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Martedi, 14 maggio 2024 - San Mattia ( Letture di oggi)

CAPITOLO XXI: ANCORA IL DIVINO AMORE

Santa Matilde di Hackeborn

CAPITOLO XXI: ANCORA IL DIVINO AMORE
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Metilde una volta pregava il Signore che le volesse dare qualche cosa che l'eccitasse ad una continua memoria di Lui. Il Signore le disse:
“Ecco, io ti dono gli occhi miei, affinché con quelli tu veda ogni cosa; ti dono le mie orecchie perché con quelle tu intenda tutto ciò che senti; ti dono la mia bocca perché per suo mezzo tu proferisca tutto ciò che dici nel parlare, pregare o cantare; ti dono il mio Cuore, perché per lui tu pensi tutte le cose, per lui tu ami ed ami pure tutte le cose per mio amore”.
A queste ultime parole, la Serva di Cristo si sentì tutta attirata al Signore e a Lui intimamente unita, a segno che le sembrava di vedere con gli occhi di Dio, udire con le orecchie di Dio, parlare Con la bocca di Dio e infine non aver più altro cuore che il Cuore di Dio.

Il Signore le disse ancora: “Quanto più ti allontanerai dalle creature rinunciando alle consolazioni che ne potresti ricevere, tanto più sarai sollevata all'altezza inaccessibile della mia maestà. Quanto più la tua carità si estenderà su le creature con la compassione e la misericordia verso tutti, tanto più sarai strettamente e con tenerezza circondata dalla mia incomprensibile larghezza. Quanto più col disprezzo di te medesima ti umilierai sotto ogni creatura, tanto più ti sprofonderai in me e con maggior dolcezza ti inebrierai al torrente della mia Divinità”.

 Una volta, mentre cercava con, ardore il Diletto dell'anima sua, il quale non solamente esaudisce ma si degna prevenire il desiderio del povero, lo udì cantare con voce dolce e forte questo invito: “Veni, dilecta mea ad me; Vieni da me, o mia diletta!”. La voce del Signore era così forte che tutto il cielo ne risonò sin nelle sue profondità. Metilde intese che le estremità dei cieli figuravano le anime che lietamente applaudivano alla voce del Signore.
L'anima così invitata si presentò tosto e si tenne in piedi alla presenza del Diletto seduto sur un trono meraviglioso ed elevatissimo. Le colonne di questo trono erano di ambra, i capitelli di smeraldo e le basi di zaffiro. Lo smeraldo significava la giovinezza dell'eternità e lo zaffiro la nobiltà ed il pregio della Divinità.
L'Amore, sotto la figura di una bellissima vergine, passeggiava intorno al trono dove sedeva Cristo e cantava: Gyrum coeli circuivi sola: Feci sola il giro del cielo (Eccl. XXIV, 8).
Da queste parole Metilde conobbe come solo l'Amore avesse potuto rendere schiava l'onnipotenza della divina Maestà rendere pazza, per così dire secondo il giudizio umano, l'inscrutabile Sapienza e spargere in effusioni tutta la sua soave bontà. Solo l'Amore poté vincere i rigori della divina Giustizia e cambiarli in mansuetudine, onde abbassare il Signor della gloria sino nell'esilio della nostra miseria.
Nelle parole seguenti: Et in fluctibus maris ambulavi: E camminai nelle onde del mare; ella intese che tanto prima della Legge come sotto la Legge e sotto la grazia, tutti quelli che per amore si conservarono fedeli a Dio nelle loro tribolazioni, per la forza dell'amore trionfarono di tutte le avversità e di tutti i vizi.
E l'Amore continuava a cantare: Audit eum in gyro sedis etc.: Essa sente intorno al trono. Metilde intese come i Santi ora cantino le opere grandi dal Signore compiute in loro, cioè la loro elezione per la sua inscrutabile sapienza, la loro gratuita giustificazione accompagnata dal dono della grazia, la loro liberazione da ogni miseria per quell'amore potente e forte che convertì in vantaggio della loro salvezza non solo tutti i beni, ma anche tutti i mali. Dio accetta questa lode dai Santi tanto volentieri come se non avessero ricevuto da Lui tutti questi beni, ma li avessero da sé medesimi, e nondimeno a Lui solo ne dessero la gloria.

 Sembrò ancora a quella divota vergine che l'Amore stesse alla destra di Dio, e dal Divin Cuore uscisse un istrumento melodioso rivolto verso il cuore di questa vergine: era un salterio con dieci corde, il quale ricordava h parole del salmo: Vi loderò sul salterio di dieci corde (Ps. XXXII, 2). Nove di queste corde rappresentavano i nove cori angelici nei quali è ordinato il popolò dei Santi. La decima corda rappresentava il Signore medesimo Gesù Cristo, Re degli Angeli e santificatore di tutti i santi. L'anima allora prostrata davanti al Signore, leggermente toccò la prima corda e lo lodò con queste parole43: Te Deum Patrem ingenitum: Voi, o Dio Padre, non generato; alla seconda corda continuò: Te Filium unigenitum: Voi, o Figlio, unico generato; alla terza: Te Spiritum Paraclitum: Voi, Spirito Santo Paracleto; alla quarta corda disse: Sanctam et individuam Trinitatem: Santa ed indivisibile Trinità; alla quinta: Toto corde et ore confitemur: Noi vi esaltiamo col cuore e con la bocca; alla sesta: Laudamus: Vi lodiamo; alla settima: Atque benedicimus: Vi benediciamo; all'ottava: Tibi gloria: A voi gloria; alla nona: In saecula: Per i secoli dei secoli.
Ma su la decima corda ella non poté nulla cantare, perché non poteva raggiungere la suprema altezza di Dio.

 Dopo, ella vide sul petto del Signore uno specchio trasparente nel quale appariva una faccia d'uomo rassomigliante al disco della luna. Nella sua sorpresa, pensava cosa ciò potesse significare, ma il Signore le disse: “Ciò ti serva di istruzione”. Metilde capì che Lui solo è l'eterna Sapienza indicata dagli occhi, sapienza che sa tutto, che sola conosce e vede perfettamente Sé medesima, sapienza che da nessuna creatura può essere compresa. “Chi t'insegna così?” riprese il Signore. “Voi stesso, o Distributore di tutti i beni, rispose la Santa, Voi che all'uomo insegnate la scienza e ispirate ogni sapienza”.
Nel considerare la bocca di quella faccia meravigliosa, Metilde capì che Dio è incomprensibile nella sua onnipotenza e che il cielo e la terra riuniti non bastano a lodarlo pienamente; Lui solo può essere una lode adeguata a sé medesimo, Lui che conosce l'estensione dell'amore con cui dona sé stesso all'anima amante, e ogni giorno su l'altare offre sé stesso a Dio Padre come vittima per la salvezza dei fedeli, in un mistero nascosto persino alle profonde investigazioni dei Serafini, dei Cherubini e di tutte le Virtù dei cieli.
Il Signore parlò di nuovo, dicendo: “E questo, chi te lo ha insegnato?” Ella rispose: “Voi, o Maestro migliore di tutti i maestri, Autore di ogni bontà, vera luce che illuminate ogni uomo che viene al mondo”.
Così dicendo quell'anima si chinò sul petto del suo carissimo Signore, lodandolo con trasporto ed affetto, con tutte le sue forze, in Lui e per mezzo di Lui medesimo. Quanto più lo lodava unendosi a Lui, tanto più svaniva in sé medesima sino a trovarsi annientata. Come la cera si fonde alla presenza del fuoco, così Metilde si liquefaceva, per così dire, e veniva assorta in Dio, felicemente unita con Lui e a Lui attaccata, diremo, col vincolo di una unione indissolubile. Questo stato le faceva desiderare che tutti, in cielo e in terra, fossero partecipi della grazia divina, perciò prese la mano del Signore e con quella tracciò un segno di croce grande abbastanza per abbracciare il cielo e la terra. Questo atto, che accrebbe il gaudio degli abitanti del cielo, procurò pure perdonò ai colpevoli, consolazione agli afflitti, forza e perseveranza ai giusti, ed alle anime del Purgatorio sollievo e liberazione.