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Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Contro Giuliano - libro quarto

Sant'Agostino d'Ippona

Contro Giuliano - libro quarto
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Riassunto del terzo libro.

1. 1. Passo ora ad esaminare le altre questioni, partendo dall'inizio del secondo dei tuoi libri, con cui hai cercato di confutare il mio. Come stabilito ometterò tutto ciò che non ha nulla a che fare con la questione che ci preme risolvere e non mi fermerò su cose superflue per non distogliere il lettore dall'attenta riflessione con la prolissità dell'opera. Nel precedente libro ho parlato abbastanza perché a chi pensa rettamente fosse chiaro che Dio, buono e vero, è il Creatore degli uomini; che il matrimonio è un bene, e che è stato istituito da Dio con la creazione e l'unione dei due sessi ed è stato benedetto col dono della fecondità; che la concupiscenza tuttavia, per la quale la carne ha voglie contro lo spirito 1, è un male di cui fa buon uso la pudicizia coniugale, e di cui la continenza ancor più santa fa meglio a non farne uso affatto; che il male non è stato mescolato a noi, come sostengono i manichei, da una sostanza non creata da Dio, ma è nato ed è stato tramandato per la disobbedienza di un solo uomo e dev'essere espiato e sanato dall'obbedienza di un altro; che, per il legame con esso, una pena dovuta colpisce chi nasce ed una grazia non dovuta scioglie chi rinasce. Lodando questo male contro di me, ti riveli come mio avversario, combattendolo in te, sei mio testimone; non combattendolo, invece, sei nemico a te stesso. Pertanto, anche se credo di aver risposto abbastanza al tuo primo libro, e benché la questione possa dirsi finita, tuttavia, per non dare l'impressione che non sappia rispondere agli altri tre, esamino quante sciocchezze hai detto anche in essi.

La pudicizia coniugale è un dono di Dio.

1. 2. Dopo avere citato alcune parole dal mio libro, esulti perché, "sulla testimonianza dell'Apostolo, ho detto: la pudicizia coniugale è un dono di Dio 2" quasi che per questo egli abbia lodato il male lodato da te, per il quale la carne ha voglie opposte allo spirito 3 e del quale fa buon uso la pudicizia coniugale, come ti ho dimostrato nel mio precedente libro. Non è infatti un piccolo dono di Dio riuscirlo a frenare in maniera da non farlo abbandonare ad alcunché di illecito, e da servirsene solo per generare dei figli destinati alla rigenerazione. Il suo impeto non si frena automaticamente e qualora le membra acconsentissero alle sue brame non si asterrebbe da nessun illecito. Per questo motivo non è degno di lode il movimento in sé, che è sempre inquieto, ma colui che lo frena e ne fa buon uso.

L'intenzione dei coniugi pii.

1. 3. I fedeli sposati, pertanto, che per dono del Salvatore sono stati sciolti dal reato di questo male, quando ne fanno buon uso, non preparano come tu obietti, per il regno del diavolo coloro che, per dono dello stesso Salvatore, nascono da essi, ma li generano perché siano sottratti e trasferiti nel regno del Figlio Unigenito. Questa è e dev'essere l'intenzione dei buoni coniugi: che la generazione sia una preparazione alla rigenerazione. Se questo male che i genitori sentono in sé ed a cui, per usare le tue parole, "si è opposta la schiera degli Apostoli" 4, non riguardasse anche i figli, senza dubbio ne sarebbero immuni. Dal momento però che essi ne nascono soggetti perché ti meravigli che i bambini rinascono per essere sciolti dall'obbligazione e per essere premiati alla fine quali vincitori, sia nel caso che siano sottratti a questa vita subito dopo essere stati liberati e sia nel caso che, dopo essere stati liberati, debbono combattere contro di esso in questa vita?

L'unione dei corpi è necessaria nel matrimonio.

1. 4. Chi di noi ha mai lontanamente pensato che "l'uso del matrimonio è stato scoperto dal diavolo"? Chi di noi ha mai creduto che "l'unione dei corpi c'è stata per colpa della prevaricazione", dal momento che non può esserci matrimonio senza unione? Non ci sarebbe stato alcun male da usare bene però, se nessuno avesse peccato. Obiettami pure quello che ho detto perché possa spiegarmi: se tu mi obietti quello che non ho detto, quando finiamo?.

Il male contratto con la generazione dev'essere sanato con la rigenerazione.

1. 5. Ritieni logico che "se un uomo nasce con un male, vuol dire che il dono di Dio è nocivo: nessuno infatti nasce se non per dono di Dio". Ascolta e comprendi. Il dono di Dio per cui ciascuno esiste e vive non è nocivo a nessuno. Il male della concupiscenza, però, non può sussistere se non in chi esiste e vive. Per questo ci può essere un male in un dono di Dio, che sarà sanato da un altro dono di Dio. Nell'uomo, quindi, che per dono di Dio esiste e vive, ci può essere un male contratto con la generazione, che sarà sanato con la rigenerazione. Nessun bambino, infatti, nascerebbe soggetto al diavolo se non nascesse, ma non per questo la causa di questo male sta nell'essere nato. Il bambino nasce per dono di Dio, ma soggetto al demonio, secondo un giudizio di Dio, certamente occulto, ma forse ingiusto?

Il bene dei matrimonio oggetto di preghiera.

2. 6. "Anche il bene coniugale si deve chiedere al Signore se non lo si ha" 5. (Chi altri dovrebbe chiederlo se non colui al quale è necessario?). Con queste parole ti è sembrato che io abbia detto: "Si deve pregare per avere la forza di compiere l'unione coniugale". Io però ho detto che bisogna pregare per la castità coniugale, nella quale non c'è libero uso nel rapporto, ma lecita misura. Se un uomo non può praticare l'unione coniugale, non cerchi neppure la moglie. Secondo le parole dell'Apostolo, infatti: Se non sanno serbarsi continenti, si sposino 6, il matrimonio, come tu stesso ammetti, è un rimedio al male della concupiscenza, che ti ostini a negare pur ammettendo il rimedio 7. Questo rimedio esiste non perché ci sia la concupiscenza qualora non ci fosse, ma per impedire che essa, essendo la sua spinta senza freni, trascini all'illecito. Appartiene a questo genere di richieste quella che facciamo nella preghiera del Signore: Non c'indurre in tentazione 8, poiché ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza 9 come afferma l'apostolo Giacomo. Ad essa si riferisce anche l'altra preghiera: Liberaci dal male 10. Lo stesso chiedono i coniugi affinché, con la mente libera dal male, possano fare buon uso del male che hanno nella carne (sanno bene infatti che nella loro carne non dimora il bene 11), poi, sanata tutta la corruttibilità, in essi non rimanga alcun male di cui debbano fare buon uso. Perché ti vai gloriando come se avessi sconfitto un nemico? Vinci piuttosto il nemico interno che tu lodi. Finché quel male combatte dentro di te, la mia vittoria su di te è sicura. Non oserai infatti dire che chi dice il vero sarà vinto da chi dice il falso. Ora io dico che la concupiscenza contro cui combatti è un male, tu invece che è un bene: la guerra che combatti però dimostra che è un male quello che la lingua falsamente dichiara un bene. Accrescendo per di più la tua menzogna con un'altra affermando che io l'ho dichiarata buona. Non ho detto affatto che la concupiscenza di cui l'apostolo Giovanni dice che non è dal Padre 12, è un bene. Ho detto soltanto che è un bene la pudicizia coniugale, che resiste al male della concupiscenza perché, quando questa si eccita, non trascini all'illecito.

Il pensiero dei due avversari sulla concupiscenza.

2. 7. Riconoscendo quanto hai ragionato a vuoto, tocchi, tu dici, l'altro aspetto della mia definizione ed aggiungi: "Se il calore genitale, servitore dell'onestà coniugale, è trattenuto dagli smodati impulsi sia dall'impegno dei fedeli, sia dalla virtù del dono, ma non è estinto dalla grazia, ma solo frenato, è accettabile nel suo genere e nella sua moderazione, ed è condannato solo nei suoi eccessi". Scrivendo queste parole non ti rendi conto che l'unione dei coniugi in vista della generazione è un bene lodevole in quanto con essa è posto un limite lecito al male della concupiscenza. Ma perché non dev'essere chiamato male quello che riconosci dev'essere frenato? Perché poi deve essere frenato, se non per evitare che rechi danno e che si abbandoni alle brutture che brama? Finché non si giunge ad esserne privi del tutto, il desiderio del male è già male anche se non vi si consente. Non si deve quindi pensare al bene che può derivare dalla concupiscenza, ma piuttosto al male che produce. La castità coniugale trattiene la concupiscenza, bramosa di ricavare piacere sia dal lecito che dall'illecito, dal fare cose illecite e la guida verso cose lecite, verso un bene cioè non suo ma di chi ne fa buon uso. L'azione della concupiscenza in se stessa, l'infiammare cioè indifferentemente verso il lecito o verso l'illecito, è indubbiamente un male. Di esso la castità coniugale fa buon uso, ma la continenza verginale fa molto meglio a non farne uso affatto.

La generazione non può avvenire senza la concupiscenza.

2. 8. "Se il calore genitale, tu scrivi, poteva essere naturalmente cattivo, doveva essere estirpato più che regolato". Vedi come non hai voluto dire "frenato", come dicevi sopra, ma hai preferito "regolato". Ti sei accorto che non lo può frenare chi non lo ha in contrasto. Cambiando la parola, spinto da quel sentore, hai finito per ammettere che è male ciò che contrasta il bene. Preferisci poi chiamare "calore genitale" perché ti rincresce di chiamare "libidine" o concupiscenza della carne, termine usato abitualmente dal linguaggio divino. Parla dunque così, dì pure: "Se la concupiscenza della carne poteva essere naturalmente cattiva, doveva essere estirpata più che regolata". In tal modo i lettori più lenti, se sanno di latino, possono capire quello che dici. Lo dici però come se tutti quelli che si sposano perché non sopportano la fatica della continenza con cui si resiste alla concupiscenza, e che di conseguenza scelgono di farne buon uso anziché far meglio a non farne uso affatto, non preferirebbero estirparla nel proprio corpo se fosse loro possibile. Se in questo corpo di morte questo male è necessario agli sposati, perché senza di esso non si può avere il bene della generazione, i continenti estirpino la concupiscenza della carne. Tu però, proprio tu che parli e non badi a quello che dici, estirpa la libidine dalle tue membra. A te non è necessaria e non sono buone per te le sue voglie, che ti procureranno la morte, se ad esse acconsenti o ti arrendi.

I coniugi fanno un buon uso del male della concupiscenza.

2. 9. Se in te c'è un male che ti contrasta, che tu combatti e sconfiggi quando sei vittorioso, fai molto meglio a non fare uso di questo male di cui fanno buon uso quelli nei quali pretendi che esso sia un bene. Su questo punto o menti o ti sbagli. Non dirai, spero, che la libidine è un bene negli sposati ed è un male invece nei santi, nelle vergini e nei continenti. Abbiamo già la tua tesi dove hai scritto: "Chi conserva la moderazione nella concupiscenza naturale, fa buon uso di un bene; chi invece non la conserva, fa cattivo uso di un bene; chi poi per amore della santa verginità, disprezza anche la moderazione, fa meglio a non far uso di un bene, perché la fiducia nella sua salvezza e nella sua forza gli ha fatto disprezzare il rimedio, onde poter affrontare gloriose lotte" 13. Con queste tue parole, senza ambiguità, dichiari che la concupiscenza della carne esiste negli uni e negli altri, negli sposati cioè e nei continenti. Ora quello di cui gli sposati fanno buon uso ed i continenti fanno meglio a non farne uso, io lo dichiaro un male e tu un bene. Nelle vergini sante, però, e nei continenti appare con evidenza che la concupiscenza è un male contro cui, come ammetti tu pure, essi esercitano gloriose lotte. Senza dubbio quindi non di un bene ma di un male fanno meglio a non far uso. Ed anche i coniugi facendo uso di esso fanno buon uso di un male e non di un bene. Tutta la controversia che è rimasta (seppure è rimasto qualcosa!) è questa: in chi ha consacrato a Dio la propria continenza, la concupiscenza di cui parliamo è un bene o un male? Quella delle due cose che si scoprirà in essi, apparirà con evidenza anche negli sposati poiché questi fanno buon uso della stessa cosa di cui quelli fanno meglio a non far uso. Raccogli pertanto tutta l'energia del tuo acuto ingegno e, a mente serena, rispondi pure, se hai coraggio, "che è un bene quello a cui ha resistito tutta la schiera degli Apostoli", come tu stesso hai ammesso nel precedente libro quando mi rimproveravi perché avevo detto che "le forze della libidine erano tante che ad essa non ha resistito neppure la schiera degli Apostoli" 14. Tutto questo torna piuttosto a vantaggio della mia tesi perché a questo male che tu dichiari un bene, si è opposta non una schiera qualunque di santi, ma proprio quella degli Apostoli. Chi può mai credere che un male abbia tanta forza da poter trovare ammiratori anche tra coloro che lo sconfiggono? Ben lontano in verità sia il credere che qualcuno degli antichi, degli Apostoli, di tutti gli altri santi o, strano a dirsi, anche qualcuno dei nuovi eretici possa professarsi ad un tempo, in maniera incomprensibile naturalmente, vincitore e difensore della libidine, e che, restando nell'eresia pelagiana, si sforzi di dimostrare che egli loda dal profondo dell'anima qualcosa che ucciderebbe l'animo stesso se non fosse sconfitta e che, nello stesso tempo, sconfigge dal profondo dell'anima qualcosa che, se non fosse lodata ne renderebbe vano il domma.

L'oggetto della concupiscenza è cattivo.

2. 10. Se in voi c'è ancora un po' di buon senso, vi domando: è possibile che il peccato sia un male e sia un bene il desiderarlo? Cosa infatti la concupiscenza suscita nella carne dei santi continenti se non il desiderio di peccare a cui non acconsentono "esercitando, come tu stesso ammetti, gloriose lotte"? In quella professione di continenza non può non essere male neppure il semplice desiderio dell'unione coniugale. Cosa dunque essa suscita laddove è male qualunque cosa fa, come se vi acconsentisse e lo portasse a compimento? Cosa suscita la concupiscenza laddove nulla di buono viene desiderato da essa? Che cosa può fare la libidine laddove nulla di buono potrà sorgere da essa? Non si dica neppure che essa è presente non importunamente nei coniugati: se essi infatti raggiungono il culmine della castità coniugale faranno qualcosa di buono per mezzo di essa, ma non faranno nulla di buono a causa di essa. Nei santi vergini e continenti che cosa fa, ti scongiuro, che cosa fa questa tua alleata se vaneggi o nemica se rinsavisci? Che cosa fa laddove niente di buono essa può fare e niente di buono si può trarre da essa? Che cosa fa in quelli nei quali è male qualunque desiderio sia concorde con essa? Che cosa essa fa in chi costringe a vigilare e a combattere contro di sé? E se talvolta riesce a rubare loro un consenso almeno nel sonno, cosa fa in costoro che, al risveglio, si lamentano e gemono: Come è possibile che l'anima mia sia ripiena di illusioni 15? Quando il sonno inganna i sensi assopiti, non so proprio come le anime caste possano cadere in cattivi consensi 16, che se l'Altissimo li dovesse imputare, chi potrebbe esser casto?

La infirmitas, causa della lotta.

2. 11. Spero che non vorrai chiamare bene questo male, a meno che non sia diventato sordo ad ogni richiamo della verità, al punto da gridare che è un bene desiderare il male, cosa che non oseresti gridare neppure ai sordi. Questo male, dunque, perché non è estirpato dalla carne dei casti? Perché non è estirpato totalmente ad opera della mente? Tu dici che "questo sarebbe dovuto avvenire se fosse stato un male". E siccome questo non avviene negli sposati, nei quali la moderazione è necessaria, ritieni che sia un bene. Fa' bene attenzione però che non avviene neppure in coloro nei quali nessuna moderazione è necessaria. Per essi anzi la sua stessa presenza è dannosa, non al punto da portare alla perdizione, se non gli si dà il consenso, ma in quanto sottrae alla mente dei santi il diletto spirituale di cui l'Apostolo scrive: Io mi diletto, secondo l'uomo interiore, della legge di Dio 17. Questo diletto certamente diminuisce quando l'animo di chi combatte è impegnato non ad appagare ma a contrastare la concupiscenza del piacere carnale. In tal modo egli esercita gloriose lotte ma col risultato di essere allontanato per le stesse lotte dal gusto della bellezza intellettuale. Ma poiché in questa umana miseria il nemico peggiore è sempre la superbia, da cui ci si deve guardare, nella carne dei santi continenti questa concupiscenza non si estingue del tutto, cosicché, mentre combatte contro di essa, l'anima, ammonita da pericoli costanti, non si gonfi fin quando la fragilità umana non arriverà al culmine della perfezione, dove non ci sarà più putredine di dissolutezza o timore di superbia. La virtù si perfeziona nella debolezza 18 perché anche il combattere appartiene alla debolezza. Quanto più facilmente si vince, infatti, tanto meno si combatte. Chi combatterebbe contro se stesso se dentro non ci fosse nulla che lo contrastasse? E cosa ci contrasta dentro di noi, se non ciò che deve essere ancora curato per essere sanato? In noi, dunque, la debolezza è la sola causa del combattimento e la stessa debolezza è ammonimento a non insuperbirsi. La virtù dunque, per cui l'uomo non si insuperbisce quaggiù mentre lo potrebbe, si perfeziona nella debolezza.

La concupiscenza è in se stessa un disordine.

2. 12. Per questo i coniugi fanno buon uso di ciò di cui i continenti fanno meglio a non far uso affatto. Il male di cui i coniugi fanno buon uso è insito in essi perché ne facciano buon uso e, affinché non s'insuperbiscano, è insito anche nei continenti che fanno molto meglio a non farne uso. Dei soli eccessi della libidine quindi è incolpato solo chi non le pone un freno, mentre giustissimamente è accusata di per se stessa, a causa dei suoi stessi movimenti, a cui si fa resistenza perché non abbia il sopravvento. È falsa pertanto la tua affermazione: "La moderazione di una cosa che fa male a causa del suo stesso genere, non porta affatto all'innocenza". Non acconsentire ad un male, però, porta all'innocenza, ma non per questo finisce di essere male ciò a cui non si acconsente, anzi proprio per questo indubbiamente è un male appunto perché è bene non acconsentirvi. Che male farebbe chi acconsente ad un buon desiderio, dal momento che non fa nulla di male neppure chi nell'atto matrimoniale, pur con il male della concupiscenza, pone il seme dell'uomo, creatura buona di Dio? Non dirai neppure che "la libidine produce il seme". È creatore del seme dell'uomo, infatti, Colui che crea l'uomo dal seme. Ora a noi interessa donde lo crea. Poiché il contagio di questo male è occulto e funesto, Dio non crea né il seme né l'uomo da uomini che non hanno tale male, anche se taluni sono stati sciolti dal danno di quel male per la rigenerazione, come del resto per essa saranno sciolti anche coloro che nasceranno.

La concupiscenza si oppone alla volontà buona.

2. 13. Riguardo alla castità coniugale ho scritto veramente, e non me ne pento, le parole da te citate: "...poiché quando queste cose ci vengono presentate come dono di Dio, si sa a chi dobbiamo chiederle se non le abbiamo e chi dobbiamo ringraziare se le abbiamo". Si ringrazia non per "l'origine della concupiscenza", come tu dici, la cui origine è il primo male dell'uomo, ma "per il dominio di essa", cosa che dici rettamente. Delle due cose, infatti, tu parli "dell'origine e del dominio". Si ringrazia per il dominio sulla concupiscenza perché la si vince nel contrasto. Chi può negare poi che quello che si oppone alla buona volontà non è un bene ma un male, se non chi non ha il bene della volontà per riconoscere come male ciò che lo contrasta?

Veramente casto è il coniuge che serba fedeltà per amore di Dio.

3. 14. Dal mio libro tu citi altre parole con cui, dopo avere ricordato, sulla testimonianza dell'Apostolo, che la castità coniugale è un dono di Dio, non ho voluto passare sotto silenzio la questione che ne derivava, quella cioè riguardante il matrimonio di taluni infedeli che vivono castamente con le loro mogli 19. Per negare che le virtù con le quali si vive rettamente sono un dono di Dio e per attribuirle non alla grazia, ma alla natura umana, siete soliti ricorrere all'argomento che taluni infedeli le posseggono. Cercate in tal modo di svuotare la nostra convinzione che nessuno può vivere rettamente se non trae forza dalla fede per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro, unico Mediatore tra Dio e gli uomini, dimostrandovi, di conseguenza, suoi manifesti avversari. Ma non andiamo lontano. Se per caso sbaglio, rispondimi. Io ho detto: "Non può essere chiamato veramente casto chi conserva la fedeltà alla moglie ma non per il Dio vero". Per dimostrartelo mi sono servito di quello che mi è sembrato un ottimo argomento. Scrivevo così: "Se la castità è una virtù cui si oppone il vizio della impudicizia e, se tutte le virtù, anche quelle che vengono praticate attraverso il corpo, dimorano nell'animo, come si può dire veramente casto il corpo, quando l'anima si prostituisce lontano dal vero Dio?" 20. Perché nessuno di voi negasse che l'anima degli infedeli si prostituisce lontano da Dio, mi sono servito di una testimonianza della Sacra Scrittura: Quelli che si allontanano da te periranno; hai mandato in rovina chiunque si prostituisce lontano da te 21. Ma tu, che "persegui, come dici, le mie argomentazioni che a me sembrano molto acute", hai saltato del tutto questa, come se a me fosse sembrata stupida. Vedi un po' quale di queste cose si deve negare. Certamente confesserai subito che la castità coniugale è una virtù e non negherai che tutte le virtù, anche quelle che vengono praticate attraverso il corpo, dimorano nell'animo. Che l'animo dell'infedele si prostituisca lontano da Dio, lo può negare solo chi apertamente si professa nemico della Sacra Scrittura. Da tutto questo, in sintesi, si deduce che ci può essere vera pudicizia nell'anima che si prostituisce, cosa di cui tu stesso vedi l'assurdità, oppure che nell'anima dell'infedele non ci può essere vera castità. Quando dico questo, però, tu fai il sordo. Non è vero, dunque, come mi vai calunniando, che io "lodo i doni per disprezzare la sostanza". Se la sostanza umana, di cui i vizi stessi offrono una testimonianza della sua bontà naturale, non fosse buona, non sarebbe capace dei doni divini. Cos'altro infatti giustamente dispiace nel vizio, se non il fatto che sottrae o sminuisce quello che nella natura piace?

La grazia non è mai dovuta.

3. 15. Quando l'uomo dunque viene aiutato da Dio, "non viene aiutato soltanto per conseguire la perfezione", come hai scritto, presupponendo naturalmente che egli inizi senza la grazia il cammino che la grazia perfeziona, ma viene aiutato piuttosto secondo quanto afferma l'Apostolo: Chi in voi ha iniziato l'opera buona, la perfezionerà fino al compimento 22. Tu vuoi che l'uomo si glori del libero arbitrio e non di Dio quando, come tu dici, "è spinto dagli stimoli del suo cuore generoso a fare qualcosa di lodevole". Ma così, se egli deve dare prima per ricevere dopo, la grazia non è più grazia, poiché non è gratuita. Tu dici che "la natura degli uomini, che merita l'aiuto di tale grazia, è buona". Ti sarei grato se ti sentissi dire che questo avviene perché la natura è ragionevole: la grazia di Dio, infatti, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore non è concessa alle pietre, al legno ed agli animali. L'uomo merita la grazia perché è immagine di Dio, ma non nel senso che la buona volontà possa andare avanti senza la grazia, o che possa dar prima per ricevere poi, sicché la grazia non sarebbe più grazia 23 appunto perché non donata gratuitamente ma restituita dovutamente. Che significa poi che, alla vostra maniera, avete creduto che "ho chiamato dono celeste l'effetto della volontà umana", come se la volontà umana si potesse muovere verso il bene senza la grazia di Dio, sicché gli venisse retribuito da Dio l'effetto dovuto? A tal punto avete dimenticato che con la Sacra Scrittura noi diciamo contro di voi: La volontà viene preparata da Dio 24 e: È Dio, infatti, che suscita in noi anche il volere? O ingrati alla grazia di Dio! O nemici della grazia di Cristo e cristiani solo di nome! Non prega forse la Chiesa per i suoi nemici? E cosa chiede? Se ad essi deve essere retribuito secondo il valore della loro volontà, cos'altro può chiedere per essi se non un grande castigo? Ma questo è andare contro di essi, non a loro favore. La Chiesa invece prega per essi, non perché abbiano già la volontà buona, ma perché la loro cattiva volontà si muti in buona. La volontà infatti viene preparata da Dio, ed è Lui, come scrive l'Apostolo, che suscita in voi anche il volere 25.

Le virtù dei pagani o non sono vere o sono dono di Dio.

3. 16. Acerrimi nemici qual siete di questa grazia, ci obiettate l'esempio degli empi che, voi dite, "benché estranei alla fede, abbondano di virtù; in essi non c'è l'aiuto di Dio, ma solo il bene di natura, pur se talvolta inficiato da superstizioni, eppure con le sole forze della libertà ingenita spesso sono misericordiosi, modesti, casti, sobri". Così dicendo hai sottratto alla grazia di Dio anche quello che prima le attribuivi, vale a dire l'effetto della volontà. Non hai detto infatti che essi vorrebbero essere misericordiosi, modesti, casti, sobri e non lo sono proprio perché non hanno ancora avuto dalla grazia l'effetto della buona volontà, ma affermi semplicemente che se vogliono esserlo lo sono senz'altro. In essi evidentemente troviamo la volontà e l'effetto della volontà. Cosa rimane alla grazia di Dio in tante evidenti virtù che, a tuo avviso, abbondano in essi? Quanto sarebbe stato meglio, se ti piace lodare gli empi senza ascoltare le parole della Scrittura: Chi dice al colpevole: "Sei innocente" sarà maledetto dai popoli, sarà esecrato dalle nazioni 26, e predicare che essi abbondano di vere virtù? Quanto sarebbe stato meglio riconoscere che anche queste virtù sono un dono di Dio, al cui decreto occulto ma non ingiusto si deve attribuire se taluni nascono stolti o lentissimi d'ingegno e addirittura ottusi nel capire, se altri nascono smemorati, altri forniti di intelligenza o di memoria o di entrambi i doni, tali da poter acutamente comprendere le cose e quindi conservarle nello scrigno di una tenacissima memoria? A Dio si deve altresì se taluni sono remissivi di natura, mentre altri sono molto irascibili anche per futili motivi, e se altri, fra questi estremi, pongono un giusto limite alla bramosia della vendetta; se taluni sono impotenti, o talmente freddi al coito da non essere quasi eccitati, mentre altri sono tanto focosi da non potersi frenare ed altri, fra entrambi gli eccessi, sono capaci di eccitarsi e di frenarsi; se taluni sono molto timidi, altri coraggiosissimi ed altri né l'una né l'altra cosa; così pure se alcuni sono ilari, altri tristi ed altri non inclini né all'una né all'altra cosa. Tutto questo non è attribuito a decisioni o propositi, ma alla natura, tanto che i medici osano attribuirlo alla costituzione fisica. Anche se si potesse provare che non esiste questione o è già chiusa, si può forse dire che ciascuno ha creato il proprio corpo e può attribuirsi alla volontà di ciascuno il fatto di soffrire in misura maggiore o minore di questi mali naturali? Certamente, infatti, nessuno, mentre vive quaggiù, in nessuna maniera e per nessun motivo può non patirli. Purtuttavia, sia se si è gravati da grandi o da piccoli mali, non è lecito dire a colui che si è fatto da sé, anche se onnipotente, giusto e buono: Perché mi hai fatto così? 27 Nessuno, se non il secondo Adamo, può liberare dal giogo che grava sui figli del primo Adamo 28. Quanto sarebbe più accettabile attribuire quelle, che negli infedeli chiami virtù, al dono di Dio più che alla loro volontà soltanto. Essi però lo ignoreranno fino a quando, se sono del numero dei predestinati, riceveranno da Dio lo spirito per capire i doni ricevuti da Dio 29.

Se la giustizia viene dalla volontà e dalla natura, Cristo è morto invano.

3. 17. Non può esserci vera virtù senza vera giustizia, né può esserci vera giustizia se non si vive di fede. È scritto infatti: Il giusto vive di fede 30. Chi mai tra coloro che vogliono essere ritenuti cristiani, eccetto i soli pelagiani, o eccetto tu solo forse tra i pelagiani, potrà dichiarare giusto un infedele, giusto un empio, giusto uno che appartiene al diavolo? E questo sia che si tratti di Fabrizio, di Fabio, di Scipione o di Regolo, col nome dei quali hai creduto di spaventarmi come se ci trovassimo in una antica curia romana. Su questo argomento puoi anche appellarti alla scuola di Pitagora o di Platone, nella quale uomini eccezionalmente eruditi in una filosofia molto più nobile delle altre sostenevano che non esistono vere virtù, se non quelle impresse in certo modo nella mente dalla forma di quella eterna ed immutabile sostanza che è Dio. Ebbene, con tutta la forza che mi è data, anche nell'interno di questa scuola continuerò a gridare con la libertà della pietà che neppure in quei filosofi c'è vera giustizia. Il giusto vive di fede. La fede nasce dalla predicazione e la predicazione ha luogo per mezzo della parola di Cristo. Il termine della legge è Cristo, affinché chiunque creda consegua la giustificazione 31. Come possono essere veramente giusti coloro per i quali è viltà l'umiltà del vero Giusto? La superbia li ha allontanati dal punto dove li aveva avvicinati l'intelligenza, poiché pur avendo conosciuto Dio, né gli diedero gloria, come a Dio, né gli resero grazie, ma vaneggiarono nei loro ragionamenti ed il loro cuore insensato si offuscò. Essi che pretendevano di essere sapienti, diventarono stolti 32. Come può esserci vera giustizia se in essi non c'è vera sapienza? Se noi l'attribuissimo a loro, non ci sarebbe motivo per dire che non arrivano al regno del quale è scritto: Il desiderio della sapienza porta al regno 33. Cristo sarebbe morto invano se gli uomini, pur senza la fede in Cristo, potessero giungere per qualunque altra ragione o qualunque altra via alla vera fede, alla vera virtù, alla vera giustizia, alla vera sapienza. E quindi, come l'Apostolo con assoluta verità afferma riguardo alla legge: Se la giustizia si ottiene mediante la legge, Cristo allora è morto inutilmente 34, alla stessa maniera, con identica verità, si potrebbe dire: se la giustizia si ottiene per mezzo della natura e della volontà, Cristo è morto inutilmente. Se una giustizia qualsiasi si ottiene per mezzo della dottrina degli uomini, Cristo è morto inutilmente. Il mezzo che porta alla vera giustizia è lo stesso che porta al regno di Dio. Dio stesso, infatti - sia ben lontano il pensarlo! -, si dimostrerebbe ingiusto se non ammettesse nel suo regno un vero giusto, dal momento che il suo regno è essenzialmente giustizia, come è scritto: Il regno di Dio non è né cibo né bevanda, ma giustizia, pace e gioia 35. Di conseguenza se gli empi non hanno vera giustizia, le altre virtù, compagne e colleghe di essa, anche quando sono presenti, non sono vere virtù. (Quando i doni di Dio non sono riferiti al loro Creatore, per questo stesso fatto i cattivi che se ne servono diventano ingiusti). Per tutte queste ragioni la continenza e la castità non possono essere vere virtù negli empi.

Quando le virtù sono "vere ".

3. 18. Tu intendi molto male le parole dell'Apostolo: Quelli che partecipano alla gara s'impongono ogni sorta di privazioni 36. Arrivi infatti ad affermare che la continenza, una virtù tanto grande della quale è scritto che nessuno può essere continente se non gli è dato da Dio 37, la possono possedere anche i flautisti o altri simili individui turpi e infami. Gli atleti, quando partecipano alla gara, si astengono da ogni cosa per conseguire una corona corruttibile; non si astengono tuttavia dalla cupidigia di questa vanità. Questa cupidigia vana e perciò cattiva domina o frena in essi le altre cattive cupidigie, per cui sono detti continenti. Per fare una gravissima offesa agli Scipioni, hai attribuito la continenza tanto lodata in essi, anche agli istrioni, ignorando del tutto che l'Apostolo, nell'esortare gli uomini all'amore della sapienza, ha preso esempi dalle viziose passioni degli uomini, allo stesso modo come, in un altro passo, la Scrittura, per esortare gli uomini all'amore della sapienza, ha detto che bisogna cercarla come il danaro 38. Si dirà forse per questo che la Sacra Scrittura ha esaltato l'avarizia? Sono note le fatiche e i dolori a cui si assoggettano con pazienza quelli che cercano avidamente il denaro, ed è noto altresì come essi si astengono dai piaceri sia per l'avidità di accrescere il guadagno, sia per il timore di diminuirlo; si sa con quanta sagacia perseguono il guadagno evitando con accortezza i danni e che per lo più hanno paura di toccare i beni degli altri e talvolta disprezzano i beni ad essi sottratti perché non succeda che, nella pretesa di riaverli o nella lite, finiscano per perderne di più. Dalla considerazione di tutte queste cose, giustamente siamo esortati ad amare la sapienza così da desiderare avidamente di farne tesoro e da accrescerla sempre più in noi, evitando che abbia a diminuire in qualche parte; così da sopportare le molestie, frenare le passioni, guardare al futuro e conservare l'innocenza e la disposizione a fare il bene. Quando facciamo tutto questo, abbiamo le vere virtù, perché è vero quello per cui lo facciamo; tutto questo, cioè, è conforme alla nostra natura umana per la salvezza e la vera felicità.

Le azioni valgono secondo le intenzioni.

3. 19. Non è una definizione assurda quella di chi ha detto che "la virtù è un abito dell'anima conforme all'ordine della natura " 39. Ha detto il vero ma ignorava quello che era conforme alla natura dei mortali per liberarla e renderla felice. Tutti noi non potremmo desiderare per naturale istinto di essere immortali e felici se questo non fosse possibile. Questo bene sommo però non può pervenire agli uomini se non per mezzo di Cristo e Cristo crocifisso, dalla cui morte è vinta la morte e per le cui ferite la nostra natura è sanata. Per questo il giusto vive della fede 40 in Cristo. Per questa fede infatti egli vive con prudenza, fortezza, temperanza e giustizia e proprio perché vive con fede egli vive rettamente e sapientemente con tutte queste vere virtù. Se le virtù pertanto non giovano all'uomo per il conseguimento della vera beatitudine che la vera fede in Cristo ci ha promesso immortale, non giovano a nulla e in nessun modo possono essere vere virtù. Vuoi forse chiamare vere virtù quelle degli avari quando escogitano con sagacità le vie del guadagno, quando sopportano molte sofferenze e disagi per accumulare denaro e castigano le varie cupidigie della vita lussuriosa, vivendo con temperanza e sobrietà, o quando, astenendosi dal toccare la roba altrui, disprezzano quello che hanno perduto, cosa che sembrerebbe appartenere alla giustizia, onde evitare il pericolo di perdere di più tra contese e tribunali? Quando si fa qualcosa con prudenza, fortezza, temperanza e giustizia si agirebbe con tutte e quattro le virtù che, secondo il tuo parlare, sono vere virtù, e per conoscere la loro veridicità fosse sufficiente guardare solo quello che si fa e non per qual motivo lo si fa. Affinché quindi non abbia a sembrare un calunniatore, citerò le tue stesse parole: "tutte le virtù hanno la loro origine nell'anima razionale; tutte le affezioni per cui siamo buoni fruttuosamente o sterilmente si trovano nel soggetto della nostra mente: la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. Quantunque la forza di queste affezioni è presente in tutti secondo natura, essa non porta tutti al medesimo fine. A seconda del giudizio della volontà, al cui volere ubbidiscono, esse portano ai beni temporali o a quelli eterni. Quando ciò avviene, variano non in ciò che sono o in ciò che fanno, ma soltanto in ciò che meritano. Esse pertanto non possono perdere il proprio nome o il proprio genere, ma saranno arricchite dall'ampiezza o deluse dalla pochezza del premio che hanno desiderato". Dove abbia appreso tutto questo, lo ignoro. Da esso però appare, mi sembra, che ritieni vere virtù: la prudenza degli avari con cui essi escogitano ogni sorta di guadagno; la giustizia degli avari con cui, per il timore di perdite maggiori, essi sono portati talvolta a disprezzare più facilmente le loro perdite anziché usurpare qualcosa agli altri; la temperanza degli avari con cui essi frenano l'appetito della lussuria, che porterebbe ad un eccessivo dispendio, e si contentano solo del cibo e delle vesti necessarie; la fortezza degli avari, per la quale, come dice Orazio, fuggono la povertà per mare, per terra e per fuoco 41 e per la quale, durante l'invasione barbarica, nessun tormento dei nemici riuscì a costringere alcuni di essi a consegnare i beni che avevano. Queste virtù dunque, turpi e deformi a causa di questo fine, che proprio per questo, in nessun modo sono vere e genuine virtù, a te appaiono talmente vere e belle che "non possono perdere né il nome né il genere, ma possono solo essere deluse dalla pochezza del premio che hanno desiderato", del frutto cioè delle comodità terrene, non dei premi celesti. Sarebbe dunque vera giustizia per Catilina attirare molti con l'amicizia, il mantenerli con l'ossequio ed il dividere con tutti i propri averi; sarebbe per lui vera fortezza il sopportare il freddo, la fame e la sete e vera pazienza il sopportare il digiuno, il freddo e la veglia più di quanto si possa immaginare 42. Chi, se non un insipiente, può avere convinzioni del genere?.

I vizi non sempre son opposti alle virtù.

3. 20. Quantunque sia un uomo erudito, tu sei stato ingannato dall'apparenza di verità che hanno quei vizi. Essi sembrano confinanti e vicinissimi alle virtù, mentre in realtà sono tanto lontani da esse, quanto i vizi dalle virtù. La costanza, per esempio, è una virtù a cui si oppone l'incostanza: è un vizio tuttavia la quasi confinante ostinazione che rassomiglia alla costanza. Voglia il cielo che tu non abbia questo vizio, quando avrai riconosciuto che sono vere le cose che dico, perché non abbia a credere di dover restare con ostinazione nel vizio, credendo di amare la costanza. I vizi non soltanto sono manifestamente contrari a tutte le virtù, per una evidentissima differenza, come la temerarietà alla prudenza, ma in certo modo anche vicini e simili, non nella realtà, ma per qualche aspetto ingannevole. Alla prudenza è simile non la temerarietà o l'imprudenza, ma l'astuzia, che è tuttavia un vizio, anche se nella Sacra Scrittura se ne ha una accezione in senso buono nelle parole: Prudenti come i serpenti 43, e una in senso cattivo quando si dice che nel Paradiso il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche 44. Per questi vizi, che abbiamo dichiarati quasi confinanti con le virtù, non si possono trovare facilmente neppure i nomi, ma, anche se non si sa come chiamarli, debbono essere ugualmente fuggiti.

La vera virtù obbedisce a Dio, non ai piaceri carnali.

3. 21. Sappi pertanto che le virtù debbono essere distinte dai vizi non per i loro compiti, ma per il fine. Il compito è quello che si deve fare, il fine è quello per cui lo si deve fare. Se un uomo fa qualcosa che apparentemente non sembra peccato, si dovrà convincere che è peccato se non lo fa per il fine per il quale lo si deve fare. Non ponendo attenzione a tutto questo, hai separato il fine dai compiti ed hai finito per chiamare vere virtù i compiti senza il fine. Ne segue tanta assurdità che sei costretto a chiamare giustizia anche quella che scopri dominata dall'avarizia. Nell'astenersi dal prendere la roba altrui, se si considera il compito, si ha l'impressione che si tratta di giustizia; se invece si va a cercare il motivo per cui lo si fa e la risposta è che non si perda di più nelle contese, come può essere vera giustizia, quando serve apertamente l'avarizia? Simili virtù le introdusse Epicuro quali schiave del piacere perché servissero a fare tutto quanto si faceva, unicamente per conseguirlo o per conservarlo. Ben lontano sia il pensare che le virtù vere possano essere al servizio di altri all'infuori di colui e per colui a cui diciamo: Dio delle virtù, convertici 45. Le virtù che favoriscono pertanto i diletti della carne o qualsivoglia altra comodità o profitto temporale, non possono decisamente essere vere. E neppure sono vere virtù quelle che non vogliono essere al servizio di nessuna cosa. Le vere virtù sono al servizio di Dio negli uomini e da lui sono donate agli uomini; sono al servizio di Dio negli Angeli e da lui sono donate anche agli Angeli. Tutto quanto di bene viene fatto dagli uomini, anche se dal punto di vista del compito sembra buono, se non lo si fa per il fine indicato dalla vera sapienza, è peccato per la stessa mancanza di rettitudine nel fine.

È assurdo parlare di bontà sterile.

3. 22. È possibile dunque che siano fatte delle opere buone, senza che agisca bene chi le fa. È un bene, per esempio, cercare di aiutare un uomo in pericolo, specie se innocente. Chi lo aiuta però, se lo fa amando di più la gloria degli uomini che quella di Dio, non compie bene l'opera buona, perché non compie bene quello che non compie con una volontà buona. Lungi sia chiamare volontà buona quella che cerca la gloria in altri o in se stessa e non in Dio. Non si può definire buono neppure il suo frutto. Un albero cattivo, infatti, non può fare frutti buoni. L'opera buona piuttosto deve essere attribuita a colui che opera bene anche per mezzo dei cattivi. Per la qual cosa non puoi neppure immaginare quanto t'inganni l'opinione secondo cui "tutte le virtù sono affezioni, grazie alle quali siamo buoni fruttosamente o sterilmente". Non possiamo infatti essere buoni sterilmente perché non siamo buoni quando siamo sterili. Un albero buono produce frutti buoni 46. Lungi sia che Dio buono, che ha preparato la scure per gli alberi che non portano frutti buoni, tagli e getti nel fuoco gli alberi buoni 47. Gli uomini buoni, per nessuna ragione possono essere sterili. Quelli invece che non sono buoni, possono essere più o meno cattivi.

Perché la Chiesa combatte i pelagiani.

3. 23. Anche quelli che hai voluto ricordare, di cui l'Apostolo ha detto: I pagani pur privi di legge sono legge a se stessi. Essi mostrano scritta nei loro cuori la realtà della legge 48, non vedo come possano esserti di aiuto. Hai cercato di dimostrare per mezzo di essi che anche gli estranei alla fede di Cristo possono avere una vera giustizia, per il fatto che, sulla testimonianza dell'Apostolo, essi compiono secondo natura ciò che la legge prescrive 49. Con maggior evidenza hai espresso qui il vostro domma, per il quale siete nemici della grazia di Dio, che ci viene da Gesù Cristo Signore nostro, che porta via i peccati del mondo 50: hai introdotto cioè un genere di uomini in grado di piacere a Dio per la legge della natura, senza la fede in Cristo. Questo è il motivo principale per cui la Chiesa cristiana vi detesta. Ma cosa vuoi che essi siano? Hanno essi vere virtù ma sono sterili poiché non agiscono per Dio, oppure piacciono a Dio anche per queste azioni e da lui sono premiati con la vita eterna? Se li dichiari sterili, a che giova loro il fatto che, secondo l'Apostolo, li difenderanno i loro pensieri... nel giorno in cui Dio giudicherà le azioni occulte degli uomini 51? Se poi quelli che sono difesi dai loro pensieri non sono sterili per il fatto che hanno compiuto secondo natura le opere della legge e perciò trovano l'eterna ricompensa presso Dio, senza dubbio alcuno per questo sono giusti poiché vivono della fede 52.

Senza la fede non si può piacere a Dio.

3. 24. Hai inteso a tuo piacimento, e l'hai esposto non secondo il suo significato ma secondo quello che gli hai dato, la testimonianza dell'Apostolo da me citata: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato 53. L'Apostolo infatti parlava di cibi. Dopo aver detto: Se colui che è nel dubbio mangia, è condannato, non avendo agito secondo la fede 54, ha inteso dimostrare questa specie particolare di peccato con un argomento di ordine generale aggiungendo: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato. Ti posso concedere qui che si deve intendere soltanto dei cibi. Cosa invece dirai dell'altra testimonianza che parimenti ti ho citata ed a cui nulla hai obiettato, non avendo trovato una via per girarla a tuo favore, quella cioè scritta agli Ebrei: senza la fede è impossibile piacere 55? Per fare tale affermazione egli intendeva tutta la vita dell'uomo, nella quale il giusto vive di fede. Tuttavia, pur essendo impossibile piacere a Dio senza la fede, ti piacciono tanto le virtù senza la fede che vai predicando che sono vere virtù, e che per mezzo di esse gli uomini sono buoni. Poi, quasi spinto dal pentimento di averle lodate, non esiti a dichiararle sterili.

Gli uomini senza fede peccano, perché non agiscono con un retto fine.

3. 25. Questi dunque, che sono giusti secondo la legge naturale, se piacciono a Dio gli piacciono per la fede, perché è impossibile piacergli senza la fede. E per quale fede essi piacciono, se non per quella di Cristo? Così infatti si legge negli Atti degli Apostoli: In Lui Dio ha accreditato la fede dinanzi a tutti col risuscitarlo dai morti 56. Per questo è stato detto che, pur essendo senza la legge, hanno compiuto le opere della legge secondo natura, perché sono giunti al Vangelo dal paganesimo e non dalla circoncisione a cui era stata affidata la legge. È stato detto "secondo natura" poiché la natura stessa è stata in essi corretta dalla grazia di Dio affinché potessero credere. Per mezzo di questi, però, non ti è possibile dimostrare quello che vorresti, che cioè gl'infedeli hanno vere virtù: anch'essi, infatti, sono fedeli. Se non avessero la fede di Cristo, non potrebbero essere giusti né piacere a Dio, al quale è impossibile piacere senza la fede. Nel giorno del giudizio i loro pensieri li difenderanno solo per essere puniti in maniera più blanda, per il fatto che hanno comunque compiuto secondo natura le opere della legge, portando scritta nel proprio cuore l'opera della legge al punto da non fare agli altri quello che essi non avrebbero voluto soffrire. Hanno mancato solo nel fatto che, non avendo fede, non hanno indirizzato queste opere al fine al quale avrebbero dovuto indirizzarle. Fabrizio sarà punito meno di Catilina, non perché egli era buono, ma soltanto perché questi era più cattivo. Fabrizio era meno empio di Catilina non perché possedeva vere virtù, ma solo perché ha deviato di meno dalle vere virtù.

Non si dà un luogo intermedio tra l'inferno e il cielo.

3. 26. A tutti costoro che hanno dimostrato alla patria terrena un amore profano ed hanno servito con virtù civile, non vera, ma simile alla vera, i demoni o la gloria umana, a tutti costoro, voglio dire, ai vari Fabrizio, Regolo, Fabio, Scipione, Camillo ed a tutti gli altri, al pari dei fanciulli morti senza battesimo, preparerete forse un luogo intermedio tra la perdizione ed il regno dei cieli, dove non siano nel tormento ma in una gioia eterna, essi che non sono piaciuti a Dio, al quale è impossibile piacere senza la fede, che non hanno avuto mai né nelle opere né nel cuore? Non riesco a credere che la vostra spregiudicatezza possa estendersi fino a simili impudenze. "Andranno dunque, tu ci chiedi, alla perdizione eterna quelli in cui c'era la vera giustizia?". O voce avventata per impudenza ancora maggiore! In loro non c'era la vera giustizia, lo ripeto, perché le azioni si giudicano dal fine e non semplicemente dagli atti.

La castità di un animo peccatore non è autentica virtù.

3. 27. Da uomo elegantissimo e garbatissimo, con tono faceto e spiritoso dichiari: "Se si afferma che la castità degli infedeli non è castità, per la stessa ragione si deve dire che il corpo dei pagani non è corpo; che gli occhi dei pagani non hanno la capacità di vedere; che il grano che cresce nel campo dei pagani non è grano e tante altre cose di tale assurdità da muovere al riso gli uomini intelligenti". Il vostro riso per la verità muove gli intelligenti al pianto e non al riso, come il riso dei pazzi muove al pianto il cuore degli amici sani. In contrasto con la Sacra Scrittura pertanto osi negare che l'animo dell'infedele è idolatra, oppure affermare che nel suo animo idolatra c'è vera castità, e ridi e sei sano di mente? Da che parte, in che modo, per quale motivo può avvenire questo? Ebbene, la loro non è vera castità e la vostra non è vera sanità. Nell'animo dell'idolatra non c'è vera castità, e c'è veramente pazzia nell'uomo che fa tale vergognosa affermazione e ci ride su. Lungi da noi dire che il corpo dei pagani non è corpo o altro del genere. E per giunta non è neppure conseguente che se non è vera la virtù di cui l'empio possa gloriarsi, non è vero neppure il suo corpo che è creato da Dio. Tranquillamente, invece, possiamo affermare che la fronte degli eretici non è fronte, se col nome di fronte intendiamo non la parte del corpo creata da Dio, ma il pudore. Cosa avresti detto se, nello stesso mio libro al quale ti vanti di aver risposto, non avessi preammonito che nella tesi secondo cui affermiamo che tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato 57, non siano incluse quelle cose che negli infedeli sono dono di Dio sia nei beni dell'anima che in quelli del corpo? Ivi sono inclusi singolarmente anche questi che vai garrendo a vuoto: il corpo, gli occhi e tutte le altre membra. A quel genere appartiene anche il grano che cresce nel campo dei pagani, del quale non essi, ma Dio è il creatore. Non hai forse citato fra le altre anche queste mie parole: "L'anima, il corpo, ogni altro bene insito naturalmente nell'anima o nel corpo sono doni di Dio anche nei peccatori, perché non essi ma Dio li ha fatti, mentre delle opere che essi compiono è detto: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato"? Se avessi tenuto a mente questo mio breve ma preciso pensiero, non saresti stato tanto impudente da affermare che noi avremmo potuto ritenere che "il corpo dei pagani non sia corpo, che i loro occhi non abbiano la possibilità di vedere o che il grano del campo dei pagani non è grano". Come svegliato dal sonno, ti ripeto le mie parole che probabilmente sono sfuggite alla tua memoria se hai fatto simili affermazioni: "Sono doni di Dio anche nei peccatori, perché non essi ma Dio li ha creati; mentre delle opere che essi compiono è detto: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato". Quando dici cose insensate e ridi, sei simile ad un pazzo; quando poi non fai attenzione o dimentichi le cose vere dette da me e ricordate da te poco fa, e inserite nella stessa opera con cui ti vanti di rispondere alla mia, non rassomigli a chi è pazzo ma a chi è in letargo.

La lotta tra la carne e lo spirito dura tutta la vita.

3. 28. Con ironia, dichiari "di meravigliarti che un ingegno tanto grande, il mio cioè, non ha capito quanto vi ho anche aiutato con l'affermazione: "alcuni peccati sono vinti da altri". Subito dopo aggiungi e concludi: "l'uomo può essere privo di peccati molto facilmente con l'amore della santità, che Dio aiuta. Se infatti, i peccati sono vinti dai peccati, quanto più facilmente i peccati possono essere vinti dalle virtù?". Come se noi negassimo che l'aiuto di Dio abbia tanta forza da privarci oggi stesso, se lo volesse, da tutte le cattive cupidigie, contro cui combattiamo vittoriosamente. Tutto questo però non avviene e neppure tu lo neghi. Perché poi non avvenga, chi può conoscere la mente di Dio 58? Non credo di sapere poco tuttavia, quando so che, qualunque ne sia il motivo, in Dio giusto non c'è iniquità, né debolezza nella sua onnipotenza. C'è dunque qualcosa nel suo sublime e nascosto disegno per cui durante tutto il tempo nel quale viviamo in questa carne mortale ci deve essere in noi un male contro cui deve combattere il nostro spirito e per cui dobbiamo dire: Rimetti a noi i nostri debiti 59. Ma per parlarti da uomo a uomo, da uomo a cui la dimora terrena opprime l'animo teso verso l'alto 60, per quanto attiene ai meriti delle nature volute da Dio, non c'è nulla nelle creature di più eminente della mente razionale. Logico quindi che una mente buona piaccia maggiormente a se stessa e si diletti maggiormente di se stessa più di qualsiasi altra creatura. Sarebbe troppo lungo voler dimostrare disputando quanto sia pericoloso, anzi dannoso per la ragione un simile compiacimento, mentre si gonfia per questo tifo e si innalza per la malattia dell'orgoglio per tutto il tempo che non vede, come lo vedrà alla fine, quel Sommo ed Immutabile Bene, al cui paragone disprezzerà se stessa e, per amor Suo, diventerà ai suoi occhi tanto vile e si riempirà talmente dello spirito di Dio da porselo innanzi non solo con la ragione, ma anche con un amore eterno. Lo comprende bene colui che, stanco per la fame, rientra in se stesso e dice: Mi leverò e ritornerò da mio padre 61. Questo male della superbia allora soltanto finirà di tentare ed allora soltanto cesserà di essere nostro avversario di lotta, quando l'anima sarà saziata di tale meravigliosa visione e sarà infiammata da tanto amore per il Bene superiore, che non le sarà più possibile staccarsi dall'amore suo per compiacersi di se stessa. Non potrebbe essere questo il motivo per cui in questo luogo di debolezza dobbiamo vivere giorno per giorno, sotto il peso della remissione dei peccati per evitare di vivere con superbia? Proprio a causa di questo male della superbia, l'apostolo Paolo non poté fare affidamento sul suo arbitrio. Poiché non era ancora giunto alla partecipazione di un bene così grande, allorquando non sarebbe stato più possibile insuperbirsi, gli fu posto accanto un angelo di satana che lo schiaffeggiasse quaggiù dove è possibile insuperbirsi 62.

La presunzione dei pelagiani.

3. 29. Sia questo il motivo o ce ne sia un altro molto più nascosto, non si può tuttavia dubitare del fatto che fin quando cammineremo sotto il peso di questo corpo corruttibile, se diciamo di non aver peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi 63. Per questo la S. Chiesa, anche in quelle membra in cui non c'è macchia di crimine o ruga di falsità 64, nonostante l'opposizione della vostra superbia, non cessa di ripetere a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti 65. Chi non conosce i vostri dommi non può capire con quanta arroganza e con quale presunzione della vostra virtù tu abbia detto: "Con l'amore della santità e l'aiuto di Dio, l'uomo può essere privo di peccati molto facilmente". Voi, infatti, volete che nella volontà dell'uomo ci sia preventivamente, senza l'aiuto di Dio, l'amore della santità, che poi Dio deve aiutare secondo il merito, non gratuitamente. Siete così convinti che in questa vita piena di travagli l'uomo possa essere privo di peccati tanto da non avere motivo di dire: Rimetti a noi i nostri debiti. Talvolta però dai l'impressione di aver fatto l'affermazione con una certa timidezza, per il fatto che non hai detto: "può essere privo di tutti i peccati". In verità non hai voluto dire nemmeno "alcuni", ma, come arrossendo dinanzi a te stesso per l'eccessiva vostra presunzione, hai moderato il pensiero così che potesse essere difeso da noi e da voi. Qualora si discutesse tra i pelagiani si dovrebbe asserire che non è stato detto "alcuni" perché tu hai affermato che l'uomo può essere privo di tutti i peccati. Qualora poi si discutesse tra noi, si dovrebbe rispondere che non è stato detto "tutti", perché hai voluto intendere che qualsiasi uomo si trova nella necessità di chiedere perdono per alcuni peccati. Noi però che conosciamo il vostro pensiero, non possiamo ignorare con quale significato l'avete detto.

I pagani compiono le opere di misericordia con un fine cattivo.

3. 30. Tu dirai: "Se un pagano veste una persona nuda, la sua azione è forse peccato perché non viene dalla fede?". Certamente, in quanto non proviene dalla fede è peccato, ma non perché è peccato l'azione in se stessa, l'atto cioè di vestire l'ignudo: solo l'empio però nega che è peccato il gloriarsi di tale opera al di fuori del Signore. Anche se si è discusso già abbastanza, siccome è un argomento tanto importante, ti prego di ascoltarmi ancora un tantino affinché lo comprenda. Citando le tue stesse parole: "Se un pagano, (che non vive della fede), veste un ignudo, libera qualcuno dal pericolo, cura le ferite di un malato, spende le ricchezze per oneste amicizie e non può essere spinto alla falsa testimonianza neppure con i tormenti", ti domando se queste opere buone le fa bene o male. Se le fa male, quantunque esse siano buone, non puoi negare che commette peccato appunto perché compie male qualcosa. Ma poiché non vuoi ammettere che, facendo tali azioni, egli fa peccato, senza dubbio dirai che egli compie buone azioni e le compie bene. Un albero cattivo dunque produce frutti buoni, cosa che la Verità nega possa avvenire. Non precipitare. Esamina piuttosto con attenzione cosa ti convenga rispondere. Puoi forse affermare che l'infedele è un albero buono? Piace dunque a Dio: al Buono non può non piacere ciò che è buono. E dove vanno a finire le parole: senza la fede è impossibile piacere a Dio 66? O forse risponderai che è un albero buono non in quanto è infedele, ma in quanto è un uomo? Di chi allora il Signore ha detto: Non può un albero cattivo produrre frutti buoni 67, dal momento che chiunque esso sia, può essere solo un uomo o un angelo? Ma se un uomo in quanto uomo è un albero buono, anche un angelo in quanto angelo è un albero buono. Entrambi sono opera di Dio, Creatore delle nature buone. Ma così non esisterà un albero cattivo, di cui è stato detto che non può produrre frutti buoni. Quale infedele pensa così infedelmente? Non in quanto uomo, pertanto, perché è opera di Dio, ma in quanto uomo di cattiva volontà, uno è albero cattivo e non può portare frutti buoni. Vedi dunque se puoi osare chiamare buona una volontà infedele.

La misericordia è buona se nasce dalla fede.

3. 31. Forse dirai: la volontà misericordiosa è buona. Sarebbe esatta questa affermazione se la misericordia fosse sempre buona come è sempre buona la fede di Cristo, la fede cioè operante per mezzo della carità 68. Ma se si trova una misericordia cattiva come quella per cui in giudizio viene esaltata la persona di un povero 69, o quella per cui il re Saul ha meritato dal Signore una condanna e con misericordia per giunta poiché, mosso da affetto umano, contro il suo comando, aveva perdonato il re prigioniero 70, rifletti seriamente se per caso la misericordia buona non sia se non quella di questa fede buona. Affinché possa vedere questo senza ombra di dubbio, dimmi se ritieni buona una misericordia senza fede. Se, infatti, è vizio aver misericordia in modo cattivo, senza dubbio è vizio aver misericordia senza fede. Se poi anch'essa di per se stessa per naturale compassione, è un'opera buona, di questa fa cattivo uso chi ne fa uso senza fede. Chi compie quest'opera buona senza fede, la compie male ed indubbiamente pecca chi compie male qualcosa.

La cattiva intenzione dei pagani nel fare il bene.

3. 32. Da questo si deduce che le stesse opere buone che compiono gl'infedeli non sono di loro, ma di Colui che fa buon uso dei cattivi. Sono di loro invece i peccati per i quali fanno male anche le cose buone, perché le fanno non con volontà fedele, ma infedele, vale a dire, le fanno con volontà stolta e nociva. Questa volontà - nessun cristiano ne dubita - è l'albero cattivo, che non può produrre se non frutti cattivi, cioè i peccati. Tutto ciò che non deriva dalla fede, infatti, che tu lo voglia o no, è peccato 71. Per questo Dio non può amare tali alberi e deciderà di tagliarli, se tali rimarranno, poiché senza la fede è impossibile piacere a Dio 72. Mi sto fermando su questo punto però come se tu non li avessi già dichiarati sterili. Come è possibile che tu non stia giocando in queste dispute o non stia delirando, se insisti a lodare i frutti di alberi sterili? Questi frutti o non esistono o, se sono cattivi, non debbono essere lodati. Se poi i frutti sono buoni, gli alberi non possono certo essere sterili, anzi debbono essere buoni, essendo buoni i loro frutti e debbono pure piacere a Dio, al quale i buoni alberi non possono non piacere. In tal caso però sarebbe falso quello che è scritto: Senza la fede è impossibile piacere 73.

La mediazione di Cristo necessaria alla salvezza di tutti.

3. 33. Cosa risponderai se non parole vuote? "lo ho dichiarato, tu dici, sterilmente buoni quegli uomini che non indirizzano a Dio le opere buone che compiono e che, di conseguenza, non ricevono da lui la vita eterna". Dio dunque, buono e giusto, condanna i buoni alla morte eterna? Mi rincresce finanche dire quante stupidaggini ti vengono dietro mentre pensi, dici, e scrivi tali cose e nel riprenderti in tali cose come censore, che anch'io non finisca di istupidirmi allo stesso modo. Brevemente, perché non succeda che, mentre in queste cose tu sbagli molto di più di quanto è ammissibile, io dia l'impressione di dibattere con te solo sulle parole. Cerca di comprendere le parole del Signore: Se il tuo occhio è malato, tutto intero il tuo corpo sarà tenebroso, se il tuo occhio è sano, tutto intero il tuo corpo sarà illuminato 74. Sappi vedere in quest'occhio l'intenzione con cui ognuno compie le sue opere e per questo riconosci che chi compie le opere buone senza l'intenzione della fede buona, di quella cioè che opera per amore, significa che quasi tutto il corpo, costituito da quelle opere come da membra, è tenebroso, pieno cioè dell'oscurità dei peccati. Come alternativa, in considerazione della tua ammissione che le opere degl'infedeli, che pur ti sembrano buone, non riescono a condurre gli uomini alla salvezza eterna ed al regno, sappi che noi siamo convinti che quel bene, quella buona volontà, quell'opera buona non possono essere concesse a nessuno senza la grazia di Dio per mezzo dell'Unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Solo attraverso quel bene è possibile arrivare al dono eterno di Dio ed al suo regno. Tutte le altre opere che sembrano poter meritare apprezzamento tra gli uomini, siano pur viste da te come vere virtù, come opere buone e fatte senza peccato. Per quanto mi riguarda questo so, che non le fa una volontà buona: una volontà infedele ed empia infatti non può essere buona. Volontà del genere, però, anche se da te sono dette alberi buoni, è sufficiente che siano sterili presso Dio, perché non siano buone. Siano pure fruttuose fra gli uomini per i quali sono anche buone, magari per tuo interessamento, per la tua lode e, se vuoi, mentre ne sei tu il piantatore, tu lo voglia o no, io rimango convinto che l'amore del mondo, per cui ciascuno è amico di questo mondo, non viene da Dio; che l'amore di gioire di qualsiasi creatura, senza l'amore del Creatore, non viene da Dio; che l'amore di Dio, infine, con cui si arriva fino a Dio non può derivare che da Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo con lo Spirito Santo. Per quest'amore del Creatore ciascuno fa buon uso anche delle creature. Senza quest'amore del Creatore invece, nessuno ne fa buon uso. Questo amore è necessario perché anche la castità coniugale sia bene beatifico, perché, quando si fa uso della carne del coniuge, l'intenzione sia rivolta non al piacere della libidine, ma alla volontà della procreazione, e perché qualora vinca il piacere e diriga l'azione a se stesso e non alla propagazione dei figli, si commetta un peccato veniale in virtù del matrimonio cristiano.

Perché gli uomini nascano sotto il potere del diavolo.

4. 34. Non ho mai detto quello che mi fai dire, dopo avere citate alcune altre parole del mio libro: che i figli, cioè, "sono soggetti al potere del diavolo per il fatto che nascono dall'unione dei corpi". Ben diverso infatti è dire "che nascono dall'unione dei corpi" e "per il fatto che nascono dall'unione dei corpi". La causa del male cioè non sta nel fatto che nascono dall'unione dei corpi. Anche nella ipotesi, infatti, che la natura umana non fosse stata viziata dal peccato dei primi uomini, i figli non avrebbero potuto nascere se non dall'unione dei corpi. Prima che rinascano nello spirito, coloro che nascono dall'unione dei corpi si trovano sotto il potere del diavolo, perché nascono per mezzo di quella concupiscenza, per cui lo spirito ha voglie contro la carne e che costringe lo spirito ad avere desideri contro di essa 75. Tra il bene ed il male non ci sarebbe questa lotta se nessuno avesse peccato. Come non c'era lotta alcuna prima della caduta, così non ce ne sarà alcuna quando scomparirà l'infermità.

La libidine negli animali non è un vizio.

5. 35. Proponi altre mie parole e ne fai un'abbondante disquisizione: "Poiché noi siamo composti di beni disuguali dei quali uno è comune agli dèi e l'altro alle bestie, l'anima deve avere il dominio sul corpo. La parte migliore, vale a dire l'anima, fornita di virtù, deve comandare bene alle membra del corpo ed alle passioni" 76. Non pensi però che alle passioni non si comanda come alle membra. Le passioni sono cattive e noi le freniamo con la ragione e le combattiamo con la mente. Le membra, al contrario, sono buone e le muoviamo secondo l'arbitrio della volontà, eccezion fatta dei genitali, quantunque anch'essi siano buoni in quanto sono opera di Dio. Essi sono chiamati "parti vereconde" perché sono mossi più facilmente dalla libidine che dalla ragione. Ad essi riusciamo solo ad impedire di giungere fino alla soddisfazione della eccitazione, a differenza del facile dominio che abbiamo sulle altre membra. Quando si fa cattivo uso delle membra buone se non quando si permette loro di assentire ai cattivi desideri che sono in noi? Tra di essi il più turpe è la libidine, la quale, se non trova resistenza, commette cose terribilmente immonde. Di questo male fa buon uso solo la castità coniugale. Questa libidine non è un male nelle bestie poiché non è in contrasto con la ragione, che esse non hanno. Perché dunque non credere che gli uomini nel paradiso terrestre, prima del peccato, abbiano avuto da Dio la possibilità di procreare i figli con movimenti tranquilli e tranquilla unione o mescolanza delle membra senza alcuna libidine o con una tale, la cui sollecitazione non prevenisse né andasse oltre la volontà? O forse per voi la libidine è poca cosa perché piace, a meno che non piaccia proprio perché vi sollecita mentre non volete o la contrastate? Di essa i pelagiani anche nelle controversie si gloriano come di un bene, mentre i santi tra i gemiti supplicano di essere liberati dal male.

Una calunnia di Giuliano.

6. 36. "Calunniosamente mi addossi la ridicola contraddizione di aver dichiarato alcuni rei per opere di bene ed altri santi per opere cattive, per il fatto di avere detto che gli infedeli, facendo uso del bene del matrimonio senza la fede, lo trasforrnano in colpa ed in peccato, mentre, al contrario, il matrimonio dei fedeli pone il male della concupiscenza al servizio della giustizia" 77. Io però non ho detto che alcuni diventano rei per opere di bene, ma per opere cattive, poiché fanno un cattivo uso di cose buone e neppure che altri diventano santi per opere cattive, ma per opere buone, poiché fanno buon uso di cose cattive. Se non vuoi capire o fingi di non capire, non molestare quelli che vogliono e possono capire.

Dio non è l'autore del male.

7. 37. "Pur se qualcuno potrebbe nascere cattivo, tu dici, non potrebbe mai essere trasformato in buono da un'abluzione". Alla stessa maniera dovresti dire: il corpo che è stato creato mortale, non può diventare immortale. Nell'un caso come nell'altro diresti una falsità. Dio infatti non l'ha creato cattivo quando ha creato l'uomo, ma il bene che egli ha creato ha contratto il male dal peccato, che Egli non ha creato. Risana invece questo male che non ha creato, nel bene che ha creato.

Il potere del diavolo è soggetto a Dio.

7. 38. Noi non diciamo che "il diavolo ha istituito il matrimonio", né che "ha inventato la mescolanza seminale dei due sessi", né che "è opera sua l'unione dei coniugi in vista della generazione". Sono tutte cose volute da Dio e tutte potrebbero benissimo esistere senza il male della concupiscenza, se il diavolo non avesse inferto la ferita della prevaricazione, dalla quale sarebbe derivata la discordia tra lo spirito e la carne. Non rifletti su te stesso e non arrossisci per la tua garrula loquacità con cui vai dicendo tante stupidaggini, quale per esempio quella che "il diavolo sorprenderebbe i coniugi nella loro unione e, come se li avesse sorpresi in un'azione di sua competenza, non permette che siano generati dei figli destinati ad essere liberi dalla rigenerazione"? Quasi che, se il diavolo potesse fare tutto quello che vuole, si asterrebbe dallo strangolare gli empi avanzati in età, posti sotto il suo potere, non appena egli scopra la loro disposizione a diventare cristiani. Non è affatto logico, come vai immaginando, che il diavolo si oppone con minacce e terrore ai genitori che si uniscono per procreare figli destinati alla rigenerazione. Attraverso la ferita inferta dal diavolo, per la quale zoppica tutto il genere umano, viene generato qualcosa, essendone Dio il Creatore, che da Adamo passa a Cristo. Tutta la schiera dei diavoli infatti non avrebbe potuto avere in suo potere neppure i porci se Cristo non lo avesse permesso ad essi che lo richiedevano 78. Occorre tenere presente altresì che il Signore sa suscitare la corona dei martiri dalle persecuzioni stesse del diavolo, che egli permette, facendo buon uso di qualsiasi genere di mali per l'utilità dei buoni. Anche nei coniugi che non pensano neppure alla rigenerazione dei figli o addirittura la detestano, è un'opéra buona del matrimonio la mescolanza dei sessi per la procreazione, ed il suo frutto è l'ordinata ricezione della prole. Essi tuttavia fanno cattivo uso di quel bene e peccano per il fatto che si gloriano di generare e di aver generato una prole empia. Gli uomini, infatti, macchiati quanto si voglia di peccati, per essere stati contagiati o per averli commessi, in quanto uomini sono sempre un bene, ed appunto perché sono un bene è bene che nascano.

Il fine della procreazione non giustifica l'adulterio.

7. 39. Ma perché "i figli siano generati, non è detto che si debbano commettere adulteri o stupri". Tu ritieni di poterci spingere a simili assurdità perché diciamo che il matrimonio produce il bene della prole dal male della libidine. Da questa nostra tesi vera e giusta in nessun modo può derivare la tua conclusione falsa e perversa. Per il fatto che Cristo ha detto: Procuratevi amici con la ricchezza iniqua 79, non per questo dobbiamo accrescere la nosra iniquità e commettere furti e rapine per nutrire con più larga generosità un numero maggiore di poveri. Allo stesso modo che con la ricchezza iniqua bisogna procurarsi gli amici che ci accolgano negli eterni padiglioni, così i coniugi dalla piaga del peccato originale debbono generare i figli destinati ad essere rigenerati per la vita eterna. Come non è permesso commettere furti, frodi, depredazioni per procurarsi, con l'aumento dei soldi attraverso i delitti, un maggior numero dei giusti amici poveri, così non bisogna aggiungere al male con cui siamo nati adulteri, stupri, fornicazioni perché nascano figli in maggior abbondanza. Altro è in verità fare buon uso di un male preesistente ed altro è commettere un male che non c'era. Nel primo caso si compie un bene volontario da un male contratto dai genitori; nel secondo caso si accresce il male contratto dai genitori con altre colpe personali e volontarie. Per la verità, è interessante notare che, mentre si dispensa lodevolmente ai bisognosi il denaro di iniquità, è molto più lodevole frenare la concupiscenza camale con la virtù della continenza anziché farne uso per il frutto del matrimonio. È tanto grande, infatti, il suo male che non farne uso è meglio che farne buon uso.

La grazia secondo la dottrina pelagiana.

8. 40. Dopo aver citato altre mie parole, chiacchieri molto contro di esse senza dire niente, riportando sul tappeto questioni che sono state chiuse in precedenti discussioni. Se anch'io volessi ripeterle, quando finiremmo? Tra le altre, ripeti la vostra asserzione contro la grazia di Cristo, già tante volte ripetuta: che cioè "appellandoci alla grazia, facciamo diventare buoni gli uomini per fatale necessità", mentre vi chiudono la bocca e vi bloccano la lingua i bambini stessi che non sanno ancora parlare. Con molta loquacità vi affannate, con la speranza di convicere gli altri, a ricostruire qualcosa che Pelagio stesso ha condannato nel tribunale dei Vescovi palestinesi, "che la grazia di Dio, cioè, viene data secondo i meriti". Non riuscite però a trovare nei bambini alcun merito per il quale coloro che vengono adottati quali figli di Dio possano distinguersi da coloro che muoiono senza aver ricevuto questa grazia.

La grazia proveniente.

8. 41. È una calunnia attribuire a me l'affermazione che "non ci si deve aspettare alcun impegno dalla volontà umana, in contrasto con le parole del Signore: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto 80". Vedo già che voi cercate di riporre qui i meriti che precedono la grazia, il chiedere appunto, il cercare, il bussare. A tali meriti sarebbe dovuta la grazia che, di conseguenza, non potrebbe chiamarsi più grazia, come se prima non ci fosse stata alcuna grazia che avesse toccato il cuore per poter chiedere a Dio un bene beatifico, o per poter cercare Dio o poter bussare a lui. A vuoto quindi sarebbe stato scritto: la sua misericordia mi previene 81, ed a vuoto saremmo comandati di pregare per i nostri nemici 82 se non fosse nelle sue possibilità convertire i cuori avversi e lontani.

L'universale volontà salvifica di Dio.

8. 42. Adducendo la testimonianza dell'Apostolo, affermi che: Dio apre a tutti quelli che bussano poiché egli vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità 83. Vorresti farci intendere, secondo il vostro insegnamento, che non tutti si salvano ed arrivano alla conoscenza della verità perché essi si rifiutano di chiedere mentre Dio vuole dare; si rifiutano di cercare mentre Dio vuol mostrare; si rifiutano di bussare mentre Dio vuole aprire. Questo vostro sentire lo confutano con il loro silenzio gli stessi bambini, che non chiedono, non cercano e non bussano, che anzi, mentre sono battezzati gridano, respingono, ricalcitrano, eppure ricevono, trovano, viene loro aperto ed entrano nel regno di Dio, dove per loro c'è la salvezza eterna e la conoscenza della verità. Sono molto più numerosi però i bambini che non ricevono l'adozione di questa grazia da Colui che vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità. Ad essi il Signore non può dire: io volevo e tu non hai voluto 84. Se infatti avesse voluto veramente, quale dei bambini, che non possiedono ancora l'arbitrio della volontà, avrebbe potuto resistere alla sua onnipotentissima volontà? Perché non prendere allora secondo la medesima accezione le due seguenti espressioni dell'Apostolo: Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità 85, e: Per l'opera di giustizia di uno solo perviene a tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita 86? (Dio infatti vuole che siano salvi ed arrivino alla conoscenza della verità tutti quelli ai quali, per l'opera di giustizia di uno solo, perviene la grazia che dà la giustificazione alla vita). Non ci si venga a dire perciò: Anche se Dio vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità, non giungono solo perché non vogliono. Perché mai tante migliaia di bambini, che muoiono senza aver ricevuto il battesimo, non arrivano al regno di Dio dove c'è la conoscenza della verità? Che forse non sono uomini o non sono compresi nelle parole tutti gli uomini? O forse si può dire che Dio vuole ed essi no, quando non sanno ancora volere e non volere e quando neppure quelli che, morti in tenera età dopo il battesimo, giungono per mezzo della grazia alla conoscenza della verità che è nel regno di Dio, hanno voluto essere rinnovati dal battesimo di Cristo? Dal momento quindi che né quelli che non vengono battezzati perché non vogliono, né questi vengono battezzati perché vogliono, per qual motivo Dio che vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità, permette che tanti, pur non opponendo alcuna resistenza alla sua volontà, non giungano al regno, dove c'è la vera conoscenza della verità?

Il caso dei bambini che muoiono senza battesimo.

8. 43. Forse potrai dire che la ragione per cui i bambini non sono nel numero di quelli che Dio vuole tutti salvi, sta nel fatto che godono già della salvezza, di cui si parla, non avendo contratto alcun peccato. Ne seguirebbe un'assurdità ancor più intollerabile. In tal maniera, infatti, rendi Dio più benevolo verso uomini empi e scellerati al massimo grado, anziché verso uomini del tutto innocenti e puri da ogni macchia di colpa. Dal momento che Dio, siccome vuole che tutti gli uomini si salvino, vuole anche che quelli giungano nel suo regno: è la conseguenza logica per essi, qualora si salvino. Coloro invece che non vogliono sono essi stessi a non volerlo. Dio stesso però si rifiuta di ammettere nel suo regno un immenso numero di fanciulli che sono morti senza battesimo ma non sono impediti da alcun peccato, come voi sostenete, e che si trovano nella condizione, da nessuno posta in dubbio, di impossibilità a resistergli con una volontà contraria. In tal modo accade che Dio vuole che siano cristiani tutti, ma di essi molti non vogliono, e che d'altra parte non vuole che lo siano tutti, mentre di essi non c'è nessuno che non vuole. Questo è contrario alla verità. Il Signore conosce quelli che Sono Suoi 87 e la sua volontà è ben determinata sulla loro salvezza e sul loro ingresso nel suo regno. In tal senso si debbono intendere le parole: Vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità 88, così come, alla stessa maniera s'intendono le altre parole: Per l'opera di giustizia di uno solo perviene a tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita 89.

Tutti coloro che si salvano, si salvano perché Dio vuole e li aiuta.

8. 44. Se poi credi che nella testimonianza dell'Apostolo "tutti" coloro che sono giustificati in Cristo debbano essere intesi per "molti" - molti altri infatti non sono vivificati in Cristo -, ti si può rispondere che, in tal modo, anche nell'altra espressione Vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, tutti coloro che egli vuole arrivino a detta grazia, debbano intendersi per "molti". Probabilmente però è molto più esatto interpretare che nessuno giunge se non colui che Dio vuole che giunga. Nessuno può venire a me, disse il Figlio, se il Padre che mi ha mandato, non lo abbia attratto 90. Ed ancora: Nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre mio 91. Tutti quelli che si salvano, dunque, ed arrivano alla conoscenza della verità, per suo volere si salvano e per suo volere arrivano. Anche quelli che, come i bambini, non hanno l'uso della volontà, sono rigenerati per suo volere così come essi sono stati creati per opera sua. Quelli invece che hanno l'uso della volontà non possono volere la salvezza se non per volontà e con l'aiuto di Colui che prepara la volontà 92.

In Dio non c'è ingiustizia.

8. 45. Se mi domandi: perché dunque egli non trasforma la volontà di tutti coloro che non vogliono? Ti risponderò: perché non affilia a sé con il lavacro di rigenerazione i bambini che muoiono mentre non hanno ancora la volontà e tanto meno ne hanno una contraria? Se ti accorgi che questo per te è molto più profondo di quanto tu possa comprendere, ti debbo dire che altrettanto profondi per entrambi sono l'uno e l'altro caso, vale a dire: per quale motivo Dio, nei grandi e nei piccoli, ad alcuni vuol prestare il suo aiuto e ad altri no? Eppure siamo fermamente convinti che presso Dio non c'è iniquità 93 per cui condanni alcuni senza demeriti, e che c'è la bontà, in virtù della quale egli libera molti senza meriti. In quelli che sono condannati, dimostra ciò che è dovuto a tutti; affinché quelli che sono salvati comprendano da quale pena dovuta sono stati prosciolti e quale perdono hanno ricevuto con una grazia non dovuta.

Il destino e la grazia.

8. 46. Voi non sapete pensare come si conviene a cuori cristiani, e preferite, secondo il vostro pensiero, sostenere che tutto ciò avviene per fatalità. È vostra, infatti, non nostra la sentenza che "deriva dalla fatalità tutto ciò che non deriva dai meriti". Affinché ora, in base a questa definizione non succeda che tutto quanto accade agli uomini derivi dalla fatalità se non deriva dai meriti, siete costretti ad affermare per quanto vi è possibile, meriti e demeriti, onde evitare che, togliendo i meriti, il fato diventi una conseguenza necessaria. Ma proprio per questo vi vien detto: se tutto ciò che l'uomo riceve senza meriti, deve avvenire necessariamente per fatalità, e se bisogna imbastire dei meriti, onde evitare che, tolti quelli, il fato diventi una conseguenza necessaria, bisogna dire che i bambini che non hanno meriti, sono battezzati per fatalità e per fatalità entrano nel regno di Dio, mentre, al contrario, i bambini che non hanno demeriti non sono battezzati per fatalità e per fatalità non entrano nel regno di Dio. Sono gli stessi bambini però, che non sanno ancora parlare, a dimostrarvi che siete piuttosto voi gl'inventori del fato. Noi, al contrario, affermando i demeriti dell'origine viziata, sosteniamo che un bambino entra nel regno di Dio in virtù della grazia perché Dio è buono, mentre un altro giustamente non vi entra perché Dio è giusto. In nessun caso esiste il fato: Dio fa quello che vuole. Quando sappiamo che Dio, a cui grazia e giudizio con voce fedele vogliamo cantare 94, condanna l'uno per giusta sentenza e assolve l'altro per gratuita misericordia, chi siamo noi per domandare a Dio: Per quale motivo condanni o assolvi l'uno piuttosto che l'altro? Un oggetto di creta dirà forse a chi l'ha modellato: Perché mi ha fatto così? Il vasaio non può disporre liberamente dell'argilla per origine viziata e condannata e formare dalla stessa massa qui un vaso di ornamento, secondo la misericordia, e là uno volgare, secondo la giustizia 95? Non li fa entrambi vasi di ornamento perché la natura, come se fosse senza colpa, non si reputi degna di averlo meritata; non li fa entrambi vasi "volgari", perché la misericordia trionfa del giudizio 96. In tal modo il condannato non si lamenta per la dovuta condanna ed il salvato non si gonfia superbamente del merito gratuito. Umilmente piuttosto rende grazie, quando in colui dal quale viene esigito il debito riconosce cosa gli viene condonato nella medesima circostanza.

La grazia e il libero arbitrio.

8. 47. Riferisci poi che in un altro libro ho scritto: "se si insiste nell'affermare la grazia si nega il libero arbitrio; se invece si insiste nell'affermare il libero arbitrio si nega la grazia". È una calunnia. Non l'ho mai detto, ma la stessa difficoltà della questione può aver indotto a pensare che io lo creda o l'abbia detto. Non credo superfluo riportare le mie parole precise affinché i lettori si rendano conto di come tu falsifichi i miei scritti e con quale coscienza abusi dei meno dotati e degli ignari, perché credano che stai rispondendo per il solo fatto che non vuoi stare zitto. Nell'ultima parte del mio primo libro al santo Piniano, intitolato La grazia contro Pelagio, scrivevo: "La questione sulla grazia ed il libero arbitrio è talmente difficile a comprendersi che quando si difende il libero arbitrio pare che si neghi la grazia, quando invece si asserisce la grazia si crede di togliere il libero arbitrio e via dicendo" 97. Da uomo onesto e veritiero, hai cancellato le parole che io ho detto ed hai detto quelle che hai immaginato. Ho detto che la questione è difficile a comprendersi e non che è incomprensibile. Molto meno posso aver detto quello che calunniosamente mi hai fatto dire: "se si insiste nell'affermare la grazia, si nega il libero arbitrio; se invece si insiste nell'affermare il libero arbitrio, si nega la grazia". Riporta le mie parole e si svuoterà la tua calunnia. Rimetti al proprio posto le parole "pare" e "si crede" e saranno evidenti gli inganni a cui ricorri in un argomento di tanta importanza. Non ho detto "si nega la grazia", ma "pare che si neghi la grazia". Non ho detto "si nega il libero arbitrio o si toglie", ma "si crede di togliere". Prometti quindi che "quando i libri cominceranno ad essere esaminati, porrai a nudo e distruggerai l'empietà delle mie tesi". Chi non aspetta la saggezza di chi parla, quando ha conosciuto la credibilità del mentitore?

La verginità fisica e spirituale.

8. 48. Che vuoi dire con le parole: "Non è necessario lodare la grazia dicendo che essa elargisce ai suoi beneficati quello che i peccati elargiscono agli empi"? Probabilmente le riferisci alla castità coniugale che credi l'abbiano anche gli empi. O uomo litigioso, dalla grazia viene concessa la vera virtù, non quella che si chiama virtù, ma non lo è. Perché poi metti insieme castità e verginità, quasi fossero dello stesso genere? La castità riguarda l'anima, la verginità il corpo. Quella può restare integra nell'anima, mentre questa può essere violentemente tolta nel corpo. Al contrario questa può restare integra nel corpo, mentre quella vien corrotta nell'anima da una volontà dissoluta. Per questo non ho detto che vero matrimonio, vera vedovanza e vera verginità, ma che "vera castità sia essa coniugale, vedovile o verginale, dev'essere chiamata solo quella che è unita alla vera fede" 98. Pertanto, si può essere sposati, vedovi, o vergini, ma non casti se ci si sporca con una volontà macchiata e se, con pensieri immondi, si pensa di perpetrare stupri. Tu insisti tuttavia nell'affermare che in essi c'è vera castità anche con la fornicazione nell'animo, della quale sono colpevoli tutti gli empi, come afferma la Sacra Scrittura.

Accuse di Giuliano sulla libidine.

8. 49. Chi di noi ha mai affermato che è peccato l'unione dei genitali, in cui il matrimonio fa buon uso del male della concupiscenza per procreare i figli? La concupiscenza non sarebbe un male se si eccitasse ad un lecita unione solo in vista della procreazione. Nella situazione attuale la castità coniugale, resistendole, diventa limite al male e perciò è buona. Non è vera pertanto la tua calunniosa asserzione che "il suo crimine rimane impunito per la religione" perché non c'è crimine quando per il bene della fede si fa buon uso del male della libidine. Né qui si può dire, come pensi: Facciamo il male perché ne derivi il bene 99, poiché il matrimonio in nessuna sua parte è cattivo. Non appartiene ad esso, infatti, il male che non ha fatto ma ha trovato negli uomini che i genitori generano. Nei progenitori, invece, che non sono nati da alcun genitore, l'inquieto male della concupiscenza carnale, di cui il matrimonio avrebbe dovuto far buon uso, si è aggiunto a causa del peccato e non del matrimonio, che ne sarebbe uscito giustamente condannato. Perché dunque mi chiedi "se, nei matrimoni cristiani, io chiami pudicizia o impudicizia il piacere dell'unione carnale"? Ti rispondo: Chiamo pudicizia non l'unione ma il buon uso di quel male.Questo buon uso fa sì che quel male non possa essere neppure chiamato impudicizia. L'impudicizia, infatti, è il cattivo uso di quello stesso male, così come è pudicizia verginale il non farne uso affatto. Salva, pertanto, la castità coniugale, con la nascita, da un male si contrae un male che sarà purificato con la rinascita.

La verginità di chi non ha fede.

8. 50. "Se a causa del male della libidine - tu dici - anche dagli sposi cristiani nasce una prole incriminata, ne segue che la castità verginale dev'essere apportatrice di felicità. Siccome, però, la si trova negli infedeli, questi, adornati della virtù della castità, sono superiori ai cristiani macchiati della peste della libidine". Non è così. T'inganni di molto. Non sono infatti macchiati dalla peste della libidine quelli che ne fanno buon uso, anche se generano figli macchiati dalla peste della libidine e destinati, di conseguenza, ad essere rigenerati, né si trova la castità verginale negli infedeli, anche se in essi si trova la verginità della carne. La vera castità non può dimorare in un'anima separata da Dio. Per questo motivo la verginità degli infedeli non è superiore al matrimonio dei fedeli: ma gli sposi che fanno buon uso del male sono superiori ai vergini che fanno cattivo uso di un bene. Quando i fedeli sposati, pertanto, fanno buon uso del male della libidine, "presso di loro" non si esercita, come calunniosamente affermi, "l'impunità del crimine in virtù della fede", ma, proprio in virtù della fede, in essi c'è non la falsa, bensì la vera virtù della castità.

Confronto della dottrina agostiniana con quella manichea.

8. 51. "Se qualcuno commette omicidio con la coscienza intimorita è reo perché ha avuto timore, mentre se commette qualche delitto con audace esultanza, quasi mosso dalla convinzione di farlo per la fede, sfugge alla colpa". Che importa a noi, se, a tuo dire, i manichei fanno quest'affermazione? Per la verità non ho mai sentito che i manichei dicano questo. Ma che importa a noi se lo dicono o se è solo una tua calunnia? A noi basta che non lo dica la fede cattolica che noi possediamo e col cui peso ti schiacciamo. Al di fuori della fede, infatti, noi riteniamo che non sono veramente buone quelle opere che sembrano tali, perché le opere veramente buone debbono piacere a Dio 100. Siccome non è possibile piacere a Dio senza la fede, ne segue che non può esserci un'opera veramente buona senza la fede. D'altro canto le opere apertissimamente cattive, non le fa la fede, la quale opera per mezzo della carità 101, perché la carità non fa male al prossimo 102.

La concupiscenza naturale non è buona.

8. 52. "Si deve dichiarare buona - tu dici - la concupiscenza naturale" (vergognandoti però di dire carnale), che, "mantenuta entro la sua misura, non è macchiata da colpa alcuna di peccato". Come può essere mantenuta nella sua misura, ti scongiuro, come può essere mantenuta se non quando le si resiste? E perché le si resiste se non perché non ci riempia di cattivi desideri? E come può essere buona?.

La vergogna provata dalla prima coppia dopo il peccato.

9. 53. Arrivi anche alle parole del mio libro dove affermo: "Quei primi coniugi il cui matrimonio fu benedetto da Dio, con le parole: crescete e moltiplicatevi 103, non erano forse nudi e non arrossivano 104? Per quale motivo dunque, dopo il peccato, da quelle membra derivò un disordine, se non perché sopravvenne un movimento illecito, che certamente non ci sarebbe stato nel matrimonio se gli uomini non avessero peccato?" 105. Avendo dapprima notato che secondo la S. Scrittura queste mie parole sono state poste in maniera tale che, chiunque abbia letto o leggerà quel passo del Genesi finirà per approvare quanto io ho scritto, hai sudato molto per contraddirmi con una lunghissima disputa, ma hai mancato di sincerità. Sei rimasto fermo sulla tua tesi distorta quantunque l'esperienza dimostri che tu non sei riuscito a scardinare la mia tesi giusta. Del tuo contraddittorio tralascio i gesti e i vanti, frutti di un individuo ansimante ed incapace di arrivare dove si propone, ma che tuttavia, entro la nebulosità in cui si nasconde, finge di esserci giunto. Con l'aiuto del Signore, però, esaminerò le frasi fondamentali del tuo discorso e le stritolerò, affinché chi leggerà le tue e le mie parole possa vederne a terra sconfitto tutto il corpo, soprattutto rendendosi conto che le cose ripetute da te in mille modi, sono state spesso distrutte da me.

Il matrimonio prima del peccato.

9. 54. Tra l'altro affermi che "io sono persuaso di poter dimostrare che Dio ha istituito un matrimonio spirituale per il fatto che dopo il peccato, i primi uomini, vergognandosi, coprirono le membra in cui risiede la libidine". Se il matrimonio senza la libidine è spirituale, ne segue, sulla tua autorità, che saranno spirituali anche i corpi quando non ci sarà la libidine. O per caso siete propensi ad amare questa libidine al punto da ritenerla presente nei corpi risuscitati, così come ritenete che sia stata presente nei corpi che erano nel paradiso prima del peccato? Non dico affatto, come mi fai dire, che "non è naturale quello senza di cui la natura non può sussistere". Dico soltanto che si chiama naturale quel vizio senza di cui, nelle condizioni attuali, la natura umana non nasce, quantunque all'inizio essa non sia stata creata tale. Per questo motivo quel male non ha avuto origine dalla creazione della natura, bensì dalla cattiva volontà del primo uomo e non rimarrà, ma sarà condannato o sanato.

Il pudore.

9. 55. Paragoni la mia tesi "ad una cimice che come dà fastidio da viva, così puzza quando viene schiacciata". Vorresti dire che quasi "ti vergogni di schiacciarmi con una vittoria", oppure che "hai in orrore l'inseguirmi ed il distruggermi come se io sconfitto mi nascondessi nel sudiciume". La ragione sta nel fatto che "il tuo pudore, quasi custode del tempio, ti toglie la libertà di parola nella parte del tuo discorso, in cui dovresti schiacciarmi o annientarmi, appunto perché sei costretto a trattare argomenti che generano rossore". Perché mai non riesci a parlare liberamente del bene che vai lodando? Perché mai non dovrebbe esservi libertà di parlare di un'opera di Dio, se la sua dignità è rimasta incontaminata e se il peccato non vi ha prodotto alcunché che ingenerasse pudore e togliesse la libertà di parola?

La libidine è una malattia.

10. 56. "Se non c'è matrimonio senza libidine, tu continui, e voi in linea generale condannate la libidine, automaticamente condannate anche il matrimonio". Di questo passo potresti dire: "se si condanna la morte bisognerà condannare tutti i mortali". Se la libidine derivasse dal matrimonio, non esisterebbe prima del matrimonio o al di fuori di esso. Tu dici: "Non può essere chiamata malattia qualcosa senza di cui non esiste matrimonio, poiché il matrimonio può esistere senza peccato, mentre la malattia è dichiarata peccato dall'Apostolo". Ti risponderò dicendo che non ogni malattia è detta peccato. Questa malattia invece è una pena del peccato, senza di cui non può esistere la natura umana non ancora sanata in ogni sua parte. Se poi la libidine non può essere un male perché senza di essa non può esserci il bene del matrimonio, da un altro punto di vista il corpo non può essere buono, perché senza di esso non si può commettere il male dell'adulterio. Questo è falso e così pure quello. Chi ignora d'altra parte il comando rivolto agli sposati dall'Apostolo: che ciascuno sappia possedere il proprio corpo (vale a dire la propria moglie) non seguendo la spinta della concupiscenza come i pagani che non conoscono Dio 106? Chi legge l'Apostolo su questo argomento ti abbandonerà. Non ti vergogni inoltre di introdurre o di ritenere presente nei coniugi prima del peccato la libidine che tu stesso, benché con un po' di rossore, riconosci come male? Non sei forse tu che ti nascondi nel sudiciume quando t'incoroni con la libidine della carne e del sangue come di un roseo fiore di paradiso e, piacevolmente soffuso di tale colore, arrossisci e nello stesso tempo lodi?

L'unione dei sessi nell'ipotesi che l'uomo non avesse peccato.

11. 57. Come è possibile trovare tanto diletto nel chiacchierare per dimostrare con una lunga disquisizione cose che già professiamo ed insegniamo, come se le negassimo? Chi nega, infatti, che ci sarebbe stata ugualmente l'unione dei sessi se non ci fosse stato di mezzo il peccato? Al pari delle altre membra, anche i genitali sarebbero stati mossi dalla volontà e non eccitati dalla libidine, oppure, se vogliamo, sarebbero stati mossi dalla libidine (non intendiamo rattristarvi troppo a suo riguardo) ma non quale essa è, bensì da una libidine posta al servizio della volontà. Veramente voi, per difendere la vostra protetta, vi affannate con tanta fedeltà che patireste violenza se non la collocaste anche nel paradiso quale essa è in questo momento. Voi dite che ivi essa non è diventata tale per il peccato, ma che sarebbe rimasta tale anche se nessuno avesse peccato. In quella pace si sarebbe combattuto con essa, o per non combattere, sarebbe stata appagata ogni qualvolta si fosse eccitata. Oh sante delizie del paradiso! Oh pudore di tanti vescovi! Oh fedeltà di tanti casti!

L'autorità dei filosofi nella questione sul pudore.

12. 58. Con la pretesa di dimostrare che non tutto ciò che si copre, lo si copre per la vergogna derivante dal peccato, ti dilunghi nel ricordare le numerose parti del corpo che normalmente portiamo coperte. Quasi che quelle parti fossero state coperte solo dopo il peccato, come hanno fatto quei primi uomini, di cui stiamo discutendo, che dopo il peccato hanno ricoperto quelle parti vergognose, che, prima del peccato, non erano né vergognose né coperte. "Nel libro di Tullio, tu dici, Balbo ne ha parlato molto diligentemente con Cotta" 107. Spinto da questo, continui e fai alcune osservazioni per accrescere la mia vergogna, poiché, pur con il magistero della Sacra Legge, non ho compreso cose alla cui conoscenza i gentili sono potuti arrivare col solo aiuto della ragione. E riporti le parole di Balbo dal libro di Cicerone per insegnarci cosa gli stoici abbiano pensato delle differenze fra maschi e femmine negli animali muti e cosa abbiamo pensato dei genitali e della mirabile attrazione dell'unione dei corpi. Tuttavia prima di citare le parole di Tullio o di qualsivoglia altro, con molta cautela hai voluto ammonire che "egli ha colto l'occasione di trattare della funzione dei sessi, parlando degli animali, poiché per pudore aveva tralasciato di trattarla nella descrizione dell'uomo". Che vuol dire "per pudore"? Che forse il pudore viene offuscato nel sesso dell'uomo, nel quale Dio opera in maniera più degna come si conviene in una natura più eccellente? Gli stoici ti hanno insegnato a parlare delle cose occulte, non ad arrossire di quelle vergognose. Successivamente aggiungi "in che modo egli descriva l'uomo nel suo parlare; in qual modo esponga che lo stomaco sta al di sopra dell'intestino e come esso sia il ricettacolo dei cibi e delle bevande; come i polmoni ed il cuore ricevano l'aria dall'esterno; come nell'intestino avvengano cose mirabili con l'aiuto dei nervi e come esso, molteplice e tortuoso, trattenga e contenga tutto quello che ha ricevuto, secco o umido che sia, e tante altre cose del genere fino alla descrizione del modo in cui vengono espulsi gli avanzi dei cibi con la contrazione o il rilassamento degli intestini". Avendo potuto descrivere questi processi nelle bestie, per quale motivo è passato a descriverli nell'uomo, se non perché essi non sono vergognosi, così come non era stato vergognoso descrivere nelle bestie i genitali e la funzione dei sessi, cosa che invece è vergognoso fare negli uomini? La ragione è la stessa per cui dopo il peccato i genitali sono stati ricoperti con foglie di fico. Nella descrizione del corpo umano, giunto al punto dove si tratta dell'espulsione degli avanzi dei cibi, scrive: "In verità non è difficile dire come avviene. È bene tuttavia non parlarne affinché il discorso non abbia qualcosa di sgradevole". Non ha detto: "affinché il discorso non abbia qualcosa che ingeneri confusione o vergogna", ma: "non abbia qualcosa di sgradevole". Altro è ciò che infonde terrore ai sensi per la propria deformità ed altro è ciò che infonde pudore alle menti, pur se è bello. Quello offende il gusto; questo invece muove la libidine o da essa è mosso.

Il valore delle citazioni dei filosofi.

12. 59. Qual giovamento dunque ti portano queste cose? "Lo stesso nostro Creatore - tu dici - non ha conosciuto alcun difetto nella sua arte per occultare con tanta diligenza i nostri organi vitali". Ben lontano sia in verità che tanto Creatore possa aver conosciuto qualche difetto nella sua arte. Il motivo per cui li ha nascosti l'hai dichiarato tu stesso poco sopra: "perché non si rovinassero o incutessero paura". Gli organi che i primi coniugi hanno ricoperto con foglie di fico 108 non si rovinavano né incutevano paura allorquando erano nudi e non arrossivano 109. a riservatezza della pudicizia ora evita di guardare quelle membra affinché la vista di esse non alletti più che spaventi. Hai sperato invano, dunque, che la tua tesi potesse essere aiutata dalla testimonianza degli stoici, non essendo propriamente favorevole ad essi, che non hanno riposto alcuna particella di bene umano nel piacere del corpo. Essi hanno preferito del resto lodare la libidine nelle bestie più che negli uomini, al contrario di come hai fatto tu. Tullio invero, in armonia con la loro opinione, dice da qualche parte di non credere che "il bene di un montone sia identico a quello di Publio l'africano". Questa espressione avrebbe dovuto ammonirti meglio su cosa avresti dovuto pensare della libidine degli uomini.

Cicerone riconosce la miseria della condizione umana, pur ignorandone la causa.

12. 60. Se hai piacere che diciamo ancora qualcosa su tali scritti letterari, poiché anche in essi si trovano parecchie vestigia di verità, credo sia tuo dovere confessare apertamente che le parole citate da te non hanno valore alcuno contro di noi. Esamina piuttosto se quello che sto per dire non sconvolga la tua asserzione. Nel terzo libro Sulla Repubblica, lo stesso Tullio dice che "l'uomo è venuto alla luce da una natura non madre, ma matrigna, con un corpo nudo, fragile, debole e con l'anima ansiosa per le angustie, trepidante per i timori, fiacco per le fatiche, incline al piacere, ma che tuttavia, quasi sepolto in lui, c'è il fuoco divino dell'ingegno e della mente" 110. Cosa rispondi? Lo scrittore non ha fatto derivare questi mali dalle cattive abitudini dei viventi, ma ha incolpato la natura. Ha visto la realtà, ne ha ignorata la causa. Gli era sconosciuto il motivo per cui era imposto un giogo pesante sui figli di Adamo dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti 111. Non conoscendo la Sacra Scrittura, ignorava il peccato originale. Se avesse sentito bene della libidine che tu difendi, non gli sarebbe dispiaciuto che l'animo fosse ad essa incline.

Cicerone chiama le libidini parti viziose dell'animo.

12. 61. Se poi difendi la libidine come un bene inferiore verso cui l'animo non deve piegarsi dai beni superiori, non perché sia un male ma solo perché è l'infimo dei beni, ascolta le parole ancora più chiare che lo stesso autore scrive nel terzo libro Sulla Repubblica, parlando della ragione del comando: "non vediamo noi che dalla natura stessa è stato dato a tutti i migliori un dominio con grande utilità per i deboli? Perché Dio comanda all'uomo, l'anima al corpo e la ragione alla libidine, all'ira ed alle altre forze viziose della stessa anima?" 112. Secondo l'insegnamento di costui, riconosci alfine che sono forze viziose dell'anima quelle che tu ritieni buone? Ascolta ancora: "È necessario conoscere, aggiunge poco dopo, le differenze tra il comandare e il servire. Come diciamo che l'anima comanda al corpo così diciamo che comanda anche alla libidine: al corpo come il re ai suoi cittadini o il padre ai figli; alla libidine, invece, come il padrone ai servi, perché la reprime e la spezza. Le disposizioni dei re, degli imperatori, dei magistrati, dei genitori, dei popoli comandano ai cittadini o agli alleati, come l'anima al corpo. I padroni invece opprimono i servi come la sapienza, la parte più nobile dell'animo, sovrasta le altre forze viziose e deboli, quali la libidine, l'ira e le altre passioni". Hai ancora da blaterare contro di noi qualcosa tratta dagli scrittori di letteratura profana? Se cercassi di sapere quello che dici a favore di questo errore - che Dio voglia allontanare da te! - contro tanti vescovi, esimi interpreti delle parole divine, ed in qual modo stai resistendo alla loro santità, cosa potrà rappresentare per te Tullio perché tu non gli rinfacci che su questo argomento ha vaneggiato e delirato? Lascia perdere dunque i libri di quel genere e non voler insegnarci da essi qualcosa con tono sprezzante, affinché non accada che, mentre credi di essere innalzato, non venga schiacciato dalle loro testimonianze.

Il movimento dei genitali prima del peccato non era indecoroso.

13. 62. Cosa hai creduto invano di argomentare dall'eccitazione della donna, di cui essa stessa si vergogna? La donna non ha coperto infatti un movimento visibile, ma, avendo nelle stesse membra una sensazione occulta, simile a quella dell'uomo, entrambi hanno coperto quelle parti che nel reciproco sguardo entrambi avevano sentite mosse in se stessi ed entrambi erano arrossiti per se stessi o l'uno per l'altro. Continuando a parlare vanamente, chiedi che "le vereconde orecchie ti perdonino e, più che indignarsi, si lamentino per la tua dura necessità". Perché mai provi dell'imbarazzo nel parlare delle opere di Dio? Perché chiedi che ti si perdoni? La richiesta di perdono da parte tua non è forse anch'essa una accusa della libidine? "Se il membro dell'uomo, tu dici, poteva eccitarsi anche prima della colpa, non è stata introdotta alcuna novità". Sì, poteva eccitarsi anche prima, ma non era indecente, tale cioè da ingenerare vergogna. Lo muoveva infatti il comando della volontà e non la carne con voglie opposte allo spirito. Proprio qui sta la novità vergognosa che la vostra nuova dottrina difende con impudenza. In linea generale, non ho mai condannato il moto dei genitali, o, come tu dici "affermativamente". Ho semplicemente condannato il moto prodotto dalla concupiscenza, per la quale la carne ha voglie opposte allo spirito 113. Se il tuo errore lo difende come un bene, non saprei proprio in qual modo il tuo spirito possa avere desideri opposti ad essa, opposti, cioè, ad un male.

La disobbedienza delle membra conseguenza della disobbedienza dell'uomo.

13. 63. "Se la libidine si trovava nel frutto di quell'albero, tu dici, essa si rivela come opera di Dio e, di conseguenza, è difesa anche come buona". Ti rispondo: la libidine non si trovava nel frutto dell'albero, che, di conseguenza, era buono. Cattiva è la disobbedienza della libidine, che è sorta dopo la disobbedienza dell'uomo commessa nell'albero, mentre Dio l'abbandonava a se stesso. Sia ben lontano il pensare che Dio, in qualunque età della vita umana o in qualunque tempo, da un albero buono abbia conferito un beneficio, a causa del quale gli uomini avessero nelle membra un avversario contro cui la pudicizia dovesse combattere.

Giuliano loda la concupiscenza, ma condanna la lussuria.

13. 64. Sappiamo bene che "l'apostolo Giovanni, quando scriveva: Tutto ciò che è nel mondo: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, il tronfio orgoglio della vita, non è dal Padre, ma è dal mondo 114, non ha inteso condannare questo mondo, vale a dire, il cielo e la terra e tutto ciò che c'è in esso di sostanziale, poiché proviene dal Padre per opera del Figlio". Sappiamo tutto questo. Non ce lo insegnare. Volendo spiegare la concupiscenza della carne che l'Apostolo esclude possa derivare dal Padre, hai detto che "con essa si deve intendere la lussuria". Ma se ti domando a cosa si debba acconsentire perché si abbia la lussuria e cosa si debba contrastare perché non la si abbia, la tua tesi ti è di fronte: rifletti se è ancora da lodarsi quello che è lussuria se gli acconsenti o è continenza se gli resisti. Mirabile sarebbe che decida se debba maggiormente disprezzarla insieme alla lussuria, che si ha acconsentendole, oppure se debba lodarla con la continenza che le dichiara guerra. In questa guerra la castità è la vittoria della continenza la lussuria quella della concupiscenza. Saresti giudice incorrotto ed integro, nel lodare la continenza e nel disprezzare la lussuria; pur tuttavia tratti come una persona la concupiscenza (vedi tu perché hai paura di offenderla!) così da non arrossire nel lodarla insieme alla sua avversaria e da non avere il coraggio di disprezzarla insieme alla sua vittoria. Lungi sia che qualche uomo di Dio ti ascolti quando disprezzi la lussuria per approvarti poi quando lodi la concupiscenza, cosicché dal tuo parlare ritenga un bene quello che in se stesso sperimenta come un male. Chi inoltre nella lotta sconfiggerà la concupiscenza, che a torto esalti, non avrà la lussuria che tu giustamente disprezzi. Come potremo però obbedire all'apostolo Giovanni, se amiamo la concupiscenza della carne? Mi dirai: Non è lei che esalto. Qual è dunque quella che Giovanni esclude venga dal Padre? La lussuria, risponderai. Ma non saremo lussuriosi se non quando ameremo la concupiscenza che lodi. Proprio per questo, quando l'Apostolo diceva: non amate la concupiscenza della carne, voleva che noi non fossimo lussuriosi. Quando ci viene proibita la lussuria, quindi, ci viene proibito di amare la concupiscenza della carne lodata da te. Siccome questa però, che ci è proibito di amare non è dal Padre, anche la concupiscenza che tu esalti non viene dal Padre. Due beni infatti che vengono dal Padre non possono combattersi tra di loro. La continenza e la concupiscenza invece si combattono tra di loro. Decidi quale delle due vorresti che venga dal Padre. Vedo la tua perplessità: saresti favorevole alla concupiscenza, ma arrossisci per la continenza. Ebbene, vinca il tuo pudore e da esso sia sconfitto il tuo errore. E poiché dal Padre viene la continenza con cui è sconfitta la concupiscenza della carne, ricevi da lui la continenza per la quale giustamente sei arrossito e sconfiggi la concupiscenza, che con bocca malvagia hai esaltato.

Il piacere dei sensi.

14. 65. Hai perfino ritenuto opportuno chiedere l'aiuto del piacere di tutti i sensi, come se il piacere degli organi genitali con così grande avvocato non fosse sufficiente a se stesso, se non gli venisse in soccorso la schiera dei colleghi. Ritieni "logico, infatti, che dovremmo dire derivati dal diavolo e non da Dio i sensi della vista, dell'udito, del gusto, dell'odorato, del tatto, se ammettiamo che la concupiscenza della carne, a cui ci opponiamo con la continenza, non esisteva nel paradiso prima del peccato, ma è sopraggiunta a causa del peccato, ispirato al primo uomo dal diavolo". In tal modo non sai o fingi di non sapere che, in qualsiasi senso del corpo, altro è la vivacità, l'utilità e la necessità di sentire ed altro la libidine del sentire. La vivacità del sentire si ha quando, in misura maggiore o minore, uno riesce a percepire nelle stesse cose materiali ciò che è vero a seconda del loro modo o della loro natura distinguendolo più o meno dal falso. L'utilità del sentire sta nel determinare quello che si deve approvare o riprovare, accettare o respingere, desiderare o evitare per il corpo e la vita che ci portiamo appresso. La necessità del sentire si ha quando i nostri sensi sono costretti a percepire anche le cose che non vogliono. La libidine del sentire invece, di cui ora trattiamo, è quella che ci spinge a sentire il desiderio del piacere carnale sia che la nostra mente è favorevole, sia che è contraria. Essa è avversa all'amore della sapienza ed è nemica delle virtù. Per quanto attiene all'unione dei due sessi, il matrimonio fa buon uso di questo male quando i coniugi generano i figli per mezzo di esso, ma non fanno nulla solo per esso. Se avessi voluto o potuto distinguerlo dalla vivacità, dall'utilità e dalla necessità dei sentire, avresti compreso quanto vanamente hai detto tante cose superflue. Il Signore infatti non ha detto: chiunque guarda una donna, ma chiunque guarda una donna desiderandola ha già commesso in cuor suo adulterio con lei 115. Se non sei ostinato, ecco la distinzione tra il senso del vedere e la libidine del sentire. Quello l'ha creato Dio quando ha formato il corpo; questa l'ha seminata il diavolo, quando ha ispirato il peccato.

Il desiderio del piacere sensibile dev'essere vinto.

14. 66. Gli uomini pii dunque lodino il cielo e la terra e tutto ciò che c'è in essi e attraverso di essi lodino Dio per la loro bellezza, non per l'ardore della libidine. Il religioso e l'avaro in maniera diversa lodano lo splendore dell'oro: l'uno con la venerazione per il Creatore, l'altro con l'ansia di possedere la creatura. Un canto sacro muove certamente l'animo all'amore della pietà: se anche qui viene riprovata la libidine dell'ascolto, qualora si desideri il suono e non il significato, quanto a maggior ragione dev'essere provata se si diletta nel sentire canzoncine vuote e magari sporche? Gli altri tre sensi più attinenti al corpo ed in certo senso più grossolani, non si proiettano fuori, ma compiono all'interno quanto compete loro. L'odorato si distingue da chi odora; il sapore da chi gusta ed il tatto da chi tocca. Non sono infatti la stessa cosa il caldo e il freddo o il liscio o il rude; né questi sono la stessa cosa che il molle e il duro, così come da essi si distingue notevolmente il pesante e il leggero. Quando in tutte queste cose si evitano le molestie, quali il puzzo, l'amaro, il caldo, il freddo, il rude, il duro, il pesante, si ha ricerca di comodità, non libidine del piacere. I contrari di queste cose, che accettiamo tranquillamente, quando non hanno rilevanza per la salute o per l'allontanamento del dolore e della fatica, anche se sono accettati con una certa soddisfazione quando ci sono, non debbono essere desiderati con libidine quando non ci sono. Non è bene il desiderarli. Simile appetito infatti dev'essere domato e sanato anche nelle cose di qualsiasi genere. Quale uomo, quantosivoglia castigatore della propria concupiscenza, entrando in un luogo impregnato di profumo d'incenso, può evitare di sentirne il soave odore, a meno che non chiuda le narici o con forza di volontà si alieni dai sensi del corpo? Uscendo da quel luogo, avrà forse desiderio di esso in casa o dovunque vada? Qualora poi lo desideri, dovrà forse saziare questo desiderio o non piuttosto frenarlo ed agire con lo spirito contro le voglie della carne, finché non giunga alla sua primitiva sanità, nella quale non avrà più desideri del genere? È una piccola cosa ma è come è scritto: chi disprezza il poco, muore a poco a poco 116.

Il piacere e la necessità di mangiare.

14. 67. Abbiamo bisogno del sostegno degli alimenti. Se non fossero piacevoli non li potremmo neppure prendere e con nausea li respingeremmo: dobbiamo anche guardarci da pericolosi fastidi. La debolezza del nostro corpo ha bisogno non solo del cibo, ma anche del suo sapore, non per appagare la libidine, ma per salvaguardare la salute. Quando la natura pertanto richiede in certo modo i sussidi che le mancano, non si chiama libidine, ma solo fame o sete. Quando, però, dopo aver consumato il necessario, l'amore del cibo sollecita ulteriormente l'animo, già è libidine, già è male cui non bisogna cedere ma resistere. Queste due cose la fame, cioè, e l'amore del mangiare le distingue anche il poeta, quando, dopo il travaglio del mare, giudicando essere stato sufficiente per i compagni di Enea, naufraghi e forestieri, l'aver preso tanto cibo quanto ne richiedeva la necessità di mangiare, scriveva:

...saziata la fame e tolte via le mense... 117

Lo stesso Enea, invece, quando fu ricevuto ospite da Evandro, ritenendo giustamente che il banchetto regale più ricco offriva da mangiare in misura superiore al necessario, non ritenne sufficiente dire:

saziata la fame,

ma aggiunge:

soddìsfatto l'amore del mangiare 118

Quanto a maggior ragione spetta a noi conoscere e distinguere quale sia la necessità di mangiare e quale il piacere della voracità. È compito nostro nutrire con lo spirito desideri avversi alle voglie della carne, dilettarci della legge di Dio secondo l'uomo interiore 119, e non offuscare minimamente la serenità del suo gusto con piaceri libidinosi. Questo piacere del mangiare, dunque, lo si deve reprimere non col mangiare, ma con l'astinenza.

Nel paradiso nessun eccesso.

14. 68. Chi, sobrio di mente, non preferirebbe, se fosse possibile, prendere cibi o bevande senza alcun pungente piacere carnale, così come prendiamo gli alimenti gassosi, che assorbiamo o emettiamo dall'aria che ci circonda aspirando ed espirando? Questo alimento che prendiamo senza intermissione con la bocca e col naso, non sa di niente e non ha alcun odore, eppure, senza di esso, non possiamo vivere neanche per un piccolo intervallo di tempo, mentre possiamo stare a lungo senza cibo o bevanda. Purtuttavia non se ne avverte il bisogno, ma solo il fastidio, quando si chiudono la bocca e le narici oppure quando, per decisione della volontà, interrompiamo per un tantino, fino a quando lo permette il fastidio stesso, il compito dei polmoni, con cui, come con dei mantici, a movimenti alternati aspiriamo o emettiamo respiri vitali. Quanto saremmo più felici se potessimo prendere cibo e bevanda ad intervalli lunghi, come ora, o ad intervalli ancor più lunghi, senza l'allettante soavità del sapore. Quanto fastidio e quanta rovina allontaneremmo! Se quelli che prendono gli alimenti con temperanza in questa vita sono chiamati parchi e sobri e giustamente sono tenuti in onore - non mancano in verità coloro che prendono il cibo solo nella misura richiesta dalla natura o anche in misura inferiore, preferendo, nel caso dovessero sbagliarsi nel misurare il necessario, aver mangiato di meno anziché di più - quanto a maggior ragione è necessario ritenere che, in quella dignità originaria ci sarebbe stata una misura onesta nel prendere il cibo, per offrire al corpo animale solo il necessario, senza eccedere in nulla la misura naturale, così come bisogna ritenere che si siano comportati i primi uomini nel paradiso?

L'ipotesi della libidine nel paradiso.

14. 69. Non si può passare sotto silenzio che alcuni, non disprezzabili espositori della parola di Dio, sono propensi a credere che nel paradiso non c'era alcun bisogno di tale alimento, ma che lì vi sarebbe stato il solo piacere ed il solo alimento del quale si diletta e si ciba il cuore dei sapienti. È stato scritto: Maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra 120. Sono d'accordo con quelli che intendono queste parole secondo il sesso corporeo e visibile, così come le altre che seguono: Poi Dio disse: ecco, io vi dò ogni sorta di graminacee produttrici di semente, che sono sulla superficie della terra ed anche ogni sorta di alberi in cui vi sono frutti portatori di seme: costituiranno il vostro nutrimento. Ma a tutte le fiere della terra, a tutti i volatili del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è l'alito di vita, io dò come nutrimento le erbe verdi 121. Essi intendono queste parole nel senso che entrambi i sessi facevano uso dei medesimi alimenti di cui si servivano anche gli altri animali e da essi ricevevano un congruo sostentamento necessario al corpo animale, sia pure immortale sotto un certo aspetto, perché non fosse rovinato dalla necessità; dall'albero della vita invece per non essere condotti a morte dalla vecchiaia. Per nessun motivo però sarei disposto a credere che, in quel luogo di tanta felicità, la carne abbia potuto avere voglie opposte allo spirito e lo spirito contro la carne e che, a causa di questo conflitto, essi siano vissuti senza pace interiore, o che lo spirito non abbia contrastato i desideri della carne o che li abbia appagati con turpe sottomissione, ogni qualvolta la libidine avesse suggerito qualcosa. Bisogna dunque concludere che lì non c'era alcuna concupiscenza della carne, ma si viveva in modo tale che tutto il necessario veniva ottenuto con appropriati compiti delle membra, senza alcun movimento libidinoso - non perché non viene seminata con la libidine, infatti, ma solo dal volontario movimento delle mani dell'agricoltore, la terra non concepisce i suoi frutti da partorire - oppure, per non offendere troppo quelli che in qualche modo difendono i piaceri del corpo, che ivi c'era la libidine dei sensi carnali, ma in tutto soggetta alla volontà razionale, che era presente solo per servire alla salute del corpo o alla propagazione della stirpe ed in misura tale da non distrarre per nulla la mente dalla gioia della celeste contemplazione, escludendo qualunque vano o importuno movimento. Da essa insomma sarebbe derivato solo il giovamento e nulla sarebbe stato fatto per essa.

L'uso del piacere inevitabile.

14. 70. Quanto diversa sia nella realtà attuale, lo sanno molto bene quelli che la combattono. Si insinua infatti in quelli che vedono o sentono qualcosa, anche se vedono o sentono per altri motivi, con moto improvviso tra le cose necessarie che nulla hanno a che fare con essa, per carpire una voluttuosa sensazione sia pure escludendo la percezione del piacere di toccare. E negli stessi pensieri, anche quando nulla di scabroso appare dinanzi agli occhi o risuona nelle orecchie, quanti ricordi di cose già svanite o sopite essa non cerca di risvegliare insieme a turpi ricordi? Quanto strepito non crea nelle sante e caste intenzioni col frastuono di sordidi richiami? Quando poi si arriva all'uso del piacere necessario, con cui ristoriamo il nostro corpo, chi può spiegare come essa non ci permetta di percepire la misura della necessità e come nasconda o oltrepassi il limite del ristabilimento della salute, attraendo verso qualsiasi piacere si presenti? Chi può spiegare come, mentre riteniamo insufficiente quello che di fatto lo è, spinti dalle sue sollecitazioni, volentieri siamo portati a credere di servire la salute, mentre in realtà serviamo la ghiottoneria? Il male fatto ce lo attesta la spiacevole indigestione, per paura della quale spesso ci nutriamo meno di quanto sia sufficiente a togliere la fame. La cupidigia, come si vede, ignora dove finisce la necessità.

Le differenze dei piaceri carnali.

14. 71. Il piacere del mangiare e del bere può essere tollerato purché, con maggior volontà possibile, stiamo attenti a non rimpinzarci troppo facilmente, eccedendo talvolta nella misura del vitto sufficiente. Contro questa concupiscenza del cibo combattiamo col digiuno o col cibarci con maggiore sobrietà e facciamo buon uso di essa, che è un male, quando attraverso di essa ci procuriamo solo ciò che può tornare utile alla salute. Ho detto che questo piacere può essere tollerato perché la sua forza non è sufficiente a distrarci dai pensieri attinenti alla sapienza, se con diletto siamo intenti ad essi. Durante i banchetti, infatti, riusciamo non solo a pensare, ma anche a discutere di grandi problemi e, mentre si mangia e si beve, parliamo senza perdere minimamente l'attenzione nel dire o nell'ascoltare e, forse più intensamente che se ci venisse letto, imprimiamo nella nostra mente quello che desideriamo conoscere o ricordare. L'altra libidine, invece, quella per la quale ti scontri con tanto ardore, anche quando si fa uso di essa con buoni intendimenti, nella generazione per esempio, può mai permettere, nel mentre la si appaga, di pensare, non dico alla sapienza, ma a qualunque altro problema? Ad essa non si dedicano totalmente il corpo e l'anima? Ed il culmine del suo piacere non viene forse raggiunto con un certo soffocamento della mente? Quando poi essa prende il sopravvento e spinge anche gli sposati ad unirsi non per la generazione ma per la passione del godimento carnale, che Paolo afferma aver detto a modo di concessione, non a modo di comando 122, la mente emerge e, dopo quel turbine, respira l'aria dei pensieri constatando la verità di quanto qualcuno ha detto circa la vicinanza del pentimento al piacere. Quale uomo, amante del bene spirituale, sposato solo per la propagazione della prole, non vorrebbe procreare i figli senza di essa, se fosse possibile, o per lo meno senza la sua forte passione? Se non ci è dato di pensare nulla di meglio credo sia nostro dovere attribuire alla vita del paradiso che indubbiamente era molto più bella, quello che i santi coniugi amerebbero in questa vita.

I filosofi pagani condannano il piacere corporale.

14. 72. La filosofia dei pagani, per carità, non sia più nobile di quella dei cristiani, che è la sola vera filosofia, se con questo nome si vuole significare lo studio e l'amore della sapienza! Considera, infatti, quanto Tullio dice nel dialogo dell'Ortensio. Le sue parole avrebbero dovuto piacerti di più delle parole di Balbo che difendeva gli stoici. Quantunque vere, quelle parole non hanno potuto aiutarti perché si riferivano alla parte inferiore dell'uomo, al corpo. Ascolta dunque ciò che egli dice per la vitalità della mente contro il piacere del corpo: Bisogna forse bramare i piaceri del corpo che, giustamente e significativamente, da Platone sono stati chiamati allettamento ed esca dei mali? Quale indebolimento della salute, quale deformazione del temperamento e del corpo, quale turpe danno, quale disonore non viene evocato e destato dal piacere? Il suo eccitamento così come è il più forte, è il maggior nemico della filosofia. Il grande piacere del corpo infatti non può andare d'accordo con il pensiero. Mentre si fa uso di quel piacere, di cui nulla c'è di più forte, chi mai è capace di riflettere, di ragionare, o di pensare qualche cosa? Chi mai può avere tanta impetuosità da voler eccitare i propri sensi giorno e notte, senza la minima pausa, come nel culmine del piacere voluttuario? Quale uomo sano di mente non avrebbe preferito che la natura non ci avesse dato alcun piacere? 123 Queste parole le ha dette uno che non sapeva nulla della vita dei primi uomini, della felicità del paradiso e della risurrezione dei corpi. Arrossiamo dunque per queste veritiere affermazioni degli empi, noi che abbiamo imparato, nella vera e santa filosofia della vera pietà, che la carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito contro la carne 124. Cicerone però ignorava perché avvenisse ciò, eppure, a differenza di quello che fai tu, non solo non favoriva la concupiscenza ma la contrastava tenacemente, cosa che al contrario tu non solo non fai ma ti arrabbi energicamente con quelli che lo fanno. Con timidezza cerchi di lodare le voglie dello spirito e della carne, in lotta tra di loro come in guerra, quasi temendo di avere come nemica quella che potrebbe sconfiggere l'altra. Coraggio, piuttosto, non avere paura, loda la concupiscenza dello spirito contro quella della carne perché essa combatte tanto più acremente, quanto più castamente. Senza timore alcuno, quindi, condanna la legge che contrasta la mente, con la medesima legge contro cui essa è in contrasto.

Contemplazione della bellezza e eccitamento della libidine.

14. 73. Altro è la considerazione della bellezza, anche corporale, sia quella che si vede, come il colore o la figura, sia quella che si sente, come il canto o la melodia, considerazione riservata all'animale ragionevole, e altro è la commozione della libidine, che deve essere frenata dalla ragione. S. Giovanni apostolo, infatti, ha detto che la concupiscenza che ha voglie contro lo spirito non viene dal Padre 125. Nessuno la può giudicare buona, se non chi non ama che il suo spirito abbia desideri opposti ad essa. Se non sia tale nel movimento e nell'ardore dei genitali, lo spirito non abbia desideri opposti ad essa affinché non si dimostri ingrato nutrendo desideri opposti al dono di Dio. Le si dia tutto ciò che brama, come ad una cosa che viene dal Padre, e qualora non si ha nulla da darle, si chieda al Padre non che la tolga di mezzo o la reprima, ma che appaghi integralmente la concupiscenza da lui donata. Se questo è parlare da insipienti, perché paragonarla al vino o al cibo? Perché illuderci di dire qualcosa quando affermiamo: "né l'ubriachezza condanni il vino, né l'ingordigia il cibo, né l'oscenità disonori la libidine", dal momento che non si ha né ebrietà, né ingordigia, né oscenità quando la concupiscenza della carne è vinta dallo spirito che nutre desideri contro di essa? "La sua colpa sta nell'eccesso", dici tu. Non ti rendi conto, però (come ti sarebbe stato molto facile, qualora avessi voluto sconfiggere quella anziché me), che per non cadere nell'eccesso è necessario resistere al male della concupiscenza. Due sono i mali: l'uno lo possediamo e l'altro lo commettiamo se non resistiamo a quello che possediamo.

La libidine nelle bestie non è un disordine.

14. 74. Abbiamo già detto in precedenza che nelle bestie la concupiscenza non è un male perché in esse non ha voglie opposte allo spirito. Esse infatti non hanno la ragione con cui soggiogare la libidine sconfiggendola o con cui lavorare per combatterla. Chi ti ha detto che "si pecca sempre ad imitazione delle bestie"? Per controbattere questa tesi che nessuno ti aveva obiettato ti sei affannato tanto da raccogliere una congerie di cose superflue che anche la scienza medica insegna dopo averle osservate nelle bestie. Affinché, però, non si creda che la concupiscenza della carne non è un male, per il fatto che è un bene nelle bestie, la cui natura, incapace di aspirare alla sapienza, può trovare diletto in essa, è stato ribadito che è un bene nelle bestie che vi trovano diletto senza alcun contrasto, mentre è un male negli uomini, nei quali essa ha voglie opposte allo spirito.

L'autorità dei filosofi nella questione sulla libidine.

15. 75. Hai invocato l'aiuto di una massa di filosofi affinché, non potendolo fare la naturale abilità delle bestie, venissero in soccorso alla tua protetta almeno gli errori di uomini dotti. Chi non vede però come il tuo appellarti a uomini dotti e a sette diverse è solo ostentazione di sapere, se non appena legge le tue parole scopre che non hanno nulla a che fare con i problemi che ci riguardano? Chi può infatti ascoltare i filosofi da te ricordati: Talete di Mileto, uno dei sette sapienti, Anassimandro, Anassimene, Anassagora, Senofane, Parmenide, Leucippo, Democrito, Empedocle, Eraclito, Melisso, Platone, i Pitagorici, ciascuno con la propria soluzione dei problemi naturali? Chi può, dico, ascoltare tutto questo, soprattutto se si tratta di gente non erudita, qual è la maggioranza degli uomini, senza restare stupito dallo strepito dei nomi e delle scuole riunite insieme e senza giudicarti grande, per il fatto che hai potuto imparare tante cose? Questo tu vuoi. Limitandoti in effetti a citare tanti nomi alla rinfusa che nulla hanno a che fare con i problemi di nostro interesse, non hai detto assolutamente nulla. Avevi preannunciato di dire queste cose e poi hai scritto: "Tutti i filosofi, benché insegnavano altro nelle scuole, pur adorando gli idoli come la plebe, nel compiere ricerche sulle cause naturali, tra tante futilità, hanno tuttavia come intravisto alcune porzioni di verità, che, pur evanescenti per la loro nebulosità, giustamente possono essere anteposte al vostro domma contro cui stiamo combattendo". Per provarlo hai creduto dover aggiungere i nomi dei filosofi e dei fisici che anch'io or ora ho citato, con le opinioni che hanno avuto sulle cause naturali, ma non hai voluto o non hai potuto ricordarli tutti. Nessun uomo di dottrina dubita che in questo hai ingannato solo gli'inesperti. Avevi cominciato a dimostrare "che tutti i filosofi che hanno tentato di fare ricerche sulle cause naturali, giustamente possono essere preferiti al domma contro cui dovevi combattere". Perché allora, per non parlare di molti altri, nel ricordare Anassimene ed il suo discepolo Anassagora, hai taciuto l'altro discepolo Diogene, il quale, sui fenomeni naturali, ha avuto opinioni diverse da quelle del maestro e del discepolo e ha proposto un proprio sistema? E se avesse pensato qualcosa che non potesse essere preferito a noi, a cui, a tuo dire, debbono essere preferiti tutti coloro che hanno espresso teorie sulla natura delle cose? E se, per dimostrare questo, ti fossi gonfiato insipientemente, ricordando a vuoto il nome e le tesi dei filosofi? Ne hai saltato uno che avresti dovuto esaminare più attentamente per la sua connessione con il maestro e il condiscepolo. Hai avuto forse timore che fosse scambiato con Diogene il Cinico, o che, portando lo stesso nome, ai lettori venisse in mente costui che è stato più di te protettore della libidine, giacché non si vergognava di praticarla in pubblico, ragione per cui la sua setta ha preso il nome dai cani. Tu invece ti professi difensore della libidine, ma nel contempo arrossisci della tua protetta, che non si addiceva alla fede ed alla libertà del protettore.

Le opinioni dei filosofi sul bene dell'uomo.

15. 76. Dimmi, ti prego: se era tuo desiderio anteporre a noi i filosofi, per qual motivo non hai parlato di quelli che con molta ingegnosità hanno disputato dei costumi nella parte della filosofia che essi chiamavano "etica" e noi "morale"? Questo infatti sarebbe stato molto congruente con te che reputi il piacere del corpo un bene dell'uomo, sia pure inferiore alla bontà della mente. Ma chi non vede le tue intenzioni? Hai cercato di evitare che, proprio sulla questione del piacere, ti possano schiacciare quei filosofi più onesti, che Cicerone ha chiamato "consolari" per la loro onorabilità e magari gli stessi stoici, acerrimi nemici del piacere, la cui testimonianza hai creduto di poter riferire dalla persona di Balbo nel dialogo del medesimo Cicerone, testimonianza senz'altro vera ma perfettamente inutile alla tua causa. Volendo nascondere la loro convinzione che il piacere del corpo non costituisce alcun bene per l'uomo, non hai ricordato nulla del problema morale, né nomi né dottrina di filosofi, cosa che sarebbe stata molto pertinente alla nostra questione, se qualcosa si poteva provare dai filosofi. Contro costoro infatti non avrebbe potuto difenderti, non dico Epicuro, che ha riposto tutto il bene dell'uomo nel piacere del corpo, giacché non pensi, come lui, ma neppure Dinomaco, la cui filosofia ti è piaciuta. Egli pensava di poter unire il piacere all'onestà, e che, al pari dell'onestà, il piacere potesse essere appetibile di per se stesso 126. Ritenendola ostile a te, hai avuto paura di toccare questa parte riguardante i costumi. Vedi bene che proprio in ciò che costituisce il culmine della nostra controversia, quali e quanti filosofi e di quale straordinaria fama tra le genti sono preferiti a te. Pensa soprattutto a Platone che Cicerone non dubita di chiamare quasi dio dei filosofi 127. Tu stesso non hai potuto fare a meno di citarlo quando hai voluto metterci contro o preferire a noi le teorie naturalistiche dei filosofi anziché quelle moralistiche. E non dimenticare che Platone giustamente e significativamente ha detto che i piaceri sono l'allettamento e l'esca dei mali.

I filosofi ignorarono il peccato del primo uomo.

15. 77. Hai forse ritenuto necessario ricordare quanto i filosofi da te citati pensavano della condizione dell'uomo, perché anch'esso è attinente alla questione naturale ed in qualche modo lo richiedeva la nostra causa? Non l'hai fatto ed a ragione. Cosa infatti essi avevano imparato ed insegnato del primo uomo Adamo e di sua moglie, della loro prima caduta, dell'astuzia del serpente o della loro nudità, senza vergogna prima del peccato e con vergogna subito dopo? Cosa infine avevano sentito delle parole dell'Apostolo: per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono 128? Ignari di queste parole e di questa verità, cosa avrebbero potuto sapere? In verità, se circa la condizione dell'uomo hai ritenuto doveroso non citare per niente le teorie degli uomini molto lontani dalle nostre Sacre Scritture, ed hai pensato molto bene: quanto meno avrebbero potuto esserti di aiuto le parole citate da te riguardanti le loro opinioni sull'inizio di questo mondo visibile, problema intorno a cui non c'è controversia alcuna tra di noi? La tua mente piuttosto è sconvolta dalla vanità dell'orgoglio, come se avessi appreso chissà che cosa dai libri dei filosofi.

I filosofi più vicini alla fede cristiana.

15. 78. Non sembra, però, che si siano avvicinati invano alla fede cristiana quelli che, vedendo questa vita piena di inganni e di miserie, hanno pensato che tutto fosse avvenuto per disegno di Dio, riconoscendo invero la giustizia al Creatore, da cui è stato fatto ed è governato questo mondo. Quanto hanno pensato meglio di te ed in maniera più aderente alla verità sull'origine dell'uomo, i filosofi che Cicerone, quasi guidato e spinto dall'evidenza stessa della verità, ha citato nell'ultima parte del dialogo dell'Ortensio. Dopo aver detto molte cose sulla vanità ed infelicità dell'uomo, come vediamo e lamentiamo: Per questi errori e contrarietà della vita umana, egli dice, è successo che talvolta nell'antichità i vati o gli espositori delle sacre iniziazioni e della mente divina, dànno l'impressione di avere intravisto qualcosa, dal momento che affermano che siamo nati per scontare pene contratte per qualche delitto commesso in una vita precedente. Per la stessa ragione è accaduto che noi siamo in certo modo colpiti da un supplizio, descritto da Aristotele, simile a quello che subivano coloro che un tempo cadevano nelle mani dei predoni etruschi. I poveretti venivano uccisi con una crudeltà raffinata: i loro corpi vivi erano legati il più stretto possibile ai cadaveri, facendo combaciare l'uno all'altro. Come i vivi ai cadaveri, le nostre anime sono unite ai corpi 129. Quelli che pensavano in questo modo non hanno visto forse meglio di te il grave giogo posto sul figli di Adamo, nonché la potenza e la giustizia di Dio, anche se non hanno potuto intravedere la grazia, concessa dal Mediatore per la liberazione dell'uomo? Ecco quindi che, su tua istigazione, ho trovato dagli scritti dei filosofi qualcosa che può essere realmente anteposto a te, che in essi non hai potuto trovare nulla di simile e non hai voluto tacere per esortarmi a trovare quello che va contro di te.

La testimonianza dell'Apostolo sul pudore;

16. 79. Come puoi ritenere favorevole a te una testimonianza dell'Apostolo che è contro di te, e, senza sapere quello che dici, dichiarare vergognose le nostre membra che prima del peccato erano nude e non ingeneravano turbamento? Ho dovuto usare infatti la medesima testimonianza dell'Apostolo che hai usato tu: quelle membra del corpo che ritieniamo le più deboli, sono molto più necessarie 130 e tutte le altre parole che hai aggiunto per noi. Vale la pena però di considerare come sei arrivato a dire: "È tempo ormai di far vedere sull'autorità della Legge, oltre che sulla evidenza della natura, che le nostre membra sono state formate in modo tale che alcune godessero di una libertà ed altre fossero coperte da pudore. A conferma sia citato il maestro dei gentili, che scrivendo ai Corinzi, dice: Il nostro corpo non è composto di un membro solo, ma di molte membra 131". Dopo aver citato le parole con cui l'Apostolo spiega mirabilmente l'unità e la concordia delle membra, scrivi: "Avendo nominato poche membra di tutto il corpo, per pudore non ha voluto nominare i genitali". Ma con queste parole non rimproveri te stesso? Era pudore dunque non nominare direttamente quello che Dio rettamente si era degnato di fare? Poteva il banditore vergognarsi di proclamare ciò che il Giudice stesso non si era vergognato di creare? Non è meglio dire che quelle membra che Dio aveva create oneste, noi le abbiamo rese disoneste con il peccato?

Corretta interpretazione del testo apostolico.

16. 80. Su questo argomento aggiungi la testimonianza dell'Apostolo che si esprime, ce lo ricordi, in questi termini: Quelle membra del corpo che riteniamo le più deboli, sono molto più necessarie, e quelle che stimiamo le meno nobili del corpo, sono quelle che circondiamo di un più grande onore, e le nostre membra meno decenti sono trattate con decoro maggiore; al contrario, quelle oneste non ne hanno bisogno. Iddio ha composto il corpo in modo da dare maggiore onore a ciò che ne manca, affinché non vi sia divisione nel corpo ma le membra siano vicendevolmente sollecite del bene comune 132. Subito dopo, qual vincitore, esclami: "Ecco uno che ha veramente compreso l'opera di Dio, ecco un fedele predicatore della sua sapienza: le nostre membra meno decenti sono trattate con maggiore onore". Hai creduto di poter legare tutta la tua causa ad una sola parola che dici di aver letto nell'Apostolo: le membra meno decenti. Se avessi letto invece: le nostre membra disoneste, non ti saresti servito affatto di questa testimonianza. In nessuna maniera infatti, e tanto meno prima del peccato, Dio avrebbe potuto creare qualcosa di disonesto nelle membra del corpo umano. Impara pertanto quello che ignori non avendo voluto indagare con diligenza. L'Apostolo ha scritto: disoneste, ma alcuni traduttori, tra i quali, penso, quello che è stato letto da te, per vergogna, credo, hanno chiamato meno decenti quelle membra che l'Apostolo aveva dichiarate disoneste. Lo si prova dalle parole stesse scritte nel codice da cui le hai tradotte. La parola intesa da te come meno decenti, in greco suona: . Le parole che seguono: sono circondate da maggiore onore in greco suonano che integralmente vengono interpretate onestà. Ne segue che ad si deve dare il significato di disoneste. L'altra aggiunta, infine: quelle oneste in greco suonano , donde appare chiaro che le membra che sono state chiamate sono disoneste. Ma, all'infuori di ogni considerazione delle parole greche, avrebbe dovuto parlarti chiaramente il fatto che sono dette disoneste quelle parti del corpo che copriamo con maggiore cura, mentre sono dette oneste le parti del corpo che non hanno bisogno di essere coperte. Quale significato avrebbero infatti le parole quelle oneste non ne hanno bisogno, se non che sono disoneste quelle parti che hanno bisogno di essere coperte? Si adopera l'onestà quindi con le cose disoneste allorquando queste sono ricoperte per quel senso di verecondia della natura ragionevole. La loro onestà ed il loro onore è la copertura, tanto più abbondante quanto più disoneste sono le parti. L'Apostolo non avrebbe scritto tali parole se avesse descritto il corpo quale l'uomo lo possedeva quando era nudo e non si vergognava.

La vergogna dell'uomo e della donna dopo la perdita della grazia.

16. 81. Vedi pertanto con quanta impudenza hai detto che "all'inizio gli uomini erano nudi perché il coprirsi appartiene alla umana ingegnosità che essi ancora non avevano". Ne seguirebbe che prima del peccato erano inetti e dopo il peccato sono diventati ingegnosi. Dopo aver detto queste e molte altre idiozie, quasi con eleganza ed acume concludi: "Non hanno reso i genitali disonesti o diabolici perché avevano peccato, ma, poiché avevano paura, hanno ricoperto quelle membra che restavano nella medesima onestà originaria". Al che rispondo dicendoti che le membra non sono affatto diaboliche per quanto riguarda la loro sostanza, la loro forma, la loro qualità, tutte opere di Dio. Se quelle membra però sono rimaste nella identica onestà primitiva, perché mai l'Apostolo le ha dette disoneste? Giustamente tu stesso hai ammesso che prima erano oneste: non avresti potuto infatti pensare diversamente se non con blasfema opinione. Quelle membra, quindi, che Dio aveva fatto oneste, l'Apostolo le ha chiamate disoneste. Ti domando il motivo. Se non è avvenuto a causa del peccato, per quale altro motivo è avvenuto? Chi ha reso disoneste le opere oneste di Dio cosicché l'Apostolo le chiamasse disoneste? È stato, forse, il nostro modo di essere nel quale si vede la ingegnosità del Creatore o la libidine nella quale c'è la pena del peccatore? Anche adesso, infatti, ciò che Dio vi compie è onesto, mentre ciò che l'origine vi contrae è disonesto. Purtuttavia, affinché non ci siano divisioni nel corpo, Dio ha dato al senso naturale il dono che le membra siano sollecite le une per le altre e che le parti rese disoneste dalla concupiscenza siano ricoperte dal pudore.

La vergogna conseguenza della concupiscenza.

16. 82. "Perché mai, tu dici, al suono della voce di Dio che passeggiava nel paradiso, Adamo e sua moglie si nascosero, se le cinture potevano bastare a coprire la nudità dei genitali di cui si vergognavano 133"? Ma che dici, quando non trovi niente da dire? Non capisci che cercarono un nascondiglio il più recondito possibile perché erano trepidanti di fronte a Dio? La copertura posta intorno ai lombi copriva l'eccitazione che essi sentivano in se stessi mentre arrossivano. Se quando erano nudi non sentivano vergogna, ne segue che dopo il peccato si sono coperti perché si vergognavano.Senza dubbio era la vergogna della disonestà. Le parole: Erano nudi, ma non sentivano mutua vergogna 134, sono state scritte perché apparisse chiaro che hanno coperto quelle membra proprio per la vergogna. Qui, invece, nascondendosi in mezzo al paradiso, Adamo rispose: Ho sentito la tua voce mentre camminavi nel giardino e mi sono nascosto perché ero nudo 135. Lì c'era la manifesta vergogna, qui l'occulta coscienza, che dopo la caduta aveva portato internamente la manifesta vergogna; lì il frutto del pudore, qui del timore; lì la concupiscenza che imponeva il rossore, qui la coscienza che richiedeva la pena. Come uno sciocco, nascondendo il corpo, credeva di sfuggire a Colui che guarda l'interno dell'anima. Quale significato hanno le parole del Signore: Chi ti ha fatto sapere che eri nudo, se non il fatto che hai mangiato dell'albero del quale ti avevo comandato di non mangiare? 136 Cos'altro può significare la rivelazione della nudità per aver mangiato il frutto proibito, se non che dal peccato era stato spogliato quello che la grazia ricopriva? Grande, infatti, era la grazia di Dio laddove il corpo terreno ed animale non possedeva la bestiale libidine. Colui che, rivestito della grazia non aveva nel corpo nudo di che vergognarsi, spogliato della grazia ha sentito la necessità di coprirsi.

Nulla che appartiene alla natura dell'uomo fu creato dal diavolo.

16. 83. "È necessario fuggire - scrivi ancora - l'opinione secondo la quale nelle membra dell'uomo o nei suoi sensi il diavolo ha creato qualcosa". Perché ci contrapponi le tue stravaganti obiezioni? Il diavolo non ha creato nulla nella natura dell'uomo, ma, convincendolo al peccato, ha solo violato quello che Dio aveva creato buono, cosicché, per la ferita inferta dal libero arbitrio di due uomini, tutto il genere umano è diventato zoppo. Ecco che circonda i tuoi sensi la miseria del genere umano. Sei uomo, non ritenere estraneo a te nulla di ciò che è umano 137. Quello che non soffri tu, compatiscilo negli altri. Per quanta felicità terrena possa avere a tua disposizione, neppure tu trascorri un giorno della tua vita terrena senza una lotta interna, se è vero che ti sforzi di porre in atto ciò che professi. Quando non riesci più a ricordare, guarda i fanciulli; quali e quanti mali debbono soffrire; tra quante menzogne, tra quanti tormenti, tra quanti errori e paure crescono. Quando sono cresciuti poi, e magari sono al servizio di Dio, l'errore li tenta ancora per ingannarli; li tentano la fatica o il dolore per spezzarli, la libidine per accenderli; la tristezza per prostrarli; il tifo per esaltarli. E chi può spiegare rapidamente tutti i pesi con i quali è appesantito il giogo sui figli di Adamo? L'evidenza di questa miseranda situazione, ha spinto i filosofi pagani, che nulla sapevano o credevano del peccato originale, ad affermare che siamo nati per espiare i peccati commessi in una vita precedente e che le nostre anime sono unite al corpo corruttibile alla maniera del supplizio a cui i predoni etruschi erano soliti condannare i prigionieri: uomini vivi legati a cadaveri 138! L'Apostolo tronca la credenza secondo cui le singole anime sono inserite nei diversi corpi in rapporto ai meriti di una vita precedente. Che altro rimane, se non che la causa di questi mali sia l'iniquità o l'impotenza di Dio, oppure la pena del primo ed antico peccato? Siccome, però, Dio non è né ingiusto né impotente, resta solo quello che non vuoi ma sei costretto ad ammettere: un gravame assegnato da Dio e un giogo pesante sui figli dell'uomo, dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti 139, non ci sarebbe stato se non ci fosse stato in precedenza il demerito del peccato originale.