16 - Si narra come Cristo nostro salvatore fu condotto alla casa del sommo sacerdote Caifa, dove venne accusato ed interrogato.
Suor Maria d'Agreda

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Si narra come Cristo nostro salvatore fu condotto alla casa del sommo sacerdote Caifa, dove venne accusato ed interrogato; il rinnegamento di Pietro per altre due volte; ciò che Maria santissima fece in questa occasione ed altri arcani misteri.
1268. Dopo che il nostro Salvatore ebbe ricevuto gli affronti e lo
schiaffo, Anna lo mandò così com'era, legato ed incatenato, a Caifa, suo
genero. Questi, esercitando in quell'anno l'ufficio di sommo sacerdote,
aveva già riunito gli scribi e gli anziani del popolo per istruire il
processo dell'innocentissimo Agnello. Frattanto i diavoli, vedendo
l'invincibile pazienza e la mitezza che il Signore degli eserciti
mostrava di fronte alle ingiurie subite, stavano come attoniti, invasi
da una confusione e da un furore indicibili. Non riuscivano a penetrare i
suoi sentimenti e le sue idee, e nelle azioni esterne, di cui si
servivano per sondare il cuore delle altre persone, non ritrovavano
alcun movimento disordinato. Egli, d'altra parte, non si lamentava né
sospirava né concedeva alcun piccolo sollievo alla sua umanità, e perciò
il dragone, di fronte a tanta grandezza d'animo, si meravigliava e si
affliggeva come dinanzi a cosa inaudita, mai vista tra i mortali di
natura passibile e fragile. Furibondo, allora, irritava i principi, gli
scribi e i ministri affinché lo offendessero e maltrattassero
ricoprendolo di abominevoli obbrobri: tutti - se la divina volontà lo
permetteva - erano pronti ad eseguire quanto veniva loro suggerito.
1269. Quell'orda di spiriti infernali e di gente spietata
partì dalla casa di Anna e, trattando Gesù ignominiosamente, con
inesplicabile crudeltà, lo trascinò lungo le strade fino al palazzo di
Caifa. Questa schiera violenta entrò con scandaloso tumulto e il
Creatore dell'universo fu accolto dall'intero sinedrio tra forti risate e
beffe, perché tutti lo vedevano soggetto ed arreso al loro potere e
alla loro giurisdizione, dalla quale erano convinti che non avrebbe
potuto più difendersi. Oh, segreto dell'altissima sapienza del cielo!
Oh, stoltezza dell'ignoranza diabolica e del1'accecatissima goffaggine
degli uomini! Oh, quale immensa distanza c'è tra voi e le opere
dell'Altissimo! Il Re della gloria, potente in battaglia, vince i vizi,
la morte e le colpe con le virtù della pazienza, dell'umiltà e della
carità, e il mondo crede di averlo sottomesso con la superbia e la sua
arrogante presunzione. Quale distacco intercorreva tra i pensieri di
Cristo e quelli che tenevano in possesso tali esecutori di malvagità!
L'Autore della vita offriva all'Onnipotente quel trionfo, che la sua
mansuetudine e la sua umiltà acquistavano sul peccato, e pregava per i
sacerdoti, gli scribi e tutti coloro che lo perseguitavano manifestando
la sua pazienza, i suoi dolori e l'ignoranza degli accusatori. Maria
santissima in quello stesso momento elevava una medesima supplica,
intercedendo per i nemici suoi e del suo Unigenito; inoltre, lo
accompagnava e lo imitava in quello che egli andava compiendo perché,
come ho già detto molte volte, tutto le era noto. Tra il Figlio e la
Madre vi era una dolcissima e mirabile corrispondenza, sommamente
gradevole agli occhi dell'Eterno.
1270. Caifa, assistito da Lucifero con i suoi demoni, stava
sulla cattedra acceso da una mortale gelosia e da una violenza rabbiosa
contro il Maestro. Gli scribi e i farisei nei confronti del docile
Agnello erano come lupi sanguinolenti davanti alla preda, e tutti
insieme si rallegravano come fa l'invidioso quando vede avvilito e
smarrito chi era più in alto di lui. Di comune accordo cercarono allora
qualcuno che, subornato con donativi e promesse, rendesse qualche finta
dichiarazione contro di lui. Giunsero quanti erano prevenuti, ma in
quello che attestavano non concordavano fra sé, e quindi ciò che
asserivano non poteva applicarsi a colui che per natura era l'innocenza e
la santità stessa. Per non correre il rischio di vedersi confusi, i
sommi sacerdoti presentarono altri due falsi testimoni, i quali deposero
contro sua Maestà, asserendo di averlo udito affermare di essere tanto
potente da distruggere il tempio di Dio fatto da mani di uomini, e da
edificarne in tre giorni un altro che non fosse fabbricato da loro. Ma
nemmeno tale attestazione sembrò conveniente, sebbene per mezzo di
questa pretendessero di fornire una colpa nei suoi confronti: quella di
usurpare il potere divino e di volersene appropriare. Del resto,
quand'anche ciò fosse stato detto così, sarebbe stato ugualmente verità
infallibile e non avrebbe potuto ritenersi errato o presuntuoso, poiché
Gesù era realmente Dio. Tuttavia la deposizione era mendace perché egli
non aveva pronunciato quelle parole come le riferivano i testimoni, che
avevano ingiustamente inteso che egli parlasse di un tempio materiale. E
difatti, quando i compratori e i venditori, scacciati fuori da esso,
domandarono al Messia con quale autorità facesse ciò, la sua risposta
fu: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere»,
riferendosi al tempio della sua santissima umanità che, disfatto da
loro, egli avrebbe risuscitato al terzo giorno, come in effetti avvenne.
1271. Il nostro Redentore a tutte le calunnie che venivano
scagliate contro di lui non ribatté. Caifa, vedendo allora il suo
silenzio e la sua mitezza, si alzò dalla sedia e gli chiese: «Non
rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Egli
tuttavia non aprì bocca, perché tutti i membri del sinedrio non solo
erano predisposti a non dargli credito, ma avevano anche il doppio
intento che egli pronunciasse qualche espressione di cui servirsi per
poterlo denigrare. Con questo volevano persuadere il popolo che quanto
essi macchinavano contro costui era retto, e così la gente non sarebbe
venuta a sapere che lo condannavano a morte senza una giusta causa. Il
malvagio sacerdote, dinanzi all'umile tacere del Signore, invece di
intenerire il suo cuore si infuriò ancor di più, vedendo resa vana la
sua malizia. Frattanto satana stava molto attento alle opere del
Salvatore, nonostante la sua intenzione fosse differente da quella del
sommo sacerdote; infatti, egli pretendeva solo di irritare la sua
pazienza oppure di obbligarlo a proferire qualche parola che gli
permettesse di capire se fosse veramente Dio.
1272. Con questo proposito il dragone accese
l'immaginazione di Caifa, affinché con grande collera ed autorità
rivolgesse al Nazareno l'interrogativo: «Ti scongiuro, per il Dio
vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». Questa
domanda fu azzardata e piena di temerarietà e d'insipienza poiché
trattenere il Maestro legato come reo, nel dubbio se fosse o non fosse
vero Dio, era un delitto e una terribile sfrontatezza: l'indagine si
sarebbe dovuta svolgere diversamente, secondo ragione ed equità. Ma
egli, sentendosi invocare per il Dio vivo, adorò e venerò quel
santissimo nome, benché pronunziato da lingua sacrilega. E in virtù di
questa riverenza replicò: «Tu l'hai detto, anzi io vi dico che d'ora
innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra del Padre, e
venire sulle nubi del cielo». A questa divina dichiarazione i demoni e
gli uomini si turbarono con effetti diversi. Lucifero e i suoi sentirono
nell'intimo una forza superiore che li precipitò in un baratro, facendo
sperimentar loro un atroce tormento, e non avrebbero ardito ritornare
alla presenza di sua Maestà se l'altissima provvidenza non avesse
nuovamente consentito loro di ricominciare a dubitare se egli avesse
detto il vero, oppure avesse ribattuto in tal modo per liberarsi dai
giudei. Con tale sospetto i principi delle tenebre fecero un ulteriore
sforzo, uscendo un'altra volta in campo aperto: si riservava così per la
croce, secondo la profezia di Abacuc, l'ultimo trionfo che su di essi e
sulla morte avrebbe dovuto riportare il nostro Redentore, come in
seguito vedremo.
1273. Il sommo sacerdote, invece di essere disingannato
dalla risposta ricevuta, ne fu sdegnato; si alzò un'altra volta e,
stracciandosi le vesti a prova dello zelo per l'Onnipotente, gridò: «Ha
bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete
udito la bestemmia; che ve ne pare?». Questa pazza ed abominevole
avventatezza suonò veramente come una bestemmia, perché negò a Gesù la
filiazione di Dio che per natura gli si addiceva e gli attribuì la colpa
che per natura ripugnava. Tale fu la sua stoltezza da renderlo
esecrabile e blasfemo quando affermò che bestemmiava colui che era la
santità stessa! Egli, che poco prima, per ispirazione dello Spirito
Santo, in virtù della sua dignità aveva preannunciato che conveniva che
morisse uno solo affinché non perisse tutta la gente, non meritò per i
suoi peccati di comprendere la stessa verità che proclamava; ma, essendo
gli esempi e i giudizi dei governanti e dei superiori tanto influenti
da muovere il popolo incline a lusingarli e ad adularli, quel malvagio
sinedrio fu istigato ad irritarsi contro di lui. Tutti quanti
ribatterono: «È reo di morte!», e contemporaneamente, aizzati dal
demonio, scagliarono contro il mansuetissimo Agnello il loro diabolico
furore: alcuni lo schiaffeggiavano, altri gli strappavano i capelli;
alcuni gli sputavano sul venerabile viso, altri gli davano colpi sul
collo. Ciò era una specie di vergognoso oltraggio, con il quale i giudei
trattavano coloro che reputavano vilissime persone.
1274. Mai tra i mortali si inventarono ignominie più
crudeli e disonorevoli di quelle che in quest'occasione furono commesse
contro il Salvatore. San Luca e san Marco nei rispettivi Vangeli
riportano che i soldati gli bendarono gli occhi e lo percossero con
schiaffi e pugni, dicendogli: «Profetizza adesso, indovina: chi ti ha
colpito?». Il motivo per cui gli coprirono il volto fu misterioso: dal
giubilo con il quale egli pativa quegli obbrobri e quei vituperi
ridondarono su di esso un fulgore ed una bellezza così straordinaria che
riempirono di meraviglia e di angosciosa confusione tutti quegli
esecutori di empietà. Essi invece, per dissimularla, attribuirono quello
splendore a stregoneria e ad arte magica; come indegni di guardarla
decisero nuovamente di ricoprire la faccia del Signore con un panno
immondo, perché quella divina luce li tormentava e, inoltre, veniva a
debilitare le forze con cui mettere in atto la loro collera. Tutti
questi spregi ed abominevoli insulti, che egli subiva, erano visti e
sofferti dalla sua santissima Madre nelle medesime parti e nello stesso
momento. Vi era solo questa differenza: in lui i dolori erano causati
dalle torture che gli erano inflitte; in lei erano provocati dalla mano
dell'Altissimo, per volontà della stessa Regina. E naturalmente, se per
l'intensità delle pene e delle angustie interiori ella veniva meno, era
però subito sorretta e confortata dalla grazia divina per continuare a
patire con il suo amato Figlio.
1275. I sentimenti che l'Unigenito esprimeva durante queste
torture del tutto nuove e atroci sono indicibili e incomprensibili per
ogni capacità umana. Solo Maria li conobbe pienamente al fine di
imitarli con somma perfezione. Intanto il Maestro, sperimentando
l'atrocità del dolore, andava sentendo compassione verso quelli che
avrebbero dovuto seguire la sua dottrina e, nell'istante in cui con il
suo esempio insegnava loro lo stretto cammino della santità, si volse a
benedirli maggiormente. Anzi, in mezzo a quegli obbrobri e a quegli
strazi, rinnovò ai suoi eletti le beatitudini che in precedenza aveva
loro offerto e promesso. Riguardò amorevolmente gli uomini che avrebbero
dovuto ricalcare le sue orme nella povertà di spirito dicendo: «Beati
sarete nella penuria e nel distacco dalle cose terrene, perché con la
mia passione e morte devo guadagnare il regno dei cieli, come pegno
sicuro e certo della povertà abbracciata volontariamente. Beati saranno
coloro che con mansuetudine soffriranno e tollereranno le avversità e i
travagli, perché oltre al diritto di essere partecipi del mio gaudio,
che acquisteranno per essere venuti dietro a me, possederanno anche gli
animi umani con la dolce conversazione e la soavità delle virtù. Beati
quelli che seminano nelle lacrime, perché in esse riceveranno il pane
della vita e dell'intelletto, e raccoglieranno poi il frutto della
felicità eterna».
1276. «Benedetti saranno anche quelli che hanno fame e sete
di giustizia, perché li soddisferò e sazierò in modo tale da
oltrepassare tutti i loro aneliti, così nella grazia come nel premio
della gloria. Benedetti quelli che avranno compassione di coloro che li
offendono e li perseguitano nella misura in cui lo faccio io, perdonando
ed offrendo a chi mi odia la mia amicizia e la mia grazia se la vuole
accettare: io prometto ad essi, in nome del Padre mio, una copiosa
misericordia. Siano benedetti i puri di cuore, che mi imiteranno
crocifiggendo la loro carne per conservare il candore dello spirito: io
prometto ad essi di farli giungere alla visione della mia divinità.
Benedetti i pacifici che non contrappongono il proprio interesse di
fronte ai malvagi, bensì li sopportano con animo semplice e tranquillo
senza brama di vendetta: essi saranno chiamati figli miei, perché
imitano il loro Padre celeste, ed io li riconosco e li imprimo nella mia
mente e nel mio intimo adottandoli come miei. Siano beati ed eredi del
mio regno tutti coloro che patiranno persecuzione a causa della
giustizia, perché soffriranno con me, e dove sono io desidero che là
siano per sempre anche loro. Rallegratevi voi, o poveri! Consolatevi
voi, che siete e sarete mesti! Celebrate la vostra fortuna, voi piccoli e
disprezzati dal mondo! E voi che patite con umiltà e pazienza, abbiate
sempre la gioia interiore, affinché possiate seguirmi per i sentieri
della verità. Rinunziate alla vanità; disdegnate il fasto e l'arroganza
della fallace e menzognera Babilonia; passate per il fuoco e per le
acque della tribolazione fin quando arriverete a me, che sono luce,
verità e via all'eterno riposo e refrigerio».
1277. Mentre il nostro Salvatore era tutto preso da questi
pensieri e dalle suppliche a favore dei peccatori, il consiglio dei
maligni lo circondò e - come aveva predetto Davide - simile a un branco
di cani arrabbiati lo investì, coprendolo di scherni, obbrobri, percosse
e bestemmie. L'accortissima Vergine, che lo accompagnava in tutto,
elevò per i nemici la stessa preghiera di intercessione del suo diletto,
e nelle benedizioni che egli estese ai giusti ed ai predestinati si
costituì come loro madre, rifugio e protettrice. Infine, a nome di
tutti, innalzò cantici di lode e di ringraziamento al Signore perché
nella sua accettazione e nel suo compiacimento riservava ai disprezzati e
ai poveri un luogo così sublime. Tale motivazione e le altre, che
avevano suscitato sentimenti di pietà in Cristo, la spinsero, per il
resto della passione e della sua esistenza terrena, ad optare nuovamente
e con incomparabile fervore per le ingiurie e le pene.
1278. San Pietro aveva seguito sua Maestà dall'abitazione
di Anna a quella di Caifa, da lontano perché trattenuto e scoraggiato
dal timore dei giudei. Tuttavia, egli vinceva in parte questo terrore
con l'affetto che portava al suo Maestro e con il suo coraggio naturale.
Tra la moltitudine di gente che entrava ed usciva dalla casa di Caifa,
non gli fu difficile introdurvisi, protetto alquanto dall'oscurità della
notte. Alle porte dell'atrio, però, lo vide un'altra serva, la quale,
avvicinatasi ai soldati che anche lì stavano a scaldarsi al fuoco,
disse: «Costui è uno di coloro che accompagnavano il Nazareno». Poco
dopo uno dei circostanti esclamò: «In verità anche tu sei galileo ed uno
di loro». Ma egli negò di nuovo e, giurando che non era suo seguace, si
allontanò da essi. E benché fosse uscito fuori nel cortile, non se ne
andò né poté farlo, perché frenato dall'amore e dalla compassione per i
tormenti nei quali lasciava il Redentore, di cui desiderava vedere la
fine. Stette allora a vagare e a spiare per circa un'ora dentro il
palazzo finché un parente di Malco, lo schiavo del sommo sacerdote a cui
aveva tagliato l'orecchio, lo riconobbe e soggiunse: «Tu sei galileo e
discepolo di Gesù, io ti ho visto con lui nell'orto». Allora Pietro ebbe
ancor più paura e cominciò ad imprecare e a giurare che non conosceva
quell'uomo. Subito cantò il gallo per la seconda volta, e si adempì
puntualmente la sentenza e la predizione dell'Unigenito: «Prima che il
gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte».
1279. Il dragone infernale procedette contro l'Apostolo con
molta operosità per farlo cadere: dapprima mosse le serve, perché meno
considerate, e poi i soldati, affinché le une e gli altri lo
affliggessero con il loro interesse verso di lui e con le domande che
gli rivolgevano. E allorché si accorse che era in pericolo e che
incominciava a vacillare lo turbò con immaginazioni e timori. Per questa
veemente tentazione, il primo rinnegamento fu semplice, il secondo con
giuramento, e il terzo invece fu espresso da Pietro con l'aggiunta di
imprecazioni ed esecrazioni contro se stesso. In questo modo, prestando
attenzione alla crudeltà dei nostri avversari, da un peccato minore si
passa ad uno più gravoso; ma egli sentendo il canto del gallo si ricordò
dell'avviso del Signore, che in quell'istante voltatosi lo guardò con
la sua liberale misericordia». Ed affinché lo rimirasse, intervenne la
Regina, poiché dal cenacolo, dove si trovava in ritiro, si era mossa a
pietà avendo appreso i rinnegamenti, il modo e le cause per le quali il
futuro vicario di suo Figlio - angosciato dalla paura e molto più dalla
spietatezza di Lucifero - li aveva commessi e, prostrandosi subito a
terra, fra le lacrime presentò all'eterno Padre la fragilità di costui e
i meriti di Cristo. L'Altissimo ridestò allora il suo animo, lo riprese
benignamente e infuse in lui la luce necessaria perché riconoscesse la
propria colpa. In quello stesso momento egli uscì dalla casa di Caifa
con il cuore spezzato da intimo dolore e, piangendo amaramente per la
sua caduta, si rifugiò in una grotta, che adesso chiamano del
Gallicanto, dove fortemente scosso si pentì con vivo dispiacere. In tre
ore ritornò in grazia ed ottenne il perdono, benché le sante ispirazioni
gli fossero sempre state date. In questo tempo la purissima Madre gli
inviò uno dei suoi angeli, affinché di nascosto lo consolasse e
ravvivasse in lui la speranza; difatti, in mancanza di tale virtù,
avrebbe potuto essergli ritardata la clemenza divina. Il messaggero
celeste, poiché era trascorso così poco da quando era stata commessa
tale mancanza, partì con l'ordine di non manifestarglisi; eseguì allora
tutto puntualmente senza essere visto dal gran penitente, che restò
confortato e perdonato per l'intercessione di Maria.
Insegnamento della Regina del cielo
1280. Carissima, il misterioso avvicendarsi degli obbrobri e
degli affronti che subì sua Maestà è un libro chiuso da aprire e
penetrare soltanto con l'illuminazione superna. Ed è così che tu lo hai
compreso e che in parte ti è stato manifestato, benché tu stia per
scrivere molto meno di quello che hai inteso, non potendo dichiarare
tutto. Intanto io voglio che nella misura in cui esso si sfoglia davanti
a te e ti si fa chiaro rimanga impresso in te; desidero anche che,
nella cognizione di un esempio così vivo e vero, tu apprenda la sublime
scienza che la carne ed il sangue non ti possono spiegare, perché il
mondo non la conosce né è degno di conoscerla. Questa filosofia consiste
nell'assimilare ed amare la felicissima sorte degli indigenti, degli
umili, degli afflitti, dei disprezzati e di tutti coloro che rimangono
anonimi ai figli della vanità. Il nostro Salvatore stabilì questa
dottrina nella sua Chiesa, quando sul monte predicò e propose a tutti le
otto beatitudini. E, come un dottore pronto ad eseguire l'insegnamento
annunciato, lo mise in pratica quando tra gli obbrobri della passione ne
ripropose il valore, secondo quanto hai già riportato. Ora, sebbene i
cattolici tengano aperto dinanzi ai loro occhi il libro della vita e ne
abbiano presente il contenuto, sono molto pochi e contati quelli che
frequentano la scuola divina per studiare su di esso, mentre sono
numerosi quelli che stolti ed insensati lo ignorano e non sono
disponibili ai suoi consigli.
1281. Tutti aborriscono la povertà e sono assetati di
ricchezze dalla cui fallacia non vengono disingannati. Infiniti sono
quelli che perseguono l'ira e la vendetta, e disdegnano la mansuetudine.
Pochi piangono le vere miserie, in cui incorrono per le trasgressioni,
mentre molti si affannano per la terrena consolazione. A stento vi è chi
ami la giustizia, e chi non sia ingiusto e sleale con il prossimo. La
clemenza si vede estinta, la schiettezza dei cuori violata ed oscurata,
la pace distrutta; nessuno perdona e tutti non solo non vogliono patire
per giustizia, ma meritando di soffrire molti castighi e tormenti
ingiustamente fuggono da essi. Perciò sono pochi i beati che vengono
raggiunti dai miei favori e da quelli del mio Unigenito. Molte volte ti è
stato palesato il dispiacere e il legittimo sdegno dell'Onnipotente
contro i maestri della fede, i quali dinanzi al loro modello e Maestro
vivono quasi come infedeli. Addirittura molti altri sono ancora più
detestabili, perché dispregiano il frutto della redenzione pur
confessandolo e nella terra dei santi operano il male con empietà,
rendendosi indegni del rimedio che con larga clemenza fu loro concesso.
1282. Da te voglio che lavori duramente per giungere ad
essere beata, ricalcando perfettamente e integralmente le mie orme
secondo le forze che ricevi, al fine di intendere ed eseguire questa
dottrina nascosta ai prudenti e ai saggi del mondo. Ecco che allora ogni
giorno ti rivelo nuovi segreti della mia sapienza, affinché il tuo
intimo si infiammi e tu prenda animo per stendere le mani a cose grandi.
Ora ti propongo un esercizio che io praticai e nel quale tu potrai in
parte imitarmi. Già sai che dal primo istante della mia concezione fui
piena di grazia, senza macchia di peccato originale e senza essere
partecipe dei suoi effetti: ed è per questo singolare privilegio che fui
beata per virtù, senza sentire ripugnanza né alcuna contraddizione da
vincere, e senza trovarmi debitrice di qualcosa per errori propriamente
miei. Eppure la scienza divina mi insegnò che io come donna, essendo
traviata per natura, anche se non ero toccata dalla colpa, dovevo
abbassarmi fino a lambire la polvere. E poiché ero provvista degli
stessi sensi di coloro che avevano commesso la disobbedienza, con i suoi
malvagi effetti che sin d'allora si sperimentano, dovevo per questa
sola parentela avvilirli e frenarli nell'inclinazione che istintivamente
riportavano. Così io procedevo come una figlia fedele che consideri
come suo il debito del padre e dei fratelli, benché non le appartenga, e
cerchi in tutti i modi di pagarlo e soddisfarlo con tanta maggiore
diligenza quanto più ama i suoi familiari, e quanto meno essi possono
disobbligarsi. Ciò io operavo verso tutto il genere umano, piangendo i
suoi errori e le sue miserie; e poiché ero discendente di Adamo,
mortificavo in me i sensi e le facoltà con cui egli aveva mancato, e mi
umiliavo come se fossi coperta, oberata e rea della sua trasgressione,
nonostante non mi riguardasse, e lo stesso facevo per gli altri uomini,
miei fratelli. Tu non puoi seguirmi in tali azioni perché non sei scevra
della colpa, ma questo ti obbliga ad emularmi nel resto che io attuavo.
Il possesso del peccato originale e il dovere di soddisfare alla
giustizia superna ti devono spingere ad affaticarti senza interruzione
per te stessa e per gli altri, e a piegarti sino a terra, affinché il
tuo cuore contrito inclini la pietà celeste ad usar misericordia.