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Martedi, 14 maggio 2024 - San Mattia ( Letture di oggi)

CAPITOLO VII: BONTÀ DEL SIGNORE.

Santa Matilde di Hackeborn

CAPITOLO VII: BONTÀ DEL SIGNORE.
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L'angelo del Signore apparve un giorno a quella Sérva di Cristo, e offrì al Signore un oggetto che sembrava aver preso nel cuore di lei. Metilde provò un vivo desiderio di sapere ciò che l'angelo avesse potuto trovare in lei, perché in quel giorno per verità non si sentiva né divozione né fervore speciale. Le venne allora mostrato che quell'oggetto era una carta su la quale erano scritte col suo sangue queste parole: Dio è fedele e senza nessun'ingiustizia, e più sotto: Preferirei morire piuttosto che separami da Voi col peccato. Orbene, in quella medesima mattina, con questi due pensieri ella aveva respinto le tentazioni del nemico. L'angelo le disse; “Ecco ciò che hai pensato oggi. Orbene, sappi che ogni qual volta, nel combattere pensieri o desiderii cattivi, l'uomo si propone di preferire la morte al peccato, questa volontà subito è gradita a Dio come se l'intenzione fosse seguita dall'atto medesimo”.
Prostrandosi allora ai piedi del Signore, Metilde si dolse quasicchè avesse passato tutto il tempo della sua vita vivendo inutilmente, e si offrì al suo Diletto disposta a stare su la terra per soffrire, fosse pure sino al dì del giudizio, tutti i dolori e tutti i patimenti possibili.
Il Signore le disse: “Onde riparare le tue negligenze e il tempo perduto, saluta il mio Cuore nella sua divina bontà, perché Egli è la sorgente è la fonte di ogni bene. Saluta il mio Cuore nella sovrabbondanza della grazia che Egli sparse, sparge e spargerà per sempre sopra i Santi e sopra le anime di tutti gli eletti. Saluta quell'acqua piena di dolcezza che tante volte dal mio Cuore infinitamente buono sgorgò nell'anima tua e la inebriò nel torrente delle mie divine delizie”.

Avendo Metilde salutato dal più intimo del suo cuore il Diletto dell'anima sua, le venne risposto: “Quando tu mi saluti, io ti rendo il saluto; quando mi lodi, io lodo me stesso in te; quando tu mi rendi grazie, io stesso rendo grazie a Dio Padre in te e per mezzo di te”.
“Mio Diletto, disse la Santa, qual è dunque quel saluto che Voi rivolgete all'anima mia? Io non lo sento”.
“Il mio saluto, rispose il Signore, non è altro che il mio tenero affetto. Ecco una madre che tiene il suo bambino su le ginocchia, e gli insegna le parole che deve dirle; il bambino ripete ciò che ha sentito, ma benché sia guidato non tanto dai suoi propri sentimenti quanto dalla lezione ricevuta dalla mamma, questa prova tanto piacere nel sentire dalla bocca di lui quelle parole infantili che volentieri lo premia con un bacio. Così io pure, insegno ad un'anima per divina ispirazione e per un movimento d'amore, come debba offrirmi i suoi omaggi; e quando lo fa, io accetto questi omaggi con. tutta la mia paterna tenerezza, e in compenso la saluto con la mia grazia, benché non si accorga di questo favore.
“Le opere, prive di gusto per l'uomo, possono tuttavia piacere a Dio.
“Sappi che se uno loda o prega Dio, o fa qualche altra azione senza sentire in sé nessun gusto, Dio, nel quale nulla cresce né decresce perché è per sempre immutabile, tuttavia gusta quell'opera e l'accetta pure volentieri.
“Il Signore Iddio non è mai commosso verso la sua creatura. se non per un movimento di cui la causa sta in Lui medesimo e nel suo amore.
“Ciò che inclina Dio ad accarezzare l'anima con dolcezza, facendola liquefare col suo amore, non è altro che il proprio beneplacito e il vantaggio dell'anima medesima; ma quando essa non prova più nessun gusto, Egli le fa, per così dire, un'accoglienza migliore, perché desidera talvolta mettere alla prova la fedeltà di quelli che lo amano”.