12 - La preghiera che il nostro Salvatore recitò nell'orto.
Suor Maria d'Agreda

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La preghiera che il nostro Salvatore recitò nell'orto; tutti i misteri che l'avvolsero e ciò che conobbe di questi la sua santissima Madre.
1204. Il nostro Salvatore, con le meraviglie e i prodigi che aveva
operato nel cenacolo, lasciava già ben sistemato ed ordinato il regno
che l'eterno Padre con la sua immutabile volontà gli aveva affidato.
Subentrata la notte seguente il giovedì della cena, sua Maestà decise di
uscire dalla casa dove aveva celebrato gli straordinari misteri per
entrare nella dolorosa lotta della sua passione e morte, per mezzo della
quale si doveva compiere la redenzione umana. Nello stesso tempo anche
Maria lasciò il luogo dove si era ritirata in preghiera, per incontrarsi
con lui. Quando il Principe dell'eternità e la Regina furono di fronte,
la spada del dolore trapassò il cuore di entrambi ferendoli, nel
medesimo istante, in un modo così intenso da superare ogni pensiero
umano ed angelico. L'addolorata Madre si prostrò a terra adorando Gesù
come suo vero Dio e redentore ed egli, rimirandola con volto austero e
grato per essere figlio suo, le parlò dicendo: «Madre mia, mi troverò
nella tribolazione assieme a voi; facciamo la volontà del mio eterno
Padre e portiamo a compimento la salvezza degli uomini». La gran Regina
si offrì al sacrificio con tutto il cuore, chiese la benedizione a sua
Maestà e avendola ricevuta si ritirò nuovamente nella sua stanza, dove
il Signore le concesse di vedere tutto quello che accadeva e quanto il
suo santissimo Figlio stava per operare, affinché ella potesse
accompagnarlo e cooperare in ogni cosa nella misura che le spettava. Il
padrone di quella casa, presente a questo congedo, per impulso divino la
offrì subito con tutto quello che vi era dentro alla Signora del cielo,
affinché se ne servisse durante la sua permanenza a Gerusalemme. Maria
l'accettò con umile riconoscenza e vi rimase in compagnia dei mille
angeli dediti alla sua custodia, che l'assistevano sempre in forma
visibile solo a lei, e di alcune delle pie donne che aveva condotto con
sé.
1205. Il nostro Redentore e maestro uscì dal cenacolo con
tutti gli uomini che avevano assistito alla cena e alla celebrazione dei
suoi misteri. Subito molti di questi si congedarono, incamminandosi per
diverse strade, al fine di dedicarsi ciascuno alle proprie occupazioni.
Sua Maestà, seguito solo dai dodici apostoli, diresse i suoi passi
verso il monte degli Ulivi, situato appena fuori della città di
Gerusalemme, dalla parte orientale. Da ciò Giuda, reso dalla rea
perfidia più che mai accorto e sollecito nel consegnare ai farisei il
divin Maestro, congetturò che vi andasse a trascorrere la notte in
preghiera, come di solito faceva. Quell'occasione gli parve molto
opportuna per metterlo nelle mani degli scribi e dei farisei, suoi
alleati. Con questa infelice decisione seguì Gesù, fermandosi ogni tanto
e lasciandolo andare avanti con gli altri apostoli, senza che questi
peraltro se ne accorgessero. Nel momento in cui li perdette di vista, si
lanciò in tutta fretta verso il precipizio della sua rovina: camminava
ansioso, pieno di gran timore e turbamento, segno della malvagità che
doveva commettere. E invaso da questa inquieta sollecitudine, come chi
abbia la coscienza tarlata dal rimorso, correndo giunse sbalordito alla
casa dei sommi sacerdoti. Accadde allora che Lucifero, il quale nutriva
il sospetto che Cristo nostro bene fosse il vero Messia - come si disse
nel capitolo decimo -, scorgendo la fretta di Giuda nel procurare a
questi la morte, andò incontro al traditore sotto l'aspetto di un suo
amico, un uomo molto malvagio, a cui l'empio discepolo aveva confidato
la sua delittuosa azione. Sotto quelle sembianze il dragone gli parlò,
senza essere da lui conosciuto, e gli disse che, sebbene quell'intento
di vendere il suo Maestro in principio gli fosse sembrato buono, per le
malvagità che aveva sentito da lui stesso narrare, in seguito
riflettendovi sopra aveva preso in esame un'alternativa migliore e più
sicura. E soggiunse che gli sembrava opportuno che non lo consegnasse ai
sommi sacerdoti ed ai farisei, perché dopotutto Gesù non era poi così
cattivo come pensava e glielo aveva descritto, né meritava la morte; e
inoltre lo preavvertì del fatto che successivamente sarebbe potuta
cadere addosso a lui qualche grande disgrazia, se il Salvatore avesse
operato dei miracoli in virtù dei quali si fosse liberato.
1206. Lucifero ordì questa insidiosa trama per revocare con
un più forte timore le suggestioni, che aveva precedentemente infuso
nel perfido cuore del discepolo traditore contro l'Autore della vita. Ma
la sua nuova malizia gli riuscì vana, perché Giuda, che volontariamente
aveva perduto la fede e non nutriva i violenti sospetti del demonio,
volle mettersi a rischio cercando la morte del suo Maestro piuttosto che
esporsi allo sdegno dei farisei se lo avesse lasciato in vita. Invaso
dal terrore, per la sua abominevole ingordigia non fece caso al
consiglio di Lucifero, benché reputasse che questi fosse l'uomo di cui
aveva assunto l'aspetto. E siccome egli era già stato abbandonato dalla
grazia divina, non volle né poté lasciarsi persuadere dal consiglio del
demonio a retrocedere dalla sua cattiveria. Ora, mentre l'Autore della
vita si trovava a Gerusalemme, i sommi sacerdoti si stavano consultando
sul modo in cui Giuda avrebbe adempiuto la promessa di consegnarlo ad
essi. In quel momento entrò il traditore, e riferì loro che il suo
Maestro si era recato con gli altri discepoli sul monte degli Ulivi e
quella notte gli sembrava la migliore occasione per catturarlo, qualora
essi fossero andati con cautela e preparati, affinché non sfuggisse
dalle loro mani con gli artifici e gli stratagemmi che egli ben
conosceva. I sacrileghi sacerdoti si rallegrarono tanto e si
affrettarono a reclutare gente armata per catturare l'innocentissimo
Agnello.
1207. Sua Maestà stava intanto discutendo, con gli undici
apostoli, della salvezza eterna di tutti noi e degli stessi che
tramavano la sua morte. Oh, inaudita e mirabile contesa della malizia
umana e dell'immensa bontà e carità divina! Se sin dal primo uomo
incominciò questa lotta del bene e del male nel mondo, nella morte del
nostro Redentore i due estremi giunsero al sommo grado a cui potevano
arrivare, poiché ciascuno di essi operò in presenza dell'altro nel modo
supremo che gli fu possibile: gli uomini con la propria malizia
togliendo la vita al loro stesso Creatore e redentore, e questi dandola
per essi con immensa carità. In tale occasione fu necessario - a nostro
modo di intendere - che l'anima santissima di Cristo nostro bene
volgesse la sua attenzione sulla sua santissima Madre, e facesse lo
stesso la sua divinità, al fine di trovare fra le creature qualche
oggetto di compiacimento in cui far dimorare il suo amore ed arrestare
la sua giustizia. Difatti, solo in quella pura creatura scorgeva
degnissimamente consumata la passione e morte che gli veniva preparata
dagli uomini; solo in quella santità senza limiti la giustizia divina si
ritrovava in parte compensata della malizia umana. Nell'umiltà e nella
fedelissima carità di questa celeste Signora restavano depositati i
tesori dei meriti di Cristo nostro Signore, affinché in virtù di questi e
della sua morte rinascesse in seguito la Chiesa come nuova fenice da
cenere ardente. Questo compiacimento, che l'umanità del nostro Redentore
riceveva dalla vista della santità di Maria, gli dava sostegno e
coraggio per vincere la malizia dei mortali, poiché reputava giustamente
spesa la sua pazienza nel soffrire tali pene, avendo tra gli uomini la
sua amantissima e degna Madre.
1208. La gran Signora dal luogo dove se ne stava ritirata
in preghiera vedeva tutto quello che andava succedendo: i pensieri
dell'ostinato Giuda e il modo in cui si appartò dal collegio apostolico;
come gli parlò Lucifero sotto l'aspetto di quell'uomo, suo conoscente;
quello che avvenne quando il discepolo traditore si recò dai sommi
sacerdoti, e ciò che questi disposero e operarono per catturare in
fretta il Signore. La nostra capacità non è sufficiente a spiegare il
dolore che, per questa conoscenza infusa, penetrava il purissimo cuore
della vergine Madre, gli atti di virtù che ella esercitava alla vista di
tali malvagità e il modo in cui si comportava dinanzi a questi
avvenimenti: basti dire che tutto successe con pienezza di sapienza, di
santità e di compiacimento della santissima Trinità. Maria sentì pure
compassione per Giuda e pianse la perdita di quel perverso discepolo,
compensando la sua empietà con l'adorazione, la confessione, l'amore e
la lode dello stesso Signore, che egli aveva venduto con un tradimento
così ingiurioso e sleale; sarebbe stata disposta e pronta a morire per
la sua salvezza, se fosse stato necessario. La prudentissima Signora
pregò anche per coloro che stavano tramando la cattura e la morte del
suo Agnello divino, poiché li rimirava; li stimava e li reputava come
oggetti che si dovevano acquistare ed apprezzare con il valore
inestimabile di una vita e di un sangue preziosi, quali erano quelli di
un Dio incarnato.
1209. Il nostro Salvatore proseguì il suo cammino verso il
monte degli Ulivi e, passando il torrente Cedron, entrò nell'orto del
Getsèmani. Ivi, parlando a tutti gli apostoli che lo seguivano, disse:
«Sedetevi qui, mentre io vado a pregare; e pregate anche voi per non
entrare in tentazione». Gesù diede loro questo avvertimento affinché
fossero perseveranti e forti nella fede di fronte alle tentazioni che
aveva predetto nella cena: essi si sarebbero scandalizzati in quella
notte al vederlo patire, e tutti quanti sarebbero stati investiti da
satana per essere gettati nell'inquietudine e nel turbamento con false
suggestioni, come era stato profetizzato che il pastore doveva essere
maltrattato e percosso, e le pecorelle dovevano essere disperse. Il
Maestro della vita, quindi, lasciando gli altri otto apostoli insieme,
prese con sé san Pietro, san Giovanni e san Giacomo, e con loro si
appartò in un luogo, dove non pote va essere visto né sentito dai
rimanenti. Restando con questi tre, alzò gli occhi verso l'eterno Padre,
lo adorò e lodò come era solito fare, e nel suo intimo elevò una
preghiera e una supplica perché si adempisse la profezia di Zaccaria.
Egli permetteva, così, alla morte di avvicinarsi a lui, che era
innocentissimo e senza peccato, e comandava alla spada della giustizia
divina di risvegliarsi sul pastore e sull'uomo, che era anche vero Dio,
per riversare su di lui tutta la sua asprezza, trafiggendolo fino a
togliergli la vita. A tal fine Gesù si offrì di nuovo al Padre per
soddisfare la sua giustizia, a riscatto di tutto il genere umano;
inoltre diede consenso ai tormenti della passione e morte di affliggerlo
proprio nella parte in cui la sua santissima umanità era sensibile. Da
quel momento in poi respinse ogni consolazione e ogni sollievo che gli
sarebbe potuto traboccare dalla parte insensibile, affinché con questa
rinuncia le sue pene e i suoi dolori giungessero al sommo grado del
patire. E l'Onnipotente concesse ed approvò tutto, secondo la volontà
della santissima umanità del Verbo.
1210. Questa supplica di Cristo espresse l'assenso che apri
le porte al mare della passione e dell'amarezza, perché entrassero con
impeto nella sua anima, come egli aveva detto per bocca di Davide. E
così incominciò a sentire paura ed angoscia, e tutto preso da questi
sentimenti disse ai tre apostoli: «La mia anima è triste fino alla
morte». E poiché queste parole e questa tristezza del nostro Redentore
racchiudono tanti misteri, fonte di insegnamento per noi, riferirò nel
modo in cui l'ho compreso qualcosa di ciò che mi è stato dichiarato. Sua
Maestà permise che la sua mestizia raggiungesse, sia per natura che per
miracolo, il sommo grado, proporzionatamente a tutta la parte sensibile
della sua umanità. E per il naturale desiderio di vivere non si
rattristò solo nella parte inferiore del suo essere, ma anche nella
parte superiore, con la quale considerava la riprovazione degli
innumerevoli uomini per cui doveva morire, conoscendola dai giudizi e
dai decreti imperscrutabili della giustizia divina. Questa fu la causa
della sua maggiore tristezza, come dirò in seguito. E non disse che era
mesto per la morte, ma fino alla morte, perché fu meno la tristezza
causata in lui dal naturale desiderio di vivere in vista della morte
così vicina che non quella di vedere la perdita dei reprobi. In verità, a
prescindere dalla necessità di questa morte per la redenzione umana, la
sua santissima volontà era pronta a vincere questa naturale brama per
lasciarci un insegnamento: si riteneva obbligato a patire per ricambiare
il beneficio di quella gloria che aveva ricevuto la sua umanità durante
la vita terrena, nel corso della trasfigurazione. In tal modo quello
che aveva ricevuto sarebbe stato bilanciato da quello che avrebbe
pagato. Noi così saremmo stati istruiti da questa dottrina per mezzo dei
tre apostoli, testimoni di quella gloria e di questa angoscia e scelti
proprio a tal fine: divulgare l'uno e l'altro mistero, che compresero
con una illuminazione particolare, data loro appositamente.
1211. Perché rimanesse soddisfatto l'immenso amore che il
nostro salvatore Gesù nutriva per noi, fu necessario che questa
misteriosa tristezza lo inondasse profondamente, in modo da farlo patire
fino al sommo grado; difatti, se così non fosse stato non sarebbe
rimasta appagata la sua carità, né si sarebbe potuto comprendere
chiaramente che questa non era estinguibile dalle molte acque delle
tribolazioni'°. Ed in uno stato di tale sofferenza il divin Maestro
esercitò questa carità verso i tre apostoli condotti con sé, i quali
erano turbati perché sapevano che già si avvicinava l'ora in cui egli
doveva patire e morire, secondo quello che aveva dichiarato loro in
tanti modi e per via di molte predicazioni. La viltà che essi soffrivano
li confondeva e li faceva vergognare, senza che avessero il coraggio di
manifestarla. Ma l'amantissimo Signore li prevenne palesando loro la
mestizia che avrebbe sofferto fino alla morte, affinché essi vedendolo
afflitto e pieno di angosce non si vergognassero di sentire le loro pene
e i timori da cui erano assaliti. La manifestazione della tristezza del
Signore a Pietro, Giovanni e Giacomo racchiudeva tuttavia un altro
mistero: essi, tra tutti gli altri, erano pieni di meraviglia, ammirando
il dominio che il loro Maestro aveva sopra le creature, e nutrivano un
concetto più sublime della sua divinità e della sua eccellenza come
anche della grandezza della sua dottrina, della santità delle sue opere e
della sua prodigiosa potenza nei miracoli. E perché fossero confermati
nella fede che egli era uomo vero e sensibile, fu conveniente che questi
tre apostoli fossero privilegiati dal favore di vederlo mesto ed
afflitto, come un semplice mortale, affinché nella loro testimonianza la
santa Chiesa fosse istruita contro gli errori che il demonio pretendeva
di seminare in seno ad essa sulla verità dell'umanità di Cristo nostro
salvatore, e noi fedeli ricevessimo questa consolazione quando ci
avessero afflitto le tribolazioni e fossimo stati oppressi
dall'amarezza.
1212. Illuminati interiormente i tre apostoli con questa
dottrina, l'Autore della vita soggiunse: «Restate qui e vegliate con
me». Con questo invito insegnava ad essi a mettere in pratica tutti gli
avvertimenti che aveva loro dato, e li ammoniva a rimanere saldi nei
suoi precetti e perseveranti nella fede; a non piegare dalla parte del
nemico e ad essere attenti e vigilanti per riconoscerlo e resistergli,
nell'attesa di vedere, superate le ignominie della passione,
l'esaltazione del suo nome. Il Signore, pronunciati questi consigli, si
allontanò per un certo tratto dal luogo dove si trovavano Pietro,
Giovanni e Giacomo, e prostratosi a terra con il suo divin volto pregò
il Padre eterno dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo
calice!». Cristo, nostro bene, elevò questa preghiera dopo essere sceso
dal cielo con la piena volontà di morire e patire per gli uomini; e
quindi abbracciò volontariamente la sua passione non curandosi
dell'atroce pena che gli avrebbe provocato e della gioia che gli era
posta innanzi. Corse così con ardentissimo amore verso la morte, gli
obbrobri, i dolori e le afflizioni, stimando in sommo grado gli uomini,
che aveva deciso di riacquistare con il prezzo del suo sangue. Ora,
poiché con la sua divina ed umana sapienza e con la sua inestimabile
carità dominava il timore naturale della morte, non sembra che questa
sola paura potesse motivare tale richiesta. Questo ho compreso nella
luce che mi è stata data intorno agli arcani misteri della preghiera del
nostro Salvatore.
1213. E per manifestare ciò che ho inteso, rendo noto che
in tale occasione il nostro redentore Gesù e l'eterno Padre trattavano
dell'impresa più ardua che Cristo dovesse svolgere, quale era la
redenzione umana, frutto della passione e della sua morte di croce, per
l'occulta predestinazione dei santi. Ed in questa preghiera il divin
Maestro presentò all'Onnipotente i suoi tormenti, il suo sangue
preziosissimo e la sua morte, che offriva per tutti i mortali, come
prezzo sovrabbondante per ciascuno di quelli già nati e di quelli che
sarebbero nati sino alla fine del mondo. Da parte del genere umano
presentò tutti i peccati, le infedeltà, le ingratitudini e gli oltraggi
che i malvagi avrebbero commesso per rendere inutile la sua obbrobriosa
morte, da lui accettata e sofferta per loro e per quelli che in effetti
sarebbero stati condannati alla pena eterna per non aver approfittato
della sua clemenza. E benché morire per gli amici e per i predestinati
fosse al nostro Salvatore benaccetto, e come desiderabile, patire e
morire per i reprobi gli era molto amaro e penoso, poiché per loro non
vi era un fine per cui il Signore soffrisse fino alla morte. Sua Maestà
chiamò questo dolore calice: il nome con cui gli ebrei designavano ciò
che era causa di molta angoscia e di grande pena. Difatti, lo stesso
Gesù ne aveva fatto uso, con questo significato, parlando con i figli di
Zebedeo, quando aveva chiesto loro se anch'essi avrebbero potuto bere
il calice come egli avrebbe dovuto fare. Questo calice per Cristo nostro
bene fu molto più amaro, in quanto comprese che la sua passione e morte
per i reprobi non solo sarebbe stata senza frutto, ma occasione di
scandalo ridondando per loro in maggior pena e castigo per averla
disprezzata e per non averne tratto il frutto che avrebbero dovuto.
1214. Ho dunque compreso che la preghiera di Cristo nostro
Signore consistette nel chiedere al Padre che passasse da lui il calice
amarissimo di morire per i reprobi e che - essendo ormai inevitabile la
morte - nessuno, se fosse stato possibile, si perdesse. La redenzione
che egli offriva era sovrabbondante per tutti, e per quanto dipendeva
dalla sua volontà egli l'applicava a tutti affinché a tutti giovasse
efficacemente. Ma se ciò non fosse stato possibile rimetteva la sua
santissima volontà in quella dell'eterno Padre. Il nostro Salvatore
ripeté questa supplica per tre volte`, ad intervalli, pregando a lungo
in preda all'angoscia, come dice san Luca, e come richiedeva la
grandezza e l'importanza del caso trattato. A nostro modo di intendere
si verificò in questo frangente una specie di contesa tra la santissima
umanità di Cristo e la sua divinità: l'una, per l'intimo amore che
portava agli uomini della sua stessa natura, desiderava che tutti per
mezzo della sua passione conseguissero la salvezza eterna; l'altra
faceva presente che, per i suoi altissimi giudizi, era già prestabilito
il numero dei predestinati, e conformemente all'equità della sua
giustizia non si doveva concedere il beneficio a chi tanto lo
disprezzava con libera volontà e si rendeva indegno della vita
dell'anima, resistendo a chi gliela procurava ed offriva. Da questo
conflitto scaturirono l'amarezza di Cristo e la lunga preghiera che
recitò invocando il potere del suo eterno Padre, essendo tutte le cose
possibili alla sua infinita maestà e grandezza.
1215. L'agonia del nostro Salvatore si intensificò in virtù
del grande amore che nutriva per noi e della resistenza che prevedeva
sarebbe stata posta al conferimento a tutti gli uomini dei frutti della
sua passione e morte. Ed allora arrivò a sudare abbondantemente grosse
gocce di sangue, che caddero fino a terra. E benché la sua supplica
fosse condizionata e non gli fosse concesso ciò che chiedeva, in
particolare per i reprobi, ottenne che gli aiuti fossero grandi e
frequenti per tutti i mortali e si moltiplicassero in chi li avesse
accolti senza frapporre ostacolo. Inoltre ottenne che i giusti e i santi
partecipassero con sovrabbondanza del frutto della redenzione e fossero
arricchiti copiosamente di doni e grazie di cui i reprobi si sarebbero
resi indegni. Pertanto la volontà umana di Cristo conformandosi a quella
divina accettò la passione per tutti: per i reprobi, in modo
sufficiente, perché fossero loro dati gli aiuti necessari, se avessero
voluto approfittarne; per i predestinati, nella forma più piena ed
efficace, perché avrebbero cooperato alla grazia. Così restò predisposta
e quasi effettuata la salvezza del corpo mistico della santa Chiesa,
sotto il suo capo e suo artefice, Cristo nostro bene.
1216. Ora, a compimento di questo divino decreto, poiché
sua Maestà si trovava per la terza volta a pregare in preda
all'angoscia, l'eterno Padre inviò il santo arcangelo Michele affinché
lo confortasse nei sensi corporali, dichiarandogli sensibilmente ciò che
lo stesso Signore già sapeva con la scienza della sua santissima anima.
Difatti, niente avrebbe potuto dirgli l'angelo che il Signore non
sapesse, come anche nessun altro effetto avrebbe potuto operare nel suo
intimo per questo suo intento. Tuttavia, come si è già detto, poiché
Cristo aveva sospeso il sollievo che dalla sua onniscienza sarebbe
potuto ridondare nella sua santissima umanità, lasciandola per quanto
possibile patire in sommo grado come poi egli disse sulla croce,
ricevette allora un altro conforto nella parte sensitiva con il
messaggio del santo arcangelo. E questo conforto fu un'esperienza nuova
che mosse in lui i sensi e le facoltà naturali. Ciò che san Michele
disse da parte dell'eterno Padre consistette nel dichiarare e far
percepire a Gesù che non era possibile - come sua Maestà sapeva - che si
salvassero coloro che non lo volevano. Nella giustificazione divina
aveva tanta rilevanza il numero dei predestinati, benché fosse minore di
quello dei reprobi; e tra quelli era compresa la sua santissima Madre,
la quale era degno frutto della sua redenzione e oggetto di invocazione
dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei martiri, delle vergini e
dei confessori, i quali si sarebbero molto distinti nel suo amore ed
avrebbero operato strepitosi prodigi per esaltare il santo nome
dell'Altissimo. Tra tutti questi l'angelo gli nominò, dopo gli apostoli,
anche i fondatori degli ordini religiosi, con il carisma proprio a
ciascuno; inoltre gli manifestò o riferì altri grandi ed arcani misteri,
che non è necessario dichiarare, né io ho l'ordine di farlo, poiché
quanto ho già detto è sufficiente per proseguire la narrazione di questa
Storia.
1217. Gli evangelisti riportano che nel recitare
quest'accorata supplica, durante le pause, il nostro Salvatore si recava
a visitare gli apostoli e ad esortarli che vegliassero, pregassero e
non entrassero in tentazione. Egli fece ciò per sollecitare i prelati
della sua Chiesa a pascere il gregge loro affidato. E difatti, se per
aver cura di essi il vigilantissimo pastore lasciò la preghiera che gli
stava tanto a cuore, in questa sua premura rimane implicitamente
dichiarato quello che devono fare i prelati e quanto debbano posporre
gli affari e gli interessi alla salvezza dei fedeli. E perché si
comprenda il bisogno che avevano gli apostoli di essere visitati da sua
Maestà, avverto che il dragone infernale dopo che fu cacciato dal
cenacolo, come ho detto sopra, rimase per qualche tempo afflitto e
affranto nelle voragini dell'abisso; poi ebbe però il permesso di
uscirne, perché la sua malizia doveva servire per l'esecuzione dei
decreti del Signore. Immediatamente con molti demoni si avventò su Giuda
per impedirgli - nel modo che ho già esposto - la vendita di Gesù, ma
non potendo dissuaderlo si diresse contro gli apostoli, perché
sospettava che nel cenacolo questi avessero ricevuto dal loro Maestro
grandi favori, che egli desiderava scoprire per distruggerli, se avesse
potuto. Il nostro Salvatore vide la crudeltà e il furore del principe
delle tenebre e dei suoi ministri, e come padre amantissimo, supremo e
vigilante si premurò di avvertire i suoi piccoli figli, seguaci alle
prime armi, quali erano gli apostoli. Li svegliò e comandò loro che
pregassero e stessero desti contro i nemici, perché non cadessero nella
tentazione che nascostamente li minacciava e che essi non prevedevano né
avvertivano.
1218. Il divin Maestro ritornò, dunque, nel luogo dove
stavano i tre apostoli, ma li trovò che dormivano per essersi lasciati
vincere dal tedio e dalla tristezza che pativano, nonostante come uomini
prescelti fossero maggiormente tenuti a stare svegli e ad imitarlo.
Vennero a cadere invece in quella tiepidezza di spirito in cui furono
vinti dal sonno e dalla pigrizia. Prima di svegliarli per parlare con
loro, sua Maestà si fermò a guardarli e pianse un po' vedendoli, per la
loro negligenza, sepolti ed oppressi da quell'ombra di morte, mentre
appunto Lucifero stava in agguato su di essi. Disse allora a Pietro:
«Simone, così dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola con me?». E
quindi soggiunse a lui ed agli altri: «Vegliate e pregate per non
entrare in tentazione, perché i miei e vostri nemici non dormono come
fate voi». Cristo nostro bene riprese san Pietro non solamente perché
egli era capo ed eletto come superiore di tutti gli altri, e perché tra
loro si era distinto nel protestare con fervore, dicendo che sarebbe
stato disposto anche a morire per lui e che non lo avrebbe rinnegato
quando anche tutti gli altri scandalizzati fossero stati sul punto di
abiurare, ma anche perché con quei propositi e con quelle offerte, che
allora egli aveva fatto di vero cuore, aveva meritato fra tutti di
essere ripreso ed avvertito. Il Signore senza dubbio corregge quelli che
amai' e si compiace sempre dei buoni propositi, anche se possono venir
meno nell'esecuzione come accadde a san Pietro, il più fervoroso dei
Dodici. Nel capitolo seguente parlerò della terza volta in cui Cristo
nostro salvatore tornò di nuovo indietro a svegliare tutti gli apostoli,
cioè di quando Giuda era prossimo a consegnarlo ai suoi nemici.
1219. Frattanto, la Signora dei cieli si era ritirata nel
cenacolo in compagnia delle pie donne, e nella divina luce vedeva con
somma chiarezza tutte le opere e i misteri del suo santissimo Figlio
nell'orto, senza che le fosse nascosta alcuna cosa. Nello stesso tempo
in cui il Signore si ritirò con i tre apostoli, Pietro, Giovanni e
Giacomo, anche la divina Regina si appartò in una stanza con le tre
Marie. Lasciò così il resto delle sante donne, di cui Maria Maddalena
era stata designata come superiora, esortandole a pregare ed a vegliare
per non cadere in tentazione. Con le tre donne a lei più familiari
supplicò invece l'eterno Padre che le sospendesse ogni sollievo e ogni
consolazione che le impedisse di patire in sommo grado, sia nella parte
fisica che in quella spirituale, a imitazione del suo santissimo Figlio,
affinché nel suo corpo verginale avvertisse lo strazio delle piaghe e
dei tormenti che lo stesso Gesù doveva patire. Questa richiesta fu
esaudita dalla santissima Trinità; pertanto la Madre sentì tutti i
dolori del proprio Figlio, come si dirà in seguito. E benché da una
parte questi fossero tali da farla più volte morire, se la destra
dell'Altissimo non l'avesse miracolosamente preservata, dall'altra,
siccome furono dati a lei dalla mano del Signore, agirono da sostegno e
conforto della sua vita, perché nel suo ardente e sconfinato amore
sarebbe stata più violenta la pena di veder patire e morire il suo
benedetto Unigenito senza soffrire con lui.
1220. La Regina scelse le tre Marie perché l'accompagnassero e
l'assistessero nella passione, e a tal fine esse furono istruite sui
misteri di Cristo con grazia e cognizione maggiore rispetto alle altre
donne. Ritiratasi con queste tre, la purissima Madre incominciò
nuovamente a sentire tristezza ed angoscia e disse: «L'anima mia è
afflitta perché deve patire e morire il mio amato figlio e Signore, ed
io non posso morire con lui e con gli stessi tormenti. Pregate, o amiche
mie, affinché non vi sorprenda la tentazione». Proferite queste parole,
si allontanò un poco da loro e, accompagnando la preghiera del nostro
Salvatore nell'orto, elevò la stessa supplica nel modo che conveniva a
lei e conformemente a quanto conosceva della volontà umana del suo
santissimo Figlio. Ma la Regina dei cieli, sapendo lo sdegno che il
dragone nutriva anche contro le tre donne, ritornava, come Cristo con
gli apostoli, ad esortarle per continuare poi l'orazione del Salvatore,
vivendo la sua stessa agonia. Pianse anche la condanna dei reprobi,
perché le furono manifestati grandi misteri sull'eterna predestinazione e
riprovazione. E per imitare in tutto il Redentore del mondo, e
cooperare con lui, la divina Signora giunse ad avere un sudore di
sangue, simile a quello di Cristo. Per disposizione della santissima
Trinità le fu così inviato l'arcangelo san Gabriele per confortarla,
come fu mandato san Michele al nostro Salvatore. Il santo principe
dichiarò a Maria la volontà dell'Altissimo con le stesse parole che san
Michele proferì a Gesù. E così la Madre ed il Figlio furono simili
nell'operare e nel conoscere, nella misura che conveniva a ciascuno,
poiché in entrambi furono identiche la preghiera e la causa del dolore e
della tristezza che soffrirono. Ho compreso che in questa circostanza
la prudentissima Signora teneva pronti dei teli per tutto ciò che nella
passione doveva succedere al suo amantissimo Figlio; ed allora inviò
nell'orto, dove il Signore stava sudando sangue, alcuni dei suoi angeli
perché, con uno di questi panni, asciugassero e tergessero il suo
venerabile viso. I ministri dell'Altissimo poterono eseguire tale
compito poiché sua Maestà per amore e maggior merito della Madre
accondiscese a questo pietoso e tenero affetto. Giunta poi l'ora in cui
il nostro Salvatore doveva essere catturato, l'addolorata Madre avvisò
le tre Marie: tutte ne fecero lamento con amarissimo pianto, ma si
distinse in modo particolare la Maddalena, perché più delle altre era
infiammata di amore e di fervorosa carità.
Insegnamento della Regina del cielo
1221. Figlia mia, tutto quello che hai inteso e raccolto in
questo capitolo è un richiamo e un avviso di somma importanza per tutti
i mortali e per te, se saprai trarre ed applicare la giusta
considerazione. Rifletti, dunque, e medita nel tuo intimo quanto debba
stare a cuore la questione della predestinazione o riprovazione eterna
delle anime che il mio santissimo Figlio trattò con tanta ponderazione.
Difatti, la difficoltà o l'impossibilità che tutti gli uomini fossero
salvi e beati gli rese oltremodo amara la passione e morte che accettò e
patì per la redenzione di tutti. In questo conflitto interiore, egli
manifestò il valore e l'importanza di questa impresa; e perciò
moltiplicò le preghiere e le suppliche al suo eterno Padre, spingendosi
per amore degli uomini fino a sudare copiosamente il suo sangue
d'inestimabile prezzo, perché la sua morte non avrebbe potuto essere
applicata fruttuosamente a tutti, per la malizia con la quale i reprobi
se ne sarebbero resi indegni. Il mio figlio e Signore ha giustificato la
sua causa nell'aver procurato a tutti la salvezza senza limiti, con il
suo sconfinato amore e con i suoi meriti; e l'eterno Padre l'ha
giustificata nell'aver dato al mondo la redenzione, che ha posto in
potere di ciascuno, affinché chiunque, a suo libero arbitrio, stenda la
mano o alla vita o alla morte, o all'acqua o al fuoco conoscendo la
distanza che intercorre fra loro.
1222. Ma quale scusa o discolpa pretenderanno di presentare
gli uomini per essersi dimenticati della propria eterna salvezza,
quando mio Figlio ed io con l'Onnipotente la desiderammo ardentemente
per essi e ci prodigammo con tanta cura ed affetto affinché
l'accettassero? E se nessuno dei mortali trova giustificazione per la
propria accidia e la propria stoltezza, ancor meno la troveranno nel
giorno del giudizio i figli della santa Chiesa, che hanno ricevuto la
fede in questi mirabili sacramenti e che durante la vita differiscono
solo di poco dagli infedeli e dai pagani. Non credere, figlia mia, che
sia stato scritto invano che molti sono i chiamati e pochi gli eletti.
Temi questa sentenza, e rinnova nel tuo cuore la sollecitudine e lo zelo
per la tua salvezza, considerandoti ancor più obbligata per la maggior
conoscenza che hai ricevuto su misteri così eccelsi. Ed anche se tu non
avessi alcun interesse per la vita eterna e per la tua felicità,
ciononostante dovresti sentirti mossa a corrispondere all'amorevolezza
con la quale ti manifesto tanti e così divini segreti. E poiché ti
chiamo mia figlia e sposa del mio Signore, devi comprendere che il tuo
compito deve essere amare e patire senza alcuna attenzione alle cose
visibili. Io, che sempre impiegai le mie facoltà con grande zelo in
queste due azioni, ti invito ad imitarmi e, affinché tu giunga a
seguirmi, voglio che la tua preghiera sia continua, senza sosta, e che
vegli un'ora con me. E quest'ora deve essere tutto il tempo della vita
mortale, perché paragonata all'eternità è meno che un'ora, anzi un
momento. Con questa disposizione, voglio che tu prosegua nella
venerazione dei misteri della passione, e che li scriva, li senta e li
imprima nel tuo cuore.