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Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

La città di Dio - libro Sedicesimo: la Città di Dio si profila nella storia da Noè a Davide

Sant'Agostino d'Ippona

La città di Dio - libro Sedicesimo: la Città di Dio si profila nella storia da Noè a Davide
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Fanciullezza della Città di Dio da Noè ad Abramo [1-11]


Benedizione di Sem e Iafet.
1. È difficile stabilire se nei libri della sacra Scrittura si prolungano dopo il diluvio in termini espliciti le tracce della città santa in cammino oppure se sono state interrotte dal sopravvenire di tempi di irreligiosità in modo che non v'era nessun adoratore dell'unico vero Dio. Nei Libri canonici dopo Noè, che con la moglie, tre figli e altrettante nuore meritò di essere immune dal cataclisma del diluvio, non troviamo fino ad Abramo la religiosità di un individuo segnalato da una palese parola di Dio. V'è soltanto che Noè favorisce con benedizione profetica i due suoi figli Sem e Iafet contemplando e prevedendo quel che sarebbe avvenuto molto tempo dopo. Avvenne anche che maledisse il figlio di mezzo, cioè quello che era tra il primogenito e il più giovane perché aveva peccato contro suo padre e lo maledisse non direttamente ma nel figlio, cioè nel suo nipote, con queste parole: Sia maledetto il fanciullo Canaan, sarà schiavo dei suoi fratelli. Canaan era nato da Cam che non aveva ricoperto ma piuttosto messo in mostra la nudità del padre immerso nel sonno. Continuando aggiunse la benedizione degli altri due figli, il più grande e il più piccolo, con le parole: Benedetto il Signore Dio di Sem e Canaan sarà suo schiavo, Dio dia gioia a Iafet che abiti nelle tende di Sem 1. Queste parole di Noè come pure la coltivazione di una vigna, l'ebrietà del prodotto di essa, la sua nudità mentre dormiva e tutti gli altri avvenimenti, che sono stati tramandati, sono colmi di significati profetici e nascosti da veli.

Simbolismo in Sem, Iafet e Cam.
2. 1. Ma ora, avvenuto il compimento dei fatti nei tempi che seguirono, i significati che erano nascosti sono abbastanza palesi. Chi li esamina con attenzione e intelligenza li riconosce in Cristo. Infatti Sem, dalla cui stirpe è nato Cristo, significa "Rinomato" 2. E nulla è più rinomato di Cristo perché il suo nome già espande profumo da ogni parte al punto che nel Cantico dei Cantici, che è anche profezia che precorre, è paragonato a un aroma sparso in terra 3. Nelle sue case inoltre, cioè nelle chiese, prende dimora l'ampio numero dei popoli. Iafet appunto significa "Ampiezza". Invece Cam, che significa "Ardente" 4, il figlio di mezzo di Noè, quasi a distinguersi dal primo e dall'ultimo e rimane fra di loro, fuori dalle primizie degli Israeliti e dall'ampio numero dei popoli, simboleggia la genìa bruciante degli eretici non per lo spirito di sapienza ma d'intolleranza, con cui di solito ribollono i sentimenti degli eretici e che turbano la pace dei santi. Ma questi fatti tornano a vantaggio di coloro che sanno trarne profitto secondo l'avviso dell'Apostolo: È opportuno che fra di voi vi siano eresie affinché vi siano noti gli uomini degni di stima 5. V'è anche nella Scrittura: Il figlio ben istruito sarà saggio ed userà l'ignorante come domestico 6. Infatti molte verità attinenti alla fede cattolica vengono messe in discussione dagli eretici ma, per difenderle contro di loro, sono esaminate con maggior attenzione, sono interpretate con maggior evidenza ed esposte con maggior premura. Così una controversia suscitata dall'avversario diviene stimolo all'apprendimento. Tuttavia non solo quelli che sono manifestamente eretici ma tutti coloro che si gloriano del nome di cristiani e vivono da disonesti non a sproposito possono essere raffigurati allegoricamente nel figlio di mezzo di Noè. Difatti con pubblica professione attestano la passione di Cristo, che fu simboleggiata dalla nudità di quell'uomo, ma la disonorano con le cattive azioni. Di essi è stato detto: Li riconoscerete dai loro prodotti 7. Per questo Cam fu maledetto nel proprio figlio, come in un proprio prodotto, cioè in una propria opera. Quindi suo figlio Canaan significa "I loro movimenti", quanto dire la loro opera. Sem e Iafet simboleggiano i popoli circoncisi e non circoncisi o, come con altri termini li indica l'Apostolo, Giudei e Greci 8. Essi, chiamati e giustificati, conosciuta in qualsiasi modo la nudità del padre, con la quale era simboleggiata la passione del Salvatore, prendendo un capo di vestiario, lo posero sulle spalle, entrarono volti dall'altra parte, coprirono la nudità del padre e non videro ciò che per pudore avevano celato 9. Anche noi onoriamo nella passione di Cristo la salvezza che è stata operata per noi ma voltiamo le spalle al delitto dei Giudei. Il capo di vestiario simboleggia il sacramento, le spalle il ricordo del passato perché già dal tempo in cui Iafet abita nelle tende di Sem e il fratello cattivo in mezzo a loro 10 la Chiesa celebra come avvenuta la passione di Cristo, non l'attende più da lontano come futura.

La nudità di Noè e la passione di Gesù.
2. 2. Il cattivo fratello è in suo figlio, ossia nella sua opera, garzone cioè schiavo dei fratelli buoni, quando consapevolmente i buoni usano i cattivi per l'esercizio della pazienza o l'incremento della saggezza. Per dichiarazione dell'Apostolo vi sono individui che annunziano Cristo non con buona intenzione, dice infatti: Sia che Cristo sia annunziato per opportunità o nella verità 11. Anche il nuovo Noè ha coltivato una vigna, della quale il Profeta dice: La casa d'Israele è la vigna del Signore degli eserciti 12 e ha bevuto il suo vino. Nel passo si potrebbe anche intendere il calice di cui Egli dice: Potete bere il calice che io sto per bere? 13 e: Padre, se è possibile, sia allontanato da me questo calice 14. Con esso ha indubbiamente indicato la propria Passione. Ovvero, giacché il vino è un prodotto della vigna, è stato simboleggiato piuttosto che, nell'intento di soffrire, ha assunto per noi carne e sangue dalla vigna in parola, cioè dalla razza degli Israeliti. Egli dunque s'inebriò, cioè subì la passione, e rimase nudo 15, perché con la passione rimase nuda, cioè si manifestò, la sua debolezza, di cui dice l'Apostolo: Sebbene sia stato crocifisso per debolezza 16. In proposito sempre l'Apostolo dice: Ciò che in Dio è debole è più forte degli uomini e ciò che in Dio è insipiente è più sapiente degli uomini 17. Alle parole: E rimase nudo la Scrittura ha aggiunto la frase: nella sua casa 18. Con essa si indica sottilmente che avrebbe subito la croce e la morte dal popolo della sua razza e dai propri consanguinei, cioè i Giudei. I falsi cristiani attestano la passione di Cristo all'esterno, ossia soltanto col suono della voce, perché non capiscono quel che dicono. I cristiani genuini invece accolgono nella coscienza un così grande mistero e onorano all'interno nel cuore ciò che di Dio è debole e insipiente perché è più forte e sapiente degli uomini. È allegoria di questa verità il fatto che Cam uscendo di casa annunziò la nudità all'esterno, invece Sem e Iafet, per coprirla cioè per onorarla, vi entrarono, cioè compirono il gesto all'interno 19.

Storia e allegoria.
2. 3. Esaminiamo queste parti arcane della sacra Scrittura, come ci è possibile, chi con maggiore e chi con minore aderenza, tuttavia ritenendo certo nella fede che sono avvenimenti consegnati alla Scrittura come allegoria profetica del futuro e che si devono riferire soltanto a Cristo e alla sua Chiesa che è la città di Dio. Di essa si ebbe fin dall'origine del genere umano il preannuncio che osserviamo avverarsi sotto ogni aspetto. Dopo la benedizione dei due figli di Noè e la maledizione di quello di mezzo fra loro, fino ad Abramo, per oltre un millennio, non si fa menzione di uomini giusti che onorarono Dio nella vera religione. Non penserei che non esisterono, tuttavia sarebbe andata troppo alla lunga se fossero stati ricordati tutti e sarebbe stata più esattezza storica che previsione profetica. Quindi l'agiografo di questi libri della Bibbia, o meglio lo Spirito di Dio per la sua mediazione, persegue intenti con cui non solo si riferiscono avvenimenti passati, ma si preannunciano anche avvenimenti futuri che siano però attinenti alla città di Dio. Anche ogni fatto che si narra di individui, che non ne sono cittadini, si narra con lo scopo che dal confronto essa ottenga vantaggio e risalto. Certamente non si deve ritenere che tutti gli eventi narrati simboleggiano anche qualche cosa, ma eventi che non sono affatto simboli vengono inseriti in ordine a quelli che simboleggiano qualche cosa. Il terreno viene solcato soltanto dal vomere ma, affinché si ottenga questo effetto, sono indispensabili anche le altre parti dell'aratro. Nelle cetre e consimili strumenti musicali soltanto le corde sono disposte per il suono ma, affinché siano disposte, sono inseriti nella struttura degli strumenti altri pezzi che non sono battuti dai suonatori ma ad essi sono attaccati i pezzi che, percossi, rimandano i suoni. Così nell'argomento profetico hanno luogo elementi che non sono simboli, sebbene siano ad essi congiunti e in certo senso fissati gli eventi simboleggiati.

Discendenti di Sem e Cam.
3. 1. Si devono dunque esaminare le genealogie dei figli di Noè e ciò che sembra opportuno dire in proposito deve avere una stretta coerenza con questa opera in cui si espone lo sviluppo di tutte e due le città, cioè della terrena e della celeste. Ha avuto inizio la serie con quella del figlio più piccolo chiamato Iafet. Di lui sono stati menzionati otto figli e sette nipoti, tre da un figlio e quattro dall'altro, in tutto quindici. Di Cam, cioè del figlio di mezzo di Noè, sono stati menzionati quattro figli, cinque nipoti da un figlio e due pronipoti da un nipote, in tutto undici 20. Dopo questa enumerazione si ritorna, per così dire, al capostipite con le parole: Cus generò Nebrot. Questi cominciò ad essere un gigante sulla terra. Egli era un gigante cacciatore contro il Signore. Perciò si dice: Come Nebrot, gigante cacciatore contro il Signore. Inizio del suo regno furono Babilonia, Orec, Arcad e Calanne nella terra di Sennaar. Da quella terra provenne Assur che fondò Ninive e la città di Robot e Calac e Dasen, che fu una grande città, fra Ninive e Calac 21. Cus, padre del gigante Nebrot, è stato menzionato come primogenito tra i figli di Cam. Eppure di lui erano già stati enumerati cinque figli e due nipoti. Ma o mise al mondo il gigante dopo i due nipoti ovvero, ed è più attendibile, la Scrittura ne ha parlato separatamente a causa della sua superiorità. Di lui infatti è stato tramandato alla storia il regno, il cui inizio fu la celeberrima città di Babilonia e le altre città o regioni che assieme sono state menzionate. Avvenne molto tempo dopo che da quel territorio, cioè dal territorio di Sennaar, che apparteneva al regno di Nebrot, emigrò Assur e fondò Ninive e le altre città che l'agiografo ha aggiunto. Con questo pretesto ha accennato al fatto a causa della fama del regno di Assiria che Nino, figlio di Belo, fondatore della grande città di Ninive, ampliò in modo eccezionale. Dal suo nome fu desunto il nome della città che da Nino fu denominata Ninive. Assur, da cui provengono gli Assiri, non era tra i figli di Cam, figlio di mezzo di Noè, ma è annoverato tra i figli di Sem, il figlio maggiore di Noè. Quindi è evidente che gli Assiri provennero dalla stirpe di Sem, che conquistarono il regno del gigante Nebrot, da lì si diffusero e fondarono altre città. Di esse la prima fu denominata Ninive da Nino. Si torna quindi a un altro figlio di Cam che si chiamava Mesraim e si menzionano i discendenti non in individui ma in sette tribù. Si fa menzione inoltre che dalla sesta, come se fosse il sesto figlio, provenne un popolo che si denomina Filistei, sono quindi otto. Si torna di nuovo a Canaan, il figlio nel quale fu maledetto Cam e sono nominati gli undici che da lui provengono. Si precisa poi a quali confini sono giunti con l'accenno ad alcune città. Perciò nel computo di figli e nipoti sono annoverati trentuno discendenti della stirpe di Cam 22.

Eber e tutti i Noàchidi.
3. 2. Resta da ricordare i discendenti di Sem, figlio maggiore di Noè, perché la serie delle discendenze iniziata col più giovane gradualmente giunge a lui. Ma i preliminari della genealogia hanno un po' d'incertezza che si deve chiarire con un esame perché sono molto attinenti all'argomento della nostra ricerca. Si legge: Anche Eber discende da Sem, proprio da lui, capostipite di tutti i discendenti e fratello maggiore di Iafet 23. L'ordine delle parole è questo: da Sem discende anche Eber, Eber discende proprio da lui, cioè da Sem, che è capostipite di tutti i discendenti. L'agiografo volle far intendere che Sem era il patriarca di tutti coloro che provenivano dalla sua stirpe e che stava per menzionare, fossero figli, nipoti, pronipoti e altri che da essa provenivano. Sem non generò direttamente Eber, ma questi è al quinto grado nella serie dei discendenti. Sem difatti fra gli altri figli ebbe Arfacsad. Arfacsad generò Cainan, Cainan generò Sala, Sala generò Eber. Non senza ragione è stato menzionato per primo nella stirpe proveniente da Sem e anteposto anche ai figli, sebbene sia discendente al quinto grado. È vera la tradizione secondo la quale da lui sono stati denominati gli Ebrei, cioè Eberei. Si potrebbe dare un'altra ipotesi, che da Abramo si abbia l'etimologia di Abraèi. Però a parte l'ipotesi è più attendibile che da Eber siano stati chiamati Eberei, poi con l'elisione di una lettera Ebrei e che soltanto il popolo d'Israele ha potuto avere tale lingua perché con esso la città di Dio fu in esilio negli eletti e in tutti fu raffigurata con un simbolo. Quindi prima sono menzionati sei figli di Sem, poi da uno di loro sono nati quattro suoi nipoti e un altro figlio di Sem generò un suo nipote, da lui nacque un pronipote e da lui il figlio del pronipote che è Eber. Eber generò due figli, a uno diede il nome di Falec che significa "Dividente". La Scrittura, soggiungendo per giustificare il nome, dice: In quel tempo la terra fu divisa 24. In seguito rimarrà evidente il significato. L'altro figlio di Eber generò dodici figli, perciò tutti i discendenti di Sem sono ventisette. Quindi nel totale tutti i discendenti dei tre figli di Noè, cioè quindici da Iafet, trentuno da Cam, ventisette da Sem, sono settantatré. La Scrittura continua con le parole: Questi i discendenti di Sem nelle rispettive tribù secondo i loro dialetti, nei rispettivi territori e popoli. E di tutti dice: Sono queste le tribù dei discendenti di Noè secondo le loro discendenze e popoli. Da essi dopo il diluvio furono ripartite nel mondo le terre sul mare 25. Da queste parole si deduce che non erano settantatré individui, o meglio settantadue, come si dimostrerà in seguito, ma settantadue popolazioni. Anche precedentemente la genealogia, con cui erano ricordati i discendenti di Iafet, fu conclusa così: Da loro furono spartite nel loro territorio in una propria regione le terre sul mare ciascuna secondo il linguaggio, nelle rispettive tribù e popoli 26.

Babilonia e il variare dei dialetti.
3. 3. Nei discendenti di Cam a un certo punto più esplicitamente sono state indicate le popolazioni, come ho dimostrato precedentemente. Mesraim è il capostipite di coloro che si chiamano Ludii 27, e allo stesso modo altre popolazioni fino a sette. E dopo averle enumerate tutte, conclude: Questi i discendenti di Cam nelle rispettive tribù secondo le lingue, nei rispettivi territori e popoli 28. Perciò i discendenti di molti non sono stati ricordati perché alla nascita furono aggregati ad altri popoli ed essi non seppero costituire un proprio popolo. Non v'è altra ragione che, sebbene siano menzionati otto figli di Iafet, si ricordano soltanto i figli nati da due di loro e sebbene siano menzionati quattro figli di Cam, si aggiungono soltanto i nati da tre di loro e sebbene siano menzionati sei figli di Sem, si aggiunge soltanto la posterità di due. Che gli altri rimasero senza figli? Non si può ammettere, ma non costituirono popolazioni con cui meritassero di essere consegnati alla storia perché, appena nascevano, erano aggregati ad altre popolazioni.

Il discendere di Dio e il ministero degli angeli.
4. Poiché si fa riferimento al fatto che quelle popolazioni avevano ciascuna un proprio dialetto, l'agiografo torna al tempo in cui v'era un solo idioma ed espone l'avvenimento per cui ebbe origine la diversità dei dialetti. Dice: Tutta l'umanità aveva un medesimo linguaggio e un medesimo idioma. Avvenne che gli uomini, emigrando dall'Oriente, trovassero una pianura nella regione di Sennaar e vi si stabilirono. E disse ciascuno al suo vicino: Venite, facciamo dei mattoni e cuociamoli al fuoco. E furono usati da loro mattoni invece della pietra e bitume invece dell'argilla e dissero: Orsù, costruiamoci una città e una torre, la cui cima arriverà al cielo, così ci faremo un nome prima di sparpagliarci in ogni parte del mondo. Il Signore discese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini avevano edificato. E disse il Signore: Sono della medesima stirpe e parlano il medesimo dialetto e hanno cominciato questo edificio e ora non cesseranno di fare tutte le cose che hanno tentato di compiere. Venite, e scendendo confondiamo in quel luogo il loro linguaggio affinché ognuno non capisca il linguaggio dell'altro. E da lì Dio li disperse in tutto il mondo e cessarono dal costruire la città e la torre. Per questo è stato assegnato a quella città il nome di "Confusione" perché in quel luogo Dio confuse i linguaggi di tutto il mondo e da lì il Signore li disperse in tutto il mondo 29. La città, che è stata chiamata "Confusione", è Babilonia. Anche la storia profana ne esalta la meravigliosa struttura architettonica. Babilonia dunque si traduce "Confusione". Se ne deduce che il suo fondatore fu il gigante Nebrot, come si è accennato precedentemente. Nel passo in cui la Scrittura parla di lui dice che origine del suo regno fu Babilonia, come città che doveva esercitare un dominio sulle altre, in cui si avesse come in una capitale la sede del regno. Tuttavia la città non fu ultimata nelle dimensioni che si proponeva la superba empietà 30. Era stata preventivata una eccessiva altezza, calcolata fino al cielo. Si trattava forse di una sola torre, che macchinavano più figurativamente al singolare, come si dice il soldato e s'intendono migliaia di soldati, o rana e cavalletta perché così è stata indicata l'infinità di rane e cavallette nelle piaghe con cui gli Egiziani furono puniti da Mosè 31. La sciocca presunzione umana non avrebbe ottenuto nulla, anche se avessero elevato l'imponenza della costruzione di qualsiasi qualità e grandezza verso il cielo contro il Signore, sia pure che sorpassasse tutti i monti, sia pure che uscisse fuori dalla dimensione di questa atmosfera caliginosa 32. In nessun modo avrebbe recato danno a Dio l'altezzosità, per quanto grande, delle coscienze e delle cose. L'umiltà garantisce una via sicura e vera verso il cielo, perché leva il cuore in alto, al Signore, non contro il Signore. In questo senso è stato considerato il gigante cacciatore contro il Signore 33. Non riflettendovi bene alcuni sono stati ingannati da una parola greca di doppio senso in modo da non tradurre contro il Signore ma davanti al Signore, perché significa sia contro che davanti. È questa la parola che si ha nel Salmo: E piangeremo davanti al Signore che ci ha creati 34, ed è la medesima che si legge nel libro di Giobbe: Nel furore ti sei slanciato contro il Signore 35. Qui con la parola cacciatore s'intende senz'altro un catturatore, inseguitore e uccisore di animali terrestri. Nebrot innalzava dunque con i propri sudditi contro il Signore una torre da cui è simboleggiata la superbia miscredente. Giustamente quindi viene punita una cattiva disposizione d'animo anche se non ne consegue l'effetto. Ma quale fu il genere di pena? Poiché il potere di chi comanda è nella lingua parlata, in essa è stata punita la superbia in modo che non fosse compreso chi impartiva ordini all'uomo perché non volle comprendere che doveva obbedire all'ordinamento di Dio. Così fu sciolto il complotto perché ciascuno abbandonava il proprio simile che non comprendeva più per unirsi all'individuo con cui poteva scambiare la parola. Proprio a motivo del linguaggio i popoli si distinsero e si sparpagliarono per il mondo come piacque a Dio che ottenne questo effetto nelle forme arcane e a noi incomprensibili.

Modo di parlare di Dio.
5. Si legge nella Scrittura: Il Signore discese a vedere la città e la torre che avevano edificato i figli degli uomini, ossia non i figli di Dio, ma la società la quale vive secondo l'uomo e che consideriamo come la città terrena. Dio non si muove nello spazio perché è tutto fuori del tempo e dello spazio, ma si dice che discende quando realizza nel mondo qualche effetto che, essendo realizzato fuori del normale procedimento della natura, mostra per analogia la presenza di Dio. Così guardando non apprende nel tempo perché non può ignorare una cosa ma si dice che guarda e conosce nel tempo ciò che egli fa guardare e conoscere. Quella città non era guardata nel modo con cui la fece guardare quando mostrò che ne era disgustato. Si potrebbe tuttavia interpretare che Dio discese verso quella città perché vi discesero i suoi angeli in cui egli dimora. L'aggiunta: E Dio disse: Ora sono un solo popolo e parlano la medesima lingua e il resto, come pure l'altra aggiunta: Suvvia, col discendere confondiamo la loro lingua 36 sarebbero come un chiarimento per dimostrare in qual senso si era avverato quel che aveva detto in precedenza: Il Signore discese. Se era già disceso, le parole: Suvvia, col discendere confondiamo, se vanno riferite agli angeli, significano soltanto che egli discendeva attraverso il ministero degli angeli, perché egli era negli angeli che discendevano. E giustamente non dice: Suvvia, col discendere confondete ma: Confondiamo adesso la loro lingua. Mostrava così di operare mediante i suoi esecutori affinché anche essi siano collaboratori di Dio, come dice l'Apostolo: Siamo collaboratori di Dio 37.

Dialetti e popolazioni.
6. 1. Anche quando è stato creato l'uomo, le parole: Facciamo l'uomo potrebbero essere interpretate in riferimento agli angeli, perché non ha detto: "Devo fare". Però poiché seguono le parole: A nostra immagine e non è conveniente ritenere che l'uomo è stato creato a immagine degli angeli o che è una medesima l'immagine degli angeli e di Dio, a ragione in quel passo si intravede la pluralità della Trinità. Ma poiché la Trinità è un solo Dio, la Scrittura, anche dopo aver detto: Facciamo soggiunge: E Dio creò l'uomo a immagine di Dio 38. Non ha detto: Fecero gli dèi o a immagine degli dèi. Anche nel passo in questione poté essere indicata la Trinità nel senso che il Padre disse al Figlio e allo Spirito Santo: Suvvia, col discendere confondiamo adesso la loro lingua 39. E v'è qualcosa che impedisce di pensare agli angeli perché ad essi compete piuttosto di andare a Dio con santi impulsi, cioè con devoti pensieri, con i quali da essi si consulta l'immutabile Verità che è come la legge eterna nella loro curia del cielo. Essi non sono verità a se stessi ma, partecipi della Verità che crea, si muovono a lei come a una sorgente di vita in modo da attingere da essa ciò che non compete al loro essere. E questo movimento con cui vanno è stabile perché non si allontanano più. E Dio non parla agli angeli nel modo con cui parliamo fra di noi o a Dio o agli angeli o gli angeli stessi a noi o Dio a noi con il loro intervento, comunque sempre in modo inesprimibile, sebbene a noi viene comunicato nel nostro modo d'intendere. La parola di Dio più alta prima della sua azione nel mondo è la ragione immutabile dell'azione stessa perché non ha un suono che colpisce l'udito e passa ma una forza che rimane al di là del tempo ed opera nel tempo. Con essa parla agli angeli, con noi in altra maniera perché siamo nello spazio. Quando anche noi con l'udito della coscienza afferriamo qualche vibrazione di questa parola, ci rassomigliamo agli angeli. Ma io non debbo proprio ad ogni momento rendere ragione in questa opera del modo di parlare di Dio. È la non diveniente Verità che ineffabilmente parla da sé alla coscienza della creatura ragionevole o parla mediante una diveniente creatura tanto al nostro pensiero con intelligibili concetti come al senso con suoni sensibili.

Emigrazione dei mammiferi?
6. 2. Le parole: Ed ora non cesseranno di fare tutte le cose che hanno tentato di compiere 40 non furono dette per prendere atto, ma nell'intento d'interrogare, come di solito si fa da coloro che minacciano. A proposito scrive un poeta: Non allestiranno le armi e non lo seguiranno da tutta la città? 41. Quindi si deve interpretare come se abbia detto: Forseché cesseranno di fare tutte le cose che hanno osato di compiere? Ma se la frase si pronuncia con questo accento non esprime la minaccia. Appunto per i più lenti di comprendonio ho aggiunto la particella interrogativa dicendo forseché? perché non riuscirei a riprodurre graficamente il tono di voce di chi parla. Dunque da tre individui, i figli di Noè, cominciarono ad esistere nel mondo settantatré popolazioni o meglio, come determinerà una riflessione critica, settantadue e altrettanti dialetti che ampliandosi occuparono anche le regioni del Mediterraneo. Il numero delle popolazioni si accrebbe più diffusamente che quello dei dialetti. Sappiamo che anche in Africa molti popoli incivili parlano una sola lingua.

Anche gli individui anormali sono adamiti.
7. Non si può mettere in dubbio che gli uomini, dato l'aumento della razza umana, poterono passare con una imbarcazione alle zone marittime. Però rimane il problema relativo ad ogni specie di animali che non sono allevati dagli uomini e di quelli che non nascono dalla terra come le rane, ma si propagano soltanto con l'accoppiamento del maschio e della femmina, come i lupi e tutti i mammiferi selvatici. C'è il problema in qual modo dopo il diluvio, con cui furono sterminati tutti gli animali che non erano nell'arca, poterono essere nelle zone lungo il mare se si riprodussero soltanto da quelli che l'arca in ambedue i sessi sottrasse alla morte. Si può pensare che alle zone marittime, ma più vicine, passarono a nuoto. Però ve ne sono alcune così lontane dal continente da non sembrar probabile che alcun animale vi si possa esser trasferito a nuoto. Non è incredibile il fatto che gli uomini li portarono con sé e per amore della caccia ne istallarono le specie nella maniera in cui erano nel luogo da cui provenivano, sebbene non si può negare che per comando o con la permissione di Dio poterono esservi trasferiti per opera degli angeli. Se poi nella fase originaria sono stati prodotti dalla terra quando Dio disse: La terra produca l'anima che vive 42 e se nelle zone marittime, in cui non potevano giungere a nuoto, la terra produsse molti animali, tanto più evidentemente si rileva che nell'arca vi furono tutte le specie non per conservare gli animali ma per indicare allegoricamente i vari popoli in relazione al mistero della Chiesa.

Così i popoli se vi sono.
8. 1. V'è anche il problema se si deve ritenere che dai figli di Noè, o meglio dall'unico progenitore da cui anche essi discendono, derivarono alcuni tipi mostruosi d'individui umani, di cui parla la storia profana. Si tramanda che uno di essi aveva un solo occhio in mezzo alla fronte, le piante dei piedi di alcuni erano rivolte alla parte posteriore delle gambe, altri avevano i caratteri dei due sessi, la mammella destra virile e quella sinistra femminile e accoppiandosi alternativamente fra di sé fecondavano e partorivano, alcuni non avevano la bocca e vivevano respirando soltanto con le narici, altri ancora erano della statura di un cubito e per questo dal cubito i Greci li chiamano pigmei, in alcune parti le donne concepivano a cinque anni e non oltrepassavano l'ottavo anno di vita. Narrano anche che esiste un popolo nel quale gli individui hanno una sola gamba inserita nei piedi, non piegano il ginocchio e sono di celerità prodigiosa, li chiamano sciopodi perché, giacendo supini per il caldo, si difendono con l'ombra dei piedi. Dicono anche che alcuni senza la testa hanno gli occhi nelle spalle e di uomini o di ominidi le altre caratteristiche che, desunte dai libri di narrazione fabulatrice, sono state ritratte a mosaico, nel porto di Cartagine. Non saprei che dire dei cinocefali perché la testa di cane e l'abbaiare fanno pensare più a bestie che ad uomini. Però non è necessario ammettere tutti i tipi di uomini di cui si parla. Anche nell'ipotesi che in un luogo qualunque nasca un uomo, cioè un animale ragionevole mortale, quantunque presenti ai nostri sensi una insolita tipologia somatica di forma, di colore, di movimento, di voce o di caratteristiche in termini di forza, organi e proprietà, il credente non deve dubitare che egli proviene dal primo uomo. Si manifesta però che cosa la natura abbia raggiunto in parecchi soggetti e che cosa sia straordinario a causa della rarità.

Inattendibilità degli antipodi.
8. 2. La giustificazione che da noi si dà ad esemplari deformi di uomini è la medesima che si può dare della deformità di alcuni popoli. Dio infatti è il creatore di tutti ed Egli sa il luogo e il tempo in cui è opportuno o era opportuno far esistere un essere perché conosce l'uguaglianza e la disuguaglianza delle parti con cui accordare l'armonia del cosmo. Ma chi non può cogliere il tutto viene scioccato dall'apparente deformità di una parte, perché non sa a chi si conforma e a che cosa si riconduce. Sappiamo che nascono individui con più di cinque dita nelle mani e nei piedi, ed è una deformità più lieve di ogni altra, tuttavia non si può essere sciocchi al punto di ritenere che il Creatore si è sbagliato nel calcolo delle dita dell'uomo, sebbene non si sa perché l'ha fatto. Ed anche se v'è una più rilevante deformità, Egli sa ciò che ha fatto e non è possibile rimproverare le sue azioni. A Ippona Diarrite esiste un uomo che ha le piante dei piedi a forma di mezzaluna e con due dita soltanto e le mani di egual forma. Se fosse così un popolo sarebbe argomento della narrazione da favola e leggenda, di cui sopra. Non per questo possiamo negare a questo uomo la sua provenienza da colui che per primo è stato creato. È difficile che gli androgini, chiamati anche ermafroditi, sebbene attualmente siano rari, vengano a mancare nei vari tempi. In essi l'uno e l'altro sesso si manifesta in maniera tale che è dubbio da quale di essi l'individuo debba essere denominato, tuttavia l'uso comune ha prevalso nel denominarlo dal più nobile, cioè dal maschile. Nessuno ha mai parlato di androgine o ermafrodite. Anni addietro, ma sempre a memoria d'uomo, nacque in Oriente un individuo che aveva doppie le parti in alto del corpo e scempie quelle in basso. Aveva due teste, due toraci, quattro mani, ma un addome e due piedi corrispondenti cioè a un solo individuo. Visse a lungo sicché la sua notorietà attirava parecchi a visitarlo. Ma non è possibile rendersi ragione di quanto tutti i feti umani siano dissimili da quelli da cui con assoluta certezza derivano. Come dunque non si può negare che queste deformazioni traggono origine da un solo progenitore, così si deve dire di tutti i popoli che, stando alle relazioni, derogano nelle deformazioni somatiche dal normale procedimento della natura che molti e quasi tutti conservano. Se infatti sono inclusi nella definizione di animali ragionevoli e mortali, si deve ammettere che derivano la razza dal medesimo unico progenitore di tutti, purché sia vero ciò che si riferisce della dissomiglianza di quei gruppi e della notevole diversa conformazione fra di loro e con noi. Se infatti ignorassimo che le scimmie, i cercopiteci e le sfingi non sono uomini, ma bestie, quegli storici, per vantarsi della propria ricerca, potrebbero farci credere con impunita vanagloria che siano razze umane 43. Ma se sono uomini quelli di cui sono stati narrati questi fatti eccezionali e se Dio ha voluto far esistere alcuni popoli con quelle caratteristiche, non dobbiamo pensare che la sua sapienza, con la quale modella la natura umana, abbia errato nei mostri che dalle nostre parti nascono necessariamente dagli uomini, come erra la tecnica di un artigiano meno esperto. Non ci deve sembrare assurdo che come in ogni popolo vi sono individui deformi così in tutto l'uman genere vi siano alcuni popoli deformi. Quindi per risolvere il problema gradualmente e con cautela: o le cose che sono state scritte di alcuni popoli non sono vere o, se lo sono, quelli non sono uomini o, se sono uomini, provengono da Adamo.

I Semiti e gli Ebrei.
9. Non v'è dimostrazione scientifica per ammettere quel che alcuni favoleggiano sulla esistenza degli antipodi, cioè che uomini calcano le piante dei piedi in senso inverso ai nostri dall'altra parte della terra, dove il sole sorge quando da noi tramonta. Non affermano infatti di averlo appreso in seguito a una esperienza storicamente verificatasi, ma prospettano col ragionamento una ipotesi perché la terra sarebbe sospesa nella volta del cielo e avrebbe lo stesso spazio in basso e al centro. Suppongono perciò che l'altra faccia della terra, quella di sotto, non può esser priva di abitanti. Non riflettono, anche se si ritiene per teoria o si dimostra scientificamente che il pianeta è un globo e ha la forma sferica, sulla non consequenzialità che anche dall'altra parte la terra è libera dalla massa delle acque e anche se ne è libera, non ne consegue necessariamente, di punto in bianco, che è abitata dagli uomini. Difatti in nessun modo la sacra Scrittura mentisce perché con la narrazione dei fatti del passato garantisce l'attendibilità che le sue predizioni si avverino. D'altronde è troppo assurda l'affermazione che alcuni uomini, attraversata l'immensità dell'Oceano, poterono navigare e giungere da questa all'altra parte della terra in modo che anche là si stabilisse la specie umana dall'unico progenitore. Perciò fra le popolazioni umane, che risultano divise in settantadue stirpi e altrettanti dialetti, cerchiamo, se possiamo trovarla, la città di Dio in esilio sulla terra. Essa era stata condotta fino al diluvio e all'arca e poteva essere additata come sopravvissuta nei figli di Noè mediante le benedizioni da loro ricevute, soprattutto dal più grande che si chiamava Sem, perché Iafet era stato benedetto con la formula che abitasse nelle tende di lui, suo fratello.

Elenco cronologico delle discendenze.
10. 1. Si deve quindi riesaminare la serie delle generazioni da Sem perché ci mostri la città di Dio dopo il diluvio, come la serie delle generazioni dal patriarca Set ce la mostrava prima del diluvio. Per questo la sacra Scrittura, dopo avere mostrato la città terrena a Babilonia, cioè nella confusione, ritorna per un compendio al patriarca Sem e inizia da lui le generazioni fino ad Abramo con il computo del numero degli anni che ciascuno aveva quando generava un figlio appartenente a questa genealogia e degli anni che era vissuto. Nel fatto si deve riscontrare quanto poco fa avevo promesso che, cioè, sia chiaro il motivo per cui è stato detto dei figli di Eber: Il nome di uno è Falec perché ai suoi tempi fu diviso il territorio 44. Assegnare il territorio si può intendere soltanto in relazione alla diversità dei dialetti. Omessi dunque gli altri discendenti di Sem, che non sono pertinenti all'argomento, nella genealogia sono elencati soltanto quelli con cui giungere fino ad Abramo, come prima del diluvio erano elencati quelli con cui giungere a Noè attraverso le generazioni che provenivano dal figlio di Adamo chiamato Set. La lista di queste discendenze comincia così: Queste sono le generazioni da Sem. Sem aveva cento anni quando generò Arfacsad due anni dopo il diluvio. Sem dopo che generò Arfacsad visse cinquecento anni e generò figli e figlie e morì 45. Così continua con gli altri aggiungendo a quanti anni di vita ha generato il figlio appartenente alla serie delle discendenze che giunge ad Abramo e quanti anni sia vissuto in seguito. Aggiunge che ha generato figli e figlie per farci capire che le popolazioni aumentarono di numero affinché, sorpresi per i pochi individui menzionati, non rimanessimo perplessi come fanciulli sul fatto che una così grande estensione di territori e di Stati sia stata riempita dai Semiti. Questo vale principalmente per il regno di Assiria sul quale Nino, il celebre soggiogatore per molto tempo dei popoli orientali, regnò con grandissima prosperità e lasciò ai successori uno Stato molto esteso e solido che poteva continuare per lungo tempo.

Da Noè ad Abramo problematica della città di Dio.
10. 2. Per non soffermarci più del necessario in questo elenco non riferiamo gli anni che ciascun patriarca della genealogia è vissuto, ma soltanto gli anni di vita che aveva quando generò il figlio. Così assommiamo il numero degli anni dal diluvio ad Abramo e, oltre gli argomenti in cui lo stretto legame ci costringe a trattenerci, tocchiamo alla svelta e di sfuggita gli altri. Dunque due anni dopo il diluvio Sem generò Arfacsad; Arfacsad quando aveva centotrentacinque anni generò Cainan; questi quando ne aveva centotrenta ebbe Sala; Sala quando aveva lo stesso numero di anni generò Eber; Eber aveva centotrentaquattro anni quando ebbe Falec e durante la sua vita fu distribuito il territorio; Falec aveva centotrenta anni e generò Ragan; Ragan centotrentadue ed ebbe Saruc; Saruc centotrenta e generò Nacor; Nacor settantanove e generò Tara; Tara settanta e generò Abram 46 che Dio, cambiandogli il nome, chiamò Abramo 47. Dunque dal diluvio ad Abramo sono millesettantadue anni secondo il testo della Volgata, cioè dei Settanta. Nel testo ebraico gli esegeti riferiscono un numero di anni molto più breve, ma non ne danno spiegazione o assai poco attendibile.

Eber e la lingua ebraica.
10. 3. Quando dunque ricerchiamo la città di Dio nelle settantadue popolazioni, non possiamo affermare che nel tempo in cui si aveva un solo idioma, cioè una sola parlata, l'uman genere si fosse già sottratto dal culto al vero Dio, sicché la vera religione era rimasta soltanto in queste tribù che provengono dalla stirpe di Sem attraverso Arfacsad e giungono ad Abramo. Però dalla vanagloria di edificare una torre fino al cielo, con cui è simboleggiata l'alterigia miscredente, si manifestò la città, cioè la società dei senza Dio. C'è il problema se prima non esisteva o rimaneva ignota o piuttosto se esistevano tutte e due, la credente nei due figli di Noè che furono benedetti e nei loro discendenti, la miscredente in colui che fu maledetto e nella sua stirpe da cui discendeva anche il gigante cacciatore contro il Signore. Non è facile la risposta. Probabilmente, ed è la soluzione più attendibile, anche nei discendenti dei due Patriarchi, prima che si cominciasse a fondare Babilonia, vi furono degli atei e nei discendenti di Cam uomini che adoravano Dio. Si deve tuttavia ammettere che mai mancarono nel mondo i due tipi di uomini. Si ha nella Scrittura: Tutti hanno deviato, tutti insieme sono diventati insipienti, non ve n'è uno che agisce bene, neppure uno 48. Tuttavia in tutti e due i Salmi in cui si hanno queste parole, si legge anche: Forseché non hanno intelligenza questi malfattori che distruggono il mio popolo mangiando a sue spese? 49. Dunque ancora esisteva il popolo di Dio. Anche le parole: Non ve n'è uno che agisca bene, neppure uno si riferivano ai figli degli uomini non ai figli di Dio. Infatti poco prima si legge: Dio dal cielo ha guardato sui figli degli uomini per vedere se ve n'è uno saggio che cerca Dio 50. Di seguito sono aggiunte le parole le quali comprovano che sono riprovati tutti i figli degli uomini che, cioè, appartengano alla città la quale vive secondo l'uomo e non secondo Dio.

La lingua primigenia e l'ebraico.
11. 1. Quindi, sebbene vi fosse un idioma comune a tutti non per questo mancarono i figli della perversione. Anche prima del diluvio v'era un solo idioma, eppure tutti, fuorché la famiglia del giusto Noè, meritarono di morire nel diluvio. Così, quando per colpa di una più altezzosa miscredenza, le genti furono punite e divise con la diversità dei dialetti e la città dei senza Dio ebbe il nome di Confusione, cioè fu chiamata Babilonia, si ebbe la tribù di Eber a far sì che si conservasse quello che precedentemente era il linguaggio di tutti. Come ho ricordato dianzi 51, all'inizio della genealogia dei discendenti di Sem, i quali diedero origine alle varie popolazioni, per primo fu menzionato Eber, sebbene sia figlio di un pronipote, cioè al quinto grado nella discendenza da lui. Mentre le altre popolazioni si dividevano nelle varie lingue, nella tribù di Eber rimase la lingua che, come giustamente si ritiene, prima era comune a tutto l'uman genere. Perciò in seguito fu denominata ebraica. Si richiedeva appunto che fosse distinta dalle altre lingue con una propria denominazione come le altre si distinsero mediante i rispettivi nomi. Quando era la sola, si chiamava lingua o parlata umana perché con essa sola si esprimeva il genere umano.

Cronologia e glottologia.
11. 2. Qualcuno potrebbe obiettare: Se al tempo di Falec, figlio di Eber, il territorio fu distribuito in base ai dialetti, cioè agli uomini che erano nel territorio, dal suo nome doveva essere designata la lingua che prima era comune a tutti. Ma si deve riflettere che Eber stesso impose appunto un nome simile al figlio chiamandolo Falec, che significa "Divisione", perché gli era nato quando il territorio era diviso in base ai dialetti, cioè, proprio in quel tempo. Così s'interpretano le parole: Ai suoi tempi fu distribuito il territorio 52. Se Eber non era più vivo quando avvenne il differenziarsi dei dialetti, la lingua che poté sopravvivere nella sua tribù non sarebbe stata denominata da lui. Si deve perciò ritenere che era quella comune a tutti poiché provennero da un castigo il differenziamento e il mutamento dei dialetti e il popolo di Dio doveva essere esente da questo castigo. E non senza motivo è la lingua che parlò Abramo, sebbene non poté trasmetterla a tutti i suoi discendenti ma soltanto a quelli che provennero da Giacobbe e che, costituendosi in forma più eminente e segnalata in popolo di Dio, poterono recepire le alleanze ed essere la stirpe di Cristo. Ed Eber non ha trasmesso la lingua a tutta la sua discendenza ma a quella soltanto la cui genealogia era protratta fino ad Abramo. Perciò quantunque non sia riferito con evidenza che esisteva un gruppo di uomini aderenti alla religione quando dai senza Dio venne edificata Babilonia, questo silenzio non è valso a deludere ma a stimolare l'interesse del critico. Si legge dunque che prima v'era una sola lingua universale e fra tutti i discendenti di Sem si menziona prima di tutti Eber, sebbene sia al quinto grado, e si denomina ebraica la lingua che l'autorità dei Patriarchi e dei Profeti ha conservato non solo nel loro linguaggio usuale ma anche nella sacra Scrittura. Si chiede allora in quale discendenza poté esser conservata la lingua che prima era di tutti, anche perché nella popolazione in cui essa si conservò non si ebbe il castigo che si verificò con il differenziamento dei linguaggi. Si può replicare soltanto che si conservò nella stirpe che proveniva da colui dal cui nome essa ebbe il nome e che questo è un ricordo non indifferente della nobiltà della stirpe poiché, mentre le altre venivano punite con il differenziamento dei dialetti, non giunse ad essa tale punizione.

Da Sem ad Abramo.
11. 3. C'è inoltre il problema della possibilità che ebbero Eber e il figlio Falec di costituire due differenti popolazioni se entrambi parlavano una medesima lingua. Certamente una sola è la popolazione ebraica che da Eber si protrasse fino ad Abramo e in seguito da lui fino a che si costituì il grande popolo d'Israele. Come dunque tutti i discendenti menzionati dei tre figli di Noè costituirono popolazioni diverse se Eber e Falec non le costituirono? Senza dubbio è ipotesi più probabile che il famoso gigante Nebrot costituì anche egli una sua popolazione ma a causa del prestigio del dominio e della statura è stato segnalato in forma più appariscente in modo da stabilire settantadue popolazioni e dialetti. Falec è stato menzionato non perché costituì una popolazione in quanto la sua è la stessa popolazione e lingua ebraica, ma a causa del singolare scorcio di tempo, poiché durante la sua vita si distribuirono i territori. Non ci deve turbare la considerazione che Nebrot non poté giungere al periodo di tempo in cui fu costruita Babilonia e avvenne il differenziarsi dei dialetti e conseguentemente la separazione delle popolazioni. Dal fatto che Eber è al sesto grado da Noè e Nebrot al quarto non ne consegue che non furono contemporanei. Questa vicenda poté verificarsi poiché vivevano di più quando le generazioni erano meno numerose e di meno quando erano più numerose, oppure nascevano più tardi quando le generazioni erano di meno e più presto quando erano di più. Si deve riflettere che quando il territorio fu distribuito non solo erano nati gli altri discendenti di Noè, che sono ricordati come Patriarchi delle popolazioni, ma erano già in età di avere parecchie famiglie degne dell'appellativo di popolazioni. Perciò non si deve affatto pensare che nacquero nell'ordine con cui sono elencati. Altrimenti è inverosimile che i dodici figli di Iectan, l'altro figlio di Eber e fratello di Falec, avessero già costituito le popolazioni se Iectan era nato dopo suo fratello Falec come dopo di lui è menzionato, dal momento che i territori furono distribuiti al tempo della nascita di Falec. Quindi si deve ammettere che fu menzionato per primo ma che era nato molto tempo dopo la nascita di Iectan, tanto che i dodici figli di quest'ultimo potevano già avere famiglie tanto numerose da poter essere distribuite secondo i rispettivi dialetti. Perciò poté essere nominato per primo chi veniva dopo per nascita, allo stesso modo che dei discendenti dai tre figli di Noè al primo posto sono stati nominati i discendenti di Iafet che era il più piccolo dei tre, poi i discendenti di Cam che era il figlio di mezzo, infine i discendenti di Sem che era il primo e il più grande. Le denominazioni di quelle popolazioni in parte rimasero, sicché anche oggi ne è manifesta la derivazione, come Assiri da Assur ed Ebrei da Eber, in parte sono cambiate col passar del tempo al punto che uomini dottissimi, i quali fanno ricerche di archeologia, sono riusciti a scoprire le origini di appena alcune di quelle popolazioni, non di tutte. Difatti nessun dato etimologico fa apparire che gli Egiziani, come si afferma, abbiano origine da un figlio di Cam chiamato Mesraim. Altrettanto si dice degli Etiopi che sono considerati discendenti del figlio di Cam, chiamato Cus. Se si riflette bene, sono più le denominazioni cambiate che quelle rimaste.

Adolescenza della Città di Dio in Abramo [12-36]


Gli Ebrei dalla Caldea in Mesopotamia.
12. Ora esaminiamo lo sviluppo della città di Dio in quel periodo di tempo che si ebbe col patriarca Abramo, perché da quel tempo inizia una sua più palese manifestazione e in esso si rendono manifeste promesse divine che attualmente vediamo adempiute in Cristo. Come abbiamo appreso dalla narrazione della sacra Scrittura, Abramo nacque nella regione dei Caldei 53, territorio che apparteneva all'impero degli Assiri. Presso i Caldei anche allora erano in vigore irriverenti usanze religiose, come presso gli altri popoli. V'era soltanto la famiglia di Tara, da cui nacque Abramo, in cui erano rimasti il culto dell'unico vero Dio e, per quanto si può dedurre, la sola lingua ebraica. Tuttavia, stando alla testimonianza di Giosuè di Nun 54, si è informati che anche Tara, come pure il popolo che era più palesemente di Dio, sia in Egitto che in Mesopotamia, adorarono altri dèi. Questo avveniva perché gli altri della discendenza di Eber gradatamente passavano ad altre lingue e ad altri popoli. E come durante il diluvio delle acque soltanto la famiglia di Noè era rimasta per ricuperare il genere umano, così nel diluvio delle molte credenze religiose diffuse nel mondo era rimasta soltanto la famiglia di Tara in cui fu custodito il germe della città di Dio. Precedentemente dopo aver elencato le generazioni fino a Noè assieme al numero degli anni e dopo aver esposto la causa del diluvio, prima che Dio parlasse a Noè della costruzione dell'arca, la Scrittura dice: Questi sono i discendenti di Noè 55. Allo stesso modo ora, dopo aver elencato le generazioni dal Patriarca chiamato Sem, figlio di Noè, fino ad Abramo, si segnala una serie di rilievo con le parole: Queste sono le generazioni di Tara. Tara generò Abram, Nacor e Arran, e Arran generò Lot. Arran morì prima di Tara suo padre nella terra in cui nacque, nella regione dei Caldei. Abram e Nacor presero moglie, il nome della moglie di Abram è Sara e quello della moglie di Nacor è Melca, figlia di Arran 56. Arran fu padre di Melca e di Iesca, che si ritiene sia la stessa Sara moglie di Abramo.

Importanza dell'elemento cronologico.
13. Si narra poi come Tara lasciò con i suoi familiari la regione dei Caldei e si recò nella Mesopotamia e si stabilì a Carran. Non si parla del figlio che si chiamava Nacor, come se non l'avesse condotto con sé. Ecco il testo: Tara prese con sé Abram suo figlio e Lot figlio di Arran suo nipote, Sara sua nuora e moglie del figlio Abram, li condusse dalla regione dei Caldei nella regione di Canaan, giunse a Carran e vi si stabilì 57. In questo passo non sono ricordati Nacor e la moglie Melca. Ma lo incontriamo in seguito quando Abramo mandò un suo servitore a scegliere una moglie per il figlio Isacco. Dice la Scrittura: Il servitore prese con sé dieci dei cammelli e una parte dei beni del suo padrone e messosi in cammino partì per la Mesopotamia nella città dove era Nacor 58. Con questa testimonianza e con altre della Storia sacra si dimostra che anche Nacor fratello di Abramo uscì dal paese dei Caldei e stabilì la residenza in Mesopotamia, dove Abramo si era stabilito con suo padre. Cerchiamo quindi il motivo per cui la Scrittura non lo ha ricordato quando Tara con i suoi familiari partì dal paese dei Caldei e si stabilì in Mesopotamia, tanto più che aveva condotto con sé non solo il figlio Abramo ma anche la nuora Sara e il nipote Lot. Il vero motivo è, come pensiamo, che si era allontanato dalla religione del padre e del fratello e aveva aderito alla falsa credenza dei Caldei, ma poi anche egli emigrò dal paese perché era pentito o minacciato come persona sospetta. Infatti nel libro intitolato Giuditta, quando Oloferne, nemico degli Israeliti, chiese che gente fosse e se si doveva combattere contro di loro, Achior, condottiero degli Ammoniti, rispose: Il nostro signore ascolti la parola di un suo dipendente e dirò la verità sul popolo che abita la montagna qui vicino e non uscirà una menzogna dalla bocca del tuo dipendente. Sono i discendenti di una popolazione della Caldea e prima abitavano la Mesopotamia perché non vollero più adorare gli dèi dei loro padri. Erano famosi nella terra dei Caldei, ma si allontanarono dalla tradizione dei loro antenati e adorarono il Dio del cielo che avevano riconosciuto come il vero Dio. Allora i Caldei li espulsero dalla presenza dei loro dèi ed essi si rifugiarono in Mesopotamia e vi abitarono per molto tempo. E il loro Dio comandò che abbandonassero la loro abitazione e andassero nella terra di Canaan e quivi si stabilirono 59 e di seguito le altre informazioni di Achior l'Ammonita. È evidente che la famiglia di Tara aveva subìto dai Caldei una persecuzione a causa della vera religione con cui si adorava l'unico vero Dio.

La vocazione e problemi cronologici su Abramo.
14. Dopo la morte di Tara in Mesopotamia dove, come ci è notificato, visse duecentocinque anni, si comincia a segnalare le promesse fatte da Dio ad Abramo. È scritto appunto: Gli anni di vita di Tara in Carran furono duecentocinque e egli morì a Carran 60. Il passo non si deve interpretare nel senso che egli trascorse in quel luogo tutti questi anni, ma che in quel luogo raggiunse tutti gli anni della sua vita che furono duecentocinque. Altrimenti non si saprebbe quanti anni è vissuto Tara, perché non è indicato a che età della sua vita andò a Carran e sarebbe assurdo ritenere che in questa genealogia, in cui si segnalano con precisione gli anni di vita di ciascuno, soltanto il numero di anni di questo patriarca non sarebbe consegnato alla storia. E il motivo per cui non è indicata l'età di alcuni, di cui la sacra Scrittura parla, è che essi non sono nella serie in cui l'elemento cronologico è derivato dalla scomparsa dei genitori e dalla successione dei figli. La lista che si protende da Adamo a Noè e da lui ad Abramo non comprende nessuno senza l'indicazione del numero degli anni.

Gli spostamenti di Abramo nella relazione di Stefano.
15. 1. Dopo la notificazione della morte di Tara, padre di Abramo, si legge: E disse il Signore ad Abram: lascia il tuo paese, la tua tribù e la famiglia di tuo padre 61 e il resto. Non si deve pensare che questo fatto, perché segue immediatamente nel contesto del libro, segua immediatamente anche nell'ordine degli avvenimenti. Al caso sarebbe un problema insolubile. Dopo queste parole rivolte da Dio ad Abramo, la Scrittura sacra continua: Abramo lasciò tutto secondo il comando del Signore e andò con lui Lot. Abramo aveva settantacinque anni quando abbandonò Carran 62. È impossibile che questo sia vero se lasciò Carran dopo la morte del padre. Precedentemente è stato notificato che Tara aveva settanta anni quando mise al mondo Abramo. Sommati a questo numero i settantacinque anni che aveva Abramo quando lasciò Carran, diventano centoquarantacinque anni. Dunque Tara aveva questa età quando Abramo lasciò la città della Mesopotamia. Egli infatti aveva settantacinque anni di età, perciò il padre che l'aveva generato quando era al settantesimo anno di età, aveva, come è stato detto, centoquarantacinque anni. Quindi Abramo non se ne andò dal paese dopo la morte del padre, cioè ai duecentocinque anni di vita di lui, ma risulta, senza possibilità d'errore, che l'anno della sua dipartita fu ai centoquarantacinque anni di vita del padre, dato che egli ne aveva settantacinque e il padre all'età di settanta anni l'aveva messo al mondo. Si deve quindi ammettere che la Scrittura, secondo un suo criterio, è tornata indietro ad un tempo che l'esposizione dei fatti aveva oltrepassato. Anche precedentemente, mentre menzionava i discendenti dei figli di Noè, aveva indicato che si erano stabiliti nei rispettivi dialetti e popolazioni 63, tuttavia dopo, come se seguisse nella successione del tempo, dice: L'umanità aveva un medesimo linguaggio e idioma 64. Non era assurdo dire che i discendenti erano costituiti nelle rispettive popolazioni e dialetti e che la lingua era comune soltanto perché l'esposizione si è volta indietro rinviando a un avvenimento passato. Anche nel caso in esame fu premessa questa notizia: Gli anni di vita di Tara in Carran furono duecentocinque ed egli morì a Carran 65. Poi la Scrittura tornando a una notizia che aveva omesso appositamente perché si completasse quel che in precedenza si era cominciato a dire di Tara, soggiunse: Il Signore disse ad Abram: lascia il tuo paese e il resto. E dopo questa parola del Signore si soggiunge: Abram lasciò tutto secondo il comando del Signore e andò con lui Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran 66. Questo dunque avvenne quando il padre aveva centoquarantacinque anni d'età, perché egli allora ne aveva settantacinque. L'obiezione ha avuto anche un'altra soluzione. I settantacinque anni di Abramo quando lasciò Carran sarebbero calcolati dall'anno in cui fu fatto uscire da Ur dei Caldei, come se allora avesse cominciato a vivere, e non dall'anno in cui nacque.

Cronologia della manifestazione di Dio ad Abramo.
15. 2. Santo Stefano, nel narrare questi avvenimenti, dice negli Atti degli Apostoli: Il Dio della gloria apparve al nostro patriarca Abramo, quando era in Mesopotamia prima che andasse ad abitare a Carran e gli disse: Lascia il tuo paese, la tua tribù e la famiglia di tuo padre e va' nel paese che io ti indicherò. Stando a queste parole di Stefano Dio non parlò ad Abramo dopo la morte del padre che morì certamente a Carran, dove con lui dimorò anche il figlio, ma prima che andasse a quella città, però quando già era in Mesopotamia. Dunque aveva già lasciato il territorio dei Caldei. Il resto del discorso di Stefano e cioè: Allora Abramo abbandonò il paese dei Caldei e si stabilì a Carran non riguarda ciò che era avvenuto dopo che il Signore gli ebbe parlato. Difatti non aveva abbandonato la Caldea dopo quelle parole del Signore, poiché Stefano afferma che si manifestò a lui quando era ancora in Mesopotamia. Il termine allora è relativo a tutto quel tempo, ossia da quando abbandonò il paese dei Caldei e si stabilì a Carran. Egualmente va inteso ciò che segue: Da quel paese, dopo la morte del padre, lo fece stabilire in questo territorio in cui ora abitate voi e i vostri antenati 67. Non ha detto: "Dopo la morte del padre abbandonò Carran", ma: "Lo fece stabilire qui dopo la morte del padre". Si deve quindi intendere che Dio si manifestò ad Abramo, quando era ancora in Mesopotamia, prima che si stabilisse a Carran, ma che giunse a Carran con il padre, conservando in sé il comando di Dio e che di là emigrò quando egli aveva settantacinque anni e il padre centoquarantacinque. In realtà Stefano attesta che dopo la morte avvenne la residenza fissa nel territorio di Canaan e non la partenza da Carran, perché il padre era già morto quando acquistò un terreno, di cui entrò in possesso come proprietà personale. Con le parole che Dio gli rivolge quando era già stabilito in Mesopotamia, cioè emigrato dal paese dei Caldei: Lascia il tuo paese, la tua tribù, la famiglia di tuo padre non gli ordina di far emigrare il corpo, perché l'aveva già fatto, ma di distogliere il pensiero. Difatti non ne era uscito col pensiero se era ancora tenuto dalla speranza e dal desiderio di tornarvi, speranza e desiderio che dovevano scomparire con l'aiuto di Dio e la sua docilità. È attendibile l'ipotesi che quando Nacor raggiunse il padre nell'aldilà, allora Abramo adempì il comando del Signore di emigrare da Carran assieme alla sua moglie Sara e a Lot figlio del fratello.

Tre imperi e tre continenti.
16. Ormai si devono prendere in esame le promesse di Dio ad Abramo. In esse cominciarono a rivelarsi le predizioni più manifeste del nostro Dio, cioè del vero Dio, sul popolo dei credenti preannunciato dalla veridicità di un profeta. La prima è in questi termini: Il Signore disse ad Abramo: Lascia il tuo paese, la tua tribù e la famiglia di tuo padre ed emigra nel paese che io ti indicherò e ti farò diventare un grande popolo, ti benedirò e renderò famoso il tuo nome e sarai benedetto e benedirò coloro che ti benediranno e maledirò coloro che ti malediranno e in te saranno benedetti tutti i popoli della terra 68. È da rilevare che due cose furono promesse ad Abramo. La prima è che la sua discendenza avrebbe posseduto il territorio di Canaan ed è indicata con le parole: Emigra nel paese che io ti indicherò e ti farò diventare un grande popolo. L'altra riguarda un evento più importante perché non è relativa alla discendenza fisiologica ma spirituale, in virtù della quale è padre non solo del popolo israelitico ma di tutti i popoli che seguono il modello della sua fede. Questa promessa ha avuto inizio con le parole: E in te saranno benedetti tutti i popoli della terra. Eusebio ritiene che questa promessa fu fatta al settantacinquesimo anno di vita di Abramo 69, come se fosse avvenuta appena egli abbandonò Carran, poiché non si può considerare erroneo questo passo della Scrittura: Abramo aveva settantacinque anni quando lasciò Carran 70. Ma se la promessa avvenne in quell'anno, già Abramo dimorava in Carran col padre. Non poteva lasciarla se prima non vi si fosse stabilito. Così non si ritiene che abbia errato Stefano il quale afferma: Il Dio della gloria apparve ad Abramo nostro padre quando dimorava nella Mesopotamia prima che si stabilisse a Carran 71. Si deve intendere appunto che nel medesimo anno si siano verificati tutti questi eventi, la promessa di Dio prima che Abramo si stabilisse a Carran, la sua residenza in essa e la dipartita, non solo perché Eusebio nella Cronaca inizia la cronologia dall'anno di questa promessa e dimostra che la fuga dall'Egitto avvenne dopo quattrocentotrenta anni, quando fu consegnata la legge, ma anche perché così opina l'apostolo Paolo.

Abramo verso il paese di Canaan.
17. Contemporaneamente v'erano famosi regni pagani, nei quali la città dei nati dalla terra, cioè la società degli uomini che vivevano secondo l'uomo, sotto il dominio degli angeli ribelli, si segnalava per splendore. Erano tre i regni, di Sicione, d'Egitto e d'Assiria. Quello d'Assiria era molto più potente e splendido. Infatti il celebre Nino, figlio di Belo, aveva assoggettato i popoli di tutta l'Asia, eccettuata l'India. Per Asia ora non intendo quella parte che è una provincia dell'Asia maggiore ma quella che corrisponde all'Asia intera, che alcuni hanno considerato l'altra parte di tutto l'orbe, parecchi invece come la terza parte così che sarebbero tre parti le quali sono Asia, Europa, Africa. Evidentemente non hanno usato il medesimo criterio nel dividere. La parte appunto che corrisponde all'Asia va dal Mezzogiorno attraverso l'Oriente fino al Settentrione, l'Europa dal Settentrione fino all'Occidente e l'Africa dall'Occidente fino al Mezzogiorno. Sembra quindi che due, Europa e Africa, comprendano metà del pianeta e l'Asia da sola l'altra metà. Ma le due sono state considerate parti perché tra l'una e l'altra dall'Oceano defluiscono tutte le acque che circondano la terra e che per noi formano il Mediterraneo. Quindi se consideri l'orbe diviso in due parti, dell'Oriente e dell'Occidente, l'Asia è nella prima, l'Europa e l'Africa nell'altra. Quindi dei tre imperi che allora primeggiavano quello di Sicione non dipendeva dall'Assiria perché Sicione era in Europa. C'è quindi da chiedersi perché non era loro tributario l'impero d'Egitto se dagli Assiri era dominata tutta l'Asia, fatta eccezione, come si afferma, soltanto per gli Indiani. In Assiria dunque aveva prevalso la supremazia della città senza Dio. Prototipo ne fu la celebre Babilonia, denominazione molto appropriata della città terrena perché significa confusione. Vi regnava Nino dopo la morte di suo padre Belo che per primo vi aveva regnato durante sessantacinque anni. Il figlio Nino, successo nell'impero alla morte del padre, regnò cinquantadue anni e regnava da quarantatré quando nacque Abramo circa mille e duecento anni prima della fondazione di Roma, quasi altra Babilonia in Occidente.

Abramo in Egitto.
18. Dunque Abramo lasciò Carran quando aveva settantacinque anni e il padre centoquarantacinque con Lot, figlio del fratello e con la moglie Sara e si diresse verso il paese di Canaan e giunse a Sichem, in cui di nuovo ricevette una comunicazione divina, sulla quale si ha nella Scrittura: Il Signore si manifestò ad Abramo e gli disse: Darò alla tua discendenza questo territorio 72. Con queste parole non è stata indicata la discendenza con cui egli è diventato padre di tutti i popoli, ma soltanto di quella per cui è padre del solo popolo d'Israele. Da questa discendenza infatti fu occupato quel territorio.

Abramo si separa da Lot.
19. In seguito dopo aver costruito in quel luogo un altare e aver invocato Dio, Abramo partì di là e fece sosta nel deserto e poi fu costretto dalla carestia a recarsi in Egitto. Qui disse che la moglie era sua sorella senza mentire perché lo era come consanguinea. Anche Lot per il medesimo vincolo di parentela fu presentato come fratello, sebbene fosse figlio del fratello. Passò sotto silenzio la moglie ma non negò che lo fosse, affidando a Dio la difesa della fedeltà di lei ed evitando come uomo gli agguati dell'uomo perché, se non evitava il pericolo nei limiti del possibile, avrebbe piuttosto tentato Dio che sperato in lui 73. In proposito ho parlato abbastanza contro il cavilloso Fausto il manicheo 74. In seguito avvenne ciò che Abramo si attendeva dal Signore. Il Faraone re d'Egitto, che s'era preso Sara in moglie, affetto da grave malattia, la rese al marito. E non dobbiamo credere che fosse violata da contatto adultero perché è assai più credibile che non fu consentito al Faraone di farlo dallo stato di prosternazione.

Nuova promessa ad Abramo.
20. Ritornato quindi Abramo dall'Egitto nel luogo da cui era partito, Lot figlio del fratello, pur salvaguardando l'affetto, si separò da lui per recarsi nel paese di Sodoma. Erano diventati ricchi e avevano cominciato ad avere molti guardiani del bestiame. Poiché questi si contrastavano, con quel provvedimento evitarono una violenta discordia delle proprie famiglie. Ne poteva derivare, come in tutte le cose umane, una lite anche fra loro due. Abramo, che voleva evitare un simile male, rivolse a Lot queste parole: Non vi sia alterco fra me e te, fra i miei e i tuoi pastori, perché siamo fratelli. Tutto il nostro possedimento non è davanti a te? Allontanati da me, se tu vai dalla parte sinistra, io andrò alla destra o se tu alla destra, io andrò alla sinistra 75. Forse da questo fatto è derivata agli uomini l'usanza del compromesso, cioè che quando si deve distribuire una parte dei terreni, il più grande divida, il più giovane scelga 76.

Abramo e Melchisedec.
21. Dopo che Abramo e Lot si erano separati e per l'obbligo di sorreggere la famiglia e non per la stortura della discordia vivevano ciascuno per conto suo, Abramo nel paese di Canaan e Lot a Sodoma, in una terza manifestazione il Signore disse ad Abramo: Volgendo attorno i tuoi occhi guarda dal luogo dove sei ora a Nord e a Sud, a Est e verso il mare Mediterraneo perché darò a te e alla tua discendenza per sempre il territorio che tu vedi e renderò la tua discendenza numerosa come la sabbia della terra. Se si può fissare il numero della sabbia della terra, lo si farà anche della tua discendenza. Suvvia percorri per lungo e per largo il territorio perché te lo darò 77. Non appare con evidenza che in questa premessa sia inclusa anche quella con la quale divenne padre di tutti i popoli. Può sembrare che la riguardi la frase: renderò la tua discendenza numerosa come la sabbia della terra. Ma la frase è di quel modo di esprimersi che i Greci chiamano iperbole 78 che è linguaggio figurato, non proprio. Però chi conosce la Scrittura non può metter in dubbio che abitualmente usa questa figura come le altre. Si ha questa figura, cioè questo modo di esprimersi, quando l'espressione va molto al di là del significato. Ognuno comprende quanto al di là di ogni paragone sia più grande il numero dei granelli di sabbia che quello di tutti gli uomini da Adamo sino alla fine del mondo. A più forte ragione è maggiore dei discendenti di Abramo, non solo per quanto attiene al popolo d'Israele ma anche a quelli che faranno parte della discendenza sul fondamento dell'imitazione della fede in tutto il mondo e presso tutti i popoli. Questa discendenza in confronto con la moltitudine dei miscredenti, si trova in pochi i quali, anche se pochi, costituiscono una propria incalcolabile moltitudine che è stata indicata per iperbole mediante i granelli di sabbia. Questa moltitudine non è incalcolabile a Dio ma agli uomini, a Dio neanche la sabbia della terra. Quindi poiché con maggiore proprietà si paragona all'enorme quantità di sabbia non solo il popolo d'Israele ma tutta la discendenza di Abramo nei passi in cui v'è la promessa di molti figli non secondo la carne ma secondo lo spirito, in questo passo è possibile avvertire la promessa dell'una e dell'altra paternità. Per questo abbiamo detto che la promessa non è espressa con evidenza perché anche la moltitudine del solo popolo, che proviene secondo la carne da Abramo tramite il suo nipote Giacobbe, crebbe al punto che si è diffusa in tutte le parti del mondo. Quindi è stato possibile paragonarla in base a un'iperbole, all'enorme quantità di sabbia, anche perché soltanto essa è incalcolabile per l'uomo. Nessuno mette in dubbio che come territorio è stato indicato soltanto quello che si denomina Canaan. Ma le parole: Lo darò a te e alla tua discendenza per sempre possono sorprendere alcuni se la parola per sempre s'interpreta in eterno. Ma costoro non rimarranno sorpresi se in questo passo intendono il sempre come noi lo intendiamo per fede, che cioè l'inizio del sempre futuro si ha quando termina il sempre presente. Difatti sebbene gli Israeliti siano stati espulsi da Gerusalemme rimangono tuttavia nelle altre località del paese di Canaan e vi rimarranno sino alla fine e tutto il paese, poiché è abitato da cristiani, è anche esso discendenza di Abramo.

I discendenti numerosi come le stelle.
22. Dopo aver ricevuto questa promessa Abramo emigrò e si stabilì in un'altra località del paese, presso il querceto di Mambre che era a Ebron 79. Poi essendo stati sconfitti i Sodomiti in una guerra condotta da cinque re contro quattro, anche Lot fu fatto prigioniero dai nemici che avevano invaso Sodoma. Lo liberò Abramo con i trecentodiciotto servitori che aveva condotto con sé in battaglia e restituì la vittoria ai re di Sodoma e non volle avere nulla del bottino sebbene il re, per cui aveva vinto, glielo offrisse. In quell'occasione appunto fu benedetto da Melchisedec che era sacerdote di Dio l'Altissimo 80. Di lui sono state scritte molte e importanti considerazioni nella Lettera intestata agli Ebrei che molti attribuiscono a Paolo, alcuni dissentono 81. In quella circostanza inoltre per la prima volta si manifestò il sacrificio che ora dai cristiani in tutto il mondo si offre a Dio e si adempie quel che molto tempo dopo questo avvenimento profeticamente si dice al Cristo che non si era ancora incarnato: Tu sei sacerdote in eterno nella successione a Melchisedec 82 e non nella successione ad Aronne, perché era una successione che doveva essere abolita al luminoso apparire di quei fatti che erano preannunciati da quelle ombre.

La grande promessa ad Abramo.
23. Anche allora fu rivolta in visione la parola del Signore ad Abramo. Il Signore gli promise la sua protezione e una ricompensa molto grande e Abramo, preoccupato della discendenza, disse che sarebbe stato suo erede un certo Eliezer suo servitore e immediatamente gli furono assicurati un erede, che non era il servitore, ma uno che doveva provenire da Abramo stesso e di nuovo una discendenza innumerevole, non come i granelli di sabbia ma come le stelle del cielo 83. A me sembra che con quelle parole fu assicurata una discendenza eccelsa per la felicità celeste. Per quanto attiene al numero straordinario non c'è confronto fra le stelle del cielo e i granelli di sabbia, a meno che non si sostenga una certa somiglianza del paragone in quanto è impossibile contare anche le stelle perché si deve riconoscere che non si riesce a vederle tutte. Infatti quanto più intensamente un individuo fissa, tante più ne scorge. Quindi giustamente si ritiene che ve ne sono alcune nascoste anche a coloro che hanno la vista penetrante a parte quelle che, come si sostiene, si levano e tramontano all'altra parte dell'orbe così lontana da noi. Infine l'autorità di questo libro della Scrittura confuta coloro che si vantano di avere afferrato ed esposto l'intero numero delle stelle, come Arato ed Eudosso e altri se ve sono. Qui cade a proposito il pensiero che l'Apostolo ricorda per inculcare la grazia di Dio: Abramo credette a Dio e gli fu accreditato a giustizia 84 affinché la circoncisione non s'imbaldanzisse e pretendesse che i popoli incirconcisi non fossero accolti nella fede del Cristo. Quando avvenne che la fede fu riconosciuta come giustizia ad Abramo che credeva, egli ancora non era circonciso.

Simboli e allegorie nel fatto.
24. 1. Mentre egli parlava nella medesima visione Dio gli disse anche: Io sono il Dio che ti ha fatto emigrare dalla regione dei Caldei per darti questo territorio perché tu ne sia l'erede. Avendolo interrogato Abramo su quale base avrebbe saputo di esserne l'erede, gli disse Dio: Procurami una giovenca, una capra e un ariete, tutti e tre di tre anni, una tortora e un colombo. Gli procurò tutti questi animali, li divise nel mezzo e pose le metà l'una di fronte all'altra ma non divise gli uccelli. E piombarono, come è scritto, uccelli rapaci sui corpi che erano divisi ma Abram resisté loro. Verso il tramonto del sole uno spavento religioso invase Abram e una oscura grande angoscia lo incolse e il Signore gli disse: Saprai che la tua discendenza sarà in esilio in terra straniera, li ridurranno in schiavitù e li opprimeranno per quattrocento anni, io ti indicherò il popolo di cui saranno schiavi. Ma dopo questi fatti ne usciranno con una grande ricchezza. Tu te ne andrai in pace con i tuoi antenati in una serena vecchiaia. Alla quarta generazione torneranno qua. Finora non sono al completo i peccati degli Amorrei. Quando il sole fu tramontato, vi fu una fiammata e un bracere fumante e torce passarono fra le parti degli animali uccisi. In quel giorno il Signore stabilì un'alleanza con Abram dicendo: Alla tua discendenza darò il territorio dal fiume confinante con l'Egitto fino al grande fiume Eufrate, abitato da Cheniti, Chenizziti, Cadmoniti, Ittiti, Perizziti, Rafaim, Amorrei, Cananei, Evei, Gergesei, Gebusei 85.

Precisazioni cronologiche.
24. 2. Tutti questi avvenimenti, fatti e parole, si ebbero in visione per azione divina. È lungo trattarne singolarmente e va al di là dell'intento dell'opera. Dobbiamo quindi conoscere quanto basta. Dopo la notizia che Abramo credette in Dio e gli fu riconosciuto come giustizia, si precisa che non mancò di fede, ma disse: Signore mio padrone con quale segno saprò che ne sarò erede? 86, perché gli era stata assicurata l'eredità di quel territorio. Non disse "come faccio a saperlo?", come se ancora non credesse, ma disse: Con quale segno saprò?, affinché fosse adoperato un confronto con l'oggetto della sua fede per conoscerne il significato. Così non è diffidenza della Vergine Maria l'aver chiesto: Come è possibile perché io sono vergine? Era certa che sarebbe avvenuto, chiedeva il modo con cui sarebbe avvenuto e le fu detto perché questo aveva chiesto 87. Anche nel caso in esame il confronto fu dato con animali, la vitella, la capra, l'ariete, la tortora e il colombo affinché sapesse che sarebbe avvenuto secondo tali indicazioni ciò che non dubitava sarebbe avvenuto. Con la vitella poteva essere simboleggiata la popolazione posta sotto il giogo della legge, con la capra la medesima popolazione che avrebbe trasgredito la legge, con l'ariete la medesima popolazione che avrebbe avuto un re. E si precisa che questi animali siano di tre anni perché vi sono i tre significativi periodi di tempo, da Adamo a Noè, da lui ad Abramo e da lui a Davide, il primo re consolidato nel regno del popolo d'Israele per volontà del Signore dopo che Saul fu destituito. E proprio nel terzo periodo, che va da Abramo a Davide, questo popolo divenne adulto perché entrava nella terza età. Questi animali potrebbero simboleggiare più convenientemente qualche altra cosa, però non metterei affatto in dubbio che nell'aggiunta della tortora e del colombo si ha un'allegoria profetica degli spirituali. Per questo si ha nel passo: Non divise gli uccelli, poiché i carnali si dividono fra di sé ma in nessun modo gli spirituali, sia che si allontanino dagli umani rapporti d'affari, come la tortora, sia che passino il tempo in mezzo ad essi, come il colombo. Tutti e due gli uccelli però sono schietti e inoffensivi e simboleggiano nello stesso popolo d'Israele, al quale si doveva concedere quel territorio, coloro che sarebbero stati gli indivisibili figli della promessa e gli eredi del regno che dovrà persistere nella felicità eterna. Gli uccelli che piombano sui corpi divisi non significano qualcosa di bene ma gli spiriti di questa atmosfera che si procurano il mangiare dalla divisione dei carnali. Il fatto che Abramo li scacciò simboleggia che anche fra le divisioni dei carnali i veri credenti persevereranno fino alla fine. E il fatto che al tramonto del sole lo spavento religioso e la grande angoscia invasero Abramo simboleggia che verso la fine del mondo avverrà un grande tormentoso sconvolgimento dei credenti, di cui il Signore dice nel Vangelo: Vi sarà allora un grande tormento quale non si ebbe dall'inizio 88.

L'angoscia di Abramo e la fine del mondo.
24. 3. Vi sono poi le parole ad Abramo: Saprai che la tua discendenza sarà in esilio in terra straniera e li ridurranno in schiavitù e li opprimeranno per quattrocento anni 89. È una manifesta predizione sul popolo d'Israele che doveva essere schiavo in Egitto, non nel senso che il popolo doveva passare quattrocento anni nella schiavitù sotto gli Egiziani che l'opprimevano ma nel senso che il fatto sarebbe avvenuto entro i quattrocento anni. C'è un confronto con quel che era stato scritto di Tara padre di Abramo: E gli anni di Tara in Carran furono duecentocinque 90, non nel senso che trascorsero tutti in quel paese ma che vi furono compiuti. Allo stesso modo anche qui sono state inserite le parole: Li ridurranno in schiavitù e li opprimeranno per quattrocento anni, perché questo periodo ebbe termine con questa afflizione e non perché vi fu trascorso tutto. Sono indicati quattrocento anni a causa della completezza del numero, sebbene siano un po' di più, tanto se vengono calcolati dal tempo, in cui erano rivolte queste promesse ad Abramo o da quando nacque Isacco in relazione alla discendenza di Abramo perché queste predizioni la riguardano. Sono calcolati quattrocentotrenta anni, come ho detto poco fa, dall'anno in cui Abramo ne compiva settantacinque, quando gli fu svelata la prima promessa, fino alla uscita di Israele dall'Egitto. Li ricorda anche l'Apostolo che dice: La legge promulgata quattrocentotrenta anni dopo non annulla, sopprimendo la promessa, l'alleanza ratificata da Dio 91. Era possibile quindi di questi quattrocentotrenta anni considerarne quattrocento perché non sono molti di più, anche perché alcuni ne erano passati quando quegli eventi furono fatti vedere e descritti ad Abramo in visione o quando venticinque anni dopo la promessa nacque Isacco dal padre che ne aveva cento. Dei quattrocentotrenta ne rimarrebbero quattrocentocinque e Dio volle prenderne in considerazione soltanto quattrocento. E nessuno può dubitare che gli altri eventi, che seguono alle parole di Dio che li predice, riguardano il popolo d'Israele.

Apologia di Abramo con Agar.
24. 4. Quel che segue: Quando il sole fu tramontato vi fu una fiammata e un braciere fumante e torce accese passarono fra le parti degli animali divisi 92 simboleggia che alla fine del mondo i carnali saranno giudicati mediante il fuoco. L'oppressione della città di Dio con proporzioni quali prima non si ebbero, la quale si attende che avvenga sotto l'anticristo, è simboleggiata dall'oscura angoscia di Abramo verso il tramonto del sole, cioè quando sarà vicina la fine del mondo. Allo stesso modo al tramonto del sole, cioè alla fine del mondo, è simboleggiato dal fuoco il giorno del giudizio che distinguerà fra gli uomini carnali quelli che si salveranno col fuoco e quelli che saranno dannati nel fuoco. Poi l'alleanza stipulata con Abramo indica propriamente la terra di Canaan e menziona in essa undici popoli dal fiume d'Egitto al grande fiume Eufrate. Quindi non dal grande fiume d'Egitto, cioè dal Nilo, ma dal piccolo che divide Egitto e Palestina, dove si trova la città di Rinocorura.

Alleanza e circoncisione.
25. A questi fatti segue il periodo dei figli di Abramo, uno dalla schiava Agar, l'altro dalla libera Sarra, dei quali abbiamo parlato nel libro precedente 93. Per quanto attiene al fatto in nessun senso si deve rivolgere ad Abramo l'accusa di relazione con questa concubina. La ebbe per avere un figlio non per soddisfare la lussuria, senza offendere ma piuttosto per obbedire alla moglie. Lei si illudeva che fosse un conforto alla sua sterilità se con un atto di volontà, poiché per natura non poteva, rendeva suo il grembo reso fecondo della schiava 94. In fondo la donna usava del diritto di cui l'Apostolo dice: Egualmente anche l'uomo non ha autorità sul suo corpo ma la donna 95. Così partoriva per mezzo di un'altra perché da se stessa non lo poteva. Non v'è nel fatto alcun desiderio di dissolutezza o il disonore dell'inganno. Dalla moglie per avere un figlio si consegna al marito la schiava, dal marito per avere un figlio la si accoglie, da entrambi si persegue non la dissipazione della colpa ma il dono della natura. Poi la schiava incinta trattò con orgoglio la padrona sterile e Sarra con femminile diffidenza attribuì il fatto al marito. Anche in questo caso Abramo dimostrò che non era stato un amante schiavo ma un genitore libero, che in Agar aveva conservato la fedeltà alla moglie, che non aveva soddisfatto il proprio piacere ma la volontà di lei, che aveva ricevuto senza chiedere, che si era unito senza vincolarsi, che aveva generato senza amare. Egli le disse: La tua schiava è a tua disposizione, trattala come ti pare 96. O uomo che trattò le donne con dignità virile, la moglie con rispetto, la schiava con deferenza, nessuna delle due senza ritegno.

Fatti e loro simbologia nel tempo.
26. 1. Dopo questi fatti da Agar nacque Ismaele e Abramo dovette pensare che con lui fosse adempiuta la promessa perché, quando voleva adottare un suo servitore, Dio gli aveva detto: Non sarà tuo erede costui ma uno che proverrà da te sarà tuo erede 97. Ma affinché non pensasse che la promessa si adempisse col figlio della schiava, quando aveva novantanove anni gli apparve il Signore e gli disse: Io sono Dio, ubbidisci al mio cenno e sii senza difetto e stabilirò un'alleanza fra me e te e ti renderò un grande popolo. Abramo si prostrò con la faccia a terra e Dio gli rivolse queste parole: Eccomi ed ecco la mia alleanza con te e sarai capostipite di molti popoli. Il tuo nome non sarà più Abram ma Abramo, perché ti ho costituito capostipite di molti popoli, ti renderò assai grande e ti rinnoverò in vari popoli e nella tua discendenza ci saranno re. Stabilirò la mia alleanza fra me e te e con la tua discendenza di generazione in generazione con un'alleanza eterna per essere il Dio tuo e della tua discendenza. E darò a te e alla tua discendenza il territorio, in cui ora abiti come straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne e sarò il loro Dio. E disse Dio ad Abramo: Tu rispetterai la mia alleanza, tu e la tua discendenza nelle varie generazioni. E questa è l'alleanza fra me e voi e la tua discendenza nelle varie generazioni che dovrai rispettare: Sarà circonciso ogni vostro maschio e circonciderete il vostro membro e sarà come simbolo dell'alleanza fra me e voi. Ogni vostro maschio di otto giorni sarà circonciso nelle varie generazioni. Anche lo schiavo nato nella tua casa o comprato dallo straniero, che non sono della tua discendenza, saranno circoncisi, tanto se nato in casa che acquistato. Così la mia alleanza sarà nel vostro corpo come un'alleanza perenne. E il maschio non circonciso, che non riceverà cioè il segno della circoncisione nel corpo all'ottavo giorno, non apparterrà più alla sua razza perché ha rotto la mia alleanza. Sara tua moglie non sarà più chiamata Sara ma Sarra. La benedirò e da lei ti farò avere un figlio e lo benedirò e darà origine a nazioni e re di popoli proverranno da lui. Abramo si prostrò con la faccia a terra, rise e pensò fra sé: È possibile che nasca un figlio a me che ho cento anni e che Sarra a novanta partorisca? E Abramo disse a Dio: Viva qui Ismaele alla tua presenza. Rispose Dio ad Abramo: È così, Sarra tua moglie ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Stabilirò l'alleanza con lui in alleanza perenne di essere il suo Dio e della sua discendenza. Anche riguardo ad Ismaele ti ho dato ascolto, l'ho benedetto, avrà molti figli e discendenti. Darà origine a dodici tribù e lo renderò una grande nazione. Stabilirò la mia alleanza con Isacco che Sarra ti partorirà l'anno prossimo in questa stagione 98.

Significato redentivo della circoncisione.
26. 2. Nel brano sono più evidenti le promesse sulla vocazione dei pagani in Isacco, cioè nel figlio della promessa col quale è simboleggiata la grazia non la natura, perché si promette la nascita di un figlio da un uomo vecchio e da una vecchia donna sterile. Sebbene infatti sia Dio a garantire il naturale procedimento della procreazione, in un caso tuttavia, in cui è evidente l'intervento di Dio a causa di un difetto o inefficienza della natura, con maggiore evidenza si intravede la grazia. E poiché doveva venire non attraverso la generazione ma la rigenerazione, la circoncisione è stata prescritta quando è stata promessa la nascita di un figlio da Sarra. E la prescrizione che siano circoncisi tutti, non solo i figli ma anche gli schiavi nati nella casa o comprati, dimostra che la grazia appartiene a tutti. Difatti la circoncisione simboleggia la natura che si rinnova spogliandosi del vecchio. E il giorno ottavo simboleggia Cristo che è risorto al termine della settimana, cioè al sabato. Sono cambiati perfino i nomi dei genitori, ogni cosa riecheggia il rinnovamento e nell'Antica Alleanza si cela la Nuova. Difatti il vero significato di Antica Alleanza è tener segreta la Nuova e il significato di Nuova Alleanza è manifestare l'Antica. Il riso di Abramo è la gioia di chi si rallegra con se stesso, non lo scherno di chi diffida. Le parole che rivolge a se stesso: Se a me che ho cento anni nascerà un figlio e se Sarra a novanta anni partorirà non sono riflessioni di chi dubita ma di chi rimane sorpreso. Il passo: E darò a te e alla tua discendenza il territorio in cui sei straniero, tutta la terra di Canaan in possesso perenne 99, potrebbe rendere perplesso qualcuno se la promessa si deve intendere come adempiuta o se si deve attendere il suo adempimento, perché qualsiasi possedimento terreno non può esser eterno per nessun popolo. Sappia costui che dai nostri letterati si traduce eterno un qualcosa che i Greci chiamano , termine derivato da secolo, perché in greco il secolo è chiamato . Ma i Latini non hanno osato parlare di secolare per non lasciare andare il significato a un oggetto completamente diverso. Molte cose si dicono secolari perché si avverano nel tempo che trascorre e passano sia pure in breve tempo. Invece ciò che s'intende come o non ha fine o si prolunga sino alla fine del trascorrere del tempo.

Promessa e cambiamento di nomi.
27. Similmente può generare perplessità l'interpretazione del passo: Il maschio che non riceverà la circoncisione del membro all'ottavo giorno, quella persona non apparterrà più alla sua razza perché ha violato la mia alleanza 100. Non v'è colpa del bimbo, la cui vita dovrebbe andare in rovina, e non è stato lui a violare l'alleanza di Dio ma i genitori che non si sono preoccupati di circonciderlo. Però tutti i bimbi non in base a una caratteristica della propria esistenza, ma sulla base della comune origine dell'uman genere, hanno violato nel primo uomo l'alleanza di Dio, perché in lui tutti hanno peccato 101. Molte alleanze sono considerate di Dio, a parte le due grandi Alleanze, l'Antica e la Nuova che è consentito a tutti di conoscere leggendo la sacra Scrittura. La prima alleanza stipulata col primo uomo è certamente questa: Il giorno in cui ne mangerete, morirete 102. È scritto anche nel Libro detto dell'Ecclesiastico: Ogni uomo invecchia come un vestito. È un'alleanza dall'inizio dei tempi: Tu morirai 103. Ma la legge più esplicita è stata promulgata in seguito e l'Apostolo dice: Dove non si ha la legge neanche la trasgressione si ha 104. Quindi la sentenza del Salmo: Ho considerato trasgressori tutti i peccatori del mondo 105 è vera perché tutti coloro che sono vincolati a qualche peccato sono colpevoli della trasgressione di qualche legge. Perciò se anche i bimbi, come professa la vera fede, nascono peccatori non per colpa personale ma originale e per questo professiamo che è loro necessaria la grazia del perdono dei peccati, si riconosce evidentemente che come sono peccatori sono anche trasgressori di quella legge che fu promulgata nel paradiso terrestre. Così sono vere tutte e due le sentenze della Scrittura: Ho considerato trasgressori tutti i peccatori del mondo e l'altra: Dove non si ha la legge neanche la trasgressione si ha. Poiché dunque la circoncisione fu simbolo della rigenerazione e non a torto a causa del peccato originale, con cui fu violata la prima alleanza con Dio, la generazione porrà allo sbaraglio il bimbo se la rigenerazione non lo riscatta. Le parole di Dio dunque si devono intendere in questo senso: La vita di chi non sarà rigenerato non apparterrà più alla sua razza, perché ha violato l'alleanza di Dio quando anche egli ha peccato con tutti in Adamo. La frase: Perché ha violato questa mia alleanza costringerebbe a intendere che si tratta soltanto della circoncisione. In verità poiché non ha esplicitato qual genere di alleanza il bimbo ha violato, è attendibile che s'intenda un'alleanza che può essere violata anche da un bimbo. Qualcuno può insistere che si parli soltanto della circoncisione perché soltanto in riferimento ad essa il bimbo ha violato l'alleanza di Dio per il fatto che non è stato circonciso. Cerchi costui un altro modo d'esprimersi col quale si possa sensatamente significare che il bimbo ha violato l'alleanza perché, sebbene non da lui tuttavia in lui, è stata violata. Però anche in questo senso si deve riconoscere che l'anima del bimbo incirconciso non si perde ingiustamente per una personale trasgressione, che non esiste, ma soltanto per la soggezione al peccato originale.

L'esperienza del divino in Abramo e Lot.
28. Dunque fu rivolta ad Abramo una promessa tanto grande e tanto luminosa, perché gli fu comunicato molto esplicitamente: Ti ho costituito capostipite di molti popoli, ti renderò grande e ti rinnoverò in vari popoli e nella tua discendenza vi saranno re. Ti farò avere un figlio da Sara, lo benedirò, darà origine a nazioni e re di popoli proverranno da lui 106. Notiamo ora che questa promessa si è avverata in Cristo. Da quel momento quei coniugi non sono chiamati come prima, Abram e Sara, ma come li abbiamo chiamati noi fin dall'inizio poiché così sono chiamati da tutti e cioè Abramo e Sarra. Si giustifica perché è stato cambiato il nome di Abramo: perché dice il Signore, ti ho costituito capostipite di molti popoli. Si deve quindi intendere che Abramo ha questo significato. Abram, come era chiamato prima, si traduce "Padre nobile". Non è stata data giustificazione del cambiamento del nome di Sara, ma come affermano quelli che hanno trattato la traduzione dei nomi ebraici contenuti in questa parte della Scrittura, Sara si traduce "Mia principessa" e Sarra "Vigore". Perciò nella Lettera agli Ebrei si ha: Anche Sarra per fede ricevette vigore per il concepimento 107. Erano tutti e due assai vecchi, come afferma la Scrittura, ma lei anche sterile e ormai priva del flusso mestruale, perciò non avrebbe potuto partorire anche se non fosse stata sterile. D'altronde, se la donna sia d'età avanzata ma che abbia normali flussi muliebri, da un giovane può concepire ma non da un anziano, sebbene l'anziano può generare da una giovinetta, come dopo la morte di Sarra fu possibile ad Abramo con Cettura perché incontrò la sua età piena di vigore 108. Questo dunque è il fatto che l'Apostolo fa notare come sorprendente e per questo afferma che il corpo di Abramo era come inaridito perché a quell'età non poteva generare da ogni donna, alla quale fosse rimasto l'ultimo periodo di tempo per partorire 109. Dobbiamo intendere che il corpo era inaridito a qualche atto, non a tutti. Se fosse stato a tutti, non si ha l'anzianità di un uomo vivo ma il cadavere di un morto. Ma dato che in seguito Abramo generò da Cettura, questo problema di solito si risolve con la costatazione che la facoltà di generare, avuta dal Signore, rimase anche dopo la morte di Sarra. Ma a me sembra che del problema è preferibile la soluzione che abbiamo seguito, appunto perché un anziano di cento anni, ma del nostro tempo, non può generare da alcuna donna, non allora, quando vivevano ancora tanto a lungo che cento anni non rendevano l'uomo d'età decrepita.

Fine di Sodoma.
29. Dio si manifestò anche in tre individui ad Abramo presso il querceto di Mambre 110. Non si può dubitare che erano angeli, sebbene alcuni ritengono che uno di loro era Cristo Signore perché affermano che fu visibile anche prima dell'assunzione della carne. È proprio del potere divino e dell'invisibile incorporea e non diveniente natura manifestarsi, senza porsi nel divenire, agli sguardi mortali non nella sua essenza ma mediante un esser che gli è sottomesso perché tutto a lui è sottomesso. Questi interpreti insistono che uno dei tre era il Cristo appunto perché, pur avendone visti tre, egli si rivolge individualmente al Signore. È scritto infatti: Tre uomini erano in piedi davanti e appena li vide corse loro incontro dall'ingresso della tenda, si gettò a terra e disse: Signore, se ho ottenuto il tuo favore 111 e il resto. Ma perché costoro non tengono presente anche che due di loro erano venuti perché i Sodomiti fossero sterminati mentre ancora Abramo parlava soltanto con uno, chiamandolo Signore, e supplicando che non facesse morire a Sodoma il giusto con l'empio? Allo stesso modo Lot trattò quei due al punto che nel suo colloquio con loro si rivolge individualmente al Signore. Prima infatti dice a più d'uno: Signori, sostate nella casa del vostro servitore 112 e le altre parole che seguono. Ma poi si legge così: Gli angeli afferrarono le sue mani, quelle della moglie e delle due figlie perché il Signore voleva risparmiarlo. E appena lo condussero fuori gli dissero: Salva la tua vita, non guardare indietro, non fermarti nella pianura, rifugiati sulla montagna per non essere travolto. Lot disse loro: Ti prego, Signore, poiché il tuo servo ha trovato commiserazione in te 113 e il seguito. Dopo queste parole anche il Signore gli risponde individualmente, poiché era nei due angeli, con le parole: Ho guardato il tuo viso 114 e il resto. È molto più credibile quindi che sia Abramo nei tre individui che Lot nei due ravvisassero il Signore perché si rivolgevano a lui al singolare, sebbene li ritenessero uomini. Non per altro motivo li accolsero in modo da trattarli come esseri terrestri e bisognosi di nutrimento. Ma in loro v'era certamente un qualcosa per cui si distinguevano, sebbene a livello di uomini, che coloro che offrivano loro ospitalità non potevano dubitare, come abitualmente avviene nei Profeti, che in essi vi fosse il Signore e perciò talora si rivolgevano loro al plurale e talora al singolare li chiamavano Signore. La Scrittura conferma che fossero angeli non solo nel Libro della Genesi, in cui si narrano questi avvenimenti, ma anche nella Lettera agli Ebrei la quale, nel lodare l'ospitalità, afferma: Con essa alcuni, pur non sapendolo, accolsero come ospiti gli angeli 115. Per il ministero di questi tre individui, quando di nuovo fu promesso ad Abramo che da Sarra sarebbe nato il figlio Isacco, si ebbe anche un attestato divino con le parole: Abramo diverrà un grande e numeroso popolo e in lui saranno benedetti tutti i popoli della terra 116. Anche qui con grande brevità e completezza si preannunciano le due discendenze: il popolo d'Israele secondo la razza, tutti i popoli secondo la fede.

Isacco e il sorriso di Sara.
30. Dopo questa promessa e dopo che Lot era stato fatto uscire da Sodoma tutto il territorio della città depravata fu incendiato da una pioggia di fuoco che veniva dal cielo, perché in essa gli atti carnali fra maschi aveva introdotto un costume più accreditato della liceità di quegli atti che le norme morali consentono. Il castigo fu un saggio del futuro giudizio divino. Difatti la proibizione, a coloro che venivano salvati dagli angeli, di guardare indietro suggerisce esclusivamente che non si deve tornare con la coscienza al vecchio tenore di vita, di cui il rigenerato dalla grazia si spoglia, se intendiamo sfuggire all'ultimo giudizio. La moglie di Lot appunto rimase dove si volse indietro e, tramutata in sale, ha offerto ai credenti un certo condimento per avere il sapore della saggezza con cui evitare quell'esempio 117. In seguito ancora una volta Abramo in Gerar si comportò con Abimelech, re di quella città, come si era comportato in Egitto nei confronti della moglie e ancora una volta gli fu restituita intatta. Abramo al re, che lo rimproverava perché aveva celato che era la moglie dicendo che era la sorella, dopo aver svelato che cosa aveva temuto soggiunse: È veramente mia sorella di padre non di madre 118. Difatti era per Abramo sorella da parte del padre e da lui sua consanguinea. Era di tanta bellezza che poteva essere amata anche a quell'età.

Fede di Abramo nel sacrificio di Isacco.
31. Dopo questi avvenimenti nacque secondo la promessa ad Abramo un figlio da Sarra, lo chiamò Isacco che si traduce "Sorriso". Infatti aveva sorriso il padre quando gli fu promesso perché rimase sorpreso dalla gioia; aveva sorriso la madre quando dai tre uomini gli era stato di nuovo promesso perché dubitava per la gioia. L'angelo la rimproverò che quel sorriso, pur suggerito dalla gioia, non era indice di fede piena, fu quindi dal medesimo angelo confermata nella fede. Da questo fatto il figlio ebbe il nome. Sarra precisò che quel sorriso non era volto a deridere un disonore ma ad esaltare una gioia. Infatti, nato Isacco e chiamato con quel nome, disse: Il Signore mi ha donato la gioia di ridere, chiunque verrà a saperlo, sorriderà con me 119. Ma dopo un po' di tempo la schiava venne allontanata da casa assieme al figlio e nel fatto secondo l'Apostolo sono simboleggiate le due Alleanze, l'Antica e la Nuova, e Sarra è allegoria della città dell'alto, cioè della città di Dio 120.

Fede premiata con giuramento divino.
32. 1. Nel mezzo di questi fatti, sarebbe troppo lungo ricordarli tutti, Abramo venne tentato ad offrire in sacrificio l'amatissimo figlio Isacco affinché fosse messa alla prova la sua devota obbedienza da segnalare alla conoscenza dei tempi, non di Dio 121. Non ogni tentazione è reprensibile anzi è da rallegrarsene perché con essa avviene una verifica. Il più delle volte la coscienza dell'uomo non può rappresentarsi a se stessa a meno che non con la parola ma con un esame approfondito risponda mentre una tentazione propone in certo senso un quesito. Se vi riconosce un dono di Dio, allora è credente, allora si rinforza nella stabilità della grazia, non si gonfia nella vuotezza della vanagloria. Abramo certamente non credeva che Dio si dilettasse di vittime umane, sebbene si deve osservare e non discutere la manifestazione del comando divino. Tuttavia si deve lodare Abramo perché credette che il figlio, qualora fosse immolato, sarebbe immediatamente risorto. Dio gli aveva detto quando non voleva soddisfare il desiderio della moglie di mandar fuori la schiava e il figlio: In Isacco prenderà nome da te la discendenza. E nel testo vien detto di seguito: Renderò un grande popolo anche il figlio di questa schiava perché è un tuo discendente 122. C'è il problema in qual senso sia stato detto: In Isacco prenderà nome da te la discendenza, sebbene Dio considerasse anche Ismaele sua discendenza. L'Apostolo, spiegando la frase: In Isacco prenderà nome da te la discendenza, afferma: Non sono considerati figli di Dio quelli generati secondo la razza ma i figli della promessa sono assegnati alla discendenza 123. Perciò i figli della promessa, per essere discendenza di Abramo, sono considerati tali in Isacco, cioè sono adunati in Cristo perché la grazia li invita. Dunque questo patriarca della fede tenendo presente mediante la fede la promessa, giacché essa doveva verificarsi in quel figlio che Dio gli ordinava di uccidere, non dubitò che poteva essergli restituito anche se immolato perché gli era stato dato al di là di ogni speranza. Così il fatto è stato inteso e interpretato anche nella Lettera agli Ebrei. Dice: Con fede si comportò Abramo messo alla prova e offrì l'unico figlio egli che aveva ricevuto le promesse e al quale era stato detto: In Isacco prenderà nome da te la discendenza, perché pensava che Dio può anche risuscitare dai morti. Perciò aggiunge: Con questo lo ha proposto anche come simbolo 124, certamente di Colui del quale l'Apostolo dice: Non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato per tutti noi 125. Quindi come il Signore la sua croce, Isacco portò di persona al luogo del sacrificio le legna, sulle quali doveva esser collocato. Infine giacché non si doveva uccidere Isacco dopo che s'impedì al padre di colpirlo, c'è da chiedersi chi fosse l'ariete con la cui immolazione si compì il sacrificio in un sangue che era simbolico poiché, quando lo vide Abramo, era impigliato con le corna in un cespuglio 126. Certamente era indicato per allegoria Gesù coronato di spine dai Giudei prima di essere immolato.

Morte di Sara.
32. 2. Ma ascoltiamo piuttosto dall'angelo le parole di Dio. Dice la Scrittura: Abramo stese la mano a prendere la spada per uccidere il figlio. L'angelo del Signore lo chiamò dal cielo: Abramo! Egli rispose: Eccomi. Gli disse l'angelo: Non colpire il ragazzo e non fargli del male, ora ho saputo che temi il tuo Dio e non hai risparmiato per me il tuo figlio diletto 127. Ora ho saputo significa "Ora ho fatto sapere", perché il Signore già lo sapeva. Dopo l'offerta dell'ariete in luogo del figlio Isacco, Abramo, come si legge nella Scrittura, denominò quel luogo: Il Signore ha visto, talché si dice anche oggi: Il Signore si manifestò sul monte. Come è stato detto: Ora ho saputo in luogo di "Ora ho fatto sapere", così qui: Il Signore ha visto si ha nel senso che il Signore s'è manifestato, cioè si è fatto vedere. E l'angelo del Signore chiamò una seconda volta Abramo dal cielo e disse: Ho giurato su me stesso, dice il Signore, perché hai ascoltato la mia parola e non hai risparmiato per me il tuo amato figlio, io ti benedirò in modo straordinario e renderò numerosa la tua discendenza come le stelle del cielo e come i granelli di sabbia lungo la spiaggia del mare. E la tua discendenza entrerà in possesso delle città dei nemici e saranno benedetti nella tua discendenza tutti i popoli della terra perché hai ubbidito alla mia parola 128. In questi termini fu confermata, perfino col giuramento di Dio, la promessa sulla vocazione dei popoli nella discendenza di Abramo dopo l'olocausto con cui fu simboleggiato Cristo. Aveva promesso tante volte, mai giurato. E il giuramento di Dio vero e veritiero è certamente una conferma della promessa e un rimprovero per coloro che non credono.

32. 3. Sarra morì dopo questi fatti all'età di centoventisette anni, quando il marito ne aveva centotrentasette 129. L'avanzava in età di dieci anni. L'aveva detto egli stesso quando gli fu promesso un figlio da lei: È possibile che a me che ho cento anni nascerà un figlio e che Sarra partorirà a novanta anni? 130. Abramo comprò un campo per seppellirvi la moglie 131. Allora, secondo la versione di Stefano, si stabilì in quel paese poiché cominciò a divenirvi proprietario, cioè dopo la morte di suo padre che si desume fosse morto due anni prima 132.

Allegorie profetiche nel matrimonio d'Isacco.
33. Poi Isacco prese per moglie Rebecca, nipote di Nacor, suo zio paterno, quando aveva quaranta anni, cioè a centoquaranta anni d'età del padre, tre anni dopo la morte della madre. Quando, per averla in moglie, fu dal padre mandato in Mesopotamia un servitore, si ebbe un'allegoria profetica nel momento in cui Abramo disse al servitore: Metti la mano sul mio fianco e scongiurerò te per il Signore Dio del cielo e Signore della terra che non condurrai per moglie a mio figlio Isacco una delle figlie dei Cananei 133. Si preannunciò certamente che il Signore Dio del cielo e Signore della terra sarebbe divenuto uomo nella razza che proveniva da quel fianco. E certamente questi non sono piccoli indizi della verità che conosciamo adempiersi in Cristo.

Simbologia di Cetura e figli.
34. Che significato ha il fatto che Abramo dopo la morte di Sarra prese in moglie Cettura? 134. Non pensiamo a sensualità soprattutto in vista dell'età e della integrità della fede. Oppure si dovevano avere altri figli, sebbene data la promessa di Dio era attesa con fede incrollabile una numerosa discendenza da Isacco pari alle stelle del cielo e ai granelli di sabbia? Ma se Agar e Ismaele hanno simboleggiato, nell'insegnamento dell'Apostolo, gli uomini carnali dell'Antica Alleanza 135, certamente anche Cettura e i suoi figli simboleggiano gli uomini carnali che si illudono di appartenere alla Nuova Alleanza. Tutte e due sono state definite mogli e concubine di Abramo. Sarra invece non è mai stata indicata come concubina. Anche quando Agar fu assegnata ad Abramo, si dice nella Scrittura: Sara moglie di Abramo designò l'egiziana Agar sua schiava dieci anni dopo che Abramo si era stabilito nel territorio di Canaan e la diede in moglie a suo marito Abram 136. Di Cettura che prese in moglie dopo la morte di Sarra si legge: Di nuovo Abramo prese moglie che si chiamava Cettura 137. In questi passi tutte e due sono dette mogli ma si può costatare che furono ambedue concubine perché in seguito dice la Scrittura: Abramo diede tutta la sua proprietà al figlio e contributi ai figli delle sue concubine e mentre era ancora vivo li allontanò dal figlio Isacco a Oriente, verso il paese orientale 138. Dunque i figli delle concubine hanno sovvenzioni ma non giungono al regno promesso, né gli eretici né i Giudei carnali, perché fuor di Isacco nessuno è erede e i figli della carne non sono figli di Dio ma i figli della promessa sono considerati della discendenza 139, perché di essa è stato scritto: In Isacco prenderà nome da te la discendenza 140. Non scorgo perché anche Cettura, sposata dopo la morte della moglie, sia considerata concubina se non sulla base di questo significato allegorico. Ma se qualcuno non vuole accettare questi fatti come simboli, non accusi Abramo. Potrebbe anche essere una difesa contro i futuri eretici contrari alle seconde nozze in modo da dimostrare perfino mediante il patriarca di molti popoli che non è peccato sposarsi di nuovo dopo la morte del coniuge. Abramo morì quando aveva centosettantacinque anni 141. Lasciò dunque il figlio Isacco che aveva settantacinque anni perché l'aveva generato all'età di cento anni.

Simbolismo dei gemelli di Isacco.
35. Ed ora esaminiamo come si svolgano i tempi della città di Dio attraverso i discendenti di Abramo. Dal primo anno di vita di Isacco al sessantesimo, in cui gli nacquero i figli, c'è un fatto degno di memoria. Il Signore aveva esaudito la richiesta di lui che lo pregava affinché la moglie, la quale era sterile, partorisse e mentre lei era ancora nel periodo della gestazione, i gemelli, ancora chiusi nel suo grembo, si urtavano. Essendo angosciata dal fastidio, interrogò il Signore ed ebbe la spiegazione: Due nazioni sono nel tuo grembo e da esso usciranno due popoli rivali e un popolo dominerà l'altro e il maggiore sarà sottoposto al minore 142. L'apostolo Paolo propone che si scorga nell'episodio una grande testimonianza sulla grazia perché, sebbene essi non fossero ancora nati e non avessero fatto nulla di bene o di male, senza alcun buon merito si preferisce il minore e si respinge il maggiore 143. Eppure senza dubbio, per quanto attiene al peccato originale, erano alla pari e riguardo al peccato personale non v'era in nessuno dei due. Però la struttura dell'opera iniziata non ci consente di trattenerci più a lungo sull'argomento perché ne abbiamo abbastanza trattato nelle altre parti 144. Quasi nessuno dei nostri esegeti ha interpretato la frase: Il maggiore sarà sottoposto al minore in altro senso da questo che, cioè, il più anziano popolo dei Giudei sarebbe sottoposto al più giovane popolo cristiano. Può sembrare che si sia adempiuto nella nazione degli Idumei che è sorta dal più grande, il quale aveva due nomi, poiché si chiamava Esaù ed Edom, da cui gli Idumei. Questa nazione doveva essere dominata dal popolo che discendeva dal più giovane, e cioè dal popolo d'Israele e gli sarebbe stata sottomessa. Tuttavia si crede in senso più appropriato che la profezia fosse rivolta a qualche significato più alto perché è espressa con le parole: Un popolo dominerà l'altro e il maggiore sarà sottomesso al minore. E questo è proprio quel che evidentemente si verifica nei Giudei e nei cristiani.

Abramo e la promessa divina a Isacco.
36. Isacco ebbe una visione simile a quella che il padre aveva avuto alcune volte. Ne è stato scritto in questi termini: Vi fu una carestia nel paese oltre quella che avvenne in precedenza al tempo di Abramo. Isacco se ne andò da Abimelech, re dei Filistei, in Gerar. Gli apparve il Signore e gli disse: Non andare in Egitto, emigra nel paese che io ti indicherò e abita in esso da straniero, io sarò con te e ti benedirò. Darò questo paese a te e alla tua discendenza e manterrò il giuramento che ho fatto a tuo padre, renderò numerosa la tua discendenza come le stelle del cielo e darò alla tua discendenza tutto questo territorio e saranno benedetti nella tua discendenza tutti i popoli della terra perché Abramo, tuo padre, ha accolto la mia parola e ha adempiuto i miei comandi, i miei ordini, le mie prescrizioni, le mie leggi 145. Questo patriarca non ebbe altra moglie o concubina ma si contentò della figliolanza dei due gemelli nati a un medesimo parto. Anche egli, abitando fra estranei, temette il rischio della bellezza della moglie e si comportò come il padre in modo da indicarla come sorella e dissimulare che fosse la moglie. Gli era cugina da parte del padre e della madre. Anche essa, quando si seppe che era la moglie, non fu violata dagli estranei 146. Tuttavia dal fatto che non ebbe donna fuor della moglie non dobbiamo considerarlo migliore di suo padre. Erano senza dubbio più segnalati i meriti della fede e dell'ossequio nel padre al punto che Dio afferma di fare a lui per riguardo al padre il bene che gli fa. Dice infatti: Saranno benedetti nella tua discendenza tutti i popoli della terra perché Abramo, tuo padre, ha accolto la mia parola e ha adempiuto i miei comandi, i miei ordini, le mie prescrizioni, le mie leggi. In un'altra visione il Signore disse: Io sono il Dio di Abramo tuo padre, non temere, sono con te, ti ho benedetto e renderò numerosa la tua discendenza a causa di tuo padre 147. Dobbiamo capire quindi che, nel rispetto della castità, Abramo ha compiuto ciò che a individui spudorati, i quali cercano dalla sacra Scrittura pretesti alla propria disonestà, sembra aver fatto per libidine. Dobbiamo anche comprendere di non ridurci a confrontare fra di loro gli individui sulla base di pregi particolari ma considerare ciascuno globalmente. È possibile che un individuo abbia nell'esperienza e nel costume una nota con cui supera un altro individuo e che sia tanto più eccellente di quella con cui è superato dall'altro. Perciò stando a un criterio schietto e sincero, sebbene la continenza sia preferibile al matrimonio, è migliore il credente sposato che il celibe miscredente. Ma il miscredente non solo è meno encomiabile ma è da rimproverare a tutti i livelli. Ma prendiamo in considerazione due persone per bene; anche in questo caso è migliore l'individuo sposato molto credente e pieno dell'ossequio dovuto a Dio che il celibe meno segnalato nella fede e nell'ossequio. Se il resto è al medesimo livello, è ineccepibile preferire il celibe allo sposato.

La Città di Dio verso la prima giovinezza da Israele a Davide [37-43]


Allegoria della benedizione a Giacobbe.
37. Dunque i due figli di Isacco, Esaù e Giacobbe, si facevano grandi a parità d'età. La primogenitura del maggiore si trasferì al minore per un patto e un accordo fra di loro perché il maggiore desiderò con ingordigia avere le lenticchie che il minore aveva ammannito e vendette al fratello con giuramento i diritti del primogenito 148. Dal fatto impariamo che l'uomo si deve incolpare non per il genere di cibo ma per la bramosia sfrenata. Isacco invecchiava e a causa della vecchiaia veniva a mancare la vista ai suoi occhi. Voleva benedire il figlio maggiore e inconsapevolmente in suo luogo benedì il minore. Questi, in luogo del fratello il quale era peloso, si sottopose al controllo della mano del padre ponendosi addosso delle piccole pelli di capretto come se portasse i peccati degli altri. Affinché questa astuzia di Giacobbe non fosse ritenuta un'astuzia con frode e vi si scorgesse l'allegoria di una grande verità, la Scrittura aveva premesso: Esaù era un uomo esperto della caccia nella steppa, Giacobbe era invece un uomo schietto che rimaneva nella tenda 149. I nostri interpreti hanno tradotto l'aggettivo con le parole senza astuzia. Ma tanto se si dice senza astuzia o schietto o piuttosto senza inganno che in greco è , qual è nel ricevere la benedizione l'astuzia di un uomo senza astuzia? Che cos'è l'astuzia di una persona schietta, quale l'inganno di uno che non mentisce se non una profonda allegoria della verità? E la benedizione di quale tono è? Dice Isacco: Ecco, il profumo di mio figlio è come il profumo di un campo verdeggiante che il Signore ha benedetto. E Dio ti conceda dalla rugiada del cielo e dalla fertilità del terreno grande quantità di frumento e di vino. Ti servano i popoli e i principi pieghino il ginocchio davanti a te. Diventa il padrone di tuo fratello e i discendenti di tuo padre piegheranno il ginocchio davanti a te. Chi ti maledirà sia maledetto e chi ti benedirà sia benedetto 150. Dunque la benedizione di Giacobbe è la proclamazione del Cristo fra tutti i popoli. Questo avviene, questo si compie. Isacco è la legge e la profezia. Anche attraverso la parola dei Giudei Cristo è benedetto dalla profezia come da una che non lo conosce, perché anche essa non è conosciuta. Il mondo, come un campo, si riempie del profumo del nome di Cristo. La sua benedizione proviene dalla rugiada del cielo, cioè dalla pioggia delle parole di Dio, e dalla fertilità della terra, cioè dall'aggregarsi dei popoli. V'è gran quantità di frumento e di vino, cioè il gran numero di fedeli che associano il pane e il vino nel sacramento del suo corpo e sangue. I popoli lo adorano, i principi piegano il ginocchio davanti a Lui. Egli è il padrone di suo fratello perché il suo popolo signoreggia i Giudei. Lo adorano i discendenti di suo padre, cioè i discendenti di Abramo secondo la fede, perché anche egli è discendente di Abramo secondo la razza. Chi lo maledice è maledetto e chi lo benedice è benedetto. Il nostro Cristo, dico, è benedetto, cioè annunziato secondo verità, perfino dalle parole dei Giudei che, sebbene in errore, proclamano tuttavia la Legge e i Profeti. Eppure si pensa che un altro sia il benedetto perché da essi, che sono in errore, se ne aspetta un altro. Si spaventa Isacco quando dal maggiore si chiede la benedizione promessa e si accorge di aver benedetto l'uno per l'altro, si meraviglia e chiede chi sia, ma non lamenta di essere stato ingannato anzi, essendogli stato svelato all'improvviso nel cuore il grande significato religioso, evita lo sdegno e conferma la benedizione. Chi è dunque, disse Isacco, colui che ha cacciato per me la selvaggina e me l'ha portata? Ho mangiato di tutto, prima che tu venissi, l'ho benedetto e rimanga benedetto 151. C'era piuttosto da attendersi la maledizione di lui adirato, se i fatti si avveravano secondo l'usanza terrena e non per ispirazione dall'alto. O fatti avvenuti, ma profeticamente avvenuti, nel mondo ma dal cielo, per mezzo di uomini ma nel volere di Dio! Se si esaminano minutamente i particolari pregni di tante allegorie, si dovrebbero scrivere molti volumi ma la misura da imporre con misura a questa opera ci spinge ad affrettarci verso altri argomenti.

Giacobbe e la sua discendenza...
38. 1. Giacobbe fu mandato dai genitori in Mesopotamia per prendervi moglie. Queste sono le parole del padre che ve lo mandava: Non prender moglie dalle figlie dei Cananei. Va' dunque in Mesopotamia nella famiglia di Batuel, tuo nonno materno, e prendi in moglie una delle figlie di Labano, tuo zio materno. Il mio Dio ti benedica e renda grande e numerosa la tua discendenza e sarai nelle associazioni dei popoli. Ti dia la benedizione di Abramo, tuo capostipite, a te e alla tua discendenza, affinché tu possieda il paese in cui abiti come straniero e che Dio diede ad Abramo 152. Dal passo comprendiamo che la discendenza di Giacobbe era già segregata dall'altra discendenza di Isacco avvenuta mediante Esaù. Quando fu detto: In Isacco avrai la discendenza col tuo nome 153, una discendenza, cioè, che apparteneva alla città di Dio, fu distinta da essa l'altra discendenza di Abramo che si aveva già nel figlio della schiava e che si sarebbe avuta nei figli di Cettura. Ma era ancora incerto nei confronti dei due gemelli di Isacco se la benedizione riguardava l'uno e l'altro o uno di loro e, se uno, chi dei due. Ora si esprime chiaramente la prerogativa poiché profeticamente dal padre viene benedetto Giacobbe con le parole: Sarai nelle associazioni dei popoli e Dio ti dia la benedizione di Abramo tuo capostipite.

... e la sua visione.
38. 2. Mentre andava in Mesopotamia Giacobbe ebbe una visione in sogno. Ecco il testo: Giacobbe partì dal pozzo del giuramento e s'avviò verso Carran, giunse in una località e vi dormì perché il sole era tramontato. Prese una delle pietre del luogo, la pose sotto la testa, dormì in quel luogo e sognò. Nel sogno vide una scala appoggiata in terra e la sua cima arrivava al cielo, su di essa salivano e discendevano gli angeli di Dio, il Signore si appoggiava ad essa e disse: Io sono il Dio di Abramo, tuo capostipite, e il Dio di Isacco, non temere. Darò il territorio in cui sei coricato, a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come i granelli di sabbia e si estenderà verso il Mediterraneo, al Sud, al Nord e verso l'Est e saranno benedette in te e nella tua discendenza tutte le razze della terra. Da questo momento io sono con te per proteggerti dovunque andrai e ti ricondurrò in questo paese perché non ti abbandonerò mentre adempirò tutto ciò di cui ti ho parlato. Giacobbe si svegliò e disse: Il Signore era in questo luogo e io non lo sapevo. Si spaventò e disse: Com'è terribile questo luogo. Non è altro che la casa di Dio e la porta del cielo. Si alzò e prese la pietra che aveva usato come cuscino, la drizzò come lapide e versò l'olio nell'alto di essa. Giacobbe chiamò quel luogo casa di Dio 154. Il fatto appartiene alla profezia. Giacobbe non cosparse di olio la pietra secondo l'usanza dell'idolatria quasi a farne un idolo, non adorò la pietra e non le offrì sacrifici. Ma poiché l'appellativo di Cristo deriva da crisma, cioè unzione, certamente nel fatto si è avuta l'allegoria di un grande significato religioso. È facile intendere che il Salvatore ci richiamava alla memoria nel Vangelo questa scala. In un testo dice di Natanaele: Ecco un vero Israelita in cui non v'è inganno 155. Poi poiché Israele, che è lo stesso Giacobbe, aveva avuto questa visione, nello stesso brano soggiunge: In verità, in verità vi dico, vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo 156.

La famiglia di Giacobbe.
38. 3. Dunque Giacobbe andò in Mesopotamia per prendervi moglie. La sacra Scrittura narra per quale circostanza gli avvenne di avere quattro donne, dalle quali ebbe dodici figli e una figlia, sebbene non ne avesse posseduta nessuna disonestamente. Era venuto per averne una, ma siccome gli fu sostituita di nascosto una per l'altra, non abbandonò quella con cui inconsapevolmente s'era unito nella notte affinché non sembrasse che le si era unito per sfregio. In quel tempo, in cui nessuna legge proibiva di prendere più mogli per avere una numerosa discendenza, prese per moglie anche quella a cui aveva assicurato l'impegno del futuro matrimonio. Ma poiché era sterile, offrì al marito la propria schiava da cui avere figli. Anche la sorella maggiore, imitandola, sebbene avesse già partorito, poiché desiderava avere più figli, compì quel gesto. Si legge che Giacobbe ne chiese una soltanto e che si unì a loro unicamente per l'obbligo di avere figli, nel rispetto del vincolo coniugale tanto che non si univa se le mogli non lo reclamavano perché avevano un legittimo potere sul corpo del marito 157. Da quattro donne dunque ebbe dodici figli e una figlia 158. Poi andò in Egitto tramite il figlio Giuseppe che, venduto dai fratelli invidiosi, vi era stato condotto e poi elevato ad una alta carica.

Simbolismo dell'appellativo Israele.
39. Giacobbe, come ho detto poco fa, si chiamava anche Israele. È un nome che ha avuto soprattutto il popolo che da lui discende. Gli fu imposto dall'angelo il quale, indubbio portatore dell'immagine di Cristo, aveva lottato con lui che tornava dalla Mesopotamia 159. Il fatto che Giacobbe prevalse su di lui, che evidentemente così volle per allegorizzare significati occulti, simboleggia la passione di Cristo, durante la quale parve che i Giudei prevalessero su di lui. E tuttavia ottenne la benedizione dall'angelo stesso che aveva sconfitto e così l'imposizione di quel nome fu una benedizione. Israele si traduce appunto "chi vede Dio". Questo sarà alla fine il premio di tutti gli eletti. L'angelo toccò a lui che aveva, per così dire, prevalso, la sporgenza del fianco e in questo modo lo rese zoppo. Era dunque lo stesso e medesimo Giacobbe benedetto e zoppo, benedetto in quei che dal medesimo popolo credettero in Cristo e zoppo nei miscredenti. Difatti la sporgenza del fianco significa il gran numero dei discendenti. Vi sono molti infatti in quella razza, dei quali profeticamente è stato predetto: E zoppicando uscirono dai propri sentieri 160.

La famiglia di Giacobbe in Egitto.
40. Si ha la notizia che entrarono in Egitto assieme a Giacobbe, lui compreso e i figli, settantacinque persone. Nel numero sono comprese soltanto due donne, una figlia e una nipote. Ma il caso attentamente considerato non conferma che si avesse un numero così elevato di individui nella discendenza di Giacobbe il giorno o l'anno che emigrò in Egitto. Tra loro sono stati menzionati anche i pronipoti di Giuseppe, eppure era assolutamente impossibile che già esistessero. Infatti Giacobbe aveva allora centotrenta anni, il figlio Giuseppe trentanove; egli, come risulta, aveva preso moglie a trent'anni o più. Non si spiega come poté in nove anni avere nipoti dai figli che aveva avuto dalla moglie. Quindi poiché Efraim e Manasse, figli di Giuseppe, non avevano figli ma Giacobbe, emigrato in Egitto, li conobbe fanciulli in età inferiore ai nove anni, per quale ragione sono annoverati non solo figli ma anche nipoti fra le settantacinque persone che con Giacobbe andarono in Egitto? Nel testo, sono menzionati Machir, figlio di Manasse e nipote di Giuseppe e il figlio di Machir, cioè Galaad, nipote di Manasse e pronipote di Giuseppe. V'è inoltre un figlio di Efraim, l'altro figlio di Giuseppe, cioè Utalaam, nipote di Giuseppe e il figlio di Utalaam, Edem, nipote di Efraim e pronipote di Giuseppe. È del tutto impossibile che costoro esistessero quando Giacobbe emigrò in Egitto e trovò i figli di Giuseppe, suoi nipoti e nonni di costoro, ancora fanciulli in età inferiore ai nove anni. Evidentemente l'entrata di Giacobbe in Egitto, quando la Scrittura lo rammenta con i settantacinque familiari, non è relativa a un solo giorno o a un solo anno ma a tutto il tempo che visse Giuseppe, per la cui mediazione avvenne la loro emigrazione. Infatti di Giuseppe dice la Scrittura: Giuseppe rimase in Egitto egli, i fratelli e tutta la famiglia di suo padre, visse centodieci anni e conobbe i discendenti di Efraim fino alla terza generazione. Sono i pronipoti al terzo grado da Efraim. La Scrittura delimita la terza generazione al figlio, al nipote e pronipote. E continua: I figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle ginocchia di Giuseppe 161. Anche qui si tratta di un nipote di Manasse e pronipote di Giuseppe. Tuttavia è stato nominato al plurale come fa di solito la Scrittura che ha designato come figlie una sola figlia di Giacobbe. Pur nell'uso della lingua latina i figlioli sono detti al plurale liberi anche se non sono più d'uno. Sebbene si voglia segnalare la fortuna dello stesso Giuseppe, perché poté conoscere i pronipoti, non si deve però assolutamente pensare che c'erano già quando il bisnonno aveva trentanove anni, allorché suo padre Giacobbe si trasferì da lui in Egitto. Quel che inganna coloro, i quali considerano meno attentamente, è l'inserto: Questi sono i nomi dei discendenti d'Israele che emigrarono in Egitto assieme a Giacobbe loro capostipite 162. Si ha questa espressione perché sono calcolate settantacinque persone assieme a lui, non perché erano già tutte insieme quando egli andò in Egitto ma, come ho detto, si calcola come sua entrata tutto il tempo che visse Giuseppe perché in lui viene considerata una entrata.

In Giuda allegoria di Cristo.
41. Quindi sull'argomento del popolo cristiano, in cui la città di Dio è esule sulla terra, se ci proponiamo l'umanità di Cristo nella discendenza di Abramo, a parte i figli delle concubine, ci si presenta Isacco; se nella discendenza di Isacco, a parte Esaù che è anche Edom, ci si presenta Giacobbe che è anche Israele; se nella discendenza dello stesso Israele, a parte gli altri figli, ci si presenta Giuda perché dalla tribù provenne il Cristo. Perciò ascoltiamo con quali parole Israele, sul punto di morire in Egitto, nel benedire i figli, benedisse profeticamente Giuda; egli disse: Giuda, ti loderanno i tuoi fratelli. Le tue mani obbligheranno i tuoi nemici a piegar la schiena e davanti a te si curveranno anche i tuoi fratelli. Giuda sei come un giovane leone che sei risalito, figlio mio, dal far preda, accovacciato nella tana ti sei addormentato come un leone e un leoncello. Chi oserà svegliarlo? Non cesseranno i principi da Giuda e il comando dai suoi fianchi finché non giunga il destino che gli è riservato ed egli sarà l'attesa dei popoli. Legando alla vite il suo puledrino e alla tenda il piccolo della sua asina laverà nel vino la sua veste e nel mosto il suo mantello. I suoi occhi sono luminosi per il vino e i suoi denti più bianchi del latte 163. Ho esposto questi concetti nella polemica Contro Fausto il manicheo 164 e penso che sia sufficiente a far sì che risalti l'avverarsi di questa profezia. Difatti in essa la morte di Cristo è preannunziata col termine di sonno e non v'è un destino fatale ma il libero potere nella figura del leone. Egli stesso nel Vangelo fa risaltare questo libero potere con le parole: Ho il potere di offrire la mia anima e il potere di riaverla. Nessuno me la toglie ma io la offro di mia volontà e poi la riprendo 165. Così ha ruggito il leone e ha adempiuto ciò che ha detto. Appartiene appunto a quel libero potere ciò che è stato aggiunto: Chi oserà svegliarlo? Significa che nessun uomo ma egli soltanto che ha detto del suo corpo: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificherò 166. Anche il genere di morte, cioè l'altezza della croce, è espresso in una sola parola: Sei salito. Ciò che segue: Accovacciato nella tana ti sei addormentato, dall'Evangelista è espresso con le parole: E chinata la testa morì 167. Vi si configura senza dubbio anche il suo sepolcro in cui si distese per dormire. Da lì nessun uomo lo fece risorgere, come fecero i Profeti con alcuni ed egli con altri, ma da sé si destò come da un sonno. La sua veste, che lava nel vino, cioè rende monda dai peccati nel suo sangue, è senz'altro la Chiesa perché i battezzati sono consapevoli del sacramento di questo sangue e per questo soggiunge: E nel mosto il tuo mantello. I suoi occhi luminosi per il vino sono quelli che appartengono al suo Spirito e che sono inebriati dalla sua coppa di vino, di cui canta il Salmo: Quanto è bello il tuo calice che inebria 168. E i suoi denti più bianchi del latte, di cui, secondo l'Apostolo, come di parole che nutriscono, bevono i bambini non ancora adatti al cibo solido 169. È Egli dunque colui in cui erano riposte le promesse di Giuda e fino a che esse non si avveravano, non sarebbero mai mancati dalla stirpe i principi, cioè i re d'Israele. Ed Egli sarà l'attesa dei popoli è un fatto che è più evidente nella diretta esperienza che per dimostrazione.

Allegoria dei figli di Giuseppe.
42. Dunque i due figli di Isacco, Esaù e Giacobbe, hanno suggerito l'allegoria di due popoli nei Giudei e nei cristiani. Tuttavia per quanto riguarda la discendenza razziale né i Giudei ma gli Idumei provengono dalla discendenza di Esaù, né i popoli cristiani ma i Giudei da Giacobbe. In questo senso soltanto ha avuto significato l'allegoria così espressa: Il più grande sarà sottomesso al più piccolo 170. Così è avvenuto per i due figli di Giuseppe, poiché il più grande ha suggerito l'immagine dei Giudei, il più piccolo dei cristiani. Lo mostrò Giacobbe quando li benedisse, perché pose la mano destra sopra il più piccolo che aveva alla sinistra e la sinistra sopra il più grande che aveva alla destra. Al loro padre parve una cosa insopportabile e avvisò il proprio padre quasi a rettificare il suo errore e mostrare quale fosse il maggiore. Ma egli non volle spostare le mani e disse: Lo so, figlio, lo so. Anche questi diverrà un popolo e sarà onorato, ma il suo fratello più giovane sarà più grande di lui e la sua discendenza si distribuirà in un gran numero di popoli 171. Nulla è più evidente che in queste due promesse sono indicati il popolo di Israele e il mondo intero nella discendenza di Abramo, uno secondo la razza, l'altro secondo la fede.

La missione di Mosè...
43. 1. Dopo la morte di Giacobbe e di Giuseppe, per i rimanenti centoquarantaquattro anni fino all'uscita dall'Egitto, il popolo ebraico s'accrebbe in maniera incredibile sebbene colpito da tante rappresaglie. A un certo punto venivano perfino uccisi i bimbi maschi perché l'eccessivo aumento della popolazione atterriva gli Egiziani sgomenti 172. Allora Mosè, sottratto con uno stratagemma agli incaricati della strage dei piccoli, fu portato nella casa del re, poiché Dio predisponeva per suo mezzo avvenimenti straordinari 173, e fu allevato e adottato dalla figlia del faraone, nome comune in Egitto a tutti i re. Riuscì uomo di tanto rilievo da sottrarre quel popolo, mirabilmente cresciuto di numero, dall'assai duro e penoso gravame di schiavitù cui soggiaceva, o meglio per suo mezzo Dio che l'aveva promesso ad Abramo. Prima era fuggito dal luogo perché nel difendere un Israelita aveva ucciso un Egiziano ed era stato minacciato 174. Poi mandato per divina mozione nel potere dello Spirito di Dio 175 aveva sconfitto i fattucchieri del faraone che lo contrastavano. Allora per suo mezzo furono inflitte agli Egiziani le dieci celebri piaghe poiché non volevano lasciar partire il popolo di Dio e cioè l'acqua cambiata in sangue, i ranocchi, le zanzare, i mosconi, la morte del bestiame, le ulcere, la grandine, le cavallette, le tenebre, la morte dei primogeniti 176. In ultimo gli Egiziani, mentre inseguivano gli Israeliti che avevano lasciato partire perché abbattuti da tante e sì gravi sciagure, furono sterminati nel Mar Rosso. Il mare diviso tracciò una via a quelli che se ne andavano, il flutto che rifluiva sommerse questi che li inseguivano 177. In seguito il popolo per quarant'anni si trattenne nel deserto sotto la guida di Mosè. Allora fu istituita la tenda dell'alleanza in cui si adorava Dio con sacrifici che preannunciavano il futuro quando era già stata data la legge sul monte in modo terrificante perché la divinità la ratificava con segni e suoni molto evidenti. Avvenne subito dopo l'uscita dall'Egitto, quando il popolo era già entrato nel deserto, cinquanta giorni dopo che la Pasqua era stata celebrata con l'immolazione di un agnello. Esso è simbolo di Cristo perché preannuncia che egli attraverso il sacrificio della croce da questo mondo sarebbe passato al Padre. Difatti Pasqua nella lingua ebraica si traduce "Passaggio" 178. Così si rendeva manifesta la Nuova Alleanza poiché cinquanta giorni dopo che Cristo fu sacrificato come nostro agnello pasquale 179, scendeva dal cielo lo Spirito Santo 180, che nel Vangelo è indicato come dito di Dio 181, per richiamare il nostro pensiero al ricordo del primo avvenimento allegorico perché anche le tavole della legge furono scritte dal dito di Dio 182.

... e di Giosuè.
43. 2. Dopo la morte di Mosè diresse il popolo Giosuè di Nun, lo introdusse nella Terra promessa e la distribuì al popolo. Da questi due grandi condottieri furono sostenute delle guerre con sorprendente successo, sebbene Dio desse testimonianza che quelle vittorie provenivano loro non tanto per i meriti del popolo ebraico ma a causa delle colpe dei popoli che venivano sconfitti. Dopo questi condottieri vi furono i giudici, quando già il popolo era sistemato nella Terra promessa. Così frattanto cominciava ad essere adempiuta la prima promessa, fatta ad Abramo, relativa a un solo popolo, quello ebraico, e alla terra di Canaan 183, non ancora a tutti i popoli e al mondo intero. L'avrebbe adempiuta la presenza di Cristo nell'umanità, non l'osservanza della vecchia legge, ma la fede del Vangelo. Ne è allegoria profetica il fatto che non fu Mosè, il quale sul monte Sinai aveva ricevuto la legge per il popolo, a introdurlo nella Terra promessa, ma Giosuè, al quale per ordine di Dio era stato cambiato il nome 184. All'epoca dei giudici, nel rapporto fra le colpe del popolo e la misericordia di Dio, si alternano successi e insuccessi militari 185.

Fino a Davide dalla fanciullezza alla prima giovinezza.
43. 3. Si giunse all'epoca dei re. Il primo fu Saul. A lui destituito e ucciso durante una sconfitta 186, ed essendo anche radiata la sua stirpe dal rango dei re, gli successe nel regno Davide. Soprattutto di lui il Cristo fu detto figlio. Con lui si aprì un periodo e in certo senso l'inizio della giovinezza del popolo di Dio, di cui la quasi adolescenza si era protratta da Abramo a Davide. Non senza ragione l'evangelista Matteo ha ordinato le generazioni in modo da segnalare con quattordici generazioni un primo lasso di tempo, cioè da Abramo a Davide 187. Con l'adolescenza appunto l'uomo inizia a poter generare e per questo l'inizio delle generazioni fu intrapreso da Abramo che fu costituito anche patriarca dei popoli quando ebbe mutato il nome. Prima di lui dunque, cioè da Noè fino allo stesso Abramo, si ebbe come la fanciullezza di questo modo di essere del popolo di Dio e perciò si concretizzò nella lingua, quella ebraica. Infatti l'uomo comincia a parlare dalla fanciullezza che segue all'infanzia la quale è stata così denominata perché l'uomo è privo di favella. L'oblio sommerge questa prima età dell'uomo come la prima età del genere umano fu distrutta dal diluvio. Difatti non v'è nessuno che ricordi la propria infanzia. Perciò come in questa evoluzione della città di Dio il libro precedente ha svolto soltanto la prima età, così questo svolgerebbe la seconda e la terza. Nella terza appunto, in considerazione della giovenca, della capra e dell'ariete, tutti e tre dell'età di tre anni, fu imposto il giogo della legge, si manifestò il gran numero dei peccati e si ebbe l'inizio del regno terreno, però non mancarono gli spirituali dei quali si manifestò l'allegoria nella tortora e nel colombo 188.