14 - La fuga e la dispersione degli apostoli dopo la cattura del Maestro.
La mistica Città di Dio - Libro sesto
Suor Maria d'Agreda

La fuga e la dispersione degli apostoli dopo la cattura del Maestro; la conoscenza che ne ebbe la sua santissima Madre e ciò che fece in questa occasione; la dannazione di Giuda e il turbamento dei demoni per quello che venivano a sapere.
1240. Eseguita la cattura di Gesù - come è già stato narrato - si adempì
ciò che egli aveva predetto nell'ultima cena: in quella notte tutti si
sarebbero fortemente scandalizzati a causa della sua persona, e satana
li avrebbe assaltati per vagliarli come il grano. Gli apostoli,
afflitti, restarono confusi e disorientati quando videro che il Maestro
veniva catturato e legato, e si accorsero che né la sua mansuetudine né
le sue parole tanto dolci e potenti né i suoi miracoli né il suo
innocentissimo conversare avevano potuto placare l'ira della folla e
mitigare l'invidia dei sommi sacerdoti e dei farisei. Per naturale
timore si avvilirono, perdendo il coraggio e dimenticando i consigli di
Cristo. Incominciarono così a vacillare nella fede e ciascuno di essi,
vedendo quello che stava succedendo a sua Maestà, pensava a come
mettersi in salvo dal pericolo che incombeva. Subito lo squadrone dei
soldati, con tutta la turba di gente che gli andava dietro, si accinse
ad arrestare e ad incatenare il mansuetissimo Agnello, contro il quale
tutti fremevano di sdegno. Gli Undici, approfittando allora
dell'occasione, fuggirono senza essere scorti dai giudei, sebbene questi
- se lo avesse permesso l'Autore della vita - senza dubbio li avrebbero
catturati poiché scappavano come codardi e rei, ma non era opportuno
che fossero presi e patissero in quel momento. E difatti, il nostro
Redentore aveva manifestato questa sua volontà dicendo alle guardie,
venute ad arrestarlo, che se cercavano lui lasciassero liberi coloro che
lo accompagnavano: così accadde con la forza della sua divina
provvidenza. Frattanto, anche contro i suoi seguaci si estendeva l'odio
dei sommi sacerdoti e dei farisei che volevano farla finita in un colpo
solo con tutti loro, se ne avessero avuto la possibilità. E proprio per
questo il pontefice Anna interrogò il Salvatore riguardo ai suoi
discepoli e al suo annuncio.
1241. Lucifero dinanzi a tale fuga si ritrovò confuso e
perplesso, incrementando la sua malizia per vari fini. Egli bramava di
estinguere l'insegnamento del Messia e di sterminare tutti i suoi
compagni fino a spegnere il loro ricordo, e agognava che essi fossero
presi ed uccisi. Tuttavia, non gli sembrò facile conseguire questo
disegno, e riconoscendone la difficoltà cercò di turbare gli apostoli
spronandoli a scappare, affinché non vedessero la pazienza del Signore
nella passione, né fossero testimoni di ciò che in questa sarebbe
accaduto. Temette che essi, con il sublime esempio e la nuova dottrina
che avrebbero potuto apprendere, sarebbero divenuti più forti e più
saldi nella fede tanto da resistere alle sue seduzioni. Gli parve che se
da allora avessero incominciato a titubare, in seguito li avrebbe
potuti far cadere con nuove persecuzioni, servendosi dei giudei, i quali
sarebbero stati sempre pronti ad insultarli, per l'odio che portavano
all'Unigenito. Con questa malvagia considerazione il diavolo si ingannò
da se stesso, e quando si accorse che essi erano intimoriti, codardi e
abbattuti per la tristezza, reputò che quella fosse la migliore
disposizione d'animo per tentarli. Li assaltò così con furiosa rabbia,
proponendo loro grandi dubbi e sospetti, perché abbandonassero il loro
Maestro. Ed essi riguardo alla fuga non resistettero come invece avevano
fatto dinanzi a tante false suggestioni contro la fede, benché anche in
questa avessero mancato: gli uni più gli altri meno, giacché non furono
tutti parimenti turbati e scandalizzati.
1242. I discepoli si divisero tra loro correndo verso
luoghi diversi, dato che era difficile nascondersi insieme, sebbene in
quel momento lo desiderassero. Solo Pietro e Giovanni si unirono per
seguire da lontano Gesù con l'intento di vedere la conclusione del suo
supplizio. Intanto essi erano tutti presi nell'intimo da un turbamento
di sommo dolore e di forte tribolazione, che metteva sotto torchio il
loro cuore senza lasciare consolazione e riposo. Da una parte erano
combattuti dalla ragione, dalla grazia, dall'amore e dalla verità,
dall'altra dalla seduzione, dal sospetto, dal timore e dallo sconforto.
Ma la ragione e la luce della verità li riprendevano dall'incostanza e
dall'infedeltà per aver lasciato Cristo, schivando come vigliacchi il
pericolo, dopo essere stati avvisati e aver fatto sfoggio, poco prima,
del loro coraggio nel voler morire con lui, se fosse stato necessario.
Si ricordarono della negligente disobbedienza e della trascuratezza nel
pregare, e nel prepararsi contro le tentazioni, come sua Maestà aveva
loro ordinato. l‘affetto che gli portavano, per la sua amabile
conversazione e il suo dolce tratto, per la sua dottrina e le sue
meraviglie, e il pensiero che egli era vero Dio li animavano e li
spronavano a ritornare a cercarlo e ad offrirsi al martirio come servi
fedeli. A tutto ciò si univano la preoccupazione per Maria santissima, e
la considerazione delle sue incomparabili pene e del bisogno di
conforto che avrebbe avuto. E così da un lato volevano andarla a trovare
per assisterla nel suo tormento, dall'altro invece erano lacerati e
combattuti dalla paura di finire in pasto alla crudeltà dei giudei,
abbandonandosi alla morte, alla confusione e alla persecuzione. Ma
riguardo alla scelta di presentarsi dinanzi all'addolorata Madre li
affliggeva anche l'idea che ella li avrebbe obbligati a ritornare nel
luogo in cui stava il suo Unigenito; inoltre temevano che se fossero
rimasti con lei sarebbero stati poco sicuri, perché avrebbero potuto
essere ricercati nella sua casa. Tutto questo era sovrastato dalle empie
e terribili seduzioni del dragone, che inculcava nella loro mente
immagini atroci: il suicidio; l'impossibilità del Maestro di liberare se
stesso e di strappare loro dalle mani dei sommi sacerdoti, che in
quell'occasione lo avrebbero ucciso; e la fine di tutta la loro
dipendenza da lui, perché non lo avrebbero più visto. Inoltre erano
avvinti anche dall'insidia che, sebbene la sua vita fosse esente da
colpe, egli proclamando dottrine molto dure ed aspre sino ad allora mai
praticate veniva odiato dai capi del popolo e dalla gente: ragion per
cui era troppo drastico seguire un uomo che doveva essere condannato ad
una fine infame e vergognosa.
1243. Questa lotta interiore negli apostoli si trasmetteva
da un cuore all'altro. Satana, infondendo queste ed altre malvagie
convinzioni, pretendeva che essi dubitassero dell'insegnamento del
Signore e delle profezie inerenti ai suoi misteri e alla sua passione.
Siccome nel dolore di questo conflitto non avevano speranza che il
Messia uscisse vivo dalle potenti mani dei sommi sacerdoti, lo sgomento
suscitò in loro una profonda tristezza e malinconia, per cui risolsero
di schivare il pericolo e salvarsi. Fuggirono con tale pusillanimità e
codardia che in nessun posto si consideravano sicuri in quella notte,
spaventati da qualsiasi ombra e da ogni rumore. Un terrore più grande fu
provocato in essi dalla slealtà di Giuda, giacché egli avrebbe potuto
istigare anche contro di loro l'ira degli anziani, poiché, dopo aver
eseguito la sua perfidia e il suo tradimento, non si era più fatto
vedere da nessuno. San Pietro e san Giovanni, tra i più fervorosi
nell'amore di Gesù, resistettero più degli altri al demonio e restando
uniti vollero andare dietro a sua Maestà da lontano. Furono molto
aiutati a prendere questa decisione dal fatto che san Giovanni
conoscesse Anna, il quale con Caifa, sommo sacerdote in quell'anno, si
alternava nel ministero del pontificato. Caifa era anche colui che nel
sinedrio aveva consigliato ai giudei: «È meglio che un uomo solo muoia
per il popolo». La familiarità di Giovanni con Anna scaturiva dalla
buona reputazione dell'Apostolo, considerato una persona distinta,
cortese, affabile, di nobile origine e di virtù molto amabili. Fiduciosi
di questo, i due proseguirono meno timorosi il loro cammino. Essi
portavano nei loro cuori la gran Regina del cielo; afflitti per la sua
amarezza, erano desiderosi della sua presenza per sollevarla e
consolarla, distinguendosi particolarmente in questo devoto affetto
l'Evangelista.
1244. In tale occasione la Principessa, dal cenacolo, per
mezzo di una sublime illuminazione non solo rimirava il proprio Figlio
nei tormenti della cattura, ma anche veniva a sapere tutto quello che
accadeva agli Undici, interiormente ed esteriormente. Vedeva la loro
tribolazione e le loro tentazioni, scrutava i loro pensieri, le loro
determinazioni, ciò che ciascuno faceva ed il luogo in cui si trovava. E
sebbene tutto le fosse noto, ella non si sdegnò né rinfacciò ad essi la
slealtà che avevano commesso, ma anzi si rese principio e strumento
della loro salvezza, come racconterò in seguito. D'allora in poi
incominciò a pregare, e con dolcissima carità e compassione di madre
diceva nel suo intimo: «Pecorelle semplici ed elette, perché lasciate il
vostro Pastore, che aveva cura di voi e vi conduceva al pascolo,
dandovi il cibo della vita eterna? Perché, pur essendo seguaci di una
dottrina così verace, abbandonate il datore di ogni vostro bene? Come
potete dimenticare il suo comportamento così amoroso che vi attirava a
lui? Perché ascoltate il maestro della menzogna, il lupo sanguinario che
pretende la vostra rovina? O tesoro mio dolcissimo e pazientissimo,
quanto mansueto, benigno e misericordioso vi rende l'amore degli uomini!
Estendete la vostra pietà a questo piccolo gregge, che il furore del
serpente ha turbato e disperso. Non date in pasto alle bestie le anime
che vi hanno lodato. Enormi portenti avete operato con i vostri
discepoli, ma enorme sofferenza siete solito dare a quelli che scegliete
come vostri servi. Non riprovate coloro che la vostra volontà elesse a
fondamento della Chiesa: non si perda tanta gloria! Non si vanti
Lucifero di aver trionfato dinanzi a voi sulla parte migliore della
vostra casa e famiglia. Guardate il vostro amato Giovanni, osservate
Pietro e Giacomo da voi prediletti con singolare affetto. Volgete gli
occhi della vostra clemenza anche verso tutti gli altri e schiacciate la
superbia del dragone, che con implacabile crudeltà li ha turbati».
1245. In questa circostanza la grandezza di Maria, con la
sua intercessione e con la pienezza di santità che manifestò
all'Altissimo, superò ogni capacità umana ed angelica. Ella, oltre a
sentire nel corpo e nello spirito gli strazi del suo Unigenito e le
ingiurie vergognose che subiva nella sua persona, da lei stimata e
ossequiata in sommo grado, avvertì e comprese anche l'angoscia dello
smarrimento degli apostoli. Guardava la fragilità e la dimenticanza che
essi avevano mostrato riguardo ai favori, agli avvertimenti e alle
ammonizioni del loro Maestro: defezione che si era verificata in loro in
brevissimo tempo dopo il sermone che egli aveva loro proferito
nell'ultima cena, e l'eucaristia che aveva loro amministrato
innalzandoli e vincolandoli alla dignità di sacerdoti. Conosceva anche
il pericolo a cui erano esposti di cadere in peccati più gravi per
l'astuzia con la quale il principe delle tenebre si affaticava a
rovinarli, e l'inavvertenza, dovuta alla paura, che teneva più o meno in
possesso il loro animo. Per tutto questo la Vergine moltiplicò le
suppliche a Cristo sollecitandone gli aiuti fino a quando avesse
guadagnato per essi il riscatto e il perdono, affinché rientrassero
nell'amicizia e nella grazia superna, di cui ella si rendeva strumento
efficace e potente. L'eccelsa Signora raccoglieva così nel suo cuore
tutta la fede, la santità, il culto e la venerazione dell'intera
comunità ecclesiale che stava in lei come in un'arca incorruttibile,
conservando e racchiudendo in sé la legge evangelica, il sacrificio, il
tempio ed il santuario. Ella sola credeva, amava, sperava e onorava il
Verbo incarnato per sé, per gli Undici e per tutto il genere umano, in
modo da compensare, per quanto era possibile ad una semplice creatura,
l'incredulità e le omissioni di tutto il resto del corpo mistico. Faceva
eroici atti di fede, speranza e carità, e celebrava la divinità e
l'umanità del proprio figlio e vero Dio; con prostrazioni e
genuflessioni lo adorava e con mirabili cantici lo benediva, senza che
l'intima sofferenza e l'amarezza della sua anima sconvolgessero la forza
della sua mediazione, accordata dalla mano dell'Onnipotente. Per questa
sovrana non si addice quello che è affermato nel Siracide che la musica
è importuna nel dolore, perché solo ella poté e seppe in mezzo alle sue
pene accrescere la dolce armonia delle virtù.
1246. Lasciando gli apostoli nello stato che ho descritto,
mi volgo a raccontare l'infelicissima fine di Giuda, anticipando quanto
gli accadde nella sua miserevole e disgraziata sorte, per fare poi
nuovamente ritorno alla narrazione della passione. Il traditore, con il
distaccamento di soldati e la turba di gente che aveva condotto dal
nostro Redentore, giunse prima a casa di Anna e poi a quella dell'altro
sommo sacerdote Caifa, dove era atteso anche dagli scribi e dai farisei;
e siccome Gesù era tanto maltrattato con percosse ed insultato con
bestemmie sotto i suoi occhi, sopportando tutto con silenzio,
mansuetudine e mirabile pazienza, il sacrilego discepolo incominciò a
mettere in discussione dentro di sé la sua perfidia. Egli riconosceva
che essa era l'unica causa dell'ingiusta crudeltà con cui quell'uomo
tanto innocente veniva trattato, senza che lo meritasse. Si ricordò dei
miracoli che aveva visto, dell'insegnamento che aveva udito e dei
benefici che aveva ricevuto da lui; gli si presentarono dinanzi la pietà
e la mitezza della Regina, la carità con cui ella aveva sollecitato la
sua salvezza e la malvagità ostinata con la quale egli aveva offeso
entrambi per un vilissimo interesse: l'insieme di tutte le trasgressioni
che aveva commesso gli si pose davanti come un caso impenetrabile e
come un alto monte che lo schiacciava.
1247. Giuda - come si è detto sopra - dopo essere andato
incontro al Messia e averlo consegnato con il finto bacio, si trovava
fuori dalla divina grazia. Ma per gli imperscrutabili disegni celesti,
benché stesse in balia del proprio consiglio, fece i ragionamenti
permessi dalla divina giustizia nella sua naturale coscienza; e li fece
con tutte le suggestioni di satana che lo assisteva. Quantunque
riflettesse tra sé e formulasse un retto giudizio riguardo a ciò che si è
riferito, quando era il padre della menzogna a propinargli i discorsi
egli si ritrovava più che mai confuso e turbato. Difatti, il diavolo
alla veracità dei suoi ricordi accoppiava false ed ingannevoli
congetture, affinché ne venisse a dedurre non già il suo riscatto e il
desiderio di conseguirlo, ma al contrario l'impossibilità di ottenerlo,
fino alla disperazione, come appunto accadde. Il demonio gli risvegliò
così una profonda contrizione delle sue colpe, e non già per un buon
fine, né per il motivo di aver offeso la verità, ma per il disonore che
avrebbe avuto presso gli uomini e per il male che il Maestro, potente in
miracoli, gli avrebbe potuto fare: in tutto il mondo perciò non gli
sarebbe stato possibile sfuggire dalle sue mani, perché il sangue del
giusto avrebbe gridato contro di lui. Con questo ed altri pensieri che
gli suggerì, il traditore rimase in preda alla confusione e all'odio
rabbioso verso se stesso. E ritiratosi da tutti stava per buttarsi giù
da un punto molto elevato del palazzo di Caifa, ma non poté farlo. Dopo
questo tentativo, come una fiera, sdegnato contro se stesso si mordeva
le braccia e le mani, si dava durissimi colpi in testa tirandosi i
capelli e, parlando in modo spropositato, si mandava maledizioni ed
esecrazioni, come il più infelice e sfortunato tra i mortali.
1248. Il serpente, vedendolo così avvilito, gli propose di
andare dai sacerdoti per confessare il suo peccato e restituire il loro
denaro. Egli lo fece con celerità e ad alta voce rivolse loro queste
parole: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente»; ma essi, per
nulla impietositi, gli risposero che avrebbe dovuto considerarlo prima.
L'intento del drago era quello di provare ad impedire che il Salvatore
fosse ammazzato, per le motivazioni che ho esposto sopra e che dirò in
seguito. Con questa ripulsa datagli dagli anziani del popolo, così piena
di empissima crudeltà, Giuda non ebbe più dubbi e si persuase che non
fosse più possibile evitare tale uccisione. Reputò così anche il
principe del male, non tralasciando però di mettere in atto altre
strategie per mezzo di Pilato. Egli allora, ritenendo che il discepolo
malvagio ormai non gli sarebbe più potuto servire per realizzare il suo
intento, accrebbe in lui la tristezza e la collera, convincendolo a
togliersi la vita per non aspettarsi una condanna più dura. Questi
accettò l'inganno e uscito dalla città andò ad impiccarsi: si fece
omicida di se stesso colui che si era fatto deicida del suo Creatore.
Ciò accadde il venerdì alle dodici, lo stesso giorno della crocifissione
di Cristo, ma prima che questi spirasse, perché non era opportuno che
la morte di Gesù e l'opera della nostra redenzione cadessero
immediatamente sopra l'esecrabile morte di Giuda, che con somma malizia
le aveva disprezzate.
1249. I diavoli subito ricevettero la sua anima e la
portarono all'inferno; il suo corpo invece restò impiccato e poi si
squarciò nel mezzo e si sparsero fuori le viscere con meraviglia e
spavento di tutti, al vedere che quel tradimento aveva avuto un castigo
così terribile. Per tre giorni egli restò appeso ed esposto al pubblico.
Nello stesso tempo i giudei tentarono di tirarlo via dall'albero e di
seppellirlo nascostamente, perché da un simile spettacolo ridondava gran
confusione ai sacerdoti e ai farisei, che non potevano contraddire
quella testimonianza della loro ferocia. Tuttavia, nonostante si dessero
da fare, non riuscirono a smentirla né furono capaci di staccare le sue
membra da dove si era impiccato, sino a quando, trascorsi tre giorni,
per disposizione superna gli stessi demoni lo tolsero dalla forca e lo
portarono via per unirlo alla sua anima, affinché nel profondo dei loro
antri pagasse eternamente il suo peccato. E poiché è degno di spaventoso
stupore ciò che ho conosciuto delle pene che gli furono inflitte, lo
riferirò nel modo e nell'ordine in cui mi è stato mostrato. Tra le
oscure caverne degli infernali ergastoli ve ne era una libera, molto
grande e di maggior tormento rispetto alle altre; i principi delle
tenebre non avevano potuto precipitarvi nessuno, benché la loro
efferatezza avesse cercato di farlo fin da Caino. Ognuno di essi,
ignorando il segreto, si meravigliava di questa impossibilità fino a
quando arrivò l'anima di Giuda che con facilità fu fatta sprofondare in
quella fossa, mai occupata da alcun dannato. Il motivo di tale
difficoltà consisteva nel fatto che dalla creazione del mondo quella
caverna era stata assegnata a coloro che, pur avendo ricevuto il
battesimo, si sarebbero perduti per non aver saputo usufruire dei
sacramenti, dell'insegnamento, della passione e morte di sua Maestà, e
dell'intercessione della sua santissima Madre. E siccome egli fu il
primo ad essere partecipe di tali benefici a vantaggio della sua
salvezza che orribilmente li disprezzò, fu anche il primo a provare quel
luogo e tutte quelle punizioni predisposte per lui e per chi lo avrebbe
emulato e seguito.
1250. A me è stato ordinato di esporre dettagliatamente
questo mistero per ammonire ed istruire tutti i cristiani e specialmente
i sacerdoti, i prelati e i religiosi, i quali per il loro servizio
toccano più frequentemente e familiarmente il santissimo corpo e sangue
del Signore. Per non essere ripresa, vorrei trovare i termini e le
ragioni con cui dare ad esso rilevanza e devozione, cercando di
compensare l'insensibile durezza umana, affinché tutti possano trarne
profitto e temere il castigo che sovrasta i cattivi credenti, secondo lo
stato di ciascuno. I diavoli torturarono il traditore con inesplicabile
crudeltà, perché non aveva rinunciato a vendere il proprio Maestro, per
il cui martirio essi sarebbero rimasti vinti e spodestati dalla terra.
Il nuovo sdegno, che per tale motivo essi concepirono contro Gesù e
Maria, viene messo in atto contro tutti quelli che imitano quel perfido e
cooperano con lui nel disprezzare la dottrina evangelica, i sacramenti
della legge di grazia e il frutto del riscatto. A buon diritto allora
Lucifero e i suoi riversano la propria vendetta su quei battezzati che
non vogliono seguire Cristo, loro capo, e volontariamente si separano
dalla Chiesa dandosi in potere ad essi, che con implacabile superbia la
aborriscono e la maledicono e come strumenti della divina giustizia
castigano le ingratitudini dei redenti verso il loro Redentore.
Considerino attentamente i fedeli questa verità! Se la tenessero
presente sentirebbero palpitare i loro cuori e otterrebbero l'aiuto
necessario per allontanarsi da un pericolo così deplorevole.
1251. Durante il tempo della passione il drago, con tutta
la sua malvagia schiera, rimase sempre attento e in agguato per finire
di accertarsi se il Nazareno fosse il Messia e il salvatore del mondo.
Difatti alcune volte era persuaso dai miracoli, altre volte invece
veniva dissuaso dalle azioni e dagli affanni della debolezza umana che
egli assunse per noi, ma moltiplicò maggiormente i suoi sospetti
nell'orto degli Ulivi, dove sperimentò l'autorità di quella parola
pronunciata dall'Unigenito: «Sono io!», da cui fu rovesciato e fatto
cadere a terra con i suoi ministri. Era trascorso poco tempo da quando,
accompagnato dalle sue legioni, era uscito dall'inferno, dove era stato
scaraventato durante l'ultima cena. E benché in quella occasione fosse
stato precipitato dal cenacolo solamente dalla Vergine - come ho
affermato precedentemente - egli si soffermò a riflettere, reputando che
quella potenza messa in atto dal Figlio e dalla Madre fosse del tutto
nuova, mai sperimentata prima contro di loro. Quando gli fu permesso di
rialzarsi, parlò agli altri dicendo: «Non è possibile che una simile
forza sia di un semplice uomo, senza dubbio questi è insieme Dio e uomo.
Se egli muore come noi disponiamo, è certo che per questa via opererà
la redenzione, adempirà il volere dell'Altissimo, e resterà distrutto il
nostro impero e delusa ogni nostra speranza di vittoria. Ci siamo
malamente consigliati nel procurargli la morte. Ma se non possiamo
impedire che perisca, vediamo di provare fino a dove arrivi la sua
pazienza, istigando i suoi mortali nemici a tormentarlo con empia
crudeltà. Aizziamoli contro di lui, suscitiamo in loro sentimenti di
disprezzo, persuadiamoli a compiere sulla sua persona oltraggi e
ignominie; spingiamoli ad usare il loro sdegno per affliggerlo, e stiamo
attenti agli effetti che tutte queste cose produrranno in lui». I
demoni quanto proposero tanto intentarono. Non riuscirono però ad
ottenere tutto quello che avevano tramato, come sarà manifestato nel
corso della passione, e ciò per gli imperscrutabili arcani che riferirò e
che in parte ho già esposto. Essi provocarono quei criminali perché
decidessero di angustiare sua Maestà con atrocissime sevizie, che
tuttavia non vennero concretizzate, perché egli non ne permise altre
all'infuori di quelle che rientravano nel suo volere e nella necessità
di patire, lasciando che fosse espresso in queste tutto il loro furore.
1252. Ad impedire l'insolente malizia del serpente
intervenne nuovamente la Signora, a cui erano manifesti tutti i suoi
sforzi. Alcune volte con l'autorità di sovrana gli ostacolava molti
intenti, affinché non li consigliasse agli esecutori della passione;
altre volte, riguardo a quelli che egli proponeva, chiedeva all'Eterno
che non permettesse che fossero eseguiti, e per mezzo dei suoi angeli
concorreva a distogliere e a far svanire quei malefici progetti; altre
ancora, per quelli che rientravano nella volontà di patire del suo
Unigenito - come ella penetrava nella sua infinita sapienza -
interrompeva la sua intercessione: in tutto veniva così eseguito il
beneplacito divino. Similmente, venne a conoscenza di quanto accadde
nell'infelice morte e nei tormenti di Giuda, del luogo che gli fu
assegnato negli inferi e della sede di fuoco che avrebbe occupato per
tutta l'eternità, come maestro d'ipocrisia e precursore di chi avrebbe
rinnegato il Signore con la mente e con le azioni. Questi sono coloro -
come dice Geremia - che abbandonano la fonte di acqua viva per essere
scritti nella polvere ed allontanati dal cielo dove stanno scritti i
nomi dei predestinati. La Regina di misericordia conobbe tutto, pianse
amaramente e pregò per la salvezza degli uomini, supplicando che fossero
rimossi da una cecità, da un precipizio e da una rovina così grandi;
però si conformò sempre agli insondabili e giusti giudizi della
Provvidenza.
Insegnamento della Regina del cielo
1253. Carissima, sei rimasta meravigliata, e non senza
ragione, di ciò che hai inteso e narrato dell'infelice sorte di Giuda e
della caduta dei suoi compagni. Essi vennero a mancare pur essendo
discepoli di Gesù, nutriti con il latte della sua dottrina, della sua
vita, dei suoi miracoli, ed aiutati dalla sua dolce e mite parola, dalla
mia intercessione, dai miei consigli e da altri benefici ottenuti per
mezzo di me. In verità ti dico che se tutti i fedeli avessero
l'accortezza di imitare l'esempio lasciato da Cristo ritroverebbero un
salutare consiglio ed una pratica istruzione per coltivare il timore di
Dio durante il loro pericoloso pellegrinaggio. Essi ricevono tanti
privilegi, ma tutto questo può non essere tenuto presente come vivo
esempio di santità, alla stessa maniera degli apostoli. E difatti io li
ammonii in vari modi e pregai affinché fossero elargiti loro gli ausili
necessari; inoltre con la mia dolce e innocente conversazione comunicai
loro la carità che dall'Altissimo e dal Salvatore rifluiva in me, ma
essi, pur trovandosi dinanzi al loro Maestro, dimenticarono tanti favori
e il dovere di corrispondervi. E allora chi sarà così presuntuoso
nell'esistenza terrena da non paventare il pericolo della rovina, per
quanti doni abbia avuto? I Dodici erano uomini prescelti e ugualmente
uno arrivò a cadere come il più infelice tra tutti, e gli altri giunsero
a venir meno nella fede, che è il fondamento di ogni virtù; questo fu
conforme all'equità ed agli imperscrutabili disegni dell'Onnipotente.
Dunque, come mai non hanno paura coloro che non sono apostoli né hanno
operato come questi alla scuola di mio Figlio, e non meritano la mia
intercessione?
1254. Della perdizione del traditore e del suo giustissimo
castigo esponi quanto basta perché si comprenda a quale stato possano
arrivare e condurre i vizi, e dove la volontà perversa possa trasportare
una persona che si dia in preda ad essi e a satana, disdegnando le
chiamate e gli aiuti della grazia. Su ciò che hai scritto ti invito ad
osservare che non solo le pene che patisce costui, ma anche quelle di
molti cristiani - che si dannano con lui e scendono al medesimo luogo,
che fu loro destinato sin dagli inizi del mondo - superano i tormenti di
molti demoni. Difatti, sua Maestà non morì per gli angeli malvagi, ma
per gli uomini, né ai primi spettarono il frutto e gli effetti del
riscatto che ai secondi sono dati nei sacramenti. Perciò disprezzare
tale incomparabile beneficio non è tanto colpa di Lucifero, quanto dei
credenti ai quali riguardo a questo è dovuta una punizione del tutto
nuova e diversa. L'inganno in cui caddero il principe delle tenebre e i
suoi ministri non riconoscendo Gesù, come vero Dio e redentore sino alla
sua morte attanaglia sempre il loro intimo, e ciò fa scaturire in essi
altro sdegno verso coloro che sono stati salvati e soprattutto verso
coloro per i quali è stato versato in modo particolare il sangue
dell'Agnello. Si affaticano allora con veemenza per far sì che ci si
dimentichi dell'opera della redenzione, rendendola infruttuosa.
Nell'inferno poi si mostrano più adirati e furibondi contro i cattivi
cristiani, e senza alcuna pietà infliggerebbero a questi maggiori
tribolazioni se la giustizia del Signore non disponesse con equità che
le pene siano proporzionate alle colpe, non lasciando ciò all'arbitrio
dei diavoli, ma attenuandolo con la sua potenza e la sua infinita
sapienza, poiché tanto si estende la sua bontà.
1255. Desidero inoltre che riguardo alla caduta degli
apostoli consideri il pericolo della fragilità umana, poiché anche
questa dinanzi alle elargizioni celesti facilmente si assuefa ad essere
villana, torpida ed ingrata, come successe loro quando fuggirono dal
Maestro e nella loro incredulità lo abbandonarono. Tale debolezza negli
uomini trova la sua origine nell'essere tanto sensibili ed inclini a
tutto ciò che è terreno e sottomesso ai sensi, nel rimanere ben radicati
a queste depravate tendenze per il peccato e nell'abituarsi a vivere e
ad agire secondo la carne, piuttosto che secondo lo spirito. Ne consegue
che trattano ed amano sensibilmente anche gli stessi doni
dell'Altissimo e, quando questi vengono a mancare, subito si rivolgono
ad altri oggetti sensibili, si affannano per essi e trascurano la vita
spirituale, che praticavano solo in superficie. Per questa inavvertenza e
torpidezza caddero gli Undici, benché fossero tanto favoriti dal mio
Unigenito e da me. I miracoli, le parole e gli esempi che ricevettero
erano sensibili, ma essi, benché perfetti e giusti, erano attaccati
unicamente a quello che percepivano; così, appena questo venne a mancar
loro si turbarono con la tentazione e vi caddero avendo poco penetrato
quanto avevano visto ed udito alla scuola del Messia. Con questo
insegnamento potrai orientarti sulla strada della mia sequela come
discepola spirituale e non terrena, non assuefacendoti al sensibile,
benché si tratti di grazie dell'Eterno e mie. E quando ti verranno
concesse non soffermarti sulla materia, ma solleva la tua mente al
sublime che si percepisce solo con la luce e la scienza interiore". E se
il sensibile può impedire la vita spirituale, che cosa non farà ciò che
appartiene alla vita terrena, animale e carnale? Voglio, dunque, da te -
e tu stessa lo osservi chiaramente - che dimentichi e cancelli dalle
tue facoltà ogni immagine e ogni specie di creatura, affinché ti ritrovi
sempre idonea ad imitarmi e ad intendere la mia salutare dottrina.