Scrutatio

Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

I connubi adulterini. Libro primo.

Sant'Agostino d'Ippona

I connubi adulterini. Libro primo.
font righe continue visite 309

È consentito a un coniuge separarsi dall'altro?

Prima questione in risposta a Pollenzio: è lecito a un coniuge separarsi dall'altro, e per quale motivo? Se avviene la separazione, è lecito un nuovo matrimonio o no? (1, 1 - 12, 13)
Il problema posto dalle parole di san Paolo. 1 Cor 7, 10-11.


1. 1. La prima questione, dilettissimo fratello Pollenzio, che tu sviluppasti nella tua lettera con il tono di chi desidera un parere, è presentata dalle parole dell'Apostolo: Ai coniugati non sono io, ma il Signore, che ingiunge: la donna non si separi dal marito; ma se si separa, non si risposi, o si riconcili con il proprio marito; e l'uomo non ripudi la moglie 1. Come vanno intese queste parole? Si proibisce di risposarsi solo a quella donna che si è separata dal marito per una causa diversa dalla fornicazione, come interpreti tu, oppure la proibizione è rivolta anche a quelle che abbandonano il coniuge per l'unica causa consentita, cioè appunto per la fornicazione ? E così ho interpretato io in quella trattazione che molti anni fa dedicai al discorso tenuto dal Salvatore sulla montagna, secondo il Vangelo di Matteo. Infatti secondo la tua opinione è allora che la donna separata dal marito non si deve risposare, quando si è separata senza esservi indotta da alcun adulterio da parte dell'uomo. Non rifletti invece che, se il marito di questa donna non può essere accusato di fornicazione, allora non solo la moglie dopo la separazione non ha diritto di risposarsi, ma addirittura non ha il diritto di separarsi. Infatti, evidentemente, se a una si ordina di non passare ad altre nozze dopo aver lasciato il marito, non è il permesso di separarsi che è negato, ma quello di risposarsi. E se la faccenda sta così, si concede dunque alle donne che preferiscano vivere nella continenza il permesso di non aspettare il consenso del marito; allora il precetto: La donna non si separi dal marito 2 apparirà rivolto a quelle donne che potrebbero scegliere la separazione non per vivere continenti, ma per avere la possibilità di passare ad altre nozze. Pertanto se una preferisce fare a meno di ogni relazione carnale ed essere libera dal vincolo del matrimonio, le sarà permesso secondo l'Apostolo di abbandonare il marito anche senza alcun motivo di fornicazione, purché semplicemente non si risposi. E gli uomini del pari (poiché identica è la legge per entrambi), se vorranno scegliere la continenza, potranno abbandonare le mogli anche senza il loro consenso e rifiutare lo stato coniugale. Quindi, sempre secondo la tua interpretazione, se il divorzio nascesse per adulterio, sarebbe consentito anche stringere un nuovo matrimonio. Quando invece tale causa non si presenta, rimangono tre possibilità, secondo quanto pensi tu: o un coniuge evita di separarsi dall'altro, o in caso di separazione non si risposa, o ritorna al primo connubio. Pertanto, se non sussiste il motivo della fornicazione, a qualsiasi persona sposata sarà permesso di scegliere liberamente fra le tre diverse decisioni: o non separarsi dal coniuge, o dopo la separazione rimanere in questo stato, o non volendo rimanervi, tornare al primo matrimonio, evitando di stringerne un altro.

L'interpretazione di Pollenzio.

2. 2. Ma dove va a finire allora la volontà dell'Apostolo, quando raccomanda che, se i coniugi si sottraggono reciprocamente al dovere coniugale per un certo tempo, in modo da dedicarsi liberamente alla preghiera, ciò avvenga solo di comune accordo? Come si potrà salvare la norma che egli enuncia: Per evitare la fornicazione ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito; il marito renda alla moglie ciò che le deve e la moglie faccia lo stesso verso di lui. Non è la donna che ha potestà sul proprio corpo, ma il marito e ugualmente non è il marito che ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie 3? Come potrà essere vero ciò, se non nel senso che senza l'accordo del coniuge non è permesso all'altro di restare continente? Infatti, se è lecito alla donna di separarsi dal marito a condizione che non si risposi, non è il marito che ha potestà sul corpo di lei, ma ella stessa; e l'identico ragionamento andrà riferito anche all'uomo. Inoltre il passo in cui è detto: Chiunque ripudia la propria moglie, escluso il motivo di fornicazione, la induce all'adulterio 4, come lo intenderemo, se non nel senso che è proibito all'uomo ripudiare la moglie, quando non sia presente il motivo della fornicazione? Ed è espresso anche il perché del divieto: il ripudio la esporrebbe all'adulterio. Infatti senz'altro, benché la donna non abbia lasciato il marito di sua iniziativa, ma sia stata ripudiata, se si risposa diventa adultera.

2. 3. Dunque, è per evitare una conseguenza così grave che non è consentito all'uomo ripudiare la moglie se non per motivo di fornicazione. In tal caso infatti non è lui che con il ripudio la rende adultera, ma la ripudia perché adultera. E che? Se al contrario l'uomo dicesse: Sì, io ripudio mia moglie senza alcun motivo di fornicazione, ma resterò continente, per questo forse diremo che ha agito in maniera irreprensibile? Nessuno che abbia inteso rettamente il volere del Signore a questo proposito potrebbe sostenere una simile opinione. In effetti, se il Signore ha fatto eccezione per il solo caso dell'adulterio, non vuole che si ripudi il coniuge neppure per restare continenti.

Solo l'adulterio autorizza la separazione.

3. 3. Torniamo dunque proprio alle parole dell'Apostolo, quando dice: Ai coniugati non sono io, ma il Signore che ingiunge: la donna non si separi dal marito, ma se si separa, non si risposi 5. Interroghiamolo come se ci fosse presente e chiediamogli spiegazione: Perché, o Apostolo, hai detto: se si separa, non si risposi? È dunque consentito separarsi o no? Se non è consentito, perché ordini a quella che si separa di non risposarsi? Se invece è consentito, c'è sicuramente qualche motivo che rende lecita la separazione. Ma per quanto cerchiamo, non si riesce a trovarne un altro all'infuori di quell'unico che eccettuò il Salvatore, cioè l'adulterio. Perciò l'Apostolo si riferisce, con il divieto di risposarsi dopo la separazione, solo a quella donna che si è separata dal marito per l'unico motivo lecito. Quando infatti dice: Ingiungo di non separarsi, ma se si separa, non si risposi, si esclude evidentemente che agisca contro questo precetto quella che si separa con la condizione di non risposarsi. Dunque, se non si intende quella alla quale è lecito separarsi (e in effetti non è permesso se non per fornicazione del marito), come le si può ordinare di non risposarsi dopo la separazione? Chi direbbe: se una donna si è separata senza che il marito sia colpevole di fornicazione, non si risposi, quando non è assolutamente consentito di separarsi se non per la fornicazione del marito? Ma penso che ormai tu comprenda quanto la tua interpretazione sia contraria al vincolo coniugale, dato che il Signore non permette di scegliere neppure la continenza, se non per reciproco accordo e consenso.

Il desiderio della continenza non autorizza ad abbandonare il coniuge.

4. 4. Ora esponiamo l'argomento stesso un po' più chiaramente e poniamocelo per così dire davanti agli occhi. Ecco: alla moglie è garbata la continenza, al marito no. La moglie si è separata da lui e ha cominciato a vivere continente; ella evidentemente rimarrà casta, ma renderà adultero il marito, cosa che il Signore non vuole. Infatti, se questi non sarà capace di contenersi, prenderà un'altra donna. Che cosa diremo a questa moglie, se non ciò che dice la giusta dottrina della Chiesa? Rendi il tuo debito allo sposo, perché, mentre tu cerchi motivo di essere maggiormente onorata, egli non trovi invece motivo di dannarsi. E questo è quello che diremmo anche a lui, se volesse restare continente contro il tuo volere. Infatti non sei tu che hai potestà sul tuo corpo, ma lui, come non è lui che ha potere sul suo corpo, ma tu. Non sottraetevi l'uno all'altro, se non per reciproco consenso. Quando avremo addotto queste e molte altre argomentazioni simili intorno al problema, lascerai che la donna ci risponda secondo codesta tua interpretazione: Io sento che l'Apostolo mi dice: Ingiungo che la donna non si separi dal marito; ma se si separa, non si risposi, o si riconcili con lui 6? Ecco, mi sono separata, non voglio riconciliarmi con mio marito, ma non mi risposo. Infatti l'Apostolo non ordina alla donna di non risposarsi finché non si riconcili con suo marito, ma semplicemente di non risposarsi oppure di riconciliarsi con suo marito. Deve fare una cosa o l'altra. L'Apostolo ha permesso di scegliere una delle due soluzioni, non ne impone una. Io scelgo di non risposarmi e così osservo il precetto. Mi si potrà biasimare, accusare, rimproverare con tutta la severità possibile solo se mi risposerò.

La rinuncia a nuove nozze non giustifica la separazione.

5. 5. Che cosa potrei contrapporle? Nient'altro che questo: Tu non comprendi l'Apostolo. Infatti egli non avrebbe ordinato di non risposarsi, se non a quella a cui separarsi sarebbe stato lecito; ma naturalmente l'unica causa lecita, che lì è taciuta proprio perché troppo nota, è la fornicazione. Questa è la sola eccezione fatta dal Signore, nostro maestro, quando parla del ripudio della moglie; e ci fa capire che la stessa regola si deve osservare anche per l'uomo, quando dice che la moglie non ha potestà sul suo corpo, ma il marito; e similmente anche il marito non ha potestà sul suo corpo, ma la moglie 7. Se dunque tu non puoi accusare tuo marito di fornicazione, rinunciando ad altre nozze come puoi credere di giustificare il fatto di abbandonarlo, se non ti è permesso affatto di abbandonarlo? Quando la donna avrà udito questi argomenti da noi, non le permetterai, io credo, di risponderci che non si risposa proprio perché si è separata da un marito non adultero; infatti se il marito fosse stato colpevole, non solo le sarebbe stato lecito separarsi, ma anche risposarsi.

La separazione per adulterio non dà diritto a un nuovo matrimonio.

6. 6. Ma certo ella non parlerebbe così, perché tu stesso hai avuto ritegno di concedere alle donne tale permesso. Infatti tu hai detto: " Se un uomo ripudia una moglie adultera e ne prende un'altra, la moglie soltanto ne riporterà biasimo. Se invece è la moglie che per la sopradetta causa ripudia il marito e sposa un altro, ne riporterà biasimo non solo il marito, ma anche la moglie ". E poi, rendendo ragione del tuo parere, hai sostenuto: " Infatti diranno che ella si è separata proprio per sposare un altro; ma è probabile che il secondo riesca tale e quale al primo da cui si è separata, dato che è estremamente facile per gli uomini cadere in questo vizio. Se poi si separa anche da questo e si risposa ancora, diranno con sempre maggiore insistenza che quello che cercava era di avere più mariti ". Fornita questa spiegazione, concludi dicendo: " Dunque, dopo avere approfondito ed esaminato bene queste questioni, bisogna che la donna sopporti il marito o che eviti di risposarsi ". È senz'altro giusto il consiglio che hai dato alle donne, dicendo che esse non devono lasciare un marito adultero e sposarne un altro, per via del biasimo, anche se sanno che è permesso; anzi, devono sopportare il coniuge benché infedele, o sembrerà che vogliano approfittare di questa occasione per passare da un uomo all'altro; infatti difficilmente troveranno da sposare un uomo diverso da quello che hanno lasciato, perché gli uomini sono molto inclini a questo vizio. Ora, mentre noi diciamo che non è permesso risposarsi neppure a una donna che ha lasciato un marito adultero, tu al contrario dici che le è permesso, ma non è opportuno. Tutti e due quindi siamo senza dubbio d'accordo che la moglie che si è separata da un marito infedele è tenuta a non risposarsi. Però la differenza è questa: noi, quando i coniugi sono entrambi cristiani, sosteniamo che, se la donna si è separata da un marito adultero, non le è lecito risposarsi e, se il marito non è adultero, non le è lecito neppure separarsi; tu invece sostieni che, se una donna si separa da un marito non adultero, risposarsi non le è permesso per via del precetto e, se si separa da un marito adultero, risposarsi non le è opportuno per via del biasimo. Pertanto è permesso che una donna lasci il marito, colpevole o no, purché non si risposi.

San Paolo autorizza la separazione solo per adulterio.

7. 7. Ma al contrario, se il beato Apostolo, anzi, per bocca dell'Apostolo il Signore non permette che una donna si separi da un marito non colpevole, resta solo che si proibisca di risposarsi a quella che ha il permesso di separarsi da un marito colpevole. Infatti se di una donna si dice: Se si separa, non si risposi, le si permette di separarsi, ma solo alla condizione di rinunciare a un altro matrimonio. Se però sceglierà di non risposarsi, non vi è motivo per proibirle di separarsi. In maniera analoga quella a cui si dice: Se non è capace di osservare la continenza, si sposi 8, ha il permesso di non contenersi evidentemente a questa condizione, che si sposi. Ma se sceglie di sposarsi, non può essere costretta ad osservare la continenza. Come dunque quella che non è capace di restare continente è obbligata a sposarsi, perché il fatto di non contenersi possa non essere condannabile, così quella che si separa dal marito è obbligata a non risposarsi, perché il fatto di separarsi possa non essere colpevole. Al contrario, separarsi da un marito non adultero comporta colpa, anche quando la donna non si risposa. Quindi l'ingiunzione di non risposarsi sarà rivolta a quella che abbia lasciato un coniuge infedele. Stando così le cose, se interpretiamo l'Apostolo in modo che veniamo a dire alle donne: " Non separatevi dal marito, anche fedele, se non a condizione di non risposarvi dopo la separazione ", tutte quelle alle quali piacerà la continenza penseranno che sia loro permesso separarsi anche senza il consenso del marito. Ma poiché questo senza dubbio è ciò che non dobbiamo permettere, ci resta l'obbligo di insegnare che le parole: Se si separa, non si risposi 9, sono riferite a quella a cui separarsi è consentito, nel caso appunto di un marito adultero, come abbiamo appreso. Se insegneremo diversamente, mettendo avanti la continenza, turberemo i matrimoni cristiani, e contro il misericordioso precetto del Signore spingeremo all'adulterio i mariti incontinenti abbandonati da mogli continenti o mogli incontinenti abbandonate da mariti continenti.

Interpretazione del passo di Mt 19, 19.

8. 8. Il Signore, non nel discorso che noi abbiamo commentato, ma in un altro passo, dice: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di fornicazione, e ne sposa un'altra, è adultero 10. Se si deve intendere che chiunque ripudia la moglie per causa di fornicazione e ne sposa un'altra non è adultero, evidentemente su questo punto il diritto del marito e della moglie non è uguale; infatti la moglie è adultera, quando sposa un altro, anche se si separa dal marito a causa di fornicazione; mentre l'uomo, se ripudia la moglie per la stessa ragione e ne prende un'altra, non commette adulterio. Ma se pari è il diritto del marito e della moglie, sono adulteri entrambi, quando lasciano un coniuge, sia pure colpevole, e si risposano. La parità di condizione fra uomo e donna su questo punto la dimostra l'Apostolo (e bisogna sempre ricordarlo), quando dice: Non è la moglie che ha potestà sul proprio corpo, ma il marito, aggiungendo subito dopo: E similmente non è il marito che ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie 11.

Obiezione di Pollenzio e sua confutazione.

9. 9. " Ma se è adultero anche quello che si risposa dopo aver ripudiato una moglie infedele, perché, tu obietti, il Signore ha inserito il caso della fornicazione, e non ha detto piuttosto in generale: Chiunque ripudia la propria moglie e ne prende un'altra, è adultero? ". Perché, io credo, il Signore volle ricordare quello che è il peccato più grave. Infatti non si può negare che l'adulterio è più grave, se ci si risposa dopo aver ripudiato una moglie innocente piuttosto che una moglie adultera. Se si ripudia una sposa infedele e si passa ad altre nozze, è sempre adulterio, ma meno grave. Anche l'apostolo Giacomo ricorre a un simile modo di esprimersi, quando dice: Chi conosce il bene che deve fare e non lo fa, commette peccato 12. Allora quello che non conosce il bene che deve fare e perciò non lo fa, non commette peccato? Certo che lo commette; se lo conosce e non lo fa, il peccato è più grave; ma anche nel secondo caso è peccato comunque, anche se minore. Dunque possiamo dire in maniera analoga entrambe le frasi, come: " Chiunque ripudia la propria moglie e si risposa, eccetto nel caso di fornicazione, è adultero ", così: " Chi conosce il bene che deve fare e non lo fa, commette peccato ". Nel secondo caso sarebbe errata la deduzione: allora se non lo conosce, non pecca; infatti può peccare anche chi ignora, benché meno gravemente di chi sa. Così anche nel primo passo è errato concludere: dunque, se ha ripudiato la moglie per il motivo della fornicazione e si è risposato, non è adultero; infatti esiste anche l'adulterio di coloro che si risposano dopo aver abbandonato la prima moglie per fornicazione; ma senz'altro è meno grave dell'adulterio di chi si risposa ripudiando una donna innocente. Perciò, come è stato detto: Chi conosce il bene che deve fare e non lo fa, commette peccato 13, allo stesso modo si può dire anche: " Chi ripudia la moglie non colpevole di fornicazione e ne prende un'altra è adultero ". Se sosteniamo: " Chiunque prende in moglie una che sia stata ripudiata dal marito senza sua colpa è adultero ", senza alcun dubbio diciamo una verità; però nello stesso tempo non assolviamo certo da questa accusa chi ha sposato una donna ripudiata perché colpevole, anzi non dubitiamo affatto che siano adulteri entrambi. Così si può dichiarare adultero chi si risposa dopo aver ripudiato una moglie innocente, e non per questo escludere da tale peccato chi si risposa dopo aver ripudiato una moglie infedele. Infatti riconosciamo che sono adulteri entrambi, benché l'uno più gravemente dell'altro. E certo nessuno può essere tanto illogico da negare che sia adultero chi sposa una donna respinta dal marito per causa di fornicazione, se chiama adultero chi ne sposa una che sia stata respinta senza alcun motivo del genere. Dunque, se essi sono adulteri entrambi, quando diciamo: " Chiunque sposa una donna ripudiata dal marito senza causa di fornicazione è adultero ", parliamo di uno solo dei due casi, ma non per questo neghiamo che sia in adulterio anche chi sposa una donna ripudiata proprio per tale motivo. Pertanto, essendo adulteri entrambi, sia quello che ripudia la moglie senza un motivo di fornicazione e si risposa, sia quello che si unisce ad un'altra dopo aver ripudiato la prima appunto per quel motivo, allora, se leggiamo espressamente condannato come adultero solo uno dei due, non dobbiamo intendere che con questo sia negata la colpa dell'altro.

Confronto fra i testi di Mt 19, 9; Mc 10, 11-12; Lc 16, 18.

9. 10. Ma se l'evangelista Matteo rende difficile a capirsi questo concetto, perché cita chiaramente un genere di colpa e tace l'altro, non ve ne sono forse altri che hanno raccolto il problema in una definizione generale che si può intendere riferita ad entrambi i casi? Infatti secondo Marco la formulazione è questa: Chiunque ripudia la propria moglie e ne prende un'altra, commette adulterio riguardo alla prima; e se una donna ripudia il marito e sposa un altro, commette pure adulterio 14. E secondo Luca è così: Ogni uomo che ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, è adultero; e chi sposa la donna ripudiata dal marito, è adultero a sua volta 15. Chi siamo noi per dire: C'è chi commette adulterio ripudiando la propria moglie e prendendone un'altra, e c'è chi, facendo lo stesso, non lo commette? Il Vangelo dice che è adultero chiunque fa ciò. Perciò, se è adultero chiunque abbia fatto questo, di risposarsi dopo aver ripudiato la propria moglie, cioè ogni uomo che l'abbia fatto, senza dubbio vi sono compresi tutt'e due i casi, sia di chi ripudia la moglie innocente, sia di chi la ripudia adultera. Questo infatti significa: Chiunque ripudia, e questo significa: Ogni uomo che ripudia.

Diverse lezioni del testo di Mt 5, 32.

10. 11. Inoltre, non è vero (come, non so per qual motivo, ti è sembrato) che io citando il Vangelo secondo Matteo ho omesso la frase e ne prende un'altra, e sono passato direttamente a è adultero; ma io ho citato le parole come si leggono in quell'esteso discorso che il Signore tenne sulla montagna. Questo era infatti il discorso che avevo assunto da trattare, e le parole vi si leggono come io le ho citate, e cioè: Chiunque ripudia la propria moglie, eccettuata la causa di fornicazione, la induce all'adulterio, e chi sposa la donna ripudiata è adultero 16. In questo passo, benché alcuni esemplari esprimano il medesimo concetto con parole diverse, tuttavia non si riscontrano discrepanze quanto al significato. Alcuni testi in realtà danno: Chiunque ripudia; altri: Ogni uomo che ripudia; altri ancora: eccettuata la causa di fornicazione; altri: fuori della causa di fornicazione; altri: se non per causa di fornicazione; altri ancora: chi sposa una donna separata dal marito, è adultero; altri: chi sposa una donna ripudiata, è adultero. Ma in tutto ciò ti rimane chiaro, io penso, che non c'è alcuna differenza rispetto all'unico e medesimo concetto. Solamente alcuni codici, sia greci sia latini, nel discorso che il Signore fece sulla montagna, non presentano l'ultima frase, cioè chi sposa una ripudiata dal marito, è adultero. E credo sia proprio per questo, perché il concetto si può ritenere chiarito nel passo precedente, in cui si dice: la induce all'adulterio. Infatti come può diventare adultera una ripudiata, senza che diventi adultero colui che la sposa?

Gli altri Evangelisti chiariscono il testo di Matteo.

11. 12. Ma le parole che hai citato tu e dalle quali hai dedotto che non è adultero chi ripudia la moglie per causa di fornicazione e si risposa, si presentano davvero oscure; per cui non mi meraviglio se il lettore fatica a comprenderle. Ma non si trovano in quel discorso del Signore su cui io lavoravo allora, quando avanzai quelle opinioni la cui lettura ha suscitato il tuo interesse. In effetti il Signore, narra altrove Matteo, disse quelle parole non quando pronunciò il lungo discorso della montagna, ma quando fu interrogato dai farisei, se fosse lecito per un qualche motivo ripudiare la moglie. Ma quello che non si comprende facilmente in Matteo, è chiaro presso gli altri Evangelisti. Perciò, dopo aver letto nel Vangelo di Matteo: Chiunque ripudia la moglie se non per fornicazione, o come piuttosto si legge in greco: al di fuori della causa di fornicazione, e si risposa, è adultero 17, non dobbiamo subito dedurne che non è adultero quello che la ripudia per fornicazione, e si risposa. Lasciamo invece nel dubbio la questione e andiamo a consultare gli altri Evangelisti, che narrano lo stesso episodio. Che c'è di strano infatti, se per caso Matteo su questo argomento non ha espresso il concetto per intero, ma solo nella parte che lascia intuire il significato generale, mentre Marco e Luca, quasi spianandolo, hanno preferito esprimerlo estesamente, affinché riuscisse del tutto chiaro? Pertanto, se in primo luogo non possiamo mettere in dubbio quello che si legge in Matteo: Chiunque ripudia la moglie, al di fuori della causa di fornicazione, e ne prende un'altra, è adultero, resta la domanda se sia adultero solo colui che si risposa dopo aver ripudiato la moglie al di fuori della causa di fornicazione, oppure ognuno che ripudia la moglie e si risposa, compreso anche chi ha ripudiato una moglie adultera. Ma non abbiamo le parole di Marco che ci rispondono: Che andate cercando se uno sia adultero e l'altro no? Chiunque ripudia la moglie e ne prende un'altra, è adultero 18. E non troveremo anche Luca a dirci: Perché dubitate se sia adultero quello che riprende moglie dopo aver ripudiato la prima per causa di fornicazione? Ogni uomo che ripudia la propria moglie e ne prende un'altra, è adultero. Dunque, poiché non è ammissibile sostenere che gli Evangelisti, quando parlano della medesima cosa, sia pure con parole diverse, possano non concordare su un unico significato, bisogna per forza ammettere che Matteo abbia voluto esprimere l'intero concetto attraverso una parte. Ma la sua opinione è la stessa: non è che uno è adultero, cioè quello che ripudia la moglie e ne prende un'altra al di fuori del motivo di fornicazione, e uno invece non lo è, cioè quello che ripudia per il motivo della fornicazione, ma ogni uomo che ripudia la moglie e ne prende un'altra è adultero senza alcun dubbio.

La ripudiata non cessa di essere moglie di colui che l'ha ripudiata.

12. 13. Infatti come può corrispondere a verità quello che segue anche in Luca: Chi sposa una donna ripudiata dal marito, è adultero 19? Come può essere adultero quest'uomo, se non perché la donna che ha sposato, finché vive colui che l'ha ripudiata, è sempre la moglie di un altro? Se la donna a cui si unisce è ormai moglie sua e non dell'altro, egli non può certo essere adultero. Ma è adultero: dunque la donna a cui si unisce è moglie dell'altro. Inoltre, se è moglie di un altro, e cioè di colui che l'ha ripudiata, non cessa di essere sua moglie, neppure se è stata ripudiata per causa di fornicazione. Infatti, se ha cessato di essere moglie del primo, ormai è moglie di colui che ha sposato per secondo; e se è moglie di costui, egli non si deve ritenere adultero, ma marito. Però, dato che la Scrittura non lo chiama marito, ma adultero, la donna è ancora moglie di colui dal quale è stata respinta, sia pure per causa di fornicazione. Per conseguenza qualunque altra donna venga presa da costui dopo il ripudio della prima, poiché divide il letto con il marito di un'altra, è adultera. Ma allora come potrà non essere adultero egli stesso, se è certo che rende adultera quella che lo sposa?

Seconda questione: se un coniuge è rimasto non credente, è il Signore o l'Apostolo che proibisce di ripudiarlo? (13, 14 - 25, 32)
Il " privilegio paolino ": divergenti opinioni di Pollenzio e Agostino.


13. 14. Adesso esaminiamo quello che dice l'Apostolo: Agli altri infatti dico io, non il Signore 20. Egli si riferisce ai matrimoni ineguali, cioè in cui i coniugi non sono entrambi cristiani, e mi pare che le sue parole costituiscano un consiglio. È l'Apostolo e non il Signore a porre un divieto, perché il coniuge credente potrebbe lecitamente abbandonare il coniuge non credente. Infatti, se una cosa è proibita dal Signore, non è lecito farla assolutamente. Dunque l'Apostolo consiglia i credenti a non sfruttare il permesso che viene loro concesso di lasciare i coniugi non convertiti, perché ciò fornisce la possibilità di guadagnare alla fede molte altre persone. A te sembra che ai coniugi credenti non sia consentito lasciare i non credenti perché questo è vietato dall'Apostolo; mentre io dico che è lecito, perché non è vietato dal Signore, anche se non è opportuno farlo come ammonisce l'Apostolo. L'Apostolo spiega anche il motivo per cui non è opportuno farlo, benché sia lecito, dicendo: Che sai tu, donna, se potrai salvare il marito; e che sai tu, uomo, se potrai salvare la moglie? 21; e anche più sopra aveva detto: Il marito non credente è santificato nella moglie e la moglie non credente è santificata nel fratello, cioè nel coniuge cristiano, altrimenti i vostri figli sarebbero immondi, mentre ora sono santi 22. Evidentemente così egli raccomanda di guadagnare a Cristo il coniuge e i figli, anche in base ad esempi che si erano già presentati. Dunque il motivo per cui non è opportuno che si lasci uno sposo non credente è stato espresso con evidenza. L'Apostolo non vuole che ci si allontani dai coniugi pagani non perché si debba salvare il legame coniugale con costoro, ma perché essi siano conquistati a Cristo.

Le cose che si devono fare non per ordine di una legge, ma per libero impulso di carità.

14. 15. Molte sono le cose da farsi non per ordine di una legge, ma per libera carità, e fra gli altri nostri doveri esse sono tanto più grate, perché, avendo la possibilità di tralasciarle, le intraprendiamo invece per amore. Per cui il Signore stesso per primo, dopo aver dimostrato che egli non era tenuto a pagare il tributo, tuttavia lo pagò, per non scandalizzare coloro che egli, facendosi uomo, aiutava a raggiungere la salvezza eterna 23. Quanto poi l'Apostolo ci raccomandi tali opere, ne fanno fede le sue parole, quando dice: Benché io sia libero di fronte a tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero possibile 24. Poco sopra aveva detto: Non abbiamo noi il diritto di mangiare e di bere? non ci è permesso di condurre con noi una sorella, come fanno gli altri Apostoli, i fratelli del Signore e Cefa? oppure solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di farlo? chi fa il servizio militare a proprie spese? chi pianta una vigna e non ne mangia i frutti? chi pascola un gregge e non ne beve il latte? 25. E poco dopo: Se altri sono partecipi della vostra potestà, noi non ne abbiamo forse maggior diritto? Eppure non abbiamo mai approfittato di questo diritto, ma sopportiamo tutto per non mettere ostacolo al Vangelo di Cristo 26. E ancora dopo poche frasi: Quale sarà la mia ricompensa? Predicare gratuitamente il Vangelo che annunzio, per non abusare del mio diritto sul Vangelo 27. E subito dopo aggiunge quello che ho citato poco sopra: Benché io sia libero di fronte a tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero possibile 28. Del pari in un altro passo, parlando del cibo, dice: Tutti i cibi mi sono permessi, ma non tutti mi sono utili; tutti mi sono leciti, ma io non mi renderò schiavo di nessuno di essi. Il nutrimento è per lo stomaco e lo stomaco per il nutrimento; ma Dio distruggerà l'uno e l'altro 29. E anche altrove torna sullo stesso argomento: Tutto mi è lecito, ma non tutto mi è vantaggioso; tutto mi è lecito, ma non tutto edifica; nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma quello altrui 30; e per far capire di che cosa parla aggiunge: Mangiate di tutto quello che si vende al mercato, senza preoccuparvi per scrupolo di coscienza 31. E tuttavia altrove dice: Non mangerò più carne in eterno per non scandalizzare mio fratello 32, e in un altro passo ancora: Tutto è puro, ma diventa cattivo per l'uomo che ne mangia dando scandalo 33. Ciò che significa: Tutto mi è lecito, significa anche: Tutto è puro, e quello che significa: ma non tutto è vantaggioso, significa pure: ma diventa cattivo per l'uomo che ne mangia dando scandalo. Così dimostra che le cose lecite, cioè che non sono proibite da nessun precetto del Signore, si devono compiere come si presentano opportune, non per una regola di legge, ma per un suggerimento della carità. Di questa natura furono le spese che il samaritano sostenne in più, quando per compassione fece portare e curare il ferito alla locanda 34. Perciò si dice che questi atti di carità non sono comandati dal Signore, benché si consiglia di offrirli a lui, e si capisce che essi sono tanto più graditi, quanto più è evidente che non sono obbligatori.

Distinzione tra ciò che è lecito, ma non opportuno.

15. 16. Ma se fra queste opere ve ne sono alcune che siano lecite, ma non opportune, di esse non si può dire: Questo è bene, ma quello è meglio, come si dice: Chi dà in matrimonio fa bene, e chi non dà fa meglio 35. In quel caso è lecita l'una e l'altra decisione, e talvolta riesce opportuna la prima, talvolta la seconda. Infatti per quelle che non sono capaci di vivere continenti, è opportuno senz'altro sposarsi, e ciò che è lecito è anche opportuno; ma per quelle che hanno fatto voto di continenza, non è né lecito né opportuno. Al contrario, separarsi da un coniuge non credente è lecito, ma non è opportuno; rimanere con quello, se consente a coabitare, è lecito e opportuno; e non potrebbe essere opportuno, se non fosse lecito. Dunque è possibile che qualcosa sia lecito e non opportuno; ma non è possibile che sia opportuno ciò che non è lecito. Perciò non tutte le cose lecite sono opportune; ma nessuna cosa illecita può essere opportuna. Come infatti chiunque sia stato redento dal sangue di Cristo è uomo, ma non chiunque sia uomo è stato anche redento dal sangue di Cristo, così tutto ciò che non è lecito non è opportuno, e tuttavia non tutto ciò che è inopportuno è anche illecito. Ci sono senza dubbio cose lecite che non sono opportune, come apprendiamo dalla testimonianza dell'Apostolo.

Difficoltà della distinzione precedente.

16. 17. Ma sarebbe difficile definire con una regola universale che differenza ci sia tra ciò che è illecito e perciò non opportuno, e ciò che è lecito ma tuttavia non opportuno. Troppo frettolosamente uno potrebbe dire: tutto ciò che non è opportuno a farsi è peccato; ma ogni peccato è illecito; dunque tutto ciò che non è opportuno è illecito. Dove vanno a finire allora quelle cose che l'Apostolo ha definito lecite ma non opportune, se tutto ciò che non è opportuno non è neppure lecito? Per questo, se non possiamo dubitare che l'Apostolo abbia detto il vero, e non osiamo sostenere che alcuni peccati siano leciti, non rimane che questa conclusione: si può fare qualcosa che non è opportuno, ma che tuttavia, se è lecito, non è peccato, benché dal momento che non è opportuno, certo non si dovrebbe fare. Ma se ci sembra assurdo che si faccia qualcosa di non opportuno e si dica che averlo fatto costituisce un peccato, bisogna comprendere che l'assurdità è nella consuetudine linguistica: infatti essa è così estesa che anche delle bestie da soma, benché siano prive di ragione, spesso diciamo che, quando peccano, devono essere bastonate; eppure il peccato in senso proprio non appartiene se non a colui che usa la ragione e il libero arbitrio, e questo fra tutti gli esseri animati di questo mondo non è stato concesso da Dio se non all'uomo. Ma una cosa è quando parliamo in senso proprio, un'altra quando prendiamo in prestito i termini da altri concetti forzandoli a un senso traslato.

Ricerca di un criterio sicuro.

17. 18. Ma ora cerchiamo, se è possibile, di distinguere con un criterio sicuro fra ciò che è lecito e non opportuno, e ciò che non è lecito e perciò nemmeno opportuno. Le cose che mi sembrano essere lecite e tuttavia non opportune sono quelle che senz'altro sono permesse dalla giustizia, valida di fronte a Dio, ma che si devono evitare perché possono danneggiare gli uomini ostacolandoli nella loro salvezza; le cose invece che non sono lecite e perciò neppure opportune sono quelle che sono vietate dalla stessa giustizia e che non si devono fare, anche se incontrano l'approvazione di chi ne viene a conoscenza. Stando così la questione, il Signore non proibisce se non le cose illecite, in modo che le cose lecite, ma non opportune, siano evitate non per l'imposizione della legge, ma per la libera generosità dell'amore.

Ripudiare il coniuge non credente è lecito, ma non opportuno.

17. 19. Di conseguenza, se non fosse lecito ripudiare il coniuge non credente, sarebbe il Signore a proibirlo, e l'Apostolo nel vietarlo non direbbe: Sono io a dirlo, non il Signore 36. Infatti, se si permette all'uomo di separarsi dal coniuge per colpa della fornicazione carnale, quanto più sarà odiosa nel coniuge la fornicazione spirituale, cioè la mancanza della fede, di cui è scritto: Perché ecco, quelli che si allontanano da te periranno; tu distruggi chiunque ti è infedele 37!

18. 19. Ma ciò, anche se lecito, resta inopportuno, per evitare che i pagani danneggiati dall'abbandono dei loro coniugi prendano in odio la stessa dottrina della salvezza, che proibisce le cose illecite, e permangano nella medesima mancanza di fede, peggiorando e andando incontro alla perdizione; quindi l'Apostolo intercede sconsigliando di fare ciò che è lecito ma non opportuno. Infatti, se non è proibito dal Signore alla moglie o al marito credente di separarsi dalla moglie o dal marito non credente, ciò non viene neppure ordinato. Se fosse ordinato di ripudiare tali coniugi, non ci sarebbe posto per il consiglio dell'Apostolo che raccomanda di non farlo. Infatti in nessun modo un buon servo potrebbe proibire ciò che il Signore comanda.

Divergenze sull'argomento tra l'Antico e il Nuovo Testamento.

18. 20. Un ordine del genere venne dato dal Signore per bocca del profeta Esdra 38, e fu eseguito; gli Israeliti, per quanti potevano essere ad averne, rimandarono le mogli straniere, perché non erano esse a venir conquistate al vero Dio, ma al contrario per colpa loro i mariti erano attratti verso le divinità straniere. Infatti la grazia sconfinata del Salvatore non aveva ancora sprigionato la sua luce e la massa di quel popolo aspirava ancora alle promesse temporali dell'Antico Testamento. I beni terreni erano la ricompensa maggiore che essi si aspettavano da Dio, e poiché li vedevano sovrabbondare anche a coloro che onoravano molti falsi dèi, indotti dalle mogli, prima evitavano di offendere queste divinità, poi si riducevano anche ad onorarle. Perciò il Signore ordinò per bocca del santo Mosè che nessuno prendesse una moglie straniera 39. A ragione dunque ripudiarono per ordine del Signore le mogli che avevano preso malgrado la proibizione del Signore. Ma quando il Vangelo cominciò ad essere predicato ai popoli, trovò i gentili già sposati con i gentili. Questi non sempre si convertivano entrambi, ma se il non credente o la non credente consentiva a vivere con il coniuge convertito, il credente non doveva ricevere dal Signore né la proibizione né l'ordine di ripudiare il pagano. Non doveva ricevere la proibizione naturalmente perché la giustizia permette di separarsi da un adultero, e la fornicazione che avviene nel cuore di un non credente è più grave. Infatti la sua pudicizia nei riguardi del coniuge non può essere considerata genuina, perché tutto ciò che non proviene dalla fede è peccato 40, mentre il credente vive in pudicizia autentica anche con un non credente, che non ha quella vera. Ma non si doveva neppure ordinare che i convertiti si separassero dai coniugi rimasti pagani, perché si erano uniti entrambi come gentili, quindi non contro l'ordine del Signore.

Il consiglio dell'Apostolo è ispirato dal Signore.

18. 21. Poiché dunque il Signore non proibisce né ordina di separarsi dal coniuge non credente, è l'Apostolo, e non il Signore, che lo sconsiglia. Ma l'Apostolo possiede lo Spirito Santo, ispirato dal quale può dare un utile e fedele consiglio. Per questo, della donna il cui marito sia morto, dice: Secondo il mio consiglio, ella sarà più felice se resta com'è 41; ma affinché nessuno ritenga trascurabile questo consiglio, perché umano e non divino, aggiunge: Penso infatti di avere anch'io lo Spirito Santo 42. Dunque bisogna intendere che il consiglio proviene lo stesso dall'ispirazione del Signore, anche se una cosa non è ordinata da lui, ma consigliata utilmente da un suo santo servo. Un cattolico si guardi infatti dal sostenere che quando consiglia lo Spirito Santo non è il Signore stesso che consiglia, perché anch'esso è il Signore, e inseparabili sono le opere della Trinità. Se l'Apostolo dice ancora: Per chi è vergine, non ho alcun precetto del Signore, però do un consiglio 43, non dobbiamo pensare che questo consiglio non provenga da Dio, dato che subito continua dicendo: Come uomo che per misericordia del Signore è fedele ai suoi voleri 44. Dunque il consiglio che dà è fedele ai voleri del Signore, secondo quello Spirito di cui dice: Penso infatti che anch'io ho lo Spirito del Signore 45.

Il consiglio dell'Apostolo non è vincolante come un ordine espresso del Signore.

18. 22. Tuttavia una cosa è un comando espresso dal Signore e un'altra cosa è il fedele consiglio di un suo servo secondo la carità misericordiosa che il Signore gli ispira e concede. Nel primo caso non è lecito fare altrimenti, nel secondo invece è lecito, tenendo però presente che ciò che è lecito, talvolta è senz'altro opportuno, talvolta non lo è. È opportuno, quando non solo è permesso dalla giustizia, che è valida di fronte al Signore, ma da ciò non proviene agli uomini alcun impedimento alla salvezza. Così, quando l'Apostolo consiglia a chi è vergine di non sposarsi, e a questo proposito attesta di non possedere un precetto del Signore, è lecito fare altrimenti, cioè sposarsi, e possedere il bene delle nozze, che per quanto minore del bene della continenza è pur sempre un bene. E ciò che è lecito è nello stesso tempo anche opportuno, perché accoglie con l'onestà del matrimonio la debolezza della carne, che altrimenti cadrebbe in azioni proibite e illecite, senza porre ostacolo alla salvezza di nessuno; per quanto sarebbe più opportuno e più onesto se la vergine seguisse il consiglio a cui non è obbligata da alcun precetto. Invece ciò che è lecito non è opportuno, quando, pur essendo in realtà permesso, usufruire di questa potestà arreca impedimento alla salvezza altrui. Questo è il caso, su cui abbiamo già parlato a lungo, di un coniuge credente che si separi dal non credente. Il Signore non proibisce questa separazione con un precetto di legge, perché al suo cospetto non è ingiusta; ma la proibisce l'Apostolo per suggerimento della carità, perché arreca impedimento alla salvezza dei non credenti. Quelli che ne sono offesi non solo ne ricevono uno scandalo estremamente pericoloso, ma se contraggono altri connubi mentre sono ancora vivi coloro che li hanno abbandonati, una volta stretti in questi legami illeciti, assai difficilmente se ne sciolgono.

L'Apostolo interviene a proibire ciò che è lecito, ma non opportuno.

19. 23. Perciò neppure in questo caso, in cui ciò che è lecito non è opportuno, si può dire: " Se rimanda il coniuge non credente fa bene, se non lo rimanda fa meglio ", come si dice: Chi dà in matrimonio fa bene, chi non dà fa meglio 46. In quest'ultimo caso, non solo entrambe le decisioni sono lecite ugualmente, quindi nessuno è vincolato dal precetto del Signore a una delle due, ma entrambe sono anche opportune: l'una in misura minore, l'altra maggiore. Per questo chiunque è in grado di comprendere è invitato dal consiglio dell'Apostolo a scegliere quella che è maggiormente opportuna. Ma quando si tratta di ripudiare o no un coniuge non credente, è vero che entrambe le cose sono lecite ugualmente secondo la giustizia, che è valida di fronte al Signore, e perciò il Signore non proibisce né l'una né l'altra, però, a causa della debolezza umana, non tutt'e due sono opportune. A proibire ciò che non è opportuno interviene l'Apostolo, ma è il Signore che gli concede la libertà di proibire, perché né il Signore proibisce ciò che è consigliato dall'Apostolo, né ciò che proibisce l'Apostolo è ordinato dal Signore. E se non fosse così, l'Apostolo non consiglierebbe qualcosa che il Signore proibisce, né proibirebbe qualcosa che il Signore ordina. Di conseguenza, in queste due questioni, se sia opportuno o no sposarsi e se sia opportuno o no ripudiare il coniuge non credente, nelle parole dell'Apostolo troviamo una parte analoga e una parte diversa. Di analogo effettivamente c'è nel primo caso la frase: Non ho un precetto del Signore, ma do un consiglio 47, e nell'altro: Sono io a dirlo e non il Signore 48. Infatti quello che significa: Non ho un precetto del Signore significa anche: Non è il Signore a dirlo, e quello che significa: do un consiglio significa anche: sono io a dirlo. Però c'è anche questo di diverso: quando si tratta di sposarsi o no, si può dire: la prima alternativa è bene, la seconda è meglio, perché entrambe le cose sono opportune, una in grado minore, l'altra maggiore. Ma quando si tratta di ripudiare o no un coniuge non credente, poiché una delle due soluzioni non è opportuna, l'altra sì, non bisogna dire: Chi ripudia il coniuge fa bene, e chi non lo ripudia fa meglio; ma bisogna al contrario dire: Non si ripudi il coniuge, perché, anche se è lecito, non è opportuno. Allora possiamo dire che è meglio non ripudiare un coniuge non credente, benché sia permesso anche ripudiarlo, allo stesso modo in cui rettamente diciamo che ciò che è lecito e opportuno è meglio di quello che è lecito ma non opportuno.

Il Signore proibisce espressamente solo ciò che è illecito.

20. 24. Quando commentai il lungo discorso che il Signore tenne sulla montagna, arrivato alla questione se ripudiare o no il coniuge, addussi anche le testimonianze degli Apostoli e per i motivi già esposti mi avvenne di sostenere che è un consiglio dell'Apostolo, non un precetto del Signore, quando egli con le parole: Agli altri sono io a dire, non il Signore 49, raccomanda a coloro che hanno coniugi pagani di non ripudiarli, se consentono a coabitare. Senza dubbio quello che occorreva era un consiglio e non un ordine, perché proibire agli uomini di fare cose lecite, benché non opportune, non è di tanta importanza come proibire loro cose illecite. Se poi in qualche caso l'Apostolo si è limitato a raccomandare cose che si sarebbero dovute ordinare, lo fece per risparmiare la nostra debolezza, non per rendere l'ordine meno perentorio. Per cui quando dice: Vi scrivo queste cose non per confondervi, ma per consigliarvi come figli carissimi 50, non ha nulla a che vedere con il punto in cui ammonisce: Sono io a dirlo e non il Signore. E ugualmente quando dice: Sono io, Paolo, che ve lo dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla 51, forse aggiunge anche qui: Sono io a dirlo e non il Signore? Dunque questi passi non sono simili, perché non è sconveniente né contraddittorio se l'Apostolo presenta sotto forma di consiglio anche ciò che il Signore ordina. Infatti anche noi ci serviamo di raccomandazioni per indurre quelli che abbiamo cari ad adempiere i precetti o i comandamenti del Signore. Ma quando l'Apostolo dice: Sono io a dirlo, non il Signore, dimostra chiaramente che non è il Signore a proibire ciò che egli ha proibito 52. Il Signore l'avrebbe proibito, se fosse stato illecito. Dunque, in base a quello che precedentemente abbiamo a lungo trattato e approfondito, sarebbe stato lecito secondo giustizia, ma per quanto lecito era da evitare per un libero sentimento d'affetto.

Erronea interpretazione di Pollenzio.

21. 25. Tu invece preferisci pensare che ciò che è vietato non dal Signore, ma dall'Apostolo, non è lecito allo stesso modo di ciò che vieta il Signore. Perciò, quando hai voluto spiegare cosa significhi la frase: Sono io a dirlo, non il Signore 53, rivolta ai credenti sposati a non credenti, hai detto: " Perché il Signore ha ordinato che non ci si unisca a coniugi di diversa religione ", e hai aggiunto proprio la testimonianza del Signore che dice: Non prenderai in moglie per tuo figlio una straniera, perché non lo trascini dietro le sue divinità e l'anima sua perisca 54. E hai aggiunto anche le parole dell'Apostolo quando afferma: La moglie è legata al marito per tutto il tempo che egli vive; ma se il marito muore, essa è libera: sposi chi vuole, purché nel Signore 55, spiegando l'espressione con l'aggiunta " cioè un cristiano ". Poi hai proseguito dicendo: " Dunque questo precetto del Signore, che non rimangano uniti se non i matrimoni tra persone della stessa fede e della stessa religione, si trova tanto nell'Antico che nel Nuovo Testamento ". Ma se questo precetto del Signore, che non rimangano uniti se non i matrimoni fra persone della stessa fede e della stessa religione, si trova tanto nell'Antico che nel Nuovo Testamento, se questo ordina il Signore e questo insegna l'Apostolo, perché, contro quest'ordine del Signore, contro la sua propria dottrina, contro il precetto del Testamento Antico e Nuovo, l'Apostolo ordina che rimangano stretti i matrimoni tra persone di fede diversa? " Perché Paolo, tu dici, predicatore e Apostolo delle genti, non solo consiglia, ma anche ordina, quando due persone sono già sposate e uno dei due si converte, di non ripudiare il coniuge non ancora credente, se questi consente a coabitare ". Ora le tue stesse parole dimostrano chiaramente che si tratta di due casi diversi. Nel primo caso infatti la raccomandazione che la donna non sposi se non un uomo della sua religione e l'uomo una donna del medesimo genere riguarda i matrimoni nel momento in cui si stringono. Questo infatti, come tu dici, ordina il Signore, insegna l'Apostolo, ingiunge l'uno e l'altro Testamento. Ma chi può negare che il caso è diverso, quando si tratta di matrimoni non da stringersi, ma già stretti?. Entrambi erano ugualmente non credenti, quando si sono sposati, ma all'arrivo della Buona Novella l'uno si è convertito senza l'altra o l'una senza l'altro. Se dunque il caso è diverso, e questo appare senza la minima possibilità di dubbio, perché l'ordine che il coniuge convertito rimanga unito in matrimonio con il non convertito non è espresso anche dal Signore, come è espresso dall'Apostolo? Non sarà forse sottinteso in questo passo ciò che l'Apostolo proclama con tanta sicurezza: O forse volete una prova che è Cristo che parla in me 56? E senz'altro Cristo è il Signore. Comprendi cosa voglio dire? oppure devo dilungarmi un po' più accuratamente a chiarire questo concetto?

Confutazione di sant'Agostino.

21. 26. Seguimi: svolgiamo la questione con un ragionamento più chiaro e mettiamocela per così dire davanti agli occhi. Ecco due coniugi, entrambi non credenti; così erano quando si sposarono: non ha nulla a che fare con loro la questione che riguarda l'ordine del Signore, la dottrina dell'Apostolo, il precetto dell'Antico e del Nuovo Testamento con cui si proibisce al credente di sposare un non credente. Ormai sono sposati e sono ancora entrambi non credenti, cioè tali quali erano prima di sposarsi e al momento in cui si sposarono. Venne un predicatore della Buona Novella, e si convertì l'uno o l'altra di essi, ma il non credente è d'accordo a continuare la convivenza con il credente. Il Signore ordina al credente di ripudiare il non credente, o non lo ordina? Se dirai: " Lo ordina ", reclama l'Apostolo: Lo dico io, non il Signore 57. Se dirai: " Non lo ordina ", ti domando la ragione. E non devi rispondermi adducendo lo stesso motivo che tu ponesti nella tua lettera: " Perché il Signore proibisce che i credenti si uniscano ai non credenti ". Qui infatti questo motivo non c'entra assolutamente: parliamo di chi è già sposato, non di chi deve ancora sposarsi. Allora tu non sei riuscito a vedere la ragione per cui il Signore non vieta ciò che vieta l'Apostolo; infatti ormai ti rendi conto, come penso, che non era quella stessa che tu pensavi. Quindi fa' attenzione se per caso non sia quella che allora mi parve giusto proporre e ora mi pare giusto difendere; evidentemente così dobbiamo ritenere: il Signore esprime ciò che comporta la giustizia che di fronte a lui non deve essere in alcun modo trasgredita, cioè quello che essa ordina o proibisce in maniera tale che non è assolutamente lecito fare altrimenti. Ma per ciò che invece egli rimette in potere della nostra volontà, in modo che si può eseguire o no sempre restando nel lecito, il Signore lascia spazio al consiglio dei suoi servi affinché raccomandino piuttosto ciò che abbiano constatato opportuno.

Distinzione tra ciò che è lecito, ma non opportuno, e ciò che è illecito e quindi mai opportuno.

21. 27. In primo luogo e in sommo grado si badi dunque, a questo proposito, a non commettere cose illecite. Quando qualcosa è consentito in maniera che fare altrimenti non è illecito, sia fatto ciò che è opportuno, o ciò che è maggiormente opportuno. Ma quelle cose che il Signore dice come Signore, cioè non perché ha cura di consigliare, ma potere di comandare, non è lecito non farle, e quindi neppure opportuno. Il Signore dunque ordina: La donna non si separi dal marito, e se si separa, certo per la sola causa che lo consente, rimanga non sposata, o si riconcili con il marito 58. Infatti: Una donna sotto un marito, finché il marito è vivo, è legata alla legge e vivente il marito, sarà chiamata adultera se si unisce ad altro uomo 59, perché la moglie è legata, finché il marito è vivo 60. Quindi se la moglie si sarà separata dal marito e sposerà un altro è adultera 61 e chi sposa una donna ripudiata dal marito è adultero 62. Perciò secondo lo stesso precetto divino l'uomo non ripudi la moglie 63, perché chi ripudia la moglie, eccetto per causa di fornicazione, la induce all'adulterio 64. Ma se la ripudia proprio per questo motivo, anch'egli non si risposi: infatti chiunque ripudia la propria moglie e ne prende un'altra è adultero 65.

22. 27. Queste norme stabilite dal Signore devono essere osservate senza alcuna riserva. Le investe infatti la giustizia che è valida al cospetto del Signore, sia che gli uomini le accettino, sia che le rifiutino; perciò non bisogna dire che non si debbono osservare per non danneggiare gli uomini, o per non ostacolarli nella salvezza che è in Cristo. Infatti quale cristiano oserebbe dire: Per non offendere gli uomini, o per acquistarli a Cristo, farò diventare adultera mia moglie, e lo diverrò io stesso?
Ciò che è illecito non si deve compiere neppure per un fine buono.

22. 28. Può anche darsi il caso, in effetti, che un cristiano, ripudiata una moglie adultera, venga tentato così: una donna non ancora credente, che desidera unirsi a lui in matrimonio, promette di farsi cristiana, e non bugiardamente, ma con l'intenzione di farlo davvero, se lo sposerà. Dunque, se egli rifiutasse questo matrimonio, il tentatore gli potrebbe suggerire: Il Signore disse: Chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di fornicazione, e ne sposa un'altra, è adultero 66, ma tu, che l'hai ripudiata per causa di fornicazione, se ne prenderai un'altra, non sarai adultero. Ma a chi gli rivolge simili suggerimenti, egli, ben istruito in cuore, risponda: Certo è adultero più gravemente chi ripudia la moglie al di fuori della causa di fornicazione e ne prende un'altra; ma anche chi si risposa dopo aver ripudiato una moglie colpevole, non per questo non è adultero, perché ha lasciato una moglie adultera; alla stessa maniera è adultero chi si unisce a una donna che sia stata ripudiata al di fuori della causa di fornicazione; ma non per questo non è adultero chi ne prende una che ha trovato ripudiata per causa di fornicazione. E proprio per questo, ciò che in Matteo è espresso in maniera alquanto oscura, perché si è voluto far intendere il tutto da una parte, si trova spiegato in altri, che hanno esposto l'intero concetto globalmente; così si legge in Marco: Chiunque ripudia la propria moglie e ne prende un'altra, commette adulterio 67, e in Luca: Ogni uomo che ripudia la propria moglie e ne prende un'altra, commette adulterio 68. Questi ultimi non dicono che, fra quanti si sono risposati dopo aver ripudiato la moglie, alcuni sono adulteri, altri non lo sono; ma dicono: chiunque ha ripudiato; e quindi tutti coloro che hanno ripudiato la propria moglie, e ne hanno presa un'altra, sono adulteri.

La condanna in tal caso è esplicita.

23. 29. Ma se quel cristiano risponderà così al tentatore, comprendendo che gli è certo lecito ripudiare un'adultera, ma non prendere un'altra moglie, cosa avverrà se il tentatore gli dirà: Commetti questo peccato per conquistare a Cristo l'anima di una donna che si trova nella mortale condizione di chi non crede, ma che è pronta a diventare cristiana, se ti sposa? Cos'altro deve rispondere a ciò il cristiano, se non che egli, così facendo, non potrebbe sfuggire la condanna ricordata dall'Apostolo: E come alcuni dicono di noi, facciamo il male perché ne venga il bene, ma la condanna di costoro è giusta 69? Ma come potrà trarre profitto dalla conversione quella che vivrà in adulterio con colui che la sposa?

A nessuna condizione si devono infrangere i voti.

24. 30. Dunque non bisogna praticare adulterio, come avviene non per qualcuno, ma assolutamente per chiunque ripudia la propria moglie e ne prende un'altra, anche se fosse per renderla cristiana. Ma per di più anche chi non sia legato a una moglie e abbia fatto voto di continenza a Dio, anche se è convinto di far bene a prender moglie perché quella che aspira a sposarlo ha promesso di farsi cristiana, in nessun modo deve peccare fidando in questa compensazione. Ciò che infatti era lecito a chiunque prima di pronunciare il voto, non sarà più lecito, quando avrà fatto promessa di astenersene; purché tuttavia abbia promesso cosa che era degna di un voto. Così è per la verginità perpetua, oppure per la continenza, quando chi ha sperimentato il matrimonio, si trova sciolto dal suo legame, oppure quando due coniugi casti e fedeli fanno voto consensualmente di rinunciare a vicenda al debito carnale, cosa che non è lecito fare per iniziativa di uno solo dei due. Se dunque una persona ha pronunciato un voto del genere o qualsiasi altro che si possa fare del tutto regolarmente, a nessuna condizione si deve infrangere ciò che a nessuna condizione si è promesso, perché anche questo è un precetto del Signore, come dobbiamo capire dalle parole: Fate voto e serbatelo al Signore Dio vostro 70. L'Apostolo a proposito di quelle che fanno voto di continenza e poi vogliono sposare, come era loro senz'altro lecito prima del voto, dice: Incorrendo nella dannazione, perché hanno violato l'impegno preso 71.

24. 31. Dunque niente è opportuno di ciò che è illecito, e nulla di ciò che proibisce il Signore è lecito.

In quelle cose sulle quali non è espresso un precetto vincolante del Signore, si ascolti l'Apostolo.

25. 31. Ma per quelle cose sulle quali, non essendoci alcun precetto vincolante del Signore, è stato lasciato il potere di decidere, in queste si ascolti l'Apostolo, che consiglia e provvede nello Spirito Santo, perché o si scelga il partito migliore o si eviti quello che non è opportuno. Su tutto ciò lo si ascolti, quando dice: Non ho un precetto del Signore, ma vi do un consiglio 72, e: Lo dico io, non il Signore 73. Su tutto ciò, se vuole scegliere la cosa migliore, chi ascolta l'Apostolo: Essendo libero da moglie, non prenda moglie, perché anche se prende moglie, non pecca 74. Secondo tutto ciò la vergine non si sposi, perché chi non dà in matrimonio, fa meglio; e chi dà in matrimonio, fa bene 75; secondo tutto ciò sia più contenta la vedova di rimanere com'è, anche se, morto il marito, ha in sua facoltà di sposare chi vuole, purché nel Signore 76. E questo si può intendere in due sensi: o purché rimanga cristiana, o purché sposi un cristiano. In effetti, da quando è stato rivelato il Nuovo Testamento, non mi viene in mente alcun passo, sia del Vangelo sia di alcuna lettera apostolica, che dichiari senza ambiguità se il Signore abbia proibito ai credenti di sposare i non credenti. Vero è comunque che il beatissimo Cipriano non ne dubita e non pone fra i peccati trascurabili stringere il vincolo del matrimonio con gli infedeli, sostenendo che ciò è prostituire ai gentili le membra di Cristo 77. Ma poiché diversa è la questione riguardo a coloro che sono già sposati, anche qui si ascolti l'Apostolo che dice: Se un fratello ha una moglie non credente, e questa consente a convivere con lui, non la ripudi; e se una donna ha uno sposo non credente, e questo consente a convivere con lei, non lo ripudi 78. Quindi, ascoltandolo, benché ripudiare il coniuge sia lecito perché non è il Signore a proibirlo, tuttavia non lo si faccia perché non è opportuno. Infatti l'Apostolo insegna con estrema chiarezza che non tutte le cose lecite sono opportune 79, come abbiamo già dimostrato sopra. Comunque il risposarsi dopo aver lasciato il proprio coniuge non è lecito, né all'uomo né alla donna, neppure per qualsivoglia forma di fornicazione, sia della carne, sia dello spirito, e in quest'ultima bisogna intendere anche la mancanza di fede. Infatti il Signore senza fare nessuna eccezione dice: Se la moglie lascia il proprio marito e ne prende un altro, è adultera 80, e: Ogni uomo che ripudia la propria moglie e ne prende un'altra, è adultero 81.

La questione del matrimonio resta comunque oscurissima e intricatissima.

25. 32. Ma anche dopo aver esaminato e discusso a fondo questi problemi secondo le mie capacità, riconosco tuttavia che la questione del matrimonio è oscurissima e intricatissima. Né oso sostenere di avere finora spiegato tutti i suoi risvolti in questa o in altra opera, o di poterli da questo momento spiegare, se ne venissi sollecitato. Riguardo all'altra questione su cui pure credete bene di consultarmi in altro foglio, anch'io avrei provveduto a svolgerla separatamente, se avessi un'opinione diversa dalla tua; ma avendo entrambi il medesimo parere, non è necessario prolungare a parte l'esame.

Terza questione: i catecumeni giacenti in fin di vita e non in condizione di chiedere il battesimo, si debbono battezzare o no? (26, 33 - 28, 35)

In punto di morte si conceda in ogni caso il battesimo ai catecumeni.

26. 33. Dunque, se dei catecumeni, prossimi alla fine di questa vita, per malattia o per qualche incidente si trovano in condizioni così gravi da non poter chiedere il battesimo o rispondere alle domande, per quanto ancora vivi, si consideri a loro vantaggio che la loro volontà era già manifesta grazie alla fede cristiana, e quindi siano battezzati allo stesso modo in cui si battezzano gli infanti, la cui volontà non si è ancora potuta manifestare in alcun modo 82. Tuttavia non dobbiamo per questo condannare quelli che si comportano con maggior precauzione di quanto ci sembra necessario, altrimenti potremmo essere accusati di aver voluto giudicare sul denaro affidato a un conservo in maniera più precipitosa che cauta. Anche a tal proposito bisogna tenere ben presente la frase dell'Apostolo che dice: Ciascuno di noi renderà conto a Dio per se stesso 83. Dunque non giudichiamoci più oltre fra di noi. Ci sono alcuni infatti che qui come pure ad altro proposito ritengono doversi osservare le parole che noi leggiamo pronunciate dal Signore: Non date le cose sante ai cani, né gettate le vostre perle ai porci 84. E rispettando queste parole del Salvatore, non osano battezzare quelli che non possono rispondere di se stessi, nel timore che per caso non sia diversa la decisione della loro volontà. E questo non si può riferire al caso dei bambini, che non hanno ancora affatto l'uso della ragione. Ma è incredibile che un catecumeno non voglia essere battezzato neppure in fin di vita; e per di più, anche se la sua volontà è incerta, è molto meglio dare il battesimo a chi non lo vuole che negarlo a chi lo vuole, quando non è chiaro se lo voglia o no; infatti è più probabile che egli, se potesse, direbbe piuttosto di voler ricevere quei sacramenti senza i quali era ormai convinto di non poter uscire da questa vita.

Le parole di Matteo non dimostrano l'opinione contraria.

27. 34. Ma se il Signore, quando dice: Non date le cose sante ai cani 85, avesse voluto far intendere che ciò che questi pensano si debba evitare, non avrebbe dato egli stesso al traditore quello che egli ricevette, indegno fra i degni, a sua propria rovina e senza colpa di colui che dava. Per cui, quando il Signore dice ciò vuole intendere, come dobbiamo pensare, che i cuori immondi non sopportano la luce della conoscenza spirituale. E il Maestro impone delle verità anche se essi non le ricevono giustamente perché non le comprendono, o le dilacerano con i morsi del biasimo o le calpestano con il disprezzo. Se infatti il beato Apostolo dice a quelli che sono rinati in Cristo, ma che restano ancora come bimbi, di aver dato loro latte e non cibo solido: Infatti ancora non potevate riceverlo, e certo, dice, non potete neppure ora 86; se infine il Signore stesso disse agli Apostoli che aveva scelto: Ho ancora molte cose da dirvi, ma voi ora non potete comprenderle 87, quanto meno le immonde menti degli empi potrebbero accogliere ciò che si dice sulla luce incorporea?

In punto di morte siano battezzati anche i catecumeni che mantenevano relazioni adulterine.

28. 35. Ma concludiamo piuttosto il nostro discorso con l'argomento da cui ha tratto l'esordio. Noi non ammettiamo al battesimo, finché sono in buona salute, coloro che, essendo legati a coniugi ancora in vita, mantengono relazioni adulterine; ma se giacciono in condizioni disperate e non sono in grado di rispondere per se stessi, io penso che anch'essi, come gli altri catecumeni, debbano essere battezzati, affinché anche questo peccato sia lavato via insieme con gli altri dal lavacro della rigenerazione. Infatti chi può sapere se per caso non avessero stabilito di subire l'allettamento della relazione adulterina fino al battesimo? Se poi si riprendono da quello stato disperato e possono continuare a vivere, o faranno quello che avevano già stabilito, o, ricevuta l'istruzione, vi si conformeranno, o, se non se ne curano, avverrà di loro quello che deve avvenire anche dei loro simili già battezzati. D'altra parte, quando un pericolo di vita coglie prematuramente il penitente, ciò che è motivo per il battesimo è anche motivo per la riconciliazione. Infatti la madre Chiesa deve volere che neppure costoro escano da questa vita senza il pegno della sua pace.


Note:



1 - 1 Cor 7, 10-11.

2 - 1 Cor 7, 10.

3 - 1 Cor 7, 2-4.

4 - Mt 5, 32.

5 - 1 Cor 7, 10-11.

6 - Ibidem.

7 - 1 Cor 7, 4.

8 - Cf. 1 Cor 7, 9.

9 - 1 Cor 7, 11.

10 - Mt 19, 9.

11 - 1 Cor 7, 4; cf. De serm. Dom. in monte 1, 16, 45; PL 34, 1251; Quaest. in Heptat. 4, 4. 59: PL 34, 718. 745.

12 - Gc 4, 17.

13 - Ibidem.

14 - Mc 10, 11-12.

15 - Lc 16, 18.

16 - Mt 5, 32.

17 - Mt 19, 9.

18 - Mc 10, 11.

19 - Lc 16, 18.

20 - 1 Cor 7, 12.

21 - 1 Cor 7, 16.

22 - 1 Cor 7, 14.

23 - Cf. Mt 17, 24 ss.

24 - 1 Cor 9, 19.

25 - 1 Cor 9, 4-7.

26 - 1 Cor 9, 12.

27 - 1 Cor 9, 18.

28 - 1 Cor 9, 19.

29 - 1 Cor 6, 12-13.

30 - 1 Cor 10, 23-24.

31 - 1 Cor 10, 25.

32 - 1 Cor 8, 13.

33 - Rm 14, 20.

34 - Cf. Lc 10, 33-35.

35 - 1 Cor 7, 38.

36 - 1 Cor 7, 12.

37 - Sal 72, 27.

38 - Cf. 1 Esdr 10, 11-12.

39 - Cf. Dt 7, 3.

40 - Rm 14, 23.

41 - 1 Cor 7, 40.

42 - Ibidem.

43 - 1 Cor 7, 25.

44 - Ibidem.

45 - 1 Cor 7, 40.

46 - 1 Cor 7, 38.

47 - 1 Cor 7, 25.

48 - 1 Cor 7, 12.

49 - Ibidem.

50 - 1 Cor 4, 14.

51 - Gal 5, 2.

52 - Cf. 1 Cor 7, 12.

53 - 1 Cor 7, 12.

54 - Dt 7, 3-4.

55 - 1 Cor 7, 39.

56 - 2 Cor 13, 3.

57 - 1 Cor 7, 12.

58 - 1 Cor 7, 10-11.

59 - Rm 7, 2-3.

60 - 1 Cor 7, 39.

61 - Mc 10, 12.

62 - Mt 19, 9; Lc 16, 18.

63 - 1 Cor 7, 11.

64 - Mt 5, 32.

65 - Lc 16, 18.

66 - Mt 5, 32.

67 - Mc 10, 12.

68 - Lc 16, 18.

69 - Rm 3, 8.

70 - Sal 75, 12.

71 - 1 Tm 5, 12.

72 - 1 Cor 7, 25.

73 - 1 Cor 7, 12.

74 - 1 Cor 7, 27.

75 - 1 Cor 7, 38.

76 - 1 Cor 7, 39.

77 - CIPRIANUS, De lapsis 6.

78 - 1 Cor 7, 12-13.

79 - Cf. 1 Cor 10, 23.

80 - Mc 10, 12.

81 - Lc 16, 18.

82 - Cf. AUG., Confess. 4, 4, 8: NBA 1, 88ss.

83 - Rm 14, 12.

84 - Mt 7, 6.

85 - Ibidem.

86 - 1 Cor 3, 2.

87 - Gv 16, 12.