CAPITOLO XVI: NELLA TRISTEZZA
Santa Matilde di Hackeborn

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Avendo rivolto a Dio una preghiera per un'altra persona, che era, molto
rattristata, Metilde ricevette questa risposta: “Reciti sovente questo
versetto: Siete benedetto, o Adonai, nel firmamento del cielo, degno di
lode e glorioso ed esaltato nei secoli, Voi che avete fatto il cielo, la
terra, il mare e tutto quanto essi contengono! Siate lodato,
glorificato ed esaltato nei secoli. Alleluia48.
“Se mai le viene alla
mente il pensiero che non si trovi nel numero degli eletti, si comporti
come uno che cammina in una valle tenebrosa, il quale se d'un tratto
vedesse il sole, volentieri dalla vane oscura salirebbe sul colle e a
questo modo sfuggirebbe alle tenebre. Così deve fare lei pure; se si
trova avvolta nelle nubi della tristezza, salga sul monte della speranza
e mi contempli con gli occhi della fede, perché io sono il celeste
firmamento in cui sono fisse, a guisa di astri, le anime di tutti gli
eletti. Tali astri benché talvolta siano velati dalle nuvole dei peccati
e dalla nebbia dell'ignoranza, tuttavia non possono oscurarsi nel loro
firmamento, cioè nel mio divino splendore; perché gli eletti, quantunque
talvolta siano involti in gravi peccati, io nondimeno li miro sempre in
quella carità nella quale li elessi, e in quella eterna luce alla quale
devono pervenire.
“Laonde è cosa buona all'uomo che sovente pensi e
ripensi alla mia gratuita bontà la quale, dopo averlo eletto, può nei
suoi meravigliosi e segreti giudizi, rimirarlo come giusto, anche se
attualmente si trovi nel peccato; perché con infinito amore penso a lui
onde sostituire al male quel bene che voglio vedere in lui. Perciò mi
benedica perché sono l'eterno firmamento degli eletti, con queste
parole: Che tutti gli Angeli ed i Santi vi benedicano!49, desiderando di
lodarmi con loro”.
Pregando ancora per un'altra persona,
Metilde ebbe dal Signore questa risposta: “Quando uno si trova nella
pena, si prostri ai miei piedi e vi deponga il suo peso, confidandolo
tutto a me con questa preghiera: Guardate, ve ne preghiamo, o Signore,
questo vostro servo per il quale Nostro Signore non ha dubitato di
abbandonarsi nelle mani dei suoi nemici e di soffrire il supplizio della
Croce. Per il medesimo Gesù Cristo nostro Signore. Così sia50.
“Così
mi preghi ch'io lo rimiri con occhio di misericordia e illumini l'anima
sua, facendogli conoscere per qual motivo e con quale amore ho permesso
ciò che l'affligge; quindi sopporti per la mia. gloria la sua pena e
tutte le sue avversità.
“Si rivolga inoltre alle mie mani, dicendo il
responsorio: “Emitte Domine sapientiam etc.: Inviate o Signore la
divina sapienza dal trono d'ella vostra Maestà, affinché dimori con me, e
si degni di prendere parte ai miei travagli, perché in ogni tempo io
conosca il mezzo di piacervi. Datemi, o Signore, questa sapienza che
assiste ai vostri consigli eterni.
“Così domandi che la mia sapienza
sia la sua cooperatrice e l'aiuti a sopportare quelle pene per la gloria
mia, per la sua utilità propria e a beneficio di tutti.
“Infine, si
accosti al mio Cuore, dicendo: “O mira circa nos tuae pietatis dignatio,
etc., poi O admirabile pretium, etc., O meravigliosa condiscendenza
della vostra bontà per noi; eccesso incomparabile della vostra carità!
Per riscattare lo schiavo, avete dato il Figlio vostro! O prezzo
ammirabile con cui avete abolito la schiavitù del mondo, spezzato le
barriere infernali e aperto per noi la porta della vita! - Preghi in
questo modo affinché l'amore del mio divin Cuore il quale mi indusse a
portare il carico delle pene di tutti gli uomini, l'aiuti a sopportare
con amore riconoscente il peso della sua tristezza”.
Mentre
Metilde ringraziava il Signore per il desiderio da Lui espresso con
queste parole: Ho grandemente desiderato di mangiare questa Pasqua con
voi (Luc. XXII, 15), il Signore si degnò di dirle: “Io vorrei che tutti
si ricordassero della lunga attesa che venne imposta a questo mio
desiderio; così porterebbero pazienza quando i loro desiderii non
vengono subito esauditi”.
NELLA TRIBOLAZIONE OFFRIRE A DIO IL PROPRIO CUORE.
Metilde, mentre pregava per una persona che desiderava essere sicura della sua perseveranza nel bene, vide l'anima della medesima in ginocchio davanti a Dio cui porgeva il proprio cuore sotto il simbolo di una coppa con due anse, le quali significavano la volontà e il desiderio con cui offriva il suo cuore al Signore. Dio accettò volentieri questa coppa e se la nascose in seno. Presso di Lui vi erano due anfore, una d'oro alla sua destra, l'altra d'argento alla sua sinistra, e ciò che Egli alternativamente versava ,dall'una e dall'altra si mescolava in quella coppa. Dalla prima anfora scorrevano le dolcezze della sua Divinità, dall'altra gli stenti della sua Umanità. Non è forse ciò che Egli ad un tempo versa nel cuore dell'uomo, quando nella pena gli fa sentire le dolcezze della divina consolazione e in pari tempo gli dona in premio i meriti della sua santa Umanità?Il Signore disse: “Quando un'anima viene afflitta da qualche pena, se avesse subito l'intenzione di darmi da bere, le mie labbra nel portarsi al calice, vi infonderebbero tale una dolcezza che la tristezza diventerebbe per lui nobile e fruttuosa. Ma se l'uomo per il primo beve nel calice, corrompe la bevanda; e quanto più beve, tanto più la coppa diventa amara, dimodochè non è più conveniente ch'io vi accosti le labbra, a meno che venga purificata dalla penitenza e dalla confessione”.
Questo deve intendersi in questo modo: Quando ci assale la tristezza, dobbiamo subito offrirne il peso a Dio; e Dio ci manderà la dolcezza della sua consolazione, ci animerà a portar pazienza, e non permetterà che l'afflizione resti per noi senza frutto. Che se l'uomo per debolezza nella sua pena cadrà in fallo nei pensieri o nelle parole, la sua colpa sarà subito cancellata con la penitenza. Ma quando uno vuole portare da sé medesimo il peso dei suoi affanni, cade nell'impazienza e quanto più se ne occupa, ora per raccontarli, ora per pensarci nella sua mente, tanto più con maggior gravezza e amarezza ne resta afflitto; quando poi ritorna in sé stesso, non ardisce più offrirli al Signore, perché ciò gli sembra sconveniente. Tuttavia, neppure allora deve perdere la fiducia, perché se con la confessione e la penitenza purificherà quella sua pena, potrà ancora offrirla a Dio con un cuore contrito ed umiliato.
Dopo queste parole, il Signore con bontà abbracciò quella persona dicendo: “L'anima tua non mi sarà mai rapita”. Poi la bene dì tracciando sopra di lei il segno della croce accompagnata da Queste parole: “La mia Divinità ti benedica, la mia Umanità ti conforti, la mia Pietà ti nutrisca, l'Amor mio ti conservi.”.