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Martedi, 28 maggio 2024 - Santi Emilio, Felice, Priamo e Feliciano ( Letture di oggi)

21-3 Marzo 3, 1927 Dove regna il Divin Volere chiama Iddio insieme nel suo operare. L’offerta a Dio delle proprie azioni le purifica e le desinfetta.

La Divina Volontà - Libro 21°

21-3 Marzo 3, 1927 Dove regna il Divin Volere chiama Iddio insieme nel suo operare. L’offerta a Dio delle proprie azioni le purifica e le desinfetta.
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(1) Stavo offerendo i miei piccoli atti come omaggio d’adorazione e d’amore al Supremo Volere, e pensavo tra me: “Ma è proprio vero che ciò che fa l’anima che fa la Divina Volontà, fa lo stesso Dio? Qual gloria può avere che avendo offerto a Lui il mio piccolo lavoro e tutto ciò che posso fare, lo venga a fare insieme con me?” Ed il mio dolce Gesù movendosi nel mio interno mi ha detto:

(2) “Figlia mia, non mi senti in te che stò seguendo gli atti tuoi? Perché dove regna la mia Volontà, tutte le cose, anche più piccole e naturali, si convertono in diletto per Me e per la creatura, perché sono effetto d’una Volontà Divina regnante in lei, che non sà uscire da Sé neppure l’ombra d’infelicità alcuna. Anzi tu devi sapere che nella Creazione il nostro Fiat Supremo stabilì tutti gli atti umani, investendoli di diletto, di gioia e di felicità; sicché lo stesso lavoro non doveva fare nessun peso all’uomo, né dargli ombra di stanchezza, perché possedendo il mio Volere possedeva la forza che mai stanca e viene meno. Vedi, anche le cose create sono simbolo di ciò, si stanca forse il sole di dare sempre la sua luce? Certo che no; si stanca il mare di mormorare continuamente, di formare le sue onde, di nutrire e moltiplicare i suoi pesci? Certo che no; si stanca il cielo a stare sempre disteso, la terra a fiorire? Certo che no. Ma perché non si stancano? Perché c’è dentro di loro la potenza del Fiat Divino, che tiene la forza che non si esaurisce mai. Quindi tutti gli atti umani entrano nell’ordine di tutte le cose create e tutte ricevevono l’impronta della felicità: Il lavoro, il cibo, il sonno, la parola, lo sguardo, il paso, tutto. Ora finchè l’uomo si mantenne nel nostro Volere, si mantenne santo e sano, pieno di vigore e di energia instancabile, capace di gustare la felicità dei suoi atti e di felicitare Colui che gli dava tanta felicità. Come si sottrasse, cadde malato e perdette la felicità, la forza instancabile, la capacità ed il gusto di gustare la felicità degli atti suoi, che il Divin Volere con tanto amore aveva investito. Questo succede anche tra chi è sano e tra chi è malato: Il primo gusta il cibo, lavora con più energia, prende piacere nel divertirsi, nel passeggiare, nel chiaccherare; il malato si disgusta del cibo, non sente forza di lavorare, s’anoia dei divertimenti, l’infastidiscono le chiacchere, tutto gli fa male; la malattia ha cambiato la sua natura, gli atti suoi in dolori. Ora supponi che il malato ritornasse nel vigore della sua salute, si ripristinerebbe nelle forze, nel gusto, in tutto. Sicché la causa della sua malattia è stato l’uscire dalla mia Volontà. Il ritornare e farla regnare sarà causa che ritorni l’ordine della felicità negli atti umani e farla prendere la sua attitudine negli atti della creatura. E come offre il suo lavoro, il cibo che prende, e tutto ciò che fa, da dentro quei atti umani si sprigiona la felicità messa dal mio Volere in quei atti e sale al suo Creatore per dargli la gloria della sua felicità. Ecco perciò dove regna la mia Volontà, non solo mi chiama insieme con lei ad operare, ma mi dà l’onore, la gloria di quella felicità con cui investimmo gli atti umani. Ed ancorché la creatura non possedesse tutta la pienezza dell’unità della luce della mia Volontà, purchè offra tutti gli atti suoi al suo Creatore come omaggio ed adorazioni, siccome la malata è lei, non Dio, Iddio riceve la gloria della felicità dei suoi atti umani. Supponi un’amalato che facese un lavoro, oppure un cibo suo, lo prendesse e lo dasse ad uno ch’è sano, questo che gode la pienezza della salute non avverte nulla, né della stanchezza di quel lavoro, né lo stento che l’ammalato ha sentito nel farlo, né il disgusto di quel cibo che avrebbe sentito se l’avessi preso l’infermo, anzi gode nella pienezza della sua sanità del bene, della gloria e della felicità che le porterà quel lavoro e gusta il cibo che le è stato offerto. Così l’offerta delle propie azioni purifica, desinfetta le azioni umane e Dio riceve la gloria a Lui dovuta e per contracambio fa scendere nuove grazie sopra colei che offre a Lui le sue azioni”.