CAPITOLO V: NELLA SOLENNITÀ DEL SANTO NATALE
Santa Matilde di Hackeborn

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Nella vigilia della dolce Natività di Gesù Cristo Figlio di Dio,
nell'ora in cui la Comunità si portava al Capitolo, Metilde vide una
moltitudine di Angeli che a due a due, con fiaccole ardenti,
accompagnavano ciascuna delle Suore. Il Signore comparve seduto al posto
della madre badessa, sopra un trono di avorio donde impetuosamente
sgorgava un fiume, di cui le limpide acque fecero scomparire ogni
macchia dal viso delle suore quando recitarono il primo Miserere. Al
secondo Miserere si avviarono tutte verso il Signore offrendogli le
preghiere che a quell'ora facevano per la santa Chiesa. Al terzo
Miserere, il Signore, di sua propria mano, alle anime di cui si faceva
menzione nella preghiera delle suore, presentò un calice d'oro affinché
ne bevessero, poi disse: “Io medesimo, ogni anno qui tengo questo
solenne capitolo”.
Nella santissima notte della Natività di G.
Cristo, parve a Metilde di trovarsi sopra un monte pietroso dove sedeva
la Beata Vergine prossima al vergineo parto. Quando l'ora fu venuta, la
Vergine Santissima venne inondata di una gioia e di una allegrezza
ineffabile; la luce divina la circondò di uno splendore così vivo che
incontanente ella si alzò piena di stupore, e si. prostrò sino a terra
per offrire a Dio, con l'umiltà la più profonda, le sue azioni di
grazie. Maria era così assorta per lo stupore, che non seppe ciò che in
lei avveniva se non al momento in cui nel suo grembo ebbe il piccolo
Infante più bello di tutti i figli degli uomini. Allora con un
indicibile gaudio e con l'amore più ardente, se lo strinse tra le
braccia e gli diede i primi tre dolcissimi baci della sua materna
tenerezza. In virtù di questi tre baci, la Vergine venne elevata ad una
unione con la SS. Trinità oltremodo superiore a qualunque unione
possibile in una creatura umana eccettuata l'unione personale.
La
vita spirituale, che in questo mondo sembra dura ed aspra, era figurata
da quel monte ripido e pietroso che Cristo e la sua santa Madre salirono
per i primi onde, dare agli uomini l'esempio della perfezione
religiosa.
Metilde vedeva sé stessa come seduta vicino alla Beata
Vergine e desiderava ardentemente di baciare lei pure l'amabile Infante;
perciò la Vergine Madre dopo averlo ancora baciato e stretto sul
proprio cuore con dolcissime parole, lo diede parimenti ai baci ed agli
abbracci di quell'anima, la quale in un trasporto di amore se lo prese
fra le braccia e amorosamente se lo strinse al cuore salutandolo con
queste ardenti parole che non aveva mai pensate prima: “Vi saluto, o
dolcissima sostanza del Cuore del Padre vostro, alimento e forza della
mesta e languida anima mia. Vi offerisco in lode e gloria eterna tutto
il midollo del mio cuore e dell'essere mio”.
Per ispirazione divina ella intese come il Figlio sia, per così dire, il midollo del Cuore di Dio Padre.
Il
midollo è un alimento che riconforta, risana ed ha un gusto piacevole;
così il Padre a noi ha dato il Figlio suo che è la sua potenza e
l'espressione della sua misericordiosa dolcezza, affinché sia per noi
protettore, medico e consolatore.
Il midollo è quel deliziosissimo
gaudio che Dio solo può dare all'anima con l'infusione del suo amore,
gaudio per cui essa disprezza ogni cosa terrena, gaudio al quale in
nessun modo possono essere paragonati i godimenti del mondo, quando pure
fossero tutti riuniti nel cuore di un uomo solo.
Dal volto del caro e
divin Bambino risplendevano quattro raggi, i quali illuminavano le
quattro parti del mondo; questi raggi erano il simbolo della vita
santissima di Gesù Cristo e della sua dottrina che illuminò il mondo
intero.
In quella medesima festa, durante la messa Dominus dixit
ad me, che si celebra per ricordare ed onorare la nascita misteriosa ed
ineffabile del Verbo nel seno di Dio Padre, parve a quella divota
vergine di vedere l'Eterno Padre come un re potentissimo, seduto sopra
un trono d'avorio, sotto un meraviglioso padiglione, Egli le diceva:
“Vieni e ricevi il Figlio eterno ed unico del mio Cuore e comunicalo a
tutti quelli che con divota gratitudine onorano in questo momento la sua
eterna e sublime generazione”.
E Metilde vide uscire dal Cuore di
Dio una luce che venne ad unirsi al suo proprio cuore sotto la forma di
un piccolo Infante tutto radioso; ed ella lo salutò con queste parole:
“Salve o splendore dell'eterna gloria, proferente la luce dalla luce;
Luce di luce, fonte dì luce, giorno che illumini il giorno”. Poi portò
a tutte le suore quell'Infante, il quale a ciascuna donò sé stesso
senza cessare però di farsi portare sul cuore di Metilde.
Il dolce
Infante si chinò sul petto di ognuna delle suore, e per tre volte parve
succhiare il loro cuore, mentre dava loro il favore di un bacio delle
sue labbra.
Per il primo bacio Egli succhiò i loro desiderii, per il
secondo la loro buona volontà, per il terzo prese come un bene suo
proprio tutta la fatica che avevano fatta nel canto, nei devoti inchini e
negli esercizi di quella santa vigilia; tutto ciò Egli succhiò in sé
stesso con quel dolce bacio.
Metilde riconobbe allora quanto sarebbe
gradito a Dio che gli uomini, non ostante la loro incapacità per
comprendere la divina ed ineffabile generazione del Figlio nel seno del
Padre, volessèro nondimeno rallegrarsene nella fede ed esaltarla con le
migliori lodi possibili.
Al Vangelo: Exiit edictum, le parve che Dio
Padre le dicesse: “Va dalla Vergine Madre di mio Figlio; pregala di
darti il Figlio suo con tutto quel gaudio che essa risentì quando lo
generò, ed anche tutti i beni che questo Figlio unigenito da me
ricevette per la salvezza della Madre sua e del mondo intero”.
Metilde
portatasi subito dalla Vergine, trovò l'Infante adagiato nella
mangiatoia e avvolto in fasce, il quale disse: “Sin dalla nascita io fui
così legato e stretto in fasce che non potevo muovermi, per indicare
che mi abbandonavo tutt'intero, coi beni che apportavo dal cielo, al
potere dell'uomo ed al suo servizio; uno che è legato non ha più alcun
potere, non può difendersi né impedire che gli si tolga il suo avere.
“Parimenti
quando uscii da questo mondo, ero inchiodato sulla Croce, né potevo
fare il minimo movimento, e questo dimostrava l'abbandono completo che
facevo all'uomo di tutti i beni che avevo acquistati durante la mia vita
mortale.
“Così la mia vita, le mie opere, i beni che possiedo come
Dio e come Uomo e la mia Passione, tutto abbandono all'uomo; perciò
l'uomo con piena fiducia può godere tutto quanto mi appartiene. Ed è mio
sommo desiderio che i miei fedeli utilmente godano di tutti i miei beni
e di tutte le mie grazie”.
Parve inoltre a quella pia vergine che
l'Amore, sotto la figura di una vergine, sedesse vicino alla Beata
Vergine Maria e l'anima gli disse: “O dolce Amore, insegnatemi a rendere
un conveniente omaggio a questo nobilissimo Infante”.
L'Amore
rispose: “Io fui il primo che me lo tenni nelle mani verginali; io lo
avvolsi nelle fasce; insieme con sua Madre lo allattai nel mio purissimo
seno e lo riscaldai sul mio cuore; insieme con sua Madre lo servii e
ancora di continuo lo servo. Chi vuole servirlo degnamente mi prenda per
compagno, ossia faccia tutte le sue opere in unione con quell'amore per
il quale Dio assunse in sé stesso la natura umana, e a questo modo
tutto ciò che farà, a Dio sarà gratissimo”.
PULSAZIONI DEL CUORE DI GESÙ CRISTO
Mentre
si cantava nell'aurora la Messa: Lux fulgebit, Metilde ricevette
ineffabili illuminazioni, e conobbe come il Figlio di Dio fosse la luce
che aveva illuminato con la sua risplendente Natività l'intero universo e
ciascun uomo in particolare; conobbe pure come in un bambino così
piccolo abitasse la pienezza della Divinità e come la onnipotente virtù
di Dio avvolgesse quel corpicino e lo sostenesse, ché senza di essa
sarebbe stato, per così dire, annichilito; intese inoltre come in Gesù
si trovasse nascosta l'inscrutabile sapienza di Dio, così grande nel
Verbo adagiato nel presepio come nel medesimo Verbo regnante nei cieli;
infine, ella vide come la dolcezza e l'amore dello Spirito Santo fossero
infusi in quel piccolo Infante, tanto che da tale suprema conoscenza
l'animo di Metilde provava sentimenti ineffabili, superiori ad ogni
parola e ad ogni pensiero umano.
Metilde, o piuttosto l'anima
di lei, preso l'Infante, se lo strinse fra le braccia e tanto
strettamente contro il suo cuore che sentiva e contava i battiti del
divin Cuore. Ora, questo Cuore dava come in un solo impulso tre vigorose
palpitazioni, poi un battito leggero. Metilde se ne stupiva, ma
l'Infante disse: “Il mio Cuore non batteva come quello degli altri
uomini; dalla mia infanzia sino alla morte ha sempre pulsato come tu lo
senti; ecco perché su la Croce spirai così in breve. Ma sappi che il
primo battito provenne dall'onnipotente amore del mio Cuore, amore così
grande che, nella mia mansuetudine e nella mia pazienza, vinsi le
contraddizioni del mondo e la crudeltà dei Giudei. Il secondo battito
provenne dall'amore sapientissimo, con cui governai me stesso e tutte le
mie cose in una maniera infinitamente degna di lode; amore per il quale
ordinai con sapienza tutto quanto vi è in cielo e in terra. Il terzo
battito nasceva. da quel soavissimo amore di cui ero infiammato, a segno
di trovare dolci le amarezze di questo mondo, amabile e piacevole
persino quella morte amarissima che soffrii per la salvezza degli
uomini. Il quarto e più debole battito è l'espressione della bontà che
ebbi come uomo, per la quale comparivo amabile, socievole ed imitabile
in tutti i miei atti”.
Avendo la Santa domandato al Signore perché
fosse spirato così presto per i tre battiti del suo divino Cuore, il
Signore le diede questa risposta: “Nell'istante medesimo in cui,
nell'allegrezza della Santa Trinità, venne creata l'anima mia,
l'adorabile Trinità, abbracciandola nel suo immenso amore, si diffuse in
essa con la pienezza della Divinità e le fece dono di tutto quanto
possedevano le tre divine persone. Dio Padre le diede la sua
onnipotenza; la persona del Figlio, la sua increata sapienza; lo Spirito
Santo, tutta la sua bontà, ossia tutto il suo amore; dimodochè l'anima
mia possedeva per grazia tutto quanto la Divinità possiede per natura.
“In quella unione medesima, quel divino ed eterno desiderio che la Santa Trinità ebbe sempre di unire la natura umana alla Divinità per redimere l'uomo, infiammò l'anima mia di un ineffabile amore per il compimento dell'opera sua. Siccome d'altra parte, nella mia sapienza divina conoscevo pienamente e chiaramente la gloria della mia Umanità e tutto quanto le doveva capitare e in conseguenza la salvezza dell'uomo in tutta la sua ampiezza, ne concepivo una gioia divina, oltre ogni misura. L'amore benevolissimo che lo Spirito Santo aveva infuso nell'anima mia mi ispirò un'ardentissima brama della salvezza dell'uomo, a segnò che questa era per me un peso leggiero e dolce.
“Ma nel momento in cui fui concepito per opera dello Spirito Santo, vale a dire quando l'anima mia fu unita al mio corpo, l'onnipotenza dovette moderare questo divino desiderio, la sapienza temperare questa gioia, l'unzione della Spirito Santo mitigare un tal fervore nell'amare, affinché la mia Umanità potesse vivere nel tempo.
“Tuttavia nell'ora della mia morte, quella carità onnipotente, saggia e benigna, che faceva battere il mio cuore con tanto vigore, cedette la vittoria alla Divinità e diede libera corso al mia desiderio ed al mio gaudio.. Essa investì il mio Cuore di un amore sommo ed immenso, e separò l'anima mia dal mio corpo. Se non era l'azione di questa carità, nessun tormento fosse pur superiore a tutto quanto la mente dell'uomo saprebbe inventare, avrebbe potuto darmi la morte”.
Durante le preghiere segrete, il Signore le diede questa istruzione: “Quando si intona il Sanctus, ognuno reciti un Pater, pregando affinché con l'onnipotente, sapiente, dolce e benigno amore del mio Cuore, io lo prepari in modo che sia fatto degno di ricevermi spiritualmente nell'anima sua, ed io possa compiere in lui i miei eterni disegni, secondo tutto il mio divino beneplacito.
“Durante il Postcommunio, ognuno ancora ripeta questa versetto: Io ti lodo, o amore fortissimo; ti benedico, amore sapientissimo; ti glorifico, amore dolcissimo; ti esalto, amore sapientissimo; ti glorifico, amore dolcissimo; ti esalto, amore infinitamente buono; in ogni cosa e per tutti i beni che la tua gloriosissima Divinità e beatissima Umanità si è degnata di operare in noi per mezzo del nobilissimo strumento del tuo Cuore e che si opererà nei secoli dei secoli. Amen. - Ed io, quando. il Sacerdote darà la benedizione, lo benedirò in questo modo: “La mia onnipotenza ti benedica, la mia sapienza ti illumini, la mia dolcezza ti inebrii, e la mia benignità ti attiri ed a me ti unisca per sempre! Amen”.
In altro tempo, nella messa della Natività del Signore, parve a quella Vergine che sopra l'altare fosse cresciuto un albero. di meravigliosa grandezza, la cui altezza arrivava sino al cielo e la larghezza copriva tutto il circuito della terra; ed era piena di foglie e di frutti infiniti. L'altezza di quest'albero figurava la Divinità di Cristo, la larghezza denotava la sua vita perfettissima; i frutti significavano i beni immensi che provennero dalle sue opere e da tutti i suoi atti. Nelle foglie erano scritte in lettere d'oro queste parole: “Cristo incarnato, Cristo-uomo nato, Cristo, circonciso, Cristo dai Magi adorato, Cristo nel tempio presentato, Cristo battezzato, Cristo crocefisso”. E in tal modo tutta la vita di Cristo in quell'albero si trovava scritta.