CAPITOLO II: ULTIMA INFERMITÀ DI SANTA METILDE
Santa Matilde di Hackeborn

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Quest'umile e divota Serva di Nostro Signore Gesù Cristo, questa
tenera madre e dolce consolatrice di noi tutti, di cui abbiamo scritto
in questo piccolo libro, dopo aver passato cinquantasette anni nella
vita religiosa, praticando in sommo grado tutte le virtù, venne per tre
anni colpita di continui dolori che l'avviarono verso la sua fine.
Infatti,
nella penultima domenica (dopo la Pentecoste) Si iniquitates72, mentre
questa eletta di Dio per l'ultima volta prima della sua morte aveva
ricevuto il vivificante sacramento del corpo e del sangue di Gesù
Cristo, una persona di grande pietà e divozione vide, davanti
all'inferma, Gesù Cristo, il quale con molta tenerezza diceva a Metilde:
“Onore e gioia della mia Divinità; corona e premio della mia Umanità,
delizia e riposo del mio Spirito, vuoi tu ora venir meco e dimorare sola
con me? Non sarebbe forse questa la soddisfazione del tuo desiderio
come del mio?”
Ella rispose: “Signor mio Dio, più che la mia salvezza
desidero la vostra gloria. Perciò, ve ne supplico, lasciate ch'io
adempia ancora coi patimenti ciò che, per essere io debole creatura, ho
trascurato nelle vostre lodi”.
Il Signore accolse favorevolmente
questa risposta e disse: “Perché tu hai fatto questa scelta, avrai
ancora con me questo tratto di somiglianza: Io accettai volontariamente e
sopportai i patimenti della Croce e la morte per la gloria di Dio Padre
e la salvezza del mondo. Come ogni mio patimento attraversò il Cuore
del divin Padre mio, così le tue sofferenze e la tua morte penetreranno
sino al fondo del mio Cuore e contribuiranno alla salvezza del mondo
intero”.
Un'altra persona sentì pure che il Signore la chiamava in
questi termini: “Vieni, eletta mia, colomba mia, mio campo fiorito dove
trovo tutto ciò che desidero; mio bel giardino dove il mio Cuore gusta
le sue delizie, dove fioriscono le virtù, si innalzano gli alberi delle
opere buone e scorrono le acque delle devote e frequenti lacrime;
giardino che fu sempre aperto ad ogni mia volontà. In te io mi ritiro
quando i peccatori irritano la mia collera, della tua acqua mi inebrio
onde dimenticare le ingiurie che mi vengono fatte”.
Il Signore
si rivolse allo spirito di una persona che stava pregando e le diede
l'incarico di avvertire Metilde onde si preparasse a ricevere l'Estrema
Unzione; assicurandole da parte di Dio, che in virtù di questo salutare
Sacramento, Colui che è il più vigilante degli amici se la prenderebbe
in seno onde metterla al sicuro da ogni colpa: Così, un pittore quando
abbia finito un quadro, veglia con cura perché questo non venga
macchiato dalla polvere.
I SANTI, AL MOMENTO DELL'UNZIONE, LE DIEDERO IL FRUTTO DEI LORO MERITI
Venne rivelato a tre persone che il Signore medesimo era presente, sotto forma di un nobile fidanzato, per conferire alla sua eletta quel sacramento di vita. Una di quelle, nel momento in cui il Sacerdote faceva l'unzione su gli occhi dell'inferma, vide che il Signore rivolgeva alla Santa uno sguardo che compendiava tutta la tenerezza di cui il suo divin Cuore era stato mai commosso per lei. Poi, in un raggio di luce divina, le comunicò tutto lo splendore dei suoi santissimi occhi con tutte le loro operazioni. Sembrava allora che dagli occhi dell'inferma scorresse un olio profumato proveniente dalla sovrabbondante misericordia di Dio. Questo dava ad intendere che il Signore, per i meriti di Metilde, a tutti quelli che l'avrebbero invocata con fiducia, avrebbe dato largamente il soccorso della sua consolazione. Un tal dono, la Santa l'aveva meritato con la bontà e la carità verso tutti.
Quando le vennero fatte le altre unzioni, il Signore le comunicò parimenti le azioni che, Egli aveva fatte per mezzo di ciascuno dei suoi sensi. Ma, all'unzione delle labbra, questo Amante geloso diede alla sua sposa un bacio della sua bocca, più dolce del miele: e nel medesimo tempo le comunicò tutto il frutto ossia tutti i meriti della sua sacratissima bocca.
Alle Litanie: mentre si recitava questa invocazione: Voi tutti, Santi Cherubini e Serafini, pregate per lei, quella persona vide i Serafini ed i Cherubini che si scostavano, per così dire, con grande riverenza ed allegrezza, onde offrire tra di loro il posto che conveniva a questa eletta di Dio. Pensavano senza dubbio che avendo ella condotto sulla terra, nella pratica della santa verginità, una vita non solamente angelica, ma più elevata ancora, perché dalla sorgente medesima di ogni sapienza, con i Cherubini, aveva attinto le acque dell'intelligenza spirituale, e nelle strette del suo amore aveva come gli ardenti Serafini abbracciato Colui che è fuoco consumante (Deut. IV, 24), era giusto che occupasse un posto tra quegli Spiriti che più delle altre creature sono vicini alla divina Maestà.
Ciascun Santo, quando nelle Litanie veniva invocato il suo nome, con profondo rispetto si alzava tutto lieto e piegava le ginocchia deponendo nel seno di Dio i suoi meriti, come un ricchissimo dono che il Signore faceva alla sua diletta per accrescerne la gloria e la felicità.
Terminate le unzioni, il Signore, con tenerezza prese l'inferma nelle sue braccia e ve la sostenne per due giorni, in modo che la piaga del suo dolcissimo Cuore era applicata contro le labbra della inferma, la quale da quel divin Cuore sembrava trarre il suo respiro e in Lui rinviarlo.