Scrutatio

Domenica, 19 maggio 2024 - San Celestino V - Pietro di Morrone ( Letture di oggi)

7-54 Ottobre 14, 1906 La stima propria avvelena la Grazia. Purgatorio d’un anima per aver trascurato la comunione.

La Divina Volontà - Libro 7°

7-54 Ottobre 14, 1906 La stima propria avvelena la Grazia. Purgatorio d’un anima per aver trascurato la comunione.
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(1) Trovandomi nel solito mio stato mi sono trovata fuori di me stessa con Gesù bambino, e pareva che diceva ad un sacerdote:

(2) “La stima propria avvelena la Grazia in te e negli altri, perché dovendo per il tuo uffizio somministrare la Grazia, se le anime avvertono, ché facilmente si avverte quando c’è questo veleno, che quello che dici e fai lo fai per essere stimato, già la Grazia non entra sola, ma insieme col veleno che hai tu; quindi, invece di risorgere alla vita, trovano la morte”.

(3) Poi ha soggiunto: “E’ necessario vuotarsi di tutto per poterti riempire del Tutto che è Iddio, e tenendo in te il Tutto, darai il Tutto a tutti quelli che verranno da te, e dando il Tutto agli altri, troverai tutto a tua disposizione, in modo che nessuno saprà negarti niente, neanche la stima, anzi da umana l’avrai divina, qual si conviene al Tutto che abita in te”.

(4) Dopo ciò vedevo un anima del purgatorio che vedendoci, si nascondeva e ci sfuggiva, ed era tale il rossore che provava che rimaneva come schiacciata. Io sono rimasta stupita, che invece di correre al bambino, sfuggiva, Gesù è scomparso ed io mi sono avvicinata domandandole la cagione di ciò, ed essa era tanto vergognosa che non poteva dir parola, ed avendola costretto mi ha detto:

(5) “Giusta giustizia di Dio, che ha suggellato sulla mia fronte la confusione e tale timore della sua presenza, che sono costretta a fuggirlo, agisco contro il mio stesso volere, ché mentre mi consumo di volerlo, un altra pena m’inonda e lo sfuggo. Oh! Dio, vederlo e fuggirlo, sono pene mortali ed inesprimibili. Però, mi ho meritato queste pene distinte dalle altre anime, ché facendo io vita devota, abusai molte volte di non fare la comunione per cose da niente, per tentazioni, per freddezze, per timori, ed anche qualche volta per poter portare ragioni al confessore e farmi sentire che non facevo la comunione. Dalle anime si tiene un niente tutto questo, ma Iddio ne fa severissimo giudizio, dandole pene che superano le altre pene, perché sono difetti più diretti all’amore. Oltre di tutto ciò, Gesù Cristo nel santissimo sacramento brucia d’amore e dal desiderio di darsi alle anime, si sente morire continuamente d’amore, e l’anima potendo accostarsi a riceverlo, e non facendolo, anzi se ne sta indifferente con tante inutili pretesti, è un’affronto e un dispiacere tale che Lui riceve, che si sente smaniare, bruciare, e alle sue vampe non può dare sfogo, si sente come soffocare dal suo amore, senza che trovi a chi farne parte, e quasi impazzito va ripetendo:

(6) “Gli eccessi dei miei amori non sono curati, anzi dimenticati, anche quelle che si dicono mie spose non hanno ansia di ricevermi e di farmi sfogare almeno con loro, ah! in niente sono contraccambiato. Ahi! ahi! ahi! non sono amato! non sono amato!”

(7) Ed il Signore per farmi purgare da questo difetto, mi ha fatto parte della pena che Lui soffre quando le anime non lo ricevono. E’ una pena, è un cruccio, è un fuoco che paragonato allo stesso fuoco del purgatorio, si può dire che questo è un niente”.

(8) Dopo ciò, mi sono trovata in me stessa, tutta stupita pensando alla pena di quell’anima, mentre da noi si tiene veramente come un niente il lasciare la santa comunione.