Scrutatio

Mercoledi, 24 aprile 2024 - San Fedele da Sigmaringen ( Letture di oggi)

Contro Giuliano - libro secondo

Sant'Agostino d'Ippona

Contro Giuliano - libro secondo
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Le affermazioni patristiche contro gli argomenti dei pelagiani.

1. 1. Ed ora, o Giuliano, bisogna che affronti quello che avevo deciso di fare nella terza parte della mia trattazione: demolire, con l'aiuto di Dio, le tue macchinazioni mediante le parole dei vescovi che con grande gloria hanno illustrato la Sacra Scrittura. Non intendo dimostrare che sul peccato originale essi hanno pensato secondo la fede cattolica. L'ho già fatto nella prima parte di quest'opera nel mostrarti contro quali e quanti uomini, santi ed illustri Dottori della Chiesa, tu scagli l'accusa di manicheismo, e nel farti notare come per sminuire la mia stima di fronte al giudizio di uomini inesperti, tu accusi di nefasta eresia i difensori della Chiesa contro gli eretici. Ora è necessario che con le parole dei Santi controbatta le vostre argomentazioni con cui pretendete dimostrare che la prima nascita degli uomini non è soggiogata al peccato originale. Bisogna che il popolo cristiano anteponga costoro alle vostre profane innovazioni e scelga di aderire ad essi anziché a voi.

I cinque argomenti pelagiani contro il peccato originale.

1. 2. Questi sono i vostri argomenti capitali, apparentemente terribili, con i quali spaventare i deboli e quelli meno esperti nelle Sacre Scritture, di quanto sarebbe necessario contro di voi. Ci accusate che "sostenendo il peccato originale, noi dichiariamo il diavolo creatore dell'uomo che nasce, condanniamo il matrimonio, neghiamo che nel battesimo siano rimessi tutti i peccati, accusiamo Dio del crimine di iniquità, ingeneriamo la disperazione della perfezione". Tutto questo perché, voi dite, noi siamo convinti che i bambini nascono soggetti al peccato del primo uomo e che per questo si trovano sotto il potere del diavolo fino a quando non rinascono in Cristo. "Il diavolo, dite infatti, è creatore se i bambini traggono la loro origine dalla ferita da lui inferta alla natura umana primigenia; il matrimonio è condannato se si ritiene che abbia qualcosa donde nascono persone condannabili; nel battesimo non sono rimessi tutti i peccati se nei coniugi battezzati resta qualcosa di male donde nascono i figli cattivi. Come può non essere iniquo Dio, che, mentre rimette ai battezzati i peccati personali, condanna i bambini, che, pur creati da lui, senza volerlo e senza saperlo hanno contratto peccati altrui anche da quei genitori a cui erano stati rimessi? Neppure la virtù, a cui, come tutti sanno, si oppone il vizio, può essere ritenuta perfettibile, dal momento che non è possibile eliminare vizi congeniti che neppure potrebbero essere chiamati tali. Non pecca infatti chi non può essere diverso da come è stato creato".

Sintetica risposta dei cattolici.

1. 3. Se vi fermaste ad esaminare con attenta diligenza questi punti invece di opporvi con incredibile audacia a tutto ciò che è fondato sulla verità ed antichità della fede cattolica, arrivereste certamente, con l'aiuto della grazia di Cristo, alla conoscenza di quelle verità che sono nascoste ai sapienti ed agli intelligenti e sono rivelate ai semplici 1. Grande è infatti la bontà del Signore che egli non rifiuta e tuttavia la riserva per quelli che lo temono, e la perfeziona per quelli che confidano non in se stessi ma in lui 2. Noi professiamo solo ciò che contiene quella fede di cui è scritto: Se non avrete creduto non capirete 3. Non il diavolo, ma Dio vivo e vero, che produce ineffabilmente cose monde dalle immonde, è il creatore degli uomini anche se nessun uomo nasce puro e tutti sono costretti a restare in potere dello spirito immondo fino a quando non sono purificati dallo Spirito Santo. Non vi è alcun crimine nel matrimonio qualunque sia la contaminazione delle nature: il bene proprio del matrimonio si distingue da qualsiasi vizio delle nature. Non resta neppure il reato di alcun peccato che non sia sciolto dalla rigenerazione in Cristo, anche se rimane l'infermità, contro cui il rigenerato, che la porta radicata dentro di sé, deve combattere se vuole progredire. Non è affatto iniquo Dio quando retribuisce secondo giustizia i peccati originali e quelli personali. Apparirebbe maggiormente iniquo o debole qualora imponesse, come sta scritto: Un giogo pesante sui figli di Adamo dal giorno in cui sono usciti dal seno della madre fino al giorno del ritorno nel grembo della madre di tutti 4, giogo sotto il quale la sua immagine è schiacciata, senza che ci sia stato in precedenza alcun peccato originale o personale, oppure permettesse che qualche altro glielo imponesse contro il suo volere. Non bisogna, infine, disperare della perfezione della virtù perché la grazia di Dio può mutare e sanare la natura viziata dall'origine.

L'autorità di Ambrogio contro i primi tre argomenti pelagiani.

2. 4. Eccomi dunque ad adempiere il mio impegno. Ma non comincerò a confutare con la testimonianza dei Santi una ad una le vostre cinque argomentazioni in cui riassumete tutto quanto andate disputando in lungo e in largo contro la fede cattolica. Anche quando ricorderò singolarmente le vostre argomentazioni, a seconda degli scritti dei vescovi cattolici colpirò ed abbatterò il maggior numero possibile di esse, una, due, o più secondo la possibilità della testimonianza addotta. Questo succede per esempio citando il libro del beato Ambrogio Sull'Arca di Noè: "Si predica che ai popoli verrà la salvezza, vi si legge, solo attraverso Cristo Gesù, che, essendo corrotta ogni umana generazione nell'errore, non avrebbe potuto essere il solo giusto se non per il fatto che, nato da una Vergine, per privilegio non era tenuto alla legge di una generazione soggiogata. Ecco, nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre 5, afferma colui che era ritenuto giusto più di ogni altro. Chi dunque potrei dichiarare giusto se non l'uomo libero da questi vincoli, l'uomo cioè non legato dai vincoli della comune natura? Tutti sono sotto il peccato. Dopo Adamo in tutti regnò la morte. Venga avanti il solo giusto al cospetto di Dio del quale senza eccezioni non solo si dica: non peccò con le sue labbra 6, ma anche: non fece peccato" 7. Dì pure a lui, se hai coraggio, che ha fatto del diavolo il creatore degli uomini che nascono dall'unione dei due sessi, dal momento che, a differenza di tutti gli altri che nascono da Adamo soggetti al peccato seminato dal diavolo, ha ritenuto libero dai vincoli di una generazione macchiata il solo Cristo perché nato da una Vergine. Rimprovera come condannatore del matrimonio, chi dice esser senza peccato solo il figlio di una Vergine. Incriminalo pure perché nega la possibilità di perfezionamento alla virtù ed afferma che il vizio si inserisce nel genere umano nello stesso istante della concezione. Dì pure a lui ciò che, nel tuo primo volume, credi di aver detto molto a proposito e con molto acume contro di me: "Non peccano affatto quelli che diciamo che peccano, dal momento che essi, da chiunque siano stati creati, si trovano nella necessità di vivere secondo la condizione in cui sono stati creati senza poter andare contro la propria natura". Dì pure di Ambrogio o ad Ambrogio tutte quelle cose che con tanto orgoglio, con tanto disprezzo, con tanta insolenza e petulanza hai detto a me. - Quando scriveva quelle parole probabilmente egli non parlava dei discendenti dei battezzati e, di conseguenza, non si può dire che deformi il sacramento del battesimo, nel senso che in esso non si abbia la piena remissione dei peccati, e non si può dire neppure che dichiari Dio iniquo quando nei figli condanna i peccati altrui già perdonati nei genitori. - Sant'Ambrogio non è uno di quelli che fanno del diavolo il creatore degli uomini, che condannano il matrimonio e che ritengono la natura umana incapace di virtù. Appartiene piuttosto alla schiera di coloro che ritengono e professano Dio sommo e sommamente buono, unico Creatore di tutto l'uomo, di tutta l'anima cioè e di tutto il corpo, che onorano il matrimonio nella bontà del suo grado e non disperano che l'uomo possa essere perfettamente giustificato. Come vedete, tre delle vostre argomentazioni sono annientate dall'autorità di tanto uomo e non possono essere ulteriormente usate contro di noi che sul peccato originale diciamo le stesse cose dette da lui: non ha attribuito al diavolo la creazione dell'uomo, non ha condannato il matrimonio, né ha ritenuto impossibile per la natura dell'uomo raggiungere la perfezione della giustizia.

Altra testimonianza di Ambrogio contro tutti gli argomenti dei pelagiani.

3. 5. Vediamo ora cosa pensava quell'uomo delle rimanenti due vostre argomentazioni riferentesi al battesimo e come vi stritola con la sua immensa autorità. Nel libro Contro i Novaziani scrive: "Tutti gli uomini nascono sotto il peccato e la stessa nostra origine è nella colpa, come si può leggere negli scritti di Davide: Ecco, nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre 8. Per questo la carne di Paolo era corpo di morte come egli stesso affermava: Chi mi libererà da questo corpo di morte? 9 La carne di Cristo invece condannò il peccato, che non sentì nascendo, e che crocifisse morendo, affinché nella nostra carne vi fosse la giustificazione per mezzo della grazia, laddove prima c'era la confusione della colpa" 10. Per la verità qui vengono demolite insieme tutte le vostre argomentazioni. Se tutti noi uomini nasciamo sotto il peccato e la nostra stessa origine è nella colpa, come puoi obiettarmi che faccio del diavolo il creatore degli uomini, dal momento che affermo le stesse cose di Ambrogio, che mai ha dichiarato il diavolo creatore degli uomini? Se Davide, proprio perché la nostra stessa origine è nella colpa, esclama: Ecco, nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre 11, e queste parole non incolpano l'unione matrimoniale ma il peccato originale, per qual motivo affermi che io condanno il matrimonio, mentre non oseresti mai dirlo di Ambrogio? La carne di Paolo, proprio perché tutti noi uomini nasciamo sotto il peccato e la nostra stessa origine è nella colpa, era un corpo di morte, secondo le sue parole: chi mi libererà da questo corpo di morte? 12 Ti rendi conto che in queste parole l'Apostolo ha voluto includere anche se stesso? Mentre il suo uomo interiore si dilettava della legge di Dio, avvertiva nelle sue membra un'altra legge che contrastava la legge delle sua mente, e per questo diceva che la sua carne era un corpo di morte. Nella sua carne non abitava il bene e, di conseguenza, non compiva il bene che voleva, ma il male che odiava 13. Tutta la vostra causa è respinta, demolita, stritolata e, come pula che il vento sospinge dalla superficie della terra 14, così la vostra causa sarebbe spazzata via dal cuore di coloro che avevate cominciato ad ingannare se, mettendo da parte la polemica, riflettessero su queste cose. Che forse l'apostolo Paolo non era battezzato? O non gli era stato rimesso qualche peccato originale o personale, commesso per ignoranza o con avvertenza? Perché diceva queste cose se non perché ciò che scrivo nel mio libro, a cui ti vanti di avere risposto, è assolutamente vero? Questa legge del peccato che si trova nelle membra di questo corpo di morte è stata rimessa nella rigenerazione spirituale ma rimane nella carne mortale. È stata rimessa poiché il reato è stato sciolto dal sacramento in virtù del quale rinascono i fedeli, ma rimane poiché genera i desideri contro cui lottano anche i fedeli. Tutto questo sconvolge dalle fondamenta la vostra eresia. Fino a tal punto voi lo comprendete e temete che, per venir fuori da queste parole dell'Apostolo, non trovate altra via che asserire, con tutta l'energia possibile, che non vi si deve vedere la persona dell'Apostolo, bensì quella di un qualunque giudeo posto ancora sotto la legge e non sotto la grazia, contro di cui combatte l'abitudine della sua cattiva tendenza. Quasi che nel battesimo si perda la forza della tendenza e i battezzati non abbiano a combattere contro di essa e con tanta maggiore forza ed energia quanto maggiormente vogliono piacere a Colui, dalla cui grazia sono aiutati perché non siano sconfitti in questa lotta. Se volessi riflettere con più attenzione e senza testardaggine, nella stessa forza della tendenza scopriresti che la concupiscenza è stata rimessa nel reato, ma rimane nell'atto. Non si può dire infatti che non accada nulla nell'uomo quando è agitato dagli stimoli della concupiscenza, anche se non acconsente. Purtuttavia l'Apostolo chiamava la sua carne corpo di morte non per la forza della tendenza, ma per il fatto - Ambrogio l'ha capito molto bene - che tutti nasciamo sotto il peccato e la nostra stessa origine è nella colpa. Non poteva dubitare che il reato di questa colpa fosse stato rimesso nel battesimo. Combattendo però contro la sua irrequietezza, in un primo tempo temeva di essere da essa vinto e soggiogato. Più tardi, quantunque non sconfitto, preferiva non il combattere più a lungo, bensì non avere il nemico, allorquando esclamava: Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore 15. Ben sapeva che la grazia di Cristo che ci aveva liberati dal reato originale con la spirituale rigenerazione, poteva liberarci da questa spinta della concupiscenza. Questa guerra che in noi stessi abbiamo cominciato a combattere contro di noi, la sperimentano in se stessi e non la possono negare i forti vincitori della libidine e non i suoi impudentissimi adulatori.

Una testimonianza di Cipriano dalla lettera Sull'orazione del Signore.

3. 6. Il vittorioso Cipriano nella sua lettera Sulla Preghiera del Signore dice: "Noi chiediamo che si faccia la volontà di Dio in cielo ed in terra: entrambe le petizioni si riferiscono al raggiungimento della nostra incolumità e salvezza. Possedendo un corpo che viene dalla terra ed uno spirito che viene dal cielo, siamo noi stessi terra e cielo e, di conseguenza, preghiamo che la volontà di Dio si faccia nell'una parte e nell'altra, nel corpo cioè e nello spirito. Tra il corpo e lo spirito c'è una lotta. Essendoci discordanza tra di loro, c'è una lotta quotidiana reciproca e così finiamo per non fare quello che vogliamo. Lo spirito cerca le cose celesti e divine, mentre la carne aspira alle cose terrene e secolari. Per questo chiediamo che con l'aiuto e l'opera di Dio tra i due si faccia pace, affinché, mentre nel corpo e nell'anima si fa la volontà di Dio, l'anima che per lui è rinata si salvi. L'apostolo Paolo lo dichiara apertamente e manifestamente: La carne, infatti, ha voglie opposte allo spirito e lo spirito desideri opposti alla carne: essi stanno in lotta tra loro, così che voi non fate ciò che vorreste 16" 17. Osserva in che modo l'illustre Dottore istruisce il suo popolo battezzato - chi non sa che la Preghiera del Signore si riferisce ai battezzati? - per capire che l'incolumità umana e la salvezza della natura stanno non nel fatto che la carne e lo spirito, quali nemici naturali, si separino, secondo la pretesa dell'insipienza manichea, ma piuttosto nel fatto che, sanati, ritrovino la concordia dopo il vizio della discordia. Questo significa essere liberati dal corpo di questa morte. Quello che era un corpo di morte diventi un corpo di vita dopo che è morta in esso la morte per la fine della discordia, non della natura. Per quale altro motivo si direbbe: Dov'è, o morte, la tua vittoria? 18 Che questo non abbia il suo compimento in questa vita ce lo attesta ancora il Martire nella sua lettera Sulla mortalità dove dice che l'apostolo Paolo desidera dissolversi ed essere con Cristo 19 per non essere più a lungo soggetto ai peccati e ai difetti della carne 20. Con quanta precisione nella lettera sul Padre Nostro parla contro il vostro dogma, secondo il quale riponete troppa fiducia nella vostra forza! Così, infatti, egli insegna: "È necessario chiedere a Dio più che presumere delle proprie forze, affinché la grazia divina più che la virtù umana ottenga la concordia tra la carne e lo spirito" 21. Perfetta, così, è l'armonia con l'Apostolo che dice: Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore 22.

Testi di Gregorio di Nazianzo sulla lotta interiore nei battezzati.

3. 7. Anche san Gregorio lo attesta dicendo: "Quando l'anima si trova nelle fatiche e nelle angustie, quando è ostilmente oppressa dalla carne, ricorre a Dio e sa dove chiedere aiuto" 23. E perché nessuno pensi che le parole del vescovo Gregorio: "la carne che ostilmente opprime" significhino la natura avversa del male secondo la insana mente dei manichei, nota come è perfettamente in armonia con i suoi colleghi e fratelli dottori insegnando che non per altri motivi lo spirito ha desideri contro la carne se non perché entrambi tornino al proprio Creatore, dopo l'aspro combattimento di questa vita, nel quale si cimentano tutti i Santi. Nel suo Apologetico, infatti, scrive: "Non ancora faccio menzione dei combattimenti con cui siamo contrastati internamente dai nostri vizi edalle nostre passioni, mentre, giorno e notte siamo tormentati dai brucianti stimoli di questo corpo di bassezza e di morte, che, ora occultamente ora apertamente, ci provocano e ci irritano con la seduzione delle cose visibili e con il fango di questa feccia a cui siamo attaccati e che esala dalle sue larghe vene il fetore della sua sozzura. Siamo tormentati anche dalla legge del peccato che è nelle nostre membra, e che ripugna alla legge dello spirito, mentre cerca di fare prigioniera l'immagine regale che è dentro di noi per mettere tra le sue spoglie tutto quanto ci era derivato dal beneficio della nostra primitiva divina condizione. Proprio per questo, col sostegno di una lunga ed acuta ricerca filosofica e ricordando a poco a poco la nobiltà della sua anima, a stento qualcuno riesce a richiamare ed a rivolgere a Dio la natura di luce che nel proprio interno è legata a questo basso e tenebroso fango. Operando con l'aiuto di Dio li porterà entrambi alla concordia purché con lunga ed assidua meditazione l'uomo si abitui a guardare sempre in alto e, legandola a sé con freni più saldi, si abitui a sollevare in alto la materia che lo appesantisce e lo trascina verso il male" 24. Sappi riconoscere, Giuliano, figlio mio, le concordi voci cattoliche e smettila di dissentire da esse. Quando il beato Gregorio dice: "...siamo contrastati dai nostri vizi e dalle nostre passioni e notte e giorno siamo tormentati da brucianti stimoli..." 25, egli parla quale battezzato e parla a persone battezzate. Quando parla della "legge del peccato che è nelle nostre membra, e che ripugna alla legge dello spirito" 26, egli parla quale battezzato e parla a gente battezzata. Questa lotta riguarda i cristiani fedeli, non i giudei infedeli. Se non combatti, abbi la forza di credere; se combatti, riconoscilo e con questa lotta sconfiggi la ribelle presunzione dell'errore pelagiano. Non comprendi ormai, non distingui e non riconosci che nel battesimo sono rimessi tutti i peccati e tuttavia nei battezzati permane quasi una guerra civile tra le interne tendenze? Queste tendenze, naturalmente, non possono ancora essere dette peccato fino a quando la concupiscenza non conduce lo spirito ad opere illecite e di conseguenza concepisce e partorisce il peccato. Esse, però, non sono fuori di noi e per vincerle è necessario impegnarsi cimentandoci positivamente in questo conflitto. Esse ci appartengono. Sono le passioni, sono i vizi che dobbiamo frenare, arrestare, sanare. Sono molto moleste mentre le curiamo. Pur se perdono virulenza man mano che avanziamo verso il meglio non cessano di esistere finché viviamo quaggiù. Finiranno solo quando l'anima pia lascerà questo corpo e certamente non rivivranno nel corpo risorto.

Il pensiero dei Padri sulla carne del peccato.

4. 8. Torniamo al beato Ambrogio che dice: "Anche il corpo di Paolo era un corpo di morte, come egli stesso dichiara: Chi mi libererà da questo corpo fonte di morte?" 27. Questo ha inteso Ambrogio, questo Cipriano, questo Gregorio per non dire degli altri maestri dotati di altrettanta autorità. A questa morte alla fine si dirà: Dov'è o morte la tua vittoria? 28 Questa è la grazia dei rigenerati, non dei generati. "La carne di Cristo, infatti, aggiunge Ambrogio, condannò il peccato che non sentì quando nacque e che crocifisse morendo" 29. Quando nacque non lo senti in sé, quando morì lo crocifisse in noi. La legge del peccato dunque che ripugna alla legge della mente e che si trovava pure nelle membra di un così grande Apostolo, è rimessa nel battesimo, ma non scompare. Di questa legge della carne che ripugna alla legge della mente, nulla prese il corpo di Cristo, perché la Vergine non lo concepì da essa. Da questa legge della carne, però, che ripugna alla legge dello spirito, tutti gli uomini, nella prima nascita, hanno ricevuto la medesima legge perché tutte le donne hanno concepito da essa. Proprio per questo il venerando Ilario non ebbe timore di affermare: "Ogni carne viene dal peccato" 30. Dicendo questo ha forse negato che viene da Dio? Quando diciamo che la carne viene dalla carne e che la carne viene dall'uomo, neghiamo forse che viene da Dio? Viene da Dio perché Dio la crea, viene dall'uomo perché l'uomo la genera, viene dal peccato perché il peccato porta il vizio. Dio però che ha generato il Figlio coeterno a sé, che in principio era il Verbo per mezzo del quale ha creato tutto ciò che non era, e l'ha creato uomo senza difetto, facedolo nascere per mezzo di una Vergine, ma non dal seme di un uomo. In lui egli rigenera l'uomo generato e sana il viziato, subito dal reato e a poco a poco anche dalla infermità. Il rigenerato, se possiede già l'uso di ragione, deve combattere contro la debolezza, sotto lo sguardo e l'aiuto di Dio, come in una gara: La virtù si perfeziona nella debolezza 31, nel mentre che la parte di noi orientata alla giustizia si scontra con l'altra parte di noi che tende a staccarsi dalla giustizia. Se vince quella orientata alla giustizia, tutto s'innalza verso il meglio; se vince quella che si stacca dalla giustizia, tutto precipita verso il peggio. Il bambino invece, in cui non c'è l'uso della ragione, di propria volontà non sta né nel bene né nel male. I suoi pensieri non pendono né in un senso né nell'altro. Entrambi sono sopiti in lui, sia il bene naturale della ragione, sia il male originale del peccato. Con l'avanzare degli anni, si sveglia la ragione, giunge il comando e rivive il peccato. Iniziando il combattimento contro di esso, apparirà ciò che era nascosto ed allora, qualora vincesse il peccato, egli sarebbe condannato; se invece lo sconfiggesse, sarebbe salvo. Questo non significa tuttavia che il fanciullo non ne avrebbe alcun danno nel caso morisse prima che esso si manifesti poiché il reato di quel male, - non quello per cui il cattivo è reo, ma quello per cui rende reo colui nel quale si trova - viene contratto con la generazione ed è tolto soltanto con la rigenerazione. Proprio per questo i bambini vengono battezzati affinché non solo godano il bene del regno di Cristo, ma siano altresì sottratti al male del regno della morte. Tutto questo non può avvenire se non per opera di Colui che "condannò con la sua carne il peccato che non sentì quando nacque e che crocifisse quando morì affinché nella nostra carne ci fosse la giustizia per la grazia, laddove c'era stata la caduta per la colpa" 32.

La legge del peccato, un vizio della sostanza, che occorre frenare e risanare.

4. 9. Queste parole di Ambrogio, quindi, dimostrano che il diavolo non ha creato l'uomo con la bontà, ma lo ha viziato con la malizia; che il male della concupiscenza non ha tolto la bontà al matrimonio; che nel sacramento del battesimo è sciolto il reato di tutti i peccati; che Dio non è ingiusto se, per la legge della giustizia, condanna chi è diventato colpevole per la legge del peccato, anche se è nato sotto quella legge che non può più rendere colpevole il suo genitore appunto perché egli è rinato. Se questo è vero, perché disperare della virtù che si perfeziona nella debolezza, dal momento che proprio per merito della carne di Cristo, che condanna il peccato, non sentito nella nascita e crocifisso nella morte, avviene la giustificazione nella nostra carne per mezzo della grazia, laddove c'era stata la caduta per la colpa? Le vostre cinque argomentazioni con cui vorreste spaventare gli uomini, non turberanno né gli altri né voi, se ascolterete Ambrogio, Cipriano, Gregorio e gli altri santi cattolici ed illustri maestri, ed anche voi stessi. Essi vi dicono che la legge del peccato, insita nelle membra dell'uomo e ripugnante alla legge della mente 33, proprio per la voglia che ha contro lo spirito 34, ingenera nei santi battezzati la necessità di combattere. Ma contro che cosa combattere se non contro il male, che non è sostanza, ma solo difetto della sostanza, che non dovrà essere imputato per la grazia di Dio che ci rigenera, che dovrà essere frenato con la grazia di Dio che ci aiuta e che dovrà essere sanato dalla grazia di Dio che ci premia?

Ambrogio attesta che la lotta interiore deriva dal peccato di Adamo.

5. 10. Non vorrei che tu abbia a dire che i battezzati combattono contro le cattive abitudini contratte nella vita precedente anziché contro il male con cui sono nati. Se affermi questo, senza dubbio vedi ed ammetti che nell'uomo c'è qualcosa di male, non in se stesso, ma nel reato che da esso è stato contratto e vien tolto nel battesimo. Tuttavia, poiché questo sarebbe troppo poco per la soluzione della questione se non si dimostrasse che esso è stato ingenerato in noi dal peccato del primo uomo, ascolta bene ciò che ancora più espressamente Sant'Ambrogio dichiara nell'Esposizione del Vangelo secondo Luca. Spiegando in diverse maniere, ma tutte conformi all'unica regola della fede, il passo nel quale il Signore afferma esservi in una casa persone divise tra di loro, tre contro due,e due contro tre 35, scrive: "Possiamo vedervi rappresentati anche il corpo e l'anima che vivono in una stessa casa, separati dal fetore, dal contatto e dal gusto della lussuria, dividendosi contro gli assalti dei vizi, quando si sottomettono alla legge di Dio e si allontanano dalla legge del peccato. Benché il loro dissidio per la prevaricazione del primo uomo sia divenuto una seconda natura, tanto che non si accordano più nelle inclinazioni alla virtù, diventati assolutamente impari, tuttavia, quando sia l'avversione sia la legge dei comandamenti sono stati annullati dalla Croce del Signore che ci ha salvati, si riuniscono nell'armonia del rapporto, dopo che Cristo, nostra pace, scendendo dal cielo, fece di entrambi una cosa sola 36" 37. Nella stessa opera, parlando del cibo spirituale ed incorruttibile, scrive: "La ragione è il cibo della mente, nobile e dolce alimento, che non appesantisce le membra e le rivolge non alle vergogne, ma agli ornamenti della natura, allorquando il pantano dei piaceri è trasformato in tempio di Dio ed il ritrovo dei vizi in sacrario di virtù. Tutto questo avviene quando la carne, tornando alla sua natura, riconosce la nutrice della sua forza e, dopo aver deposto la sfida temeraria dell'arroganza, si sottopone alla volontà dell'anima moderatrice. Tale essa fu quando ricevette come abitazione i luoghi appartati del Paradiso prima che, infetta dal veleno del serpente pestilenziale, conoscesse una fame sacrilega e, con avida voracità, cancellasse l'impronta dei divini comandi, impressa nell'anima sensitiva. Da qui, si dice, ha tratto origine il peccato, e l'anima e il corpo ne sono stati i genitori; mentre la natura del corpo viene tentata, l'anima malferma subisce la stessa passione. Se l'anima avesse frenato la cupidigia del corpo, l'origine del peccato sarebbe stata uccisa al suo sorgere. L'anima, invece, corrotta nel suo vigore, appesantita da oneri altrui, generò il peccato come in una funesta gravidanza dietro l'impulso del corpo virile" 38.

Lo stesso dottore considera ormai naturale la discordia dell'anima e della carne.

5. 11. In questo passo il santo dottore Ambrogio, tanto eccellentemente lodato dalla bocca del tuo maestro, ha chiarito molto apertamente cosa sia e donde venga il peccato originale. Ha chiarito molto bene donde è venuta quella prima confusione, la disobbedienza cioè della carne che dissente dall'anima, e come tale dissidio fu sanato dalla grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Ecco perché la carne ha voglie contro lo spirito ed ecco perché nelle membra c'è una legge che ripugna alla legge della mente. Il dissidio dell'anima e della carne è diventato una natura, e per questi dissidi in noi abbondano le miserie che non potranno cessare se non in virtù della misericordia di Dio. Non metterti più contro di me. Se lo fai ancora devi renderti conto contro quali e quante persone ti metti. Tu mi accusi che faccio di tutto per non essere capito. In alcuni passi hai interpretato il mio pensiero a tuo piacimento, abusando della mente più lenta degli uomini che non si rendono conto che tu hai voluto non tacere piuttosto che abbia potuto rispondere con i tuoi quattro libri al mio volume. Ecco che Ambrogio fa scorrere un chiaro e profondo fiume di eloquenza: non c'è posto dove il lettore possa esitare, o dove chi ascolta possa fraintendere. Molto chiaramente egli dice che l'Apostolo in tanto ha esclamato: Chi mi libererà da questo corpo di morte? 39 in quanto tutti nasciamo sotto il peccato e la stessa nostra origine è nella colpa. Molto chiaramente dice che Cristo Signore fu senza peccato perché, nato da una Vergine, non era tenuto legato dai vincoli della schiavitù, comune alla natura umana, e appunto per questo poté condannare il peccato che non sentì quando nacque. Molto chiaramente dichiara che il dissidio tra il corpo e l'anima è diventato una seconda natura per la prevaricazione del primo uomo. Molto chiaramente sostiene che la carne, pantano di vizi e ritrovo di piaceri, si trasformerà in tempio di Dio e in sacrario di virtù, solo quando, tornata alla sua natura, riconoscerà la nutrice della sua forza e, deposta la sfida temeraria dell'arroganza si sottoporrà alla volontà dell'anima moderatrice, quale essa fu quando ricevette come abitazione i luoghi apportati del Paradiso prima che fosse infettata dal veleno pestifero del serpente. Perché vai ancora cercando quali libri scrivere contro di me? Guarda lui, osa pure qualcosa contro di lui che scoprì il veleno della vostra eresia prima ancora che essa nascesse, e preparò questi antidoti perché lo si potesse espellere. Se tutto questo non è sufficiente, ascolta ancora.

L'immagine ambrosiana dei cavalli buoni e cattivi.

5. 12. Nel libro Su Isacco e l'Anima egli scrive: "Il buon cavaliere frena e richiama i cavalli selvaggi ed incita i buoni. I cavalli buoni sono quattro: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia; i cavalli selvaggi sono: ira, concupiscenza, timore, iniquità" 40. Ha detto forse che il buon cavaliere possiede i cavalli buoni e non quelli selvaggi? No, ma "i buoni li incita e i selvaggi li frena e richiama". Donde vengono questi cavalli? Se li diciamo o li crediamo sostanze, noi favoriamo o aderiamo all'insipienza dei manichei. Lungi da noi! Secondo la visione cattolica noi siamo convinti che i cavalli sono i nostri vizi, che per la legge del peccato resistono alla legge della mente. Questi vizi, separati da noi, non continueranno ad esistere da qualche parte, ma, sanati in noi, non esisteranno più. Perché mai dunque non sono scomparsi nel battesimo? Non vuoi ancora ammettere che il loro reato non esiste più - non il reato per il quale essi erano rei, ma il reato per il quale ci hanno fatti rei nelle cattive azioni a cui ci avevano indotti -, mentre la loro infermità è rimasta? La loro infermità è rimasta, ma non come fossero animali che si ammalano, bensì nel senso che essi stessi sono la nostra infermità. Neppure si deve credere che in quei cavalli selvaggi ha chiamato iniquità quella che è distrutta nel battesimo. Quella infatti era l'iniquità dei peccati commessi, che sono stati rimessi tutti e che ora non esistono più, ed il cui reato era presente soltanto mentre venivano commessi e passavano via. Questa legge del peccato che rimane, mentre il suo reato è stato rimesso nel sacro fonte, l'ha chiamato iniquità perché è iniquo che la carne abbia voglie contro lo spirito, anche se nel nostro rinnovamento c'è la giustizia, perché è giusto che lo spirito abbia desideri contro la carne ed è giusto che camminiamo secondo lo spirito e non poniamo in atto le voglie della carne. Questa nostra giustizia la troviamo nominata tra i cavalli buoni.

Altro testo ambrosiano sulla legge del peccato.

5. 13. Ascolta ancora quanto scrive nel libro Sul Paradiso: "Probabilmente l'apostolo Paolo ha detto: Ciò che non è permesso a uomo ripetere 41, perché si trovava ancora nel suo corpo, vedeva cioè le sue passioni e la legge della sua carne che ripugnava alla legge della sua mente" 42. Un po' più avanti continua: "Quando egli parla del serpente come più sapiente 43, tu capisci che vuol parlare del nostro avversario che tuttavia possiede la sapienza di questo mondo. Anche la voluttà ed il piacere sono giustamente detti sapienti, perché anche quella della carne è detta sapienza, secondo quanto è scritto: La sapienza della carne è nemica di Dio 44. Quelli che ricercano i piaceri sono molto astuti nello scovare ogni genere di diletto. Se la s'intende come ricerca del piacere, certamente è contraria al comando divino ed è nemica ai nostri sensi. Per questo S. Paolo dice: Sento nella mia carne un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra 45" 46. È facile capire di quale piacere il nostro maestro intenda parlare in questo passo, dal momento che si serve della testimonianza dell'Apostolo: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra. Questa legge è il piacere di cui hai preso la difesa, quantunque ne condanni gli eccessi. Quale essa sia tu lo confessi apertamente, ma con tante belle parole la difendi e la lodi quando è moderata, quasi che essa stessa ne avesse fissato la misura e non lo spirito che ha desideri contro il suo impeto. Contro di essa invece resisteva tenacemente colui che esclamava: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione. Se si lasciasse libero verso quali nefandezze non farebbe scivolare? In quali abissi non trascinerebbe e non farebbe precipitare? Bisogna convincersi - ed è la cosa che maggiormente c'interessa ora - che l'apostolo Paolo non intendeva parlare di un giudeo qualsiasi, secondo la vostra interpretazione, ma di se stesso, secondo l'interpretazione di Ambrogio, quando dice: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra. Nella stessa opera, in un altro passo, Ambrogio continua: "S. Paolo viene attaccato e vede la legge della sua carne in conflitto con la legge della sua ragione, che lo tiene prigioniero della legge del peccato. Egli non presume della sua coscienza, ma confida nella grazia di Cristo per essere liberato da questo corpo di morte. Come puoi pensare che un saggio non può peccare? Paolo afferma: Non faccio il bene che voglio, ma commetto il male che non voglio 47, e tu continui a credere che all'uomo possa giovare la scienza per accrescere l'odio al peccato?" 48. Nella stessa opera, il santo vescovo, rivolgendo il discorso a tutti noi, tratta con cura la causa.comune dicendo: "La legge della carne è in conflitto con la legge della mente e noi dobbiamo lavorare e sudare per castigare il nostro corpo, per ridurlo alla servitù e per seminare le cose dello spirito" 49.

Esortazione di Ambrogio al combattimento spirituale.

5. 14. In un altro libro Sul Sacramento della rigenerazione o Sulla Filosofia, scrive: "Beata pertanto la morte che ci sottrae al peccato per trasformarci in Dio. Chi è morto è liberato dal peccato 50. Che forse qualcuno è liberato dal peccato solo quando muore? No davvero, poiché chi muore peccatore, rimane nel peccato. È liberato dal peccato solo colui al quale per mezzo del battesimo vengono rimessi tutti i peccati". Hai qualcosa da dire al riguardo? Vedi come il venerando uomo spiega che nel battesimo la morte dell'uomo diventa beata, perché in esso sono rimessi tutti i peccati? Ma fa' attenzione, ti prego, fa' attenzione a quello che non vuoi capire. "Abbiamo compreso, è sempre Ambrogio che scrive, come si muore misticamente. Consideriamo ora come deve essere la sepoltura. Non è sufficiente che muoiano i vizi, se non marcisce la lussuria del corpo, se non si sciolgono tutti i legami della carne e se non si allentano tutti i nodi delle abitudini corporali. Nessuno si illuda di aver perso un altro aspetto, di aver ricevuto mistici precetti e di aver impegnato il suo animo nella disciplina della continenza. Noi non facciamo quello che vogliamo, ma quello che abbiamo in odio. Molte cose opera in noi il peccato. Nonostante i nostri sforzi contrari, i piaceri risorgono e tornano a vivere in noi. Dobbiamo lottare contro la carne. Contro di essa dovette lottare Paolo, che alla fine esclama: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra 51. Sei forse più forte di Paolo? Non credo che vorrai confidare nella premurosa carne ed affidarti a lei, quando Paolo andava ripetendo: So bene infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne, perché volere il bene è alla mia portata, ma praticarlo no; non faccio il bene che voglio, ma commetto appunto il male che non voglio. E se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, bensì il peccato che abita in me 52". Per quanto grande sia, o Giuliano, l'ostinazione dell'animo cui ti lasci guidare, per quanto grande sia la caparbietà con cui ti opponi a noi nella difesa dell'errore pelagiano, altrettanto grande è l'evidenza dei fatti con i quali il beato Ambrogio ti assedia e la chiarezza degli argomenti con i quali ti bersaglia. Se nessuna ragione, nessun pensiero, nessuna considerazione di religione, di pietà, di umanità, di verità da scoprire in te stesso, ti revoca dalla cocciuta ostinazione, possa mostrare qual grande male è l'essere giunti in un punto nel quale non è più lecito restare e dal quale ci si vergogna di tornare indietro. Sarà questa la condizione in cui ti troverai quando avrai letto le mie parole. Ma, volesse il cielo che nel tuo cuore vinca la pace di Cristo e una penitenza salutare abbia il sopravvento su una cattiva vergogna!

Il pensiero di Ambrogio sul piacere della concupiscenza.

6. 15. Ora rifletti un po' su questa legge del peccato, le cui sollecitazioni l'uomo mortale casto deve sopportare ed a cui la castità dei coniugati si affatica ad imporre una misura quando la concupiscenza della carne ed il piacere che tu esalti sono eccitati ed esercitano il loro impeto contro il proposito della volontà, anche se, quando sono frenati, non si compie azione alcuna. Osserva dunque un tantino come da questa legge del peccato è generato ogni uomo, che, di conseguenza, contrae il peccato originale. Lo afferma Sant'Ambrogio nello stesso libro Sul Sacramento della rigenerazione o Sulla Filosofia. "C'è una casa, egli scrive, edificata dalla sapienza 53, ed una mensa ricolma di celesti sacramenti nella quale il giusto mangia il cibo del piacere divino, gustando la soave bevanda della grazia, se si rallegra nell'abbondanza dei suoi eterni meriti. Volendo generare questi figli, Davide aveva in orrore quei frutti dell'unione carnale e desiderava essere purificato al sacro fonte perché la grazia spirituale lavasse la macchia carnale e terrena. Ecco nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre 54. Eva ha partorito male per lasciare quel parto in eredità alle donne, cosicché tutti, tuffati nelle viscere genitali, formati nel piacere della concupiscenza, coagulati nel sangue e avvolti in panni, prima ancora di bere il dono dello spirito vitale, subiscono il contagio della colpa". Se un po' di sensibilità umana non ti ha abbandonato ancora del tutto, cerca di capire cosa ha detto del piacere, al quale tu offri uno sfacciato patrocinio, il venerato dottore Ambrogio, esaltato - bisogna dirlo spesso - dalla testimonianza del tuo stesso maestro. Tutti sono stati formati in essa, tutti sono stati concepiti con essa nelle viscere genitali e con essa sono stati coagulati nel sangue ed avvolti nei panni, non in quelli di lana o di lino o di altro materiale simile, con i quali sono avvolti i bambini appena nati, ma in quelli di una origine viziata, tramandati come per eredità. Sicché tutti subiscono il contagio delle colpe, prima ancora di respirare il soffio di quest'aria vitale, nella quale chi nasce è immerso come in una immensa fonte di comune ed inesauribile alimento dopo l'oscuro respiro delle viscere materne, e per piangere nella nascita il reato contratto prima ancora di nascere. Non dovevano forse arrossire quei primi uomini per l'impeto di questa concupiscenza, al quale anch'essi apparivano soggetti, mentre i loro figli erano destinati ad essere ugualmente soggetti al peccato dei genitori? Volesse il cielo che come essi arrossirono perché avevano nude quelle parti del corpo, in cui avvertivano la disobbedienza della libidine, così tu, obbedendo alla fede cattolica, arrossissi per avere lodato quelle cose di cui bisognava arrossire!

Cosa scrisse sulla vergogna dei primi uomini.

6. 16. Esamina inoltre quanto lo stesso dottore ha scritto nel libro Sul Paradiso in merito al coprirsi con le foglie di fico: "La cosa più importante è che Adamo, secondo questa interpretazione, si cinse nel punto dove avrebbe dovuto cingersi maggiormente a causa del frutto della castità. Si dice che nei lombi che noi cingiamo ci siano alcuni semi di generazione, e per questo a torto si cinse Adamo con inutili foglie di fico laddove voleva indicare non il frutto futuro della futura generazione, ma soltanto certi peccati" 55. In questo punto il nostro Santo ha reso vana la tua tanto elaborata dissertazione forse troppo affrettata, perché non si credesse che Adamo ed Eva, dopo il peccato, abbiano cinto i loro lombi ad occhi aperti 56. Affaticandoti con la tua eccessiva loquacità andavi contro il senso comune di tutti e desideravi intrappolare tutti con lo strepito delle tue chiacchiere. Che c'è di più semplice per coprire o cingere i lombi degli uomini che le mutandine o la cintura, chiamate in greco perizomata o muniturae presso il popolino? L'uomo di Dio, con le cui parole ti sto confutando, non l'ha esposto come se si trattasse di qualcosa di misterioso. Con semplicità ha illustrato il significato di una cosa che tutti conoscevano: "Nei lombi che ci cingiamo si dice che ci siano alcuni semi di generazione e perciò a torto si cinse Adamo con foglie inutili". Perché a torto? Continua spiegando: "nel punto dove voleva indicare non il frutto futuro della futura generazione, ma alcuni peccati". Puoi rispondere qualcosa? Ecco donde è derivata quella confusione, la necessità di cingersi di foglie, ed il peccato originale per i posteri.

Il pensiero del Crisostomo sullo stesso argomento.

6. 17. San Giovanni, vescovo di Costantinopoli, per quanto gliel'ha potuto permettere il pudore, ha espresso con due parole chiare ciò che fece arrossire quei primi uomini: "Erano ricoperti con foglie di fico per coprire una specie di peccato". Chi non comprende quale tipo di peccato dovevano coprire nella regione lombare coloro che prima del peccato non arrossivano affatto della nudità? Cercate di capire, vi prego. E cercate di far capire gli uomini che seguono il vostro pensiero e non vogliate costringerci a parlare più a lungo, quasi impudentemente, di cose di cui dobbiamo vergognarci.

La circoncisione come segno del battesimo.

6. 18. Giustamente anche il beato Giovanni, come pure il martire Cipriano, ci ricordano che la circoncisione della carne è stata imposta come simbolo del battesimo. "Vedi, egli scrive, come i giudei non differivano la circoncisione a cagione della minaccia che chiunque non fosse stato circonciso entro l'ottavo giorno sarebbe stato escluso dal loro popolo 57. Tu invece vuoi differire una circoncisione fatta non da mano di uomo, che si ottiene nel corpo con la spoliazione della carne, proprio mentre ascolti la parola stessa del Signore che dice: In verità, in verità vi dico: nessuno, se non nasce da acqua e Spirito, può entrare nel regno di Dio 58?" 59. Capisci come quest'uomo, conoscitore della dottrina della Chiesa, paragona una circoncisione ad una circoncisione ed una minaccia ad una minaccia? Quello che significava non essere circoncisi entro l'ottavo giorno, significa non essere battezzati in Cristo; quello che significava essere escluso dal suo popolo, significa non entrare nel regno di Dio. Ciò nonostante voi pretendete che nel battesimo dei bambini si celebri la spoliazione della carne, la circoncisione cioè fatta non da mano di uomo, perché, a vostro dire, essi non hanno nulla di che essere spogliati. Non li credete, infatti, morti nel prepuzio della propria carne, con cui è significato il peccato, soprattutto quello che si contrae con la nascita. Ma proprio per questo il nostro corpo è un corpo di peccato, che, secondo l'Apostolo, viene svuotato dalla Croce di Cristo 60.

Contro i platonici Ambrogio insegna che l'anima e il corpo sono opere di Dio.

7. 19. A questo punto ho deciso di controbatterti con le tesi dei vescovi che ci hanno preceduto e che hanno esaminato le parole divine con fedeltà ed in maniera mirabile. Torniamo quindi al vescovo Ambrogio. Egli non dubita affatto che tutto l'uomo, anima e corpo, è opera di Dio; onora il matrimonio; insegna che nel battesimo di Cristo sono rimessi tutti i peccati; riconosce che Dio è giusto e non nega che la natura umana con l'aiuto della grazia di Dio è capace di virtù e di perfezione. Le cinque argomentazioni consistono nel sostenere che nessuna di esse può essere vera, a meno che non sia falso che quelli che nascono contraggono il peccato originale. Ambrogio, nei suoi discorsi, tuttavia, al momento più opportuno pone proprio questo peccato, che voi mediante le vostre cinque argomentazioni cercate di sradicare, cosicché sia chiaro a tutti quello che la verità cattolica e quello che predica la profana innovazione cerca di distruggere. O forse dubitate che Ambrogio ha creduto ed insegnato che Dio è il creatore di tutto l'uomo, dell'anima cioè e del corpo? Ebbene, ascolta ciò che, nel libro Sulla Filosofia, contro il filosofo Platone, il quale asseriva che le anime degli uomini si mutavano in bestie e riteneva Dio creatore soltanto delle anime, mentre i corpi li riteneva creati da dèi minori, scrive Ambrogio: "Mi meraviglio che un così grande filosofo ponga l'anima, a cui attribuiva il potere di portare l'immortalità, nelle civette o nelle rane e ne rivesta anche le bestie feroci. Nel Timeo infatti, dopo aver detto che essa è opera di Dio, fatta da Dio tra le cose immortali, dichiara che il corpo non è opera del sommo Dio, poiché la natura della carne umana non differisce minimamente da quella del corpo delle bestie. Ma se una cosa è degna di essere ritenuta opera di Dio, perché mai dovrebbe essere ritenuta indegna di essere rivestita di un'opera di Dio?" 61. Come vedi, Ambrogio sostiene non solo che l'anima è opera di Dio, come pure i platonici dicevano, ma altresì contro i platonici che è sua opera anche il corpo, cosa che essi negavano.

Lo stesso dottore insegnò la bontà del matrimonio.

7. 20. O forse dirai che condanna il matrimonio perché insegna che il bambino che nasce da esso, concepito nel piacere della concupiscenza, subisce il contagio del peccato? Ascolta dunque il pensiero di Ambrogio sul matrimonio espresso nell'Apologia del santo Davide: "Il matrimonio è buono e l'unione è santa. Coloro che hanno la moglie si comportino come se non l'avessero. Lo stesso letto nuziale è incontaminato e nessuno deve privarne l'altro se non per un certo tempo per dedicarsi alla preghiera 62. Secondo l'Apostolo non ci si può dedicare alla preghiera durante il tempo in cui si fa uso di quell'incontro corporeo" 63. Un altro pensiero è esposto nel libro Sulla Filosofia: "E cosa buona la continenza; essa è quasi il sostegno della pietà. Essa infatti insegna la strada fissandone il cammino a coloro che cadono nel precipizio di questa vita ed è assidua vigilatrice affinché non s'insinui alcunché di illecito. L'incontinenza invece è la madre di tutti i vizi e trasforma in vizio anche le cose lecite. Per questo l'Apostolo non solo ci proibisce la fornicazione, ma ci insegna altresì ad avere una certa moderazione nell'uso del matrimonio e prescrive un tempo per la preghiera 64. Un intemperante nel matrimonio, infatti, che cosa è se non un adultero della moglie?". Vedi come egli vuole che i rapporti coniugali siano veramente onesti tra di loro? Non ti accorgi come afferma che l'incontinenza può trasformare in vizio anche le cose lecite? Questo non dimostra che l'unione è lecita e che l'incontinenza può sporcarvi ciò che è lecito? Comprendi come devi intendere con noi in quale malattia del desiderio l'Apostolo non ha voluto che ciascuno di noi possedesse il suo vaso come i pagani che ignorano Dio 65? A te invece la libidine appare colpevole solo al di fuori del matrimonio. Cosa penserai dunque di Ambrogio che dichiara l'intemperante nel matrimonio in un certo senso adultero della moglie? Credi forse di onorare di più il matrimonio, dando un larghissimo spazio alla libidine, affinché questa, forse offesa, non si provveda di un altro difensore? Tu non hai voluto accennare neppure con una parola alla questione da me menzionata, che l'Apostolo cioè lo permette a modo di concessione - senza dubbio infatti, anche se perdonata, la colpa è stimmatizzata -. Non hai voluto neppure replicare al fatto che egli esorta i coniugi ad astenersi dall'uso del matrimonio per dedicarsi alla preghiera 66, mentre io l'ho ricordato per intero. Probabilmente l'hai fatto perché temevi che la tua difesa potesse apparire falsa, qualora fossi stato costretto ad ammettere che la preghiera dei coniugi è impedita dalla libidine che tu non hai vergogna a patrocinare. Desiderando rispondermi, pertanto, ma non osando opporti all'Apostolo e non potendo, secondo il vostro solito modo di fare, sviare in un'altra direzione il senso delle sue parole, hai preferito tacere. E tu credi di onorare il matrimonio, del quale svaluti la dignità ponendolo nel pantano, quasi fosse irreprensibile, della concupiscenza carnale, più di Ambrogio che, pur dichiarandolo non solo lecito, ma addirittura santo, e pur dichiarando santa l'unione, richiama alla mente il tempo prescritto dall'Apostolo per la preghiera, quando cessa il piacere della libidine? Credi di onorare il matrimonio più di Ambrogio, che non vuole che i coniugi siano dediti a quella malattia donde ha origine il peccato originale, cosicché quelli che hanno moglie si comportino, a dire dell'Apostolo, come se non l'avessero? Egli non esita neppure un istante a dichiarare adultero della moglie un marito intemperante, poiché ritiene che tutto il bene del matrimonio sta non nella cupidigia della carne ma nella fedeltà della castità, non nella malattia della passione ma nel patto dell'unione, non nel piacere della libidine ma nella volontà della procreazione. Egli insegna che la moglie è stata data all'uomo solo per la generazione, cosa che hai creduto dover discutere a lungo, quasi che qualcuno di noi l'avesse negata. Ecco sull'argomento le parole stesse di Ambrogio tratte dal libro Sul Paradiso: "Se la moglie è causa di colpa per il marito, come si può dire che gli sia stata data per il suo bene? Se però consideri che Dio ha cura dell'universo, scoprirai che al Signore doveva piacere maggiormente ciò in cui c'era un motivo d'universalità anziché dover condannare quello in cui c'era una causa del peccato. Siccome la propagazione del genere umano non poteva aversi soltanto con l'uomo, Dio affermò che non stava bene solo 67. Dio ha preferito che fossero molti ad avere bisogno di salvezza, ed ai quali avrebbe dovuto essere perdonato il peccato, piuttosto che vi fosse solo Adamo immune da ogni colpa. Poiché, inoltre, egli è l'autore dell'una e dell'altra opera, è venuto in questo mondo per salvare i peccatori. Non ha permesso infine che neppure Caino, reo di fratricidio, fosse ucciso prima che avesse generato dei figli. È stato necessario, quindi, dare una moglie all'uomo per la propagazione del genere umano" 68.

Ma anche la remissione del peccato originale nel battesimo.

7. 21. Come vedi, Ambrogio, mio maestro, tanto mirabilmente lodato dal tuo, non solo professa ma addirittura difende che tutto l'uomo, anche la sua carne, è opera di Dio e che il matrimonio in quanto tale è un bene. Che, poi, nulla tolga al battesimo a causa del peccato originale, te l'ho dimostrato prima citando le sue parole: "È liberato dal peccato colui al quale nel battesimo sono rimessi tutti i peccati". In qual punto dei suoi libri insegna che Dio non è giusto? Quale cristiano cattolico può dubitare di una verità che addirittura gli empi professano?

Secondo Ambrogio la natura umana è capace della giustificazione.

8. 22. Riguardo alla quinta argomentazione, resta da vedere se Ambrogio ritiene la natura umana capace di giustizia e di perfezione. Non si può certo dire che si allontani da questa tesi per il fatto che ripete spesso ed in molti modi che l'uomo nasce sotto il peccato e che la sua stessa origine è nella colpa. Per la verità anche questo l'ho già dimostrato sopra ricordando che ha detto: "la carne di Cristo ha condannato il peccato che egli non sentì quando nacque e che crocifisse quando morì, affinché nella nostra carne ci fosse la giustificazione per la grazia laddove c'era stata la confusione a causa della colpa". Con queste parole egli dimostra che la natura umana, anche quella che nasce sotto il peccato e la cui origine stessa è nella colpa, è capace di giustificazione, ma solo per mezzo della grazia, la qual cosa dispiace moltissimo a voi, che della stessa grazia siete crudelissimi avversari. Se questo è poco, fa' attenzione a quanto egli dice nel Commento al profeta Isaia: "Vediamo un po' se, dopo il pellegrinaggio di questa vita, c'è la rigenerazione della quale è stato scritto: Nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo siederà sul suo trono glorioso 69. Come si chiama rigenerazione quella del lavacro per il quale, detersa la massa dei peccati, noi siamo rinnovati, così sembra debba essere chiamata rigenerazione quella per cui, purificati da ogni macchia di materialità e resi di animo limpido, siamo rigenerati alla vita eterna" 70. Il santo e verace uomo ha giustamente distinto la giustificazione che si ha in questa vita per mezzo del lavacro di rigenerazione, da quella perfetta dell'altra vita, quando i nostri corpi saranno rinnovati dalla immortalità. Ambrogio quindi, anche ammettendo la colpa di origine in chi nasce, non ritiene impossibile la perfetta giustificazione. La natura umana, come ha potuto essere plasmata da Dio Creatore, può essere sanata da Dio redentore.

Ambrogio ammonisce sulle difficoltà di sfuggire al male nella vita terrena.

8. 23. Ma voi avete fretta e con la fretta fate precipitare la vostra presunzione. Voi vorreste che l'uomo diventi perfetto quaggiù, ma volesse il cielo che lo fosse per dono di Dio e non per il libero arbitrio, o, piuttosto, per schiavo l'arbitrio della propria volontà! Da questa perfezione vi sentite lontani. C'è inganno però nella vostra bocca, sia che vi dichiarate peccatori e volete essere creduti giusti, sia che professate la perfezione della giustizia, che sentite di non avere in voi. Per tre vie in questa vita ci viene conferita la giustificazione: col lavacro di rigenerazione in virtù del quale sono rimessi tutti i peccati; combattendo i vizi del cui reato siamo stati assolti e con l'esaudimento della preghiera in cui diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti 71. Pur combattendo contro i vizi con tutta la forza possibile, restiamo sempre uomini. Mentre combattiamo in questo corpo corruttibile, la grazia di Dio ci aiuta in modo che non ci manchi il motivo per cui egli ci possa esaudire quando chiediamo perdono. Voi non ritenete necessaria questa misericordia di Dio su di noi, perché appartenete al numero di quelli di cui il salmista dice: Che confidano nella loro virtù 72. Quanto è meglio ascoltare Ambrogio: "Spesso noi parliamo della fuga da questo mondo, scrive nel libro La fuga dal mondo, ma volesse il cielo che l'anima sia tanto attenta e sollecita quanto è facile il parlare. Quel che è peggio, però, è che molto spesso si insinua l'attrattiva delle passioni terrene e l'accecamento delle vanità ottenebra la mente sicché finisci per pensare proprio a quelle cose che cerchi di evitare e le rimugini nel tuo animo. Guardarsene per l'uomo è difficile, spogliarsene del tutto è impossibile. Che di fatto esso stia più nel desiderio che nella realtà lo testimonia il Profeta quando dice: Rivolgi il mio cuore ai tuoi insegnamenti e non all'avarizia 73. Il nostro cuore infatti non è in nostro potere e i nostri pensieri con il loro improvviso offuscarsi confondono la nostra mente ed il nostro animo e ci portano fuori da quello che ti eri proposto. Richiamano ai desideri secolari, insinuano preoccupazioni mondane, suscitano sentimenti voluttuosi, intessono fantasie seducenti e, proprio mentre ci prepariamo ad innalzare la nostra mente, per l'intromissione di vani pensieri, siamo respinti verso le cose terrene" 74. Se dite di non soffrire tutto questo, perdonateci, ma non vi crediamo. In queste parole di sant'Ambrogio, anche se facciamo qualche progresso, vediamo uno specchio dell'infermità comune a tutti gli uomini. Nell'ipotesi che vi credessimo e vi dicessimo: pregate per noi affinché non patiamo tali cose, vi troveremmo talmente gonfi e saccenti che ci rispondereste non solo che voi non soffrite queste cose, ma che è in potere degli uomini il non soffrirle e che non c'è alcun motivo per chiederne aiuto a Dio.

La fiducia dell'uomo nella grazia di Dio.

8. 24. Quanto è meglio dunque ascoltare Ambrogio che professa la grazia di Dio e non si fida della sua forza! "Chi è tanto beato, scrive dopo quanto detto sopra, che nel suo cuore è in costante ascesa? Ma chi può farlo senza l'aiuto di Dio? Nessuno, nella maniera più assoluta. La Scrittura di lui dice: Beato l'uomo che ha l'aiuto da te, o Signore, e la spinta in alto nel suo cuore 75". Lo stesso Ambrogio nel libro Sul Sacramento della rigenerazione 76 scrive: "Chi, se non l'anima, si serve della carne per agire? L'anima per sua natura è capo e padrona della carne, che deve domare e reggere. Sostenuta dall'aiuto dello Spirito Santo, essa esclama nel Salmo: Non temerò quello che mi farà la carne 77 ed aggiunge in san Paolo: Castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù 78. Paolo castiga ciò che è suo, non ciò che egli è. Altro è ciò che è suo, altro ciò che egli è. Castiga ciò che è suo, perché, essendo giusto, uccide in sé la sensualità del corpo" 79. Quando Ambrogio scriveva queste cose non era forse in lotta con i vizi? Non li vinceva forse? Non debellava forse dentro di sé l'esercito delle più svariate passioni come un glorioso soldato di Cristo? Non castigava forse il suo corpo? E, dopo avere superato e sconfitto le opere del diavolo, non ricercava forse la pace della giustizia tra le due opere di Dio, tra l'anima cioè ed il corpo, cosicché, non riponendo la fiducia nelle sue forze, potesse ripetere: "...sostenuta dall'aiuto dello Spirito Santo, essa esclama: Non temerò ciò che mi farà la carne 80"? Ecco come la natura umana è dimostrata capace di giustificazione, ed ecco come la virtù si perfeziona nella debolezza 81.

Cipriano insegna che nessuno può vivere senza peccato.

8. 25. Su questo argomento è bene ascoltare anche il parere del vittorioso martire Cipriano. Nella lettera Sulla Mortalità così egli si esprime: "Noi dobbiamo scontrarci con l'avarizia, con l'impudicizia, con l'ira, con l'ambizione e dobbiamo perseverare in una assidua e fastidiosa lotta con i vizi della carne e le seduzioni del mondo. La mente dell'uomo e assediata e da ogni parte è circondata dagli assalti del diavolo, a mala pena riesce a combatterli singolarmente ed a mala pena resiste. Se riesce a prostrare l'avarizia, si solleva la libidine; se sconfigge la libidine, viene l'ambizione; se l'ambizione è spezzata, l'ira s'accende, la superbia gonfia, l'ebrezza ti tenta; l'invidia distrugge la concordia, la gelosia spezza l'amicizia. Sei costretto a maledire, cosa che la legge divina proibisce e sei spinto a giurare, cosa che non è lecito. L'animo soffre ogni giorno tante persecuzioni, il cuore è oppresso da tanti pericoli e tuttavia c'è gusto a restare a lungo quaggiù tra le spade del diavolo, mentre bisognerebbe aspirare e desiderare con ardore di andare più rapidamente nella morte, incontro a Cristo che viene" 82. Lontano da noi però pensare che Cipriano sia stato avaro perché ha lottato con l'avarizia o impudico, irascibile, ambizioso, carnale, amante di questo mondo, libidinoso, superbo, ubriaco o invidioso perché ha combattuto contro l'impudicizia, l'ira, l'ambizione, i vizi carnali, le attrattive del mondo, la libidine, la superbia, il vino, l'invidia. A maggior ragione anzi non ha avuto alcuno di questi vizi appunto perché resisteva tenacemente a queste cattive inclinazioni, provenienti in parte dalla nascita ed in parte dalla vita, non consentendo di diventare ciò che volevano farlo diventare. Ciò nonostante, in una lotta tanto pericolosa e faticosa, non ha potuto evitare di essere ferito da qualche dardo nemico, come egli stesso confessa nella sua lettera Sulle Elemosine: "Nessuno si illuda della sua purezza immacolata, tanto da ritenersi immune dalla necessità di medicare le sue ferite fidando totalmente nella sua innocenza. È stato scritto infatti: Chi potrà gloriarsi di avere il cuore puro o di essere immune da peccati? 83, e così San Giovanni nella sua lettera ha scritto: Se diciamo di non avere peccati, noi inganniamo noi stessi e la verità non è in noi 84. Se nessuno può essere senza peccato, chi si vanta di essere senza colpa o è superbo o è stolto. Quanto è necessaria, quanto è benigna la divina clemenza, la quale, sapendo che ai risanati non sarebbero mancate ferite postume, ha donato rimedi salutari per sanare di nuovo le ferite" 85. O maestro famosissimo, o testimone gloriosissimo, così ci hai insegnato, così ci hai esortato, così ti sei offerto a noi per essere ascoltato ed imitato. Dopo aver terminato gli altri combattimenti contro tutte le passioni e dopo aver sanato tutte le ferite, per la verità di Cristo hai combattuto contro il più grande dei desideri, quello della vita, e, per la larghezza della grazia di Dio, meritatamente hai vinto. La tua corona è sicura e vittoriosa è la tua dottrina con cui sconfiggi anche costoro che confidano nelle proprie forze. Essi gridano: la perfezione della virtù dipende da noi. Tu rispondi: "Nessuno è forte per le sue forze, ma lo è per la magnanimità e la misericordia di Dio".

S. Ilario pone la perfezione dell'uomo nella risurrezione finale.

8. 26. Ascolta anche il beatissimo Ilario e vedi dove ripone la speranza della perfezione. Parlando della pace evangelica con riferimento alle parole del Signore: Vi do la mia pace 86, scrive: "Poiché la legge è l'ombra dei beni futuri, per mezzo di questa prefigurazione significativa ci ha insegnato che, in questo corpo terreno e destinato alla morte, non ci è possibile essere immacolati finché non otteniamo la purificazione con il lavacro della misericordia divina, quando, dopo la trasformazione del nostro corpo terreno per la risurrezione, la nostra natura sarà diventata più gloriosa" 87. Nello stesso discorso, scrive più avanti: "Pur rinnovati e santificati dalla parola della fede, gli stessi Apostoli non erano esenti da malizia, data la comunanza di origine con noi, come ci viene dimostrato dalle parole di Cristo: Voi, pur essendo cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli" 88. Vedi bene che neppure questo venerabile polemista cattolico nega la nostra purificazione in questa vita, anche se egli spera in una natura più perfetta, più ampiamente purificata, cioè, che si avrà nell'ultima risurrezione.

Dio si serve del diavolo per la purificazione dell'uomo.

8. 27. In una omelia sul libro del santo Giobbe - fa' bene attenzione -, egli afferma che il diavolo ci scatena contro una lotta senza fine, eccitando contro di noi quei mali che dimorano in noi. Ci vuole insegnare che tutto torna a nostro vantaggio, poiché la misericordia di Dio trasforma la malizia del diavolo nella nostra purificazione: "È tanto grande e tanto mirabile, egli scrive, la bontà della misericordia di Dio verso di noi che, mediante lo stesso mezzo per cui, nell'offesa di Adamo avevamo perduto la ricchezza della prima e beata creazione, meritiamo di ottenere di nuovo quanto abbiamo perduto. Per invidia allora il diavolo ci ha portato il male, ora invece, mentre cerca di farci del male, viene sconfitto. Attraverso la debolezza della nostra carne egli ci scaglia addosso tutti i dardi del suo potere, quando ci accende alla lussuria, ci invita all'ubriachezza, ci eccita all'odio o ci spinge all'avidità, ci dispone all'omicidio, o ci stimola alla maledizione. Quando però, con la forza di volontà, reprimiamo queste tentazioni di ogni genere, veniamo purificati dal peccato per la gloria di questa vittoria. Sta scritto infatti: Come si purificherà il nato di donna 89? Se manca il nemico non c'è combattimento, e se non c'è combattimento non ci sarà neppure vittoria. Non ci sarà purificazione dai vizi, senza una vittoria sui vizi che si scontrano con noi. Dopo avere sconfitto in mezzo a queste insidie il pirata del nostro corpo, invece siamo liberati dalla contesa delle passioni che lottano contro di noi. Memori pertanto e consapevoli che il nostro stesso corpo è materia per tutti i nostri vizi, e che, per colpa sua macchiati e sporchi, non troviamo in noi nulla di puro, nulla di innocente, rallegriamoci di avere un nemico nella cui lotta combattiamo la guerra della nostra lotta interiore" 90.

Un testo di Ilario sui vizi della natura.

8. 28. Nel Commento al primo Salmo, lo stesso dottore non esita ad affermare che la nostra natura, proprio questa natura che trae infermità da infermità, è portata a peccare, e che, per non peccare, dobbiamo in certo qual modo combattere contro di essa con l'arma della fede. Egli scrive: "Ci sono molti che, pur lontani dall'empietà in virtù della fede, non per questo sono liberi dal peccato, se non osservano la legge della Chiesa. Tali sono gli avari, gli ubriaconi, i tumultuosi, gl'insolenti, i superbi, i simulatori, i falsi, i rapaci. A questi vizi ci spinge l'istinto stesso della nostra natura. È utile però per noi allontanarci dalla strada verso cui siamo inclinati, e non fermarci lì, cedendo ad un moroso tentennamento. Beato è l'uomo infatti che non si ferma sulla via del peccato 91. Se la natura ci spinge verso questa via, l'adesione alla fede ci ritrae da essa" 92. Possiamo ritenerlo, forse, costui accusatore della natura, creata da Dio? No davvero. Da buon cattolico, non dubitava affatto che la natura umana è opera di Dio, ma non esitava a condannare i vizi con i quali noi nasciamo, tenendo presente le parole dell'Apostolo: Per natura siamo stati figli dell'ira, come tutti gli altri 93. Se queste parole citate da Sant'Ilario le avessi scritte io, quante me ne avresti dette! Con quanto fracasso mi avresti sventolato il nome ed il crimine dei manichei! Ora, affinché il sacco del tuo stomaco non si rompa per una eccessiva indigestione di maledizioni, vomita contro costui, se hai coraggio, le tue calunniose e pazze falsità. "A questi vizi, egli diceva, ci spinge l'istinto stesso della natura". Qual è questa natura? Forse la stirpe delle tenebre, come crede la favola dei manichei? No di certo. È un cattolico che parla, è un insigne Dottore della Chiesa, è Ilario che parla. La nostra natura è stata viziata dalla caduta del primo uomo. Non ha bisogno di essere separata da alcun'altra natura, ma soltanto di essere sanata. È la natura che, secondo la tua calunnia, noi faremmo derivare dal diavolo, ed alla quale, invece, tu ti ostini a rifiutare Cristo quale Salvatore, e che credi capace di vivere perfettamente quaggiù, così da essere senza alcun peccato.

La speranza dell'uomo è la misericordia di Dio.

8. 29. Su questo punto ascolta ancora l'ammonimento del beato Ilario nel suo commento al Salmo cinquantuno: "La speranza è nella misericordia di Dio per i secoli dei secoli 94. Le nostre opere di giustificazione non sono sufficienti a meritare la perfetta beatitudine, a meno che la misericordia di Dio, pur in questa volontà di giustizia, non imputi le colpe della mutevolezza e delle passioni dell'uomo. Da qui il detto del Profeta: La tua misericordia è più buona della vita" 95. Ti accorgi che quest'uomo di Dio è del numero di quei beati di cui è stato detto: Felice l'uomo cui non imputa il Signore il peccato: né c'è frode nel suo spirito 96? Riconosce infatti anche i peccati dei giusti, asserendo che la loro fiducia è riposta più nella misericordia di Dio, che nella propria giustizia. Non c'è frode perciò nella sua bocca e nella bocca di tutti coloro dei quali riporta questa testimonianza di sincera umiltà e di umile verità. La frode invece abbonda nella vostra bocca, dove non c'è virtù, ma tanta superbia, e tanta ipocrisia. Dove c'è ipocrisia, senz'altro c'è frode. Voi confidate nella vostra forza che è nulla, nella stessa misura con cui i Santi confidavano nella misericordia di Dio che è immensa. La forza che essi impiegano per combattere con l'aiuto della grazia di Dio i vizi congeniti, voi la impiegate per combattere la grazia stessa di Dio. Ma, volesse il cielo che come essa vince voi nei suoi Santi, così, facendovi suoi, vinca voi stessi in voi.

La perfezione degli Apostoli.

8. 30. Avreste pure il coraggio di dire in cuor vostro che, ascoltando voi, gli uomini s'infiammano per la virtù, mentre ascoltando tali e tanti uomini, quali Cipriano, Ilario, Gregorio, Ambrogio e tutti gli altri sacerdoti di Dio, si distruggono per la disperazione e rinunciano ad ogni impegno per la perfezione. Questi mostruosi pensieri passano per la vostra mente e non vi vergognate? Lodando la natura, voi credete di onorare i Santi di Dio, i Patriarchi, i profeti, gli Apostoli, mentre questi luminari della Chiesa, disprezzando la natura, li disonorano, solo perché hanno dichiarato che, per mantenere il bene della castità in questo corpo di morte, hanno combattuto contro il congenito male della concupiscenza, che prima dev'esser vinta nella lotta con l'aiuto della grazia di Dio, e poi sanata dall'ultima rigenerazione? Tu pensi che sia un giudeo a pronunciare le parole: Non faccio il bene che voglio 97, e lo pensi col chiaro proposito di "non riversare il sudiciume della condotta in odio alla natura, di consolarti con le brutture, ingiuriando gli Apostoli e i Santi". Secondo te questi mali che tu non fai li faceva Ambrogio con tutti quelli che come lui ritenevano che l'Apostolo diceva di se stesso: Non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio, oppure: Vedo un'altra legge nelle mie membra che ripugna alla legge della mia mente 98 ecc. Questi santi, dunque, secondo voi, affermando tali cose "minavano il muro del pudore", mentre voi siete odiati perché predicate la perfezione? Ma tu ti consoli perché ritieni una specie di gloria l'aver arrecato dispiacere ad uno che non ha risparmiato neppure gli Apostoli. Se io, però, dicendo tali cose, non ho risparmiato gli Apostoli, non li ha risparmiati neppure Ambrogio e tutti gli altri che la pensavano come lui. Se poi quelli appresero queste cose dagli Apostoli e secondo gli Apostoli le insegnarono, perché allora ti opponi solo a me? Guarda costoro e, deponendo un tantino l'alterigia, guardali più e più volte. E così, sfacciatissimo giovane, dovrai consolarti per avere recato loro dispiacere, o non piuttosto piangere?

Riassunto degli argomenti trattati nel libro.

9. 31. Vediamo ora di riassumere per quanto possibile sinteticamente tutto quello che abbiamo trattato in questo libro. Con la vasta mole dell'autorità dei santi che sono stati vescovi prima di noi ed hanno difeso strenuamente, mentre erano in vita, la fede cattolica non solo con le parole ma anche con gli scritti lasciati ai posteri, ci siamo proposti di infrangere le vostre seguenti proposizioni: "Se l'uomo è una creatura di Dio, non può nascere con un difetto; se il matrimonio è un bene, da esso non può nascere alcunché di male; se nel battesimo sono rimessi tutti i peccati, i nati da genitori battezzati non possono contrarre il peccato originale; se Dio è giusto, non può condannare nei figli la colpa dei genitori, dal momento che ad essi perdona anche i peccati personali; se la natura umana è capace di perfetta giustificazione, non può avere difetti naturali". Contro queste proposizioni diciamo: Dio è creatore di tutto l'uomo, dell'anima cioè e del corpo; il matrimonio è un bene; per mezzo del battesimo di Cristo sono rimessi tutti i peccati; Dio è giusto; la natura umana è capace di perfetta giustizia. Pur essendo vere tutte queste cose, affermiamo nel contempo che gli uomini nascono soggetti ad un'origine viziata, derivante dal primo uomo. Per questo motivo vanno verso la condanna se non rinascono in Cristo. Questo lo abbiamo dimostrato con l'autorità dei santi cattolici, che riguardo al peccato originale, sostengono le medesime cose che sosteniamo noi e ritengono vere tutte e cinque le nostre tesi. Non è affatto logico che quello sia falso perché queste sono vere. Sono tali e tanti gli uomini che, secondo la dottrina cattolica diffusa nell'antichità per tutta la terra, confermano la verità dell'uno e delle altre che la vostra fragile e, direi, quasi faceta novità, viene schiacciata solo dalla loro autorità. In aggiunta a ciò che essi dicono, la verità stessa attesta di parlare per mezzo di loro. Voi stessi non siete convinti che tali uomini abbiano potuto errare nella fede cattolica al punto da affermare qualcosa da cui derivasse come conseguenza che: Dio non è il creatore dell'uomo; il matrimonio è da condannarsi; nel battesimo non si ha la remissione totale dei peccati; Dio è ingiusto, a noi non rimane alcuna speranza di perfezionare la virtù, cose che in tutto o in parte è nefando pensare. È necessario pertanto, a questo punto, reprimere con la loro autorità la vostra ostinazione, affinché, quasi rimbalzati dalla forza della presunzione ed in certo modo quasi respinti, possiate frenare i vostri precipitosi ardimenti e, come riavendovi da una pazzia, possiate cominciare a ricordare, a riconsiderare, a rifare vostra quella verità nella quale siete stati nutriti.

Raccolta dei testi di S. Ambrogio.

9. 32. Il beato Ambrogio afferma che un solo uomo, il Mediatore tra Dio e gli uomini, è stato sciolto dai vincoli di una generazione macchiata perché, nato da una Vergine, nella nascita non ha sentito il peccato. Tutti gli altri uomini nascono nel peccato e la loro stessa origine è nella colpa, poiché, formati nel piacere della concupiscienza, prima ancora di respirare lo spirito vitale di quest'aria, hanno subìto il contagio della colpa. In questo corpo di morte, la legge stessa della concupiscenza, come una legge di peccato, ripugna alla legge della mente a tal punto che contro di essa hanno dovuto combattere non solo i buoni fedeli, ma gli stessi Apostoli con la loro grande virtù, al fine di sottomettere, con l'aiuto della grazia di Cristo, la carne all'anima ed in tal modo richiamarla alla concordia. Tra di esse, infatti, create senza peccati, proprio per la trasgressione del primo uomo, è nata la discordia. Chi lo dice? Un uomo di Dio, un cattolico, un acerrimo difensore della verità cattolica contro gli eretici pronto a versare il proprio sangue, esaltato tanto dal tuo maestro che di lui arriva a dire: "Neppure un nemico avrebbe osato riprendere la sua fede e la sua purissima interpretazione della Scrittura". Contro l'errore dei filosofi platonici ha affermato che Dio è creatore non solo delle anime, ma anche dei corpi. Ha insegnato che il matrimonio è un bene istituito da Dio per la propagazione del genere umano e che la castità coniugale santifica l'unione. Ha detto che nessuno è giustificato dal peccato se prima, nel battesimo, non gli sono stati rimessi tutti i peccati. Da uomo giusto ha adorato sempre Dio giusto, ed è stato sempre ben lontano dal credere che l'uomo non potesse progredire nella perfezione della virtù e della giustizia. Egli tuttavia ritiene che la perfezione, cui nulla più debba essere aggiunto, la si troverà solo nell'altra vita e sarà piena solo nella risurrezione dei morti. In questa vita la giustizia umana sta nel lottare non solo contro le avverse potestà spirituali, ma anche contro le nostre stesse passioni attraverso cui i nemici esterni cercano di penetrare in noi e di abbatterci. In questa lotta abbiamo come terribile avversaria la nostra stessa carne, la cui natura, quale era stata creata al principio, sarebbe andata molto d'accordo con noi, se non fosse stata viziata dalla caduta del primo uomo, e quindi contagiata dallo stesso male. Quel santo uomo, in questa lotta, ci ammonisce di fuggire il mondo e ci dimostra quanto grande, nella fuga, sia la difficoltà o addirittura l'impossibilità, se non viene in aiuto la grazia di Dio. Nel battesimo, con la remissione di tutti i peccati, i vizi muoiono, ma in certo qual modo dobbiamo curarne la sepoltura. Anche se sono morti noi abbiamo con essi un conflitto così aspro che finiamo per non fare quello che vogliamo, ma quello che abbiamo in odio. Il peccato ci costringe a fare molte cose contro la nostra volontà e spesso risorgono vive le passioni. Dobbiamo lottare contro la carne, contro cui ha lottato Paolo quando diceva: Vedo un'altra legge nelle mie membra, in conflitto con la legge della mia ragione 99. Ci comanda di non confidare nella carne e di non crederle perché l'Apostolo esclamava: So infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne, perché volere il bene è alla mia portata, ma praticarlo no 100. Ecco quale grande battaglia ci esorta a combattere contro i peccati morti, quel valoroso soldato di Cristo fedele dottore della Chiesa. Come è possibile che il peccato sia morto, se ci costringe a fare molte cose contro la nostra volontà? E cosa sono queste cose se non i desideri stolti e nocivi che immergono nella morte e nella perdizione quelli che vi consentono 101? Sopportarli senza consentirvi è la lotta, il conflitto, la guerra. Che guerra se non tra bene e male, non tra natura e natura, ma tra natura e vizio, già morto ma non ancora sepolto, vale a dire non ancora sanato perfettamente? Come è possibile, insieme a quest'uomo, ritenere morto nel battesimo questo peccato ed affermare che abita in noi e che suscita molti desideri contro la nostra volontà, ai quali, com'egli confessa, resistiamo non acconsentendo, se non per il fatto che è morto nel reato con cui ci teneva legati e che si ribella anche da morto, fin quando non sia completamente sanata dalla perfezione della sepoltura? Esso tuttavia non è detto peccato nel senso che rende colpevole l'uomo, ma nel senso che, essendo frutto del peccato del primo uomo, ribellandosi, cerca di spingerci al peccato se non ci viene in aiuto la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, cosicché, pur morto, non abbia più a ribellarsi e, con la vittoria, non torni a rivivere e regnare.

Il pensiero degli esegeti cattolici sul peccato originale.

10. 33. Mentre ci affanniamo in questa guerra per tutto il tempo che la vita umana costituisce una tentazione sulla terra 102, non siamo immuni da peccato, perché ciò che in quel modo chiamiamo peccato agisce dentro di noi in contrasto con la legge della mente anche se non ci trova consenzienti alle cose illecite. Per quanto ci riguarda, noi potremmo essere sempre senza peccato fino alla totale guarigione da questo male, se riuscissimo a non acconsentire mai ad esso. Purtroppo, però, nelle cose in cui siamo sconfitti dallo spirito ribelle, sia pure venialmente e non mortalmente, in esse traiamo donde ogni giorno dover dire: Rimetti a noi i nostri debiti 103. Così per esempio peccano i coniugi quando, per sola voluttà, oltrepassano la misura necessaria alla generazione; così i non sposati quando si fermano in tali pensieri con qualche diletto, non al punto da volere l'azione cattiva, ma non allontanando, come è necessario, la mente dal fissarsi nel cattivo pensiero, oppure non ritraendola prontamente quando vi si era fissata. Di questa legge del peccato, che può essere chiamata peccato, che ripugna alla legge della mente e di cui il beato Ambrogio ha detto molte cose, fanno fede altri Santi quali Cipriano, Ilario, Gregorio e moltissimi altri. Chi è generato in Adamo, dunque, deve essere rigenerato in Cristo; chi è morto in Adamo, deve essere vivificato in Cristo. Egli è legato al peccato di origine perché nasce dal male per cui la carne ha voglie contro lo spirito, e non dal bene per cui lo spirito ha desideri contro la carne 104. Qual meraviglia dunque se ha necessità di rinascere l'uomo nato dal male contro il quale il battezzato deve combattere ed a causa del quale egli stesso sarebbe colpevole se non ne fosse liberato dalla nuova nascita? Questo male non è una materia che viene da Dio creatore, bensì una ferita del diavolo che l'ha viziata. Non è il male del matrimonio, ma solo il peccato dei primi uomini trasmesso per generazione. Il reato di questo male è rimesso nella santificazione del battesimo. Dio sarebbe molto più ingiusto se, lui giusto, infliggesse ai fanciulli, pur non avendo contratto essi alcun peccato, tutti quei mali che non si riescono a contare. Non è però negata all'uomo la capacità di perfetta giustizia, perché, con l'aiuto del Medico onnipotente, neppure la perfetta guarigione di tutti i vizi è detta impossibile. Tanti sacerdoti santi ed illustri nell'esposizione delle divine Scritture, quali Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Innocenzo, Giovanni, Basilio, ai quali, tu voglia o no, aggiungo il prete Girolamo, per omettere gli altri che sono ancora vivi, hanno difeso contro di voi la verità cattolica, che tutti gli uomini sono soggetti al peccato originale. Nessuno è escluso, all'infuori di colui che la Vergine ha concepito immune dalla legge del peccato che ripugna alla legge della mente.

I giudici della controversia.

10. 34. Perché tanta esultanza e perché, con l'aria del vincitore, m'insulti "come se io non sapessi più cosa fare, dove rifugiarmi, qualora dovessi comparire dinanzi a dei giudici, e dovessi sedere insieme a te in un'assise di eruditi, mentre tu" gran trombettiere, "suoni la tromba della vera ragione tra gli applausi degli ascoltatori che risuonano" per approvarti? Raffiguri così ai tuoi occhi la nostra disputa ed immagini, secondo il tuo gusto, che io non sappia rispondere ai tuoi ragionamenti! La tua fervida fantasia ti crea uno scenario vano e, direi, pazzo: insieme a te mi trovo davanti a dei giudici pelagiani e, mentre essi applaudono, tu puoi alzare come una tromba la tua voce e proclamare contro la fede cattolica, contro la grazia di Cristo, in virtù della quale, piccoli e grandi sono liberati dal peccato, l'errore di questa nuova empietà comune a te e a loro. Ma neppure il vostro maestro Pelagio, pur senza aver alcun avversario di fronte, ha potuto trovare giudici del genere nella Chiesa di Dio. Al cospetto degli uomini egli è uscito assolto da quel tribunale, dopo aver condannato apertamente la vostra tesi. Dovunque tu sia o possa leggere queste pagine, ti porrò dinanzi a questi giudici nell'intimo del tuo cuore. In questa nostra disputa non li ho scelti perché amici miei e nemici tuoi, oppure perché propensi a me in virtù di qualche merito ed avversi a te per qualche offesa. Non ho inventato con fervida fantasia persone che non sono mai esistite o non esistono, oppure che hanno idee incerte sul problema che si agita tra noi. Ho indicato singolarmente e apertamente, come si conveniva, santi ed illustri vescovi della Chiesa di Dio, greci e latini, eruditi tanto nel sapere platonico, aristotelico, zenonico o di altri del genere - alcuni di essi in verità anche in questo erano dottissimi - quanto nelle Sacre Scritture. Ho esposto le loro tesi, per quanto mi è sembrato sufficiente, senza alcuna ambiguità, perché tu avessi a temere non essi, ma Colui che di essi ha fatto dei vasi utili e con essi ha costruito dei santi templi. Essi hanno dato il loro giudizio su questa causa in un momento in cui nessuno avrebbe potuto accusarli di favorire l'uno o avversare l'altro. Non esistevate ancora voi, contro cui entrate in conflitto su questo argomento; non c'eravate ancora per affermare quello che esponi nei tuoi libri: "che su di voi abbiamo mentito alla moltitudine, o che col nome dei celestiani e dei pelagiani abbiamo spaventato gli uomini, o con il terrore abbiamo estorto loro il consenso". Certo tu stesso hai affermato che "i giudici debbono essere liberi da odio, amicizia, inimicizia, ira". Ebbene, anche se di questo genere se ne possono trovare pochi, Ambrogio e tutti gli altri, che ho ricordato insieme a lui, sono da ritenersi tali. Può anche darsi che non sempre sono stati ritenuti tali nelle cause portate davanti ad essi mentre erano in vita e che essi, con il loro giudizio, hanno chiuso. Certamente però erano tali quando hanno dato il loro giudizio sulla nostra causa. Essi non cercavano né la nostra né la vostra amicizia; non avevano inimicizie; non erano adirati né con noi né con voi, e non avevano compassione né di noi né di voi. Hanno conservato ciò che hanno trovato nella Chiesa; hanno insegnato ciò che hanno imparato, ed hanno trasmesso ai figli ciò che hanno appreso dai padri. La nostra causa è stata trattata presso di loro prima ancora che noi la trattassimo con voi dinanzi ad essi. Né voi né noi eravamo a loro noti, eppure nei loro scritti leggiamo la sentenza emessa contro di voi a nostro favore. Non ancora combattevamo contro di voi e ci ritroviamo vincito in virtù della loro sentenza.

Giuliano esortato a valutare le testimonianze patristiche.

10. 35. Tu dici che "qualora dovessi comparire dinanzi a dei giudici - scelti naturalmente da te -, non saprei cosa fare, dove rifugiarmi e non potrei trovare nulla per oppormi alle tue argomentazioni". Ti sbagli. Saprei molto bene cosa fare e saprei molto bene dove rifugiarmi. Passerei dalle oscurità pelagiane a questi luminosissimi fari cattolici. Cosa che faccio subito. Rispondimi piuttosto: cosa faresti tu e dove ti rifugeresti? Io passerei dai pelagiani a costoro, e tu da costoro a chi ricorreresti? Siccome pensi che "non è il numero delle sentenze che conta, ma il loro peso", e che - su questo anch'io sono d'accordo! - "a nulla giova una moltitudine di ciechi per trovare qualche cosa", oserai forse dire che costoro sono ciechi? Il lungo giorno 105 ha forse mescolato talmente la sommità con il fondo, e fino a tal punto la luce è confusa con le tenebre e le tenebre con la luce che Pelagio, Celestio, Giuliano ci vedono, mentre Ilario, Gregorio, Ambrogio sono ciechi? Chiunque tu sia però, se sei veramente uomo, mi sembra di vedere la tua vergogna - purché in te non sia morta ogni speranza di salvezza! - ed in certo senso di ascoltare la tua voce. "Lungi da me, rispondi, dire o solo pensare che costoro sono ciechi". Pondera dunque le loro sentenze. Non voglio che siano molte perché non ti sia di fastidio il contarle. Non sono però di poco conto sicché tu debba disdegnare di soppesarle. Sono anzi tanto pesanti che ti vedo già affaticato sotto il loro peso. O forse anche di questi dirai che "io, imbelle, ti sto opponendo l'opinione di un mio pari, e che in preda al terrore vado nominando i complici"?

La fede della moltitudine cristiana.

10. 36. Tu scrivi: "In un tribunale, dopo avere allontanato lo strepito della folla, non basta scegliere i nomi da qualsiasi genere di uomini, siano essi sacerdoti o amministratori o prefetti per discutere tali cose, ma è necessario scegliere la prudenza e rispettare il piccolo numero, che la ragione, l'erudizione, la libertà elevano". Questo è vero. Io però non vengo a turbarti con la moltitudine, anche se, con l'aiuto di Dio, su questa fede che voi contrastate, anche la moltitudine cattolica pensa rettamente, ed anche se, in ogni dove molti, per quanto è possibile e come meglio è possibile, secondo l'aiuto di Dio, confutano anch'essi le vostre vane argomentazioni. Lontana da me, quindi, la presunzione che mi rinfacci: "che io, cioè, ho promesso di trattare da solo, a nome di tutti, questa causa contro di voi". Sei tu piuttosto che ti comporti così tra i pelagiani e non arrossisci di scrivere e di dire che "c'è maggior gloria per te di fronte a Dio nel difendere una verità abbandonata". Certamente sono diventati molto abietti ed abbandonati e dipendono molto da te se non ritengono che sia intollerabile presunzione quella con cui ti anteponi anche agli stessi Pelagio e Celestio, maestri di tutti voi, quasi che essi abbiano cessato di combattere e sia rimasto tu solo a difendere la verità che ritenete abbandonata. Dal momento che a te piace non contare la moltitudine, ma tener conto della qualità del piccolo numero, eccettuando i giudici della Palestina, che, nell'assoluzione di Pelagio, costretto dal timore a rinnegare gli stessi dommi pelagiani, hanno condannato la vostra eresia, ti ho contrapposto quali giudici in questa causa dieci vescovi già morti ed un prete, che trattarono della questione quand'erano in vita. Se si considera la vostra scarsità essi sono molti; se si considera invece la moltitudine dei vescovi cattolici, sono pochissimi. Probabilmente cercherai di sottrarre dal loro numero papa Innocenzo ed il prete Girolamo, il primo perché condannò Pelagio e Celestio ed il secondo perché con retta intenzione ha difeso in Oriente la fede cattolica contro Pelagio. Cerca, però, di leggere quello che Pelagio dice in lode del beatissimo papa Innocenzo 106 e dimmi se ti riesce facile trovare simili giudici. Riguardo poi a quel santo sacerdote che, a misura della grazia che gli è stata data, ha lavorato tanto nella Chiesa ed ha aiutato tanto l'erudizione cattolica nella cultura latina con molte e necessarie opere, Pelagio era solito blaterare non altro "che l'aveva invidiato come rivale". Ma non è questa una ragione per cui egli debba essere ritirato dal numero di questi giudici. Non ho citato infatti la tesi che, al tempo della controversia, egli tenne e difese contro il vostro errore. Ho citato soltanto ciò che, libero da ogni preoccupazione di parte, ha scritto nei suoi libri, prima che si diffondessero i vostri dannabili dogmi.

La richiesta pelagiana di un concilio episcopale.

10. 37. Sugli altri non hai assolutamente niente da dire. Che forse Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Gregorio, Basilio, Ambrogio, Giovanni "sono stati suscitati contro di voi dalla feccia plebea dei seggiolari", come tu scherzi con linguaggio tulliano? Che forse erano "soldati, scolari, marinai, bottegai, pescatori, cuochi, macellai"?. Erano forse "giovani dissoluti, scacciati dai monaci"? o appartenevano alla "massa indistinta dei chierici" che tu, con raffinata mordacità, o, più ancora, con la tua vanità disprezzi come esagitati, "perché non riescono a giudicare i dommi secondo le categorie di Aristotele"? Quasi che tu, che tanto ti lamenti perché "vi è negato un esame ed un giudizio dei vescovi", possa trovare un concilio di peripatetici, dove si possa pronunciare una sentenza contro il peccato originale, partendo dal soggetto e da ciò che sta nel soggetto. Questi sono vescovi, seri, dotti, santi, solidi difensori della verità contro garrule vanità, nei quali non potrai trovare nulla da disprezzare quanto a ragione, erudizione e libertà, le tre qualità che hai attribuito ai giudici. Se si potesse riunire un sinodo episcopale da tutto il mondo, sarebbe meraviglioso se potessero sedere facilmente tutti insieme. Essi però non sono vissuti neppure nella stessa epoca. Dio infatti dispensa in tempi diversi ed in luoghi distanti, come a lui piace, i suoi pochi fedeli amministratori che si innalzano al di sopra di molti. Provenienti pertanto da tempi e regioni diverse, dall'Oriente e dall'Occidente, tu li vedi adunati non in un luogo verso cui gli uomini sono costretti a navigare, bensì in un libro che possa navigare verso gli uomini. Quanto più essi sarebbero per te giudici desiderabili se avessi la fede cattolica, tanto essi sono per te terribili perché ti opponi alla fede cattolica, che essi hanno succhiato con il latte, e preso con il cibo, ed il cui latte ed il cui cibo a loro volta essi hanno somministrato a grandi e piccoli, mentre la difendevano apertamente e con forza contro nemici che allora non erano ancora nati e che ora si sono manifestati in voi. Per opera di questi piantatori, innaffiatori, edificatori, pastori, nutritori, la S. Chiesa è cresciuta dopo gli Apostoli. Per questo essa ha temuto le insane voci della vostra innovazione. Attenta e sobria, secondo l'esortazione dell'Apostolo, affinché non accadesse che al pari di Eva sedotta dall'astuzia del serpente la sua mente si staccasse dalla castità di Cristo 107, è inorridita nel vedere le insidie del vostro domma infiltrarsi nella verginità della fede cattolica e le ha calpestate, le ha schiacciate e le ha scagliate lontano, come era avvenuto per la testa del serpente. Dinanzi a tante parole ed a così grande autorità dei Santi, o dovrai essere sanato con l'aiuto della misericordia di Dio - egli sa quanto io lo desidero - oppure, cosa che detesto, qualora resterai fermo in ciò che ti pare sapienza, ma che è invece grande stoltezza, non potrai andare a cercare i giudici per purgare la tua causa dinanzi ad essi, ma solo per accusare tanti maestri della Chiesa Cattolica, illustri e memorabili: Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Gregorio, Basilio, Ambrogio, Giovanni, Innocenzo, Girolamo e tutti gli altri compagni e colleghi, nonché la Chiesa tutta in Cristo, che, somministrando fedelmente alla divina famiglia il cibo del Signore, hanno acquistato grande stima e gloria davanti a Dio. Contro la tua miserabile pazzia - che Dio voglia allontanare da te! - mi rendo conto che ai tuoi libri debbo rispondere in modo da difendere la loro fede contro di te, così come il Vangelo è difeso contro gli empi e i nemici manifesti di Cristo.