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Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

DOMENICA III DOPO L’OTTAVA DELL’EPIFANIA

Sant'Antonio da Padova

DOMENICA III  DOPO L’OTTAVA DELL’EPIFANIA
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Temi del sermone

 

– Vangelo di questa domenica: “Gesù montò poi su una barca”.

– Sermone sul predicatore e sulla società (lega) dei peccatori: “Sali alla foresta”.

– Sermone sulla passione: “Gesù montò su una barca”.

– Sermone sulla tentazione del diavolo e sull’aiuto di Gesù Cristo: “Quando uno sale sulla barchetta della peni­tenza”.

 

esordio - sermone sul predicatore e sulla “società” dei peccatori

 

1. In quel tempo: “Gesù montò su una barca, e i suoi discepoli lo seguirono” (Mt 8,23).

Leggiamo nel libro di Giosuè: “Sali alla foresta e taglia piante per crearti degli spazi liberi nel territorio dei Perezei e di Rafaim” (Gs 17,15). La foresta raffigura la sterile società dei peccatori, fredda, oscura, piena di fiere. Fredda per l’assenza della carità: Dilagò l’iniquità e la carità si raffreddò (cf. Mt 24,12). Oscura per l’assenza della vera luce: “Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce” (Gv 3,19). Piena di fiere della gola, della lussuria, dell’usura e della rapina: “La devastò il cin­ghiale della foresta...” (Sal 79,14), cioè il diavolo. In questa foresta c’è anche il cacciatore Nemrod (cf. Gn 10,9), cioè il diavolo. Entra dunque in questa foresta, o predicatore, e con quella scure il cui manico è l’umanità, ma il cui ferro tagliente è la divinità, taglia piante e créati degli spazi liberi.

“La scure è posta alla radice”, è detto nel vangelo (Mt 3,10). L’albero della grandezza umana, la foresta della società sterile e peccatrice viene tagliata con la scure dell’incarnazione del Signore. Infatti, se questa “foresta” considera attentamente il capo della divinità (cioè di Cristo) reclinato nel grembo della Vergine poverella, decàde dalla sua condizione di foresta inesplorata e inaccessibile, e diventa un luogo aperto e spazioso nel quale si può edificare la città del Signore delle virtù (degli eserciti), che il corso del fiume rallegra (cf. Sal 45,5). È questo il cambiamento della destra dell’Altissimo (cf. Sal 76,11), affinché dove abbondò il peccato, sovrabbondi la grazia (cf. Rm 5,20).

“Nel territorio dei ferezei”, nome che significa “separato”, “e di Rafaim”, che vuol dire “giganti” o anche “madri dissolute”. In questa triplice interpretazione viene indicata quella malefica terna, che è data dalla super­bia, dall’avarizia e dalla lussuria. I superbi di spirito si tengono separati dagli altri con il loro fasto, con loro arroganza; gli avari sono come i giganti, figli della terra, tutti presi dalle cose terrene; i lussuriosi sono come le madri dissolute che con le due mammelle della gola e della lussuria alimentano gli affetti della carne.

Per abbattere dunque questa foresta, radicata in questo territorio, il predicatore salga, seguendo le orme di colui che sale sulla barca, del quale il vangelo di oggi dice: “Gesù salì su una barca”.

 

la barca della croce e della penitenza

 

2. La barca è la croce di Cristo, in grazia della quale possiamo approdare al litorale della patria celeste. Fa’ attenzione che, come la barca alle due estremità è stretta e invece al centro è larga, così la croce al suo inizio e alla sua fine, cioè all’inchiodatura dei piedi e delle mani e alla loro schiodatura, fu stretta, cioè piena di atroci sofferenze. Quanto larga invece fu al centro, cioè quando Gesù pregò per i crocifissori, quando promise il suo regno al ladrone, quando affidò la Madre al discepolo!

A proposito di questa barca, vedi il vangelo “Gesù, salito su una barca, passò all’altra riva” (Mt 9,1); sermone della domenica XIX dopo Pentecoste, prima parte.

“Lo seguirono i suoi discepoli”. Questo è ciò che dice il Signore per bocca di Geremia: “Tu mi chiamerai Padre, e non cesserai mai di seguirmi”(Ger 3,19). Beata quell’anima che può dire a Gesù ciò che disse Rut a Noemi: “Dove andrai tu andrò anch’io, dove ti fermerai anch’io mi fermerò” (Rt 1,16). Ed Elia: “Se il Signore è Dio, seguitelo!” (3Re 18,21). In verità, lui è il Signore nostro Dio che, per redimerci, salì sulla croce. Seguiamolo dunque, portando la croce della penitenza. Egli ha detto: “Se uno vuole venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua”(Mt 16,24). Dice la Storia Naturale che la pantera emana un odore molto gradevole che attira irresistibilmente il bestiame, il quale ovunque ne fiuti la presenza vi si raduna rapidamente e poi le va dietro. Il vaso d’alabastro dell’un­guento, spezzato sulla croce, con il suo profumo ha riempi­to tutto il mondo (cf. Mc 14,3; Gv 12,3). Lo seguano dunque i discepoli, corrano i cristiani al profumo del Crocifisso.

“I suoi discepoli lo seguirono”. Si legge nel quarto libro dei Re: “Mentre i figli dei profeti tagliavano le piante, avvenne che a uno di essi cadde nell’acqua il ferro della scure. Egli gridò ad Eliseo: Ahimè, signore mio, l’avevo preso in prestito. Eliseo domandò: Dov’è caduto? E quegli gli indicò il punto. Eliseo prese un legno e lo gettò in quel punto, e il ferro venne a galla. Gli disse: Prendilo! Quegli stese la mano e lo prese” (4Re 6,4-7). Il ferro raffigura il genere umano che, per il peso dei peccati, dall’albero proibito cadde nelle acque della miseria e della colpa. Ma il vero Eliseo, cioè Cristo, per mezzo del legno della croce e le acque del battesimo lo liberò. Il ferro galleggia e va anche verso il legno, quando il peccatore convertito si assoggetta a portare la croce di Cristo.

“Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era coperta dalle onde; ed egli dormiva” (Mt 8,24). Quando Gesù sulla croce si addormentò nel sonno della morte, i suoi discepoli, non facendo quasi alcun conto della croce, vennero meno nella fermezza della fede; ma poi lo svegliarono quando bramarono ardentemente la sua risurrezione. “Li rimproverò per la loro incredulità dicendo: Stolti e tardi di cuore nel credere. Non era forse necessario che il Cristo sopportasse queste sofferen­ze?...” (Mc 16,14; Lc 24,25-26). “Comandò ai venti e al mare” (Mt 8,26), quando cessò la loro incredulità.

 

3. Senso morale. Quando uno sale sulla barca della peni­tenza, si scatena nel mare una grande tempesta. Il mare è il cuore. Profondo, dice Geremia, è il cuore dell’uomo, e insondabile: e chi lo conosce? (cf. Ger 17,9). “Impressionanti i ribollimenti del mare!” (Sal 92,4), cioè del cuore, quando si gonfia di superbia, si espande oltre i limiti con l’ambizione, si rannuvola per la tristezza, si turba in vani pensieri, produce la schiuma della gola e della lussuria. Questi sono “i serpenti dei quali non si conosce il numero” (Sal 103,25).

“Ed ecco che si scatenò nel mare una grande tempesta”. Con questo concorda ciò che leggiamo del profeta Giona: “Il Signore scatenò – cioè permise che si scatenasse – sul mare un forte vento, e ne venne in mare una tempesta tale che la nave correva il pericolo di sfasciarsi. I marinai furono presi da grande spavento... perché il mare andava sempre più gonfiandosi contro di loro” (Gio 1,4-5.13). Troviamo un riferimento a ciò negli Atti degli Apostoli: “Si scatenò contro la nave – racconta Luca – un tremendo tifone, che chiamavano “euroaquilone”; la nave fu travolta nel turbine e, non potendo più resistere al vento, abbandonatala alle onde, si andava alla deriva” (At 27,14-15). Provano il ribollimento del mare, l’impeto del vento, e sentono il fragore dei flutti soltanto coloro che salgono sulla barca della penitenza, perché chidissente, sente. Dice infatti Mosè: “Dal momento in cui mi sono recato dal faraone per parlargli in tuo nome (di Dio), il faraone ha incominciato ad opprimere il tuo popolo” (Es 5,23). Come dire: il diavolo sprezzato, scatena un putiferio e suscita tempeste nel mare. Scrive Marco: “Strepitando e straziandolo crudelmente, uscì da lui” (Mc 9,25).

 

4. “Gesù intanto dormiva”. Marco così si esprime: “Egli era a poppa della barca, e dormiva appoggiato a un cuscino” (Mc 4,38). Vediamo quale sia il significato del sonno di Cristo, della poppa della barca e del cuscino. Il sonno di Cristo simboleggia il torpore nella fede; la poppa della barca la fine della nostra vita; il cuscino la rilassatezza della carne. La fede in Cristo si intorpidisce nella rilassatezza della carne. “Fino a quando illanguidi­rai nei piaceri, figlia vagabonda? (Ger 31,22). Gli effemi­nati, dice Paolo, non erediteranno il regno di Dio (cf. 1Cor 6,10). Quando la nostra carne illanguidisce nei vizi, la fede in Cristo si intorpidisce in noi, e così l’anima chiude gli occhi a poppa, perché, tutta presa dai piaceri, non medita sulla miseranda conclusione della sua vita.

“Gli si avvicinarono i discepoli, lo svegliarono e gli dissero: Signore, sàlvaci! Siamo perduti!” (Mt 8,25). Senza dubbio è destinato alla rovina colui nel quale la fede in Cristo dorme: dev’essere quindi risvegliata aumentando la devozione, gridando i propri peccati nella confessione, ponendo mano alle opere sante.

“Allora Gesù si levò e comandò ai venti e al mare” (Mt 8, 26). Questo corrisponde a ciò che leggiamo in Giobbe: “Chi ha chiuso tra due porte il mare? Chi gli ha detto: Fin qui giungerai e non oltre, e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde?” (Gb 38,8.11). Come dicesse: Solo il Signore ha chiuso come tra due porte il mare, cioè l’amarezza della persecuzione o della tentazione diabolica, in modo che, se a lui piace, le tentazioni arrivino, e quando a lui piacerà se ne vadano. E quando fa cessare le tentazioni, dice: “Qui si infrangeranno i tuoi marosi ribollenti”. E Isaia: “Il giogo marcirà a contatto con l’olio” (Is 10,27), vale a dire: la tentazione cesserà alla presenza della misericordia di Gesù. Perciò quando siamo tentati dal diavolo, con tutta la devozione della mente dobbiamo dire: Nel nome di Gesù Nazareno, che ha comandato ai venti e al mare, io ti comando, o tentatore, di allontanarti da me.

“E si fece una grande bonaccia” (Mt 8,26). Questo è ciò che dice Anna, nel libro di Tobia: “Sono certa, Signore, che chiunque ti onora, quando si troverà nella prova sarà aiutato; e se sarà nella tribolazione sarà liberato; se dovrà subire un castigo, potrà ricorrere alla tua misericordia. Tu non godi della nostra rovina e dopo la tempesta riporti la tranquillità; dopo le lacrime e il pianto infondi la gioia” (Tb 3,21-22).

 

5. E poiché non è possibile godere della pace del cuore senza l’amore verso il prossimo – perché dove c’è amore non c’è né ira, né sdegno –, per possedere questa pace l’Apostolo, nella lettera che si legge oggi, ci esorta dicendo: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo prossimo ha adempiuto la legge. Infatti pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,8.10).

L’amore è detto in lat. dilectio, come dire duos lego, lego tra loro due persone. Sono legato ad ogni uomo con il debito dell’amore, che devo sempre pagare. E se lo pago come devo, “per tutto il resto nessuno mi procuri fastidi” (Gal 6,17), perché a nessuno devo nulla se non questo. E chiunque pretende da me qualche cos’altro al di fuori di questo, non si comporta più secondo la legge dell’amore: “L’amore non fa nessun male al prossimo” (Rm 13,10).

 

 

 

 

E P I L O G O

 

 

A te, Signore Gesù Cristo, Figlio diletto di Dio Padre, autore di ogni nostro bene, a te ogni lode, ogni gloria, ogni onore, ogni devozione; tu che sei l’Alfa e l’Omèga, il principio e la fine (cf. Ap 1,8; 22,13); tu che con la tua bontà e misericor­dia, con l’infu­sione della tua pietà, hai concesso a me indegno, di giungere alla conclusione tanto desiderata di questo mio lavoro.

Ecco, fratelli carissimi, che io, il più piccolo di tutti voi, vostro fratello e servo, ho composto con certi criteri questo lavoro sui vangeli proposti nel corso dell’anno liturgico, a vostro conforto, ad edificazione dei fedeli e in espiazione dei miei peccati.

Ora supplice vi scongiuro, e scongiurando vi supplico, che quando leggerete questo lavoro, presentiate il ricordo di me, vostro fratello, a Dio Figlio di Dio, che offrì se stesso a Dio Padre sul patibolo della croce.

Chiedo anche che, se troverete in questo lavoro qualcosa di edificante, di consolante, di bene esposto e di disposto con ordine, ne rendiate ogni lode, ogni gloria e ogni onore allo stesso beato e benedetto Cristo Gesù, Figlio di Dio. Se invece vi troverete qualcosa di incompiuto, di insipidoe di male esposto, lo imputiate, lo attribuiate alla mia pochezza, alla mia cecità e alla mia imperizia.

E tutto ciò che in questo libro si troverà da cancellare e da corregge­re, lo affido alla lima della discrezione dei saggi dell’Ordine, perché lo spieghino e lo correggano.

Sia lode al Padre invisibile, sia lode allo Spirito Santo, sia lode al Figlio Gesù Cristo, Signore del Cielo e della terra. Amen.

Alfa e Omèga.

Sia gloria, onore e venerazione, sia lode e benedizione al Principio che è senza fine. Amen.