segretamente ad alcuni servi ed amici
dei capi e dei sacerdoti, affinché domandassero la libertà per il nostro
Salvatore, lo rilasciassero dopo una qualche punizione e non
richiedessero più il malfattore Barabba. Pilato aveva fatto questo
tentativo, quando i giudei gli avevano presentato nuovamente Cristo
perché lo condannasse. La possibilità di scegliere fra lui e Barabba non
era stata loro prospettata una sola volta, ma due o tre: una prima che
sua Maestà venisse condotto da Erode e un'altra dopo. Gli evangelisti
riferiscono ciò con qualche differenza, pur senza contraddirsi nella
verità. Pilato parlò ai giudei e disse loro: «Mi avete portato
quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a
voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo
accusate; e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha
fatto nulla che meriti la morte. Perciò dopo averlo severamente
castigato, lo rilascerò. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi tino per
la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». Sapendo
che Pilato voleva in tutti i modi liberare il Nazareno, la folla
rispose: «A morte costui! Dacci libero Barabba!».
1323. L'usanza di dare la libertà a un prigioniero nella
grande solennità della Pasqua fu introdotta fra i giudei in memoria e
per riconoscenza di quella ottenuta dai loro antenati in quel giorno,
quando Dio li aveva riscattati dal potere del faraone uccidendo i
primogeniti degli egiziani e sommergendo il faraone stesso e il suo
esercito nel Mar Rosso. A motivo di questo memorabile beneficio, gli
ebrei ne facevano uno al più grande delinquente perdonandogli i suoi
delitti, finendo però per castigare altri che erano meno colpevoli. Gli
accordi fatti con i romani prevedevano, fra l'altro, che detta usanza
venisse conservata e così facevano i governatori. In questa circostanza,
tuttavia, i giudei stessi pervertirono tale costume: dovendo dare la
libertà al peggior criminale ed affermando che Gesù lo era, condannarono
lui e graziarono Barabba, che reputavano meno malvagio. La rabbia del
demonio, profittando della loro perfida invidia, li rendeva tanto
perversi da essere accecati in tutto, anche contro se stessi.
1324. Mentre Pilato sedeva in tribunale, sua moglie
Procula, venuta a sapere ciò che stava accadendo, gli inviò questo
messaggio: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto
turbata in sogno, per causa sua». La ragione dell'avvertimento di
Procula fu la seguente: Lucifero e i suoi demoni, vedendo quanto veniva
fatto al nostro Salvatore e l'inalterabile mansuetudine con cui egli
sopportava tante offese, furiosi com'erano si trovarono ancor più
confusi ed incerti. La loro superbia non comprendeva come fosse
compatibile l'essere Dio con l'acconsentire a simili oltraggi
avvertendone gli effetti nella carne, per cui non riuscivano a capire se
Cristo fosse o no uomo e Dio. Nonostante ciò, il dragone era convinto
che in un tale miracolo si nascondesse qualche mistero per gli uomini e
che in ogni caso, se non avesse impedito il successo di una cosa tanto
inusitata, esso avrebbe arrecato alla sua malvagità grande danno e
rovina. In seguito a questa risoluzione presa con i suoi demoni, satana
cercò di far desistere i farisei dal perseguitare il Redentore, inviando
loro molte suggestioni, rimaste però inefficaci perché prive di forza
divina e introdotte in cuori ostinati e corrotti. Di conseguenza quegli
spiriti, disperando di ridurli al loro volere, andarono dalla moglie del
governatore e le parlarono in sogno; le suggerirono che quell'uomo era
giusto e senza colpa e che, se suo marito lo avesse condannato, sarebbe
stato privato della dignità che possedeva e a lei ne sarebbero venuti
molti dolori. In tal modo vollero indurla a consigliare a Pilato di
liberare Gesù anziché Barabba, per evitare una grande sciagura nella
loro casa e sulle loro persone.
1325. Procula fu assai spaventata dalla visione. Quando
seppe quello che stava succedendo tra i giudei e suo marito, inviò a
quest'ultimo - come riferisce l'evangelista Matteo - l'avvertimento di
non coinvolgersi nell'uccisione di chi riteneva giusto. Inoltre, il
demonio insinuò nell'immaginazione dello stesso Pilato timori simili,
che l'ammonimento della moglie accrebbe. Poiché si trattava di un
turbamento di natura mondana e politica ed egli non aveva assecondato i
veri aiuti che Dio gli aveva mandato, questa paura durò solo fino a
quando non ne subentrò un'altra che lo mosse con più violenza, e lo si
vide dalle conseguenze. Tuttavia, l'indegno giudice insistette per la
terza volta, difendendo l'innocenza di Cristo nostro salvatore e
attestando che non trovava in lui nessuna colpa meritevole di morte; lo
avrebbe quindi castigato e poi rilasciato. E difatti lo fece flagellare,
per vedere se i giudei ne sarebbero stati soddisfatti. Ma essi gridando
gli risposero di crocifiggerlo. Allora Pilato chiese che gli portassero
dell'acqua e ordinò di liberare Barabba secondo la loro richiesta,
dopodiché si lavò le mani alla presenza di tutti dicendo: «Guardate bene
quello che fate. Io non sono responsabile della morte di quest'uomo,
che voi condannate. A testimonianza di ciò mi lavo le mani, affinché si
sappia che non sono macchiate di sangue innocente». Con quel gesto parve
a Pilato di discolparsi con tutti imputando la morte di Gesù al popolo e
ai capi che la domandavano. Fu così sciocca e cieca la loro rabbia che
accondiscesero alla dichiarazione del governatore romano solo per vedere
crocifisso il Signore, e caricarono la responsabilità del delitto su se
stessi e sui propri discendenti pronunciando quella terribile ed
esecrabile sentenza: «II suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri
figli».
1326. Oh, cecità stoltissima e crudele! Oh, inimmaginabile
audacia! Volete attribuire a voi e ai vostri figli l'iniqua condanna
dell'innocente, che lo stesso giudice dichiara incolpevole, affinché
contro voi tutti esso gridi sempre, fino alla fine dei secoli? Oh,
perfidi e sacrileghi giudei! Il sangue dell'Agnello, che lava i peccati
del mondo, e la vita di un uomo, che al tempo stesso è vero Dio, pesano
così poco da volerli addossare a voi stessi e ai vostri figli? Se fosse
stato anche solo vostro fratello, benefattore e maestro, pure la vostra
audacia sarebbe stata spaventosa e deprecabile la vostra malvagità. Di
certo è giusto il castigo che subite; è giusto che il peso del sangue di
Cristo non vi dia mai requie; ed è giusto che questo carico, pesante
più del cielo e della terra, vi opprima e vi schiacci. Quale grande
dolore! Il sangue divino cadde su tutti i figli di Adamo per lavarli e
purificarli e fu sparso sui figli della santa Chiesa; eppure in essa vi
sono molti che al pari dei giudei se ne assumono la responsabilità con
le proprie opere e parole, quelli non sapendo e non credendo che fosse
sangue del Messia e i cattolici sapendo e confessando che lo è.
1327. I peccati e le azioni depravate dei cristiani hanno
un loro linguaggio e parlano contro il nostro Signore, gridando: «Cristo
sia svergognato, schiaffeggiato, disprezzato, coperto di sputi,
crocifisso; a lui si preferisca Barabba. Sia tormentato, flagellato e
coronato di spine per i nostri peccati, perché noi non vogliamo avere
altra parte in questo sangue se non quella di causarne lo spargimento
oltraggioso; ci venga pure eternamente imputato! Soffra e muoia lo
stesso Dio incarnato e noi godiamo dei beni apparenti. Approfittiamo
dell'occasione, usiamo le creature, coroniamoci di rose, viviamo con
allegria, avvaliamoci della forza; nessuno sia preferito a noi,
disprezziamo l'umiltà, detestiamo la povertà, accumuliamo tesori,
inganniamo tutti, non perdoniamo offese, abbandoniamoci ai piaceri più
turpi, bramiamo ardentemente tutto ciò che vediamo e impegnamoci fino al
limite delle nostre forze per ottenerlo. Questa sia la nostra legge,
senza alcun altro rispetto. E se così facendo crocifiggiamo il
Salvatore, il suo sangue ricada pure su di noi e sui nostri figli».
1328. Domandiamo ora ai reprobi che si trovano all'inferno
se le loro opere parlarono in questo modo - come afferma Salomone nel
libro della Sapienza - e se sono detti e furono empi perché ebbero
pensieri tanto stolti. Che cosa possono sperare coloro i quali rendono
inutile per sé il sangue del Redentore e se lo fanno ricadere addosso
non desiderandolo a proprio rimedio, ma disprezzandolo a propria
dannazione? Chi tra i figli della Chiesa sopporterebbe di essere
posposto ad un ladrone facinoroso? Tale insegnamento è così poco messo
in pratica che si rende ammirevole chi acconsente ad essere preceduto da
un altro buono e benemerito quanto e più di lui; eppure non si troverà
nessuno tanto buono come sua Maestà, né tanto malvagio come Barabba.
Ciononostante sono senza numero quelli che, davanti a questo esempio, si
offendono e si considerano sfortunati qualora non siano preferiti e
innalzati nell'onore, nelle ricchezze, nelle dignità e in ciò che nel
secolo presente riceve ostentazione e plauso. Gli uomini sollecitano, si
contendono e ricercano proprio questo, occupandovi i propri pensieri e
le proprie forze e facoltà, da quando cominciano ad usarle fino a quando
le perdono. Il più grande doloroso danno è che non sono liberi da un
simile contagio neppure quanti per professione e stato di vita hanno
rinunciato al mondo: mentre il Signore ordina loro di dimenticarsi del
proprio popolo e della casa del loro padre, essi vi si rivolgono con la
parte migliore della natura umana, cioè con l'attenzione e la
sollecitudine verso i parenti, nonché con la volontà e il desiderio di
procurare ad essi quanto il mondo possiede. Ciò, tuttavia, appare loro
ancora poco: s'immergono nella vanità e, invece di dimenticare la casa
paterna, dimenticano quella di Dio in cui vivono e in cui ricevono gli
aiuti divini per conseguire la stima, l'onore, la salvezza che
altrimenti non avrebbero mai ottenuto e il sostentamento senza affanno
né preoccupazione. Abbandonando l'umiltà, che per il loro stato di vita
dovrebbero professare, si dimostrano ingrati per tutti questi benefici.
La pazienza del Salvatore, gli oltraggi da lui subiti, gli obbrobri
della croce, l'imitazione delle sue opere, la sequela del suo
insegnamento sono lasciate a chi è povero, solo, abbandonato, e le
strade di Sion si vedono deserte e desolate, perché sono veramente pochi
quelli che vengono a celebrare la festa dell'imitazione di Cristo.
1329. Pilato non fu meno insipiente dei giudei nel pensare
che, lavandosi le mani ed imputando loro il sangue di Gesù, si sarebbe
giustificato sia nella sua coscienza che davanti agli uomini, ai quali
pretendeva di dare soddisfazione con quel gesto pieno d'ipocrisia e di
menzogna. È vero che i giudei furono gli attori principali e più
colpevoli nella condanna dell'innocente, di cui si assunsero la
terribile responsabilità, ma non per questo Pilato ne rimase estraneo,
poiché conoscendo l'innocenza del Redentore non avrebbe dovuto posporlo
ad un ladro omicida, né castigarlo, né correggere chi non aveva niente
da correggere. A maggior ragione non avrebbe dovuto lasciarlo alla mercé
dei suoi mortai nemici, di cui gli era manifesta l'invidia e la
crudeltà. Non può giudicare rettamente colui che, conoscendo la verità e
la giustizia, le mette sulla stessa bilancia del rispetto umano e degli
interessi personali: un simile peso trascina la ragione degli uomini
codardi, i quali non possono resistere all'ingordigia e al timore
mondano perché non possiedono in sommo grado le virtù necessarie ai
giudici; accecati dalla passione, abbandonano l'equità per non mettere a
rischio il proprio tornaconto. Così accadde a Pilato.
1330. La nostra grande Regina e signora rimase nel
pretorio, cosicché grazie ai suoi santi angeli poté udire la discussione
del governatore con gli scribi e i sommi sacerdoti riguardo
all'innocenza di Cristo nostro bene e allo scambio con Barabba. Con
ammirabile mitezza, vivo ritratto del suo santissimo Figlio, ascoltò
tacendo tutte le urla di quelle tigri feroci. Per quanto la sua
indicibile modestia fosse inalterabile, le voci dei giudei penetravano
come spada a due tagli nel suo cuore ferito; e le grida del suo,
silenzioso dolore erano accette all'eterno Padre più delle lacrime con
cui la bella Rachele - secondo quanto dice Geremia - piangeva i suoi
figli senza essere consolata perché non li poteva richiamare in vita'.
La nostra bella Rachele, Maria santissima, non domandava vendetta ma
perdono per i nemici che le toglievano l'Unigenito del Padre e suo.
Imitava e accompagnava sua Maestà negli atti da lui compiuti, operando
con tanta pienezza di santità che la pena non sospendeva le sue facoltà:
il dolore non impediva la carità, la tristezza non rallentava il
fervore, lo strepito non distraeva l'attenzione, le ingiurie e il
tumulto della folla non erano di ostacolo al raccoglimento; in tutto
ella esercitava le virtù in sommo grado.
Insegnamento della Regina del cielo
1331. Figlia mia, noto che ti meravigli per ciò che hai
inteso e scritto, riflettendo sul fatto che Pilato ed Erode non si
mostrarono tanto inumani e crudeli verso il mio Figlio santissimo quanto
i sommi sacerdoti e i farisei. Ti vedo considerare attentamente che i
primi erano giudici pagani e i secondi maestri della legge e guide del
popolo d'Israele che professavano la vera fede. Al riguardo desidero
illuminarti con un insegnamento; non è nuovo e l'hai sentito altre
volte, ma ora voglio che tu lo richiami alla mente e non lo dimentichi
per tutto il corso della tua vita. Tieni presente dunque, o carissima,
che la caduta da un luogo alto è estremamente pericolosa ed il suo danno
è irreparabile o per lo meno assai difficile da rimediare. Lucifero
ebbe in cielo un posto eminente sia per natura, sia per i doni di luce e
di grazia, poiché vinceva in bellezza tutte le creature; eppure discese
nella più profonda bruttezza e miseria, cadendo in un'ostinazione
maggiore di quella di tutti i suoi seguaci a causa del suo peccato. Ai
progenitori del genere umano, Adamo ed Eva, fu data una dignità
altissima. Essi furono adornati di grazie sublimi, uscite dalla mano
dell'Onnipotente; eppure, peccando, provocarono a sé e alla propria
posterità una grandissima rovina, il cui rimedio, come la fede
v'insegna, ebbe un prezzo incalcolabile e fu opera di misericordia
infinita.
1332. Tanti altri sono giunti all'apice della perfezione e
di là sono infelicemente precipitati, trovandosi poi sfiduciati o quasi
impossibilitati a rialzarsi. I motivi di questo danno risiedono in gran
parte nella creatura stessa. Infatti, l'anima caduta da uno stato di
virtù eccelsa prova dispetto e vergogna smisurata, non solo perché ha
sciupato beni preziosi, ma anche perché confida nelle grazie passate e
perdute più che nelle future, e spera nei doni ricevuti e malamente
impiegati per la sua ingratitudine più che in quelli che può acquistare
con impegno rinnovato e maggiore fermezza. Da questo insidioso stato
d'animo deriva l'agire con tiepidezza, senza fervore né impegno, senza
gusto né devozione, perché la sfiducia estingue tutto ciò; al contrario
la speranza, animata e incoraggiata, vince molte difficoltà e corrobora
la debolezza umana, animando a intraprendere opere grandi. C'è un'altra
ragione e non meno importante: chi è abituato ai favori di Dio - per
ufficio come i sacerdoti e i religiosi, o per esercizio di virtù come le
altre persone spirituali - di solito pecca disprezzandoli e facendo un
cattivo uso delle cose divine. Incorre nella pericolosa rozzezza di
tenere in poco conto i benefici del Signore proprio perché li riceve di
frequente; con un simile irriverente atteggiamento, impedisce alla
grazia di renderlo suo collaboratore e spegne in sé il santo timore che
risveglia e stimola ad operare il bene, ad ubbidire alla volontà divina e
ad approfittare subito dei mezzi stabiliti da Dio per convertirsi e
guadagnare la sua amicizia e la vita eterna. Questo rischio è evidente
nei sacerdoti tiepidi, i quali celebrano l'eucaristia e gli altri
sacramenti senza devozione, come pure nei dotti, nei saggi e nei potenti
del mondo, che difficilmente si emendano perché hanno perso la
venerazione dei rimedi della Chiesa - sacramenti, predicazione e
dottrina -, di cui non comprendono più il significato. Così, assumendo
le stesse medicine che per altri peccatori sono salutari e che
guariscono gli ignoranti, loro, medici della salute spirituale, si
ammalano.
1333. Ulteriori cause del danno di cui ti ho parlato
riguardano il rapporto con il Signore. Infatti, le mancanze di coloro
che per virtù o stato di vita sono più legati a Dio pesano sulla
bilancia della sua giustizia in modo assai differente rispetto a quelle
delle altre anime beneficate dalla sua misericordia. E sebbene i peccati
di tutti siano di uguale materia, le circostanze li rendono molto
diversi. I sacerdoti, i maestri, i potenti, i prelati e quanti occupano
un posto di rilievo o hanno fama di santità provocano grandi mali con lo
scandalo della loro empia condotta. Nell'arrischiarsi ad agire contro
Dio, che meglio conoscono e verso il quale hanno un debito superiore a
quello altrui, sono più temerari, perché lo offendono con maggiore
consapevolezza e quindi con più irriverenza. Per tale motivo l'eterno
Padre è tanto irritato dalle colpe dei cattolici e, in particolare, da
quelle di coloro che si distinguono per saggezza, come si comprende
dalle sacre Scritture. Nel tempo assegnato a ogni mortale per meritare
la vita eterna, è anche stabilito fino a quale numero di peccati la
pazienza del Signore debba aspettare e sopportare ciascuno; secondo la
giustizia divina il numero non è computato solo sulla base della
quantità, ma anche della qualità e del peso delle colpe. Può dunque
succedere che, in chi eccelle per scienza eccelsa o ha ricevuto dal
cielo singolari benefici, la qualità supplisca la quantità e che costui,
con un minor numero di colpe, venga abbandonato e castigato al pari di
altri peccatori che ne hanno commesse di più. D'altra parte, non a tutti
può accadere come a Davide e a san Pietro; non in tutti infatti la
caduta è preceduta da tante opere buone alle quali il Signore faccia
attenzione, né tantomeno il privilegio di alcuni è regola generale per
tutti, perché Dio, nei suoi imperscrutabili giudizi, non sceglie tutti
per un ministero.
1334. Con questo insegnamento, figlia mia, il tuo dubbio
sarà chiarito e intenderai quanto malvagio e amaro sia offendere
l'Onnipotente, allorché egli pone molte anime redente dal suo sangue
sulla strada della luce e ve le guida. Intenderai, inoltre, come una
persona possa cadere da uno stato sublime in un'ostinazione più dura di
quella di altre creature che si trovano in una condizione meno perfetta.
Tale verità è attestata dal mistero della passione e morte del mio
Figlio santissimo; infatti, i capi, i sacerdoti, gli scribi e l'intero
popolo, pur essendo maggiormente debitori a Dio rispetto ai pagani,
furono portati dalla loro empietà ad una pervicacia, cecità e crudeltà
più detestabile e avventata di quella dei pagani stessi, che non
conoscevano la vera religione. Voglio che tutto ciò ti metta in guardia
da un rischio così grande, affinché tu sia prudente ed unisca al santo
timore l'umile gratitudine e l'alta stima dei beni del Signore. Nel
tempo dell'abbondanza non dimenticare quello dell'indigenza. Confronta
l'uno e l'altro in te stessa; ricorda che hai il tesoro in un vaso
fragile, che lo puoi perdere e che ricevere tanti doni non è questione
di merito, né il possederli è diritto dovuto, bensì frutto della grazia e
della munificenza divine. L’Altissimo ti ha reso sua intima familiare;
tuttavia non sei preservata dal cadere, dal perdere il timore e la
riverenza o dal vivere negligentemente. Al contrario, timore e riverenza
devono crescere in te in proporzione ai favori. Anche l'ira del
serpente, infatti, è aumentata; la sua sorveglianza nei tuoi confronti
si è fatta più stretta, perché sa che Dio ha mostrato il suo amore
generoso a te più che ad altre creature e che, se tu fossi ingrata
nonostante gli innumerevoli doni ricevuti, saresti infelicissima e degna
di rigoroso castigo e la tua colpa sarebbe inescusabile.