Scrutatio

Domenica, 19 maggio 2024 - San Celestino V - Pietro di Morrone ( Letture di oggi)

2-82 Ottobre 14, 1899 Gesù dice come sono necessari i castighi, e parla in modo commovente della speranza.

La Divina Volontà - Libro 2°

2-82 Ottobre 14, 1899 Gesù dice come sono necessari i castighi, e parla in modo commovente della speranza.
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(1) Questa mattina mi sentivo un po’ turbata e tutta annientata in me stessa. Mi vedevo come se il Signore mi volesse discacciare da Sé. Oh Dio! che pena straziante è mai questa! Mentre mi trovavo in tale stato, il benedetto Gesù è venuto con una cordicella in mano e percotendo il mio cuore tre volte, mi ha detto:

(2)Pace, pace, pace, non sai tu che il regno della speranza è regno di pace, ed il diritto di questa speranza è la giustizia? Tu, quando vedi che la mia giustizia si arma contro le gente, entra nel regno della speranza ed investendoti delle qualità più potenti che lei possiede, sali fin sul mio trono e fa’ quanto puoi per disarmare il braccio armato; e questo lo farai con le voci più eloquenti, più tenere, più pietose, con le ragioni più possenti, con le preghiere più calde, che la stessa speranza ti detterà. Ma quando vedi che la stessa speranza sta per sostenere certi diritti di giustizia che sono assolutamente necessari, e che volerli cedere sarebbe un voler far affronto a sé stessa, ciò che non può mai essere, allora conformati a Me e cedi alla giustizia”.

(3) Ed io, più che mai atterrita, ché dovevo cedere alla giustizia, gli ho detto: “Ah, Signore, come posso far ciò? Ah! che mi pare impossibile, il solo pensiero che dovete castigare le gente, perché tue immagini, non posso tollerarlo, almeno fossero creature che non appartengano a Voi. Eppure, questo è niente, ma quello che più mi strazia è che devo vedere Voi stesso, quasi sto per dire, colpito da Voi stesso, schiaffeggiato, flagellato, addolorato da Voi stesso, perché i castighi scenderanno sopra le tue stesse membra, non sopra le altre, e quindi Voi stesso verrai a soffrire. Dimmi, mio solo ed unico Bene, come potrà resistere il mio cuore a vedervi soffrire, colpito da Voi stesso? Che vi fanno soffrire le creature, sono sempre creature ed è più tollerabile, ma questo è tanto duro, che non posso ingoiarlo, perciò non posso conformarmi teco, né cedere”.

(4) E Lui, impietosendosi e tutto intenerendosi di questo mio dire, prendendo un aspetto afflitto e benigno, mi ha detto:

(5)Figlia mia, tu hai ragione che resterò colpito nelle mie stesse membra, tanto che nel sentirti parlare, tutte le mie viscere me le sento commosse e muovere a misericordia ed il cuore me lo sento spezzare per tenerezza. Ma credi a Me, che sono necessari i castighi, e se tu non vuoi vedermi colpito adesso un poco, mi vedrai colpito di poi più terribilmente, perché più mi offenderanno, e questo non ti dispiacerebbe di più? Perciò conformati meco, altrimenti mi costringerai, per non vederti dispiaciuta, a non dirti più niente, e con questo mi verrai a negarmi il sollievo che prendo nel conversare con te. Ah! si, mi ridurrai al silenzio, senza avere con chi sfogare le mie pene”.

(6) Chi può dire quanto sono restata amareggiata da questo suo dire? E Gesù, volendomi quasi distrarre dalla mia afflizione, ha ripreso il suo dire sulla speranza, dicendomi:

(7)Figlia mia, non ti turbare, la speranza è pace; e siccome Io, nell’atto stesso che faccio giustizia sto nella più perfetta pace, così tu, immergendoti nella speranza, statti nella pace. L’anima che sta nella speranza, col volersi affliggere, turbare, sconfidare, incorrerebbe nella sventura di colei che, mentre possiede milioni e milioni di monete, ed anche è regina di vari regni, va fantasticando e menando lamenti, dicendo: “Di che devo vivere? Come devo vestirmi? Ahi! mi muoio dalla fame! Sono ben infelice! Mi ridurrò alla più stretta miseria e finirò col perire”. E mentre ciò dice, piange, sospira e passa i suoi giorni triste, squallida, immersa nella più grande mestizia. E questo non è tutto, quel che è peggio di costei, che se vede i suoi tesori, se cammina nei suoi poderi, invece di gioirne, più si affligge pensando al suo fine venturo e vedendo il cibo non lo vuole toccare per sostenersi, e se qualcuno vuole persuaderla col farla toccare con mano mostrandole sue ricchezze, e che ciò non può essere, che si ridurrà alla più stretta miseria, non si convince, rimane sbalordita, e più piange la sua triste sorte. Or, che si direbbe di costei, dalle gente? Che è pazza, si vede che non ha ragione, ha perduto il cervello; la ragione è chiara, non può essere diversamente. Eppure, può darsi che questa tale possa incorrere nella sventura che va fantasticando; ma in che modo? Con uscire dai suoi regni, abbandonando tutte le sue ricchezze andasse in terre straniere, in mezzo a gente barbara, che nessuno si benignerà di darle una briciola di pane. Ed ecco che la fantasia si è verificata; ciò che era falso, ora è verità. Ma chi n’è stato la causa? Chi incolparene di un cambiamento di stato sì triste? La sua perfida ed ostinata volontà. Tale è appunto un’anima che si trova in possesso della speranza: il volersi turbare, scoraggiare, già è la più grande pazzia”.

(8) Ed io: “Ah! Signore, come può essere che l’anima possa stare sempre in pace, vivendo nella speranza? E se l’anima commette qualche peccato, come può stare in pace?”

(9) E Gesù: “Nell’atto che l’anima pecca, già esce dal regno della speranza, giacché peccato e speranza non possono stare insieme. Ogni ragione ritiene che ognuno è obbligato di rispettare, conservare, coltivare ciò che è suo, chi è quell’uomo che va nei suoi terreni e vi brucia ciò che possiede? Chi è che non tiene gelosamente custodita la sua roba? Credo nessuno. Ora, l’anima che vive nella speranza, col peccato offende già la speranza, e se stesse in suo potere, brucerebbe tutti i beni che possiede la speranza, ed allora si troverebbe nella sventura di quella tale che, abbandonando i suoi beni, va a vivere in terre straniere. Così l’anima, col peccato, uscendo da questa madre paciera, della speranza sì tenera e pietosa, che giunge ad alimentarla con le sue stesse carni, qual è Gesù in Sacramento, oggetto primario di nostra speranza, si va a vivere in mezzo a gente barbara, quali sono i demoni, che negandole ogni minimo ristoro, non l’alimentano d’altro che di veleno, qual è il peccato. Eppure, questa madre pietosa, che fa? Mentre l’anima si allontana da lei, se ne starà forse indifferente? Ah! no, piange, prega, la chiama con le voci più tenere, più commoventi, le va appresso ed allora si contenta quando la riconduce nel suo regno”.

(10) Il mio dolce Gesù continua a dirmi: “La natura della speranza è pace, e ciò che lei è per natura, l’anima che vive nel seno di questa madre paciera lo consegue per grazia”.

(11) E nell’atto stesso che Gesù benedetto dice queste parole, con una luce intellettuale mi fa vedere sotto una similitudine di una madre, ciò che ha fatto questa speranza per l’uomo. Oh! che scena commovente e tenerissima, che se tutti la potessero vedere, piangerebbero di compunzione anche i cuori più duri e tutti si affezionerebbero tanto, che riuscirebbe impossibile distaccarsi per un solo momento dalle sue ginocchia materne. Ed ecco che provo a dire ciò che comprendo e posso:

(12) L’uomo viveva incatenato, schiavo del demonio, condannato alla morte eterna, senza speranza di poter rivivere all’eterna vita; tutto era perduto ed andata in rovina la sua sorte. Questa Madre viveva nell’Empireo, unita col Padre e lo Spirito Santo, beata, felice con Loro; ma pareva che non fosse contenta, voleva i suoi figli, le sue care immagini intorno a lei, l’opera più bella uscita dalle sue mani. Ora, mentre stava nel Cielo, il suo occhio era intento all’uomo, che va perduto sulla terra. Ella tutta si occupa per il modo come salvare questi suoi amati figli, e vedendo che questi figli non possono assolutamente soddisfare alla Divinità, anche a costo di qualunque sacrificio, perché molto inferiori ad Essa, che cosa fa questa Madre pietosa? Vede che non c’è altro mezzo per salvare questi figli, che dare la propria vita per salvare la loro, e prendere sopra di sé le loro pene e miserie e fare tutto ciò che loro dovevano fare per loro stessi. Onde, che pensa di fare? Si presenta innanzi alla divina giustizia questa Madre amorosa, con le lacrime agli occhi, con le voci più tenere, con le ragioni più potenti che il suo magnanimo cuore le detta, e dice: “Grazie vi chiedo per i miei perduti figli, non mi regge l’animo di vederli da me separati, a qualunque costo voglio salvarli, e sebbene veggo non esserci altro mezzo che mettere la mia propria vita, la voglio mettere pure perché riacquistino la loro. Che cosa volete da loro? Riparazione? Vi riparo Io per loro. Gloria, onore? Vi glorifico ed onoro Io per loro. Ringraziamento? Vi ringrazio Io. Tutto ciò che volete da loro, ve lo faccio Io, purché li possa avere insieme con Me a regnare”.

(13) La Divinità ne resta commossa nel vedere le lacrime, l’amore di questa Madre pietosa, e convinta dalle sue ragioni potenti, si sente inclinata ad amare questi figli e ne piangono insieme la loro sventura, e concordemente concludono che accettano il sacrificio della vita di questa Madre, restandone pienamente soddisfatti, per riacquistare questi figli. Non appena è firmato il decreto, scende immantinente dal Cielo e viene sulla terra, e deponendo le sue vesti regali che aveva nel Cielo, si veste delle miserie umane, come se fosse la più vilissima schiava e vive nella povertà più estrema, nelle sofferenze più inaudite, nei disprezzi più insopportabili alla umana natura; non fa altro che piangere ed intercedere per i suoi amati figli. Ma quello che più fa stupire, e di questa Madre e di questi figli, è che mentre lei ama tanto questi figli, questi, invece di ricevere questa Madre a braccia aperte, che veniva per salvarli, ne fanno il contrario. Nessuno la vuole ricevere né riconoscere, anzi la fanno andare raminga, la disprezzano ed incominciano a macchinare come uccidere questa Madre sì tenera e svisceratamente amante di loro. Che farà questa Madre sì tenera nel vedersi così malamente corrisposta dai suoi ingrati figli? Si arresterà Ella? Ah! no, anzi, più si accende di amore per loro e corre da un punto all’altro per riunirli e metterglieli in grembo. Oh! come fatica, come stenta, fino a gocciolare sudore, non solo d’acqua, ma anche di sangue! Non si dà un momento di tregua, sta sempre in attitudine per operare la loro salvezza, provvede a tutti i loro bisogni, rimedia a tutti i loro mali passati, presenti e futuri; insomma, non c’è cosa che non ordine e disponga per loro bene.

(14) Ma che cosa fanno questi figli? Si sono forse pentiti dell’ingratitudine che fecero nel riceverla? Hanno mutato i loro pensieri in favore di questa Madre? Ah! no, la guardano di malocchio, la disonorano con le calunnie più nere, le procurano obbrobri, disprezzi, confusioni, la battono con ogni sorta di flagelli, riducendola tutta una piaga, e finiscono col farla morire con una morte, la più infame che trovar si potesse, in mezzo a crudeli spasimi e dolori. Ma che cosa fa questa Madre in mezzo a tante pene? Odierà forse questi figli sì discoli e protervi? Ah! mai no, allora più che mai li ama svisceratamente, offre le sue pene per la loro stessa salvezza e spira con la parola della pace e del perdono.

(15) Oh! Madre mia bella, oh cara speranza, quanto sei in te stessa amabile, io ti amo. Deh! tienimi sempre in grembo a te e sarò la più felice del mondo. Mentre sono determinata a cessare di parlare della speranza, una voce mi risuona dappertutto che dice:

(16)La speranza contiene tutto il bene presente e futuro, e chi vive in grembo a lei ed alleva sulle sue ginocchia, tutto ciò che vuole ottiene. Che cosa vuole l’anima? Gloria, onore? La speranza le darà tutto l’onore e la gloria più grande in terra, presso tutte le gente, ed in Cielo la glorificherà eternamente. Vorrà forse ricchezza? Oh! questa Madre della speranza è ricchissima, e quello che è più, che dando i suoi beni ai suoi figli, non restano punto scemate le sue ricchezze; poi, queste ricchezze non sono fugaci e passeggere, ma sempiterne. Vorrà piaceri, contenti? Ah! si, questa speranza contiene in sé tutti i piaceri e gusti possibili, che trovar si possano in Cielo ed in terra, che nessun altro potrà mai pareggiarla, e chi al suo seno si nutrisce, a sazietà ne gusta, ed oh! come è felice e contenta. Vorrà essere dotta, sapiente? Questa Madre speranza contiene in sé le scienze più sublimi, anzi è la maestra di tutti i maestri, e chi da lei si fa insegnare apprende la scienza della vera santità”.

(17) Insomma, la speranza ci somministra tutto, di modo che, se uno è debole, gli darà la fortezza; se un altro è macchiato, la speranza istituì i Sacramenti ed ivi preparò il lavacro alle sue macchie; se si sente fame e sete, questa Madre pietosa ci dà il cibo più bello, più gustoso, quali sono le sue delicatissime carni e per bevanda il suo preziosissimo sangue. Che altro può fare di più questa Madre paciera della speranza? E chi altro mai è simile a lei? Ah! solo lei ha rappacificato Cielo e terra, la speranza ha congiunto con sé la fede e la carità ed ha formato quell’anello indissolubile tra l’umana natura e la Divina. Ma chi è questa Madre? Chi è questa speranza? E’ Gesù Cristo, che operò la nostra Redenzione e formò la speranza dell’uomo fuorviato.