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Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

Omelia 58: L'esempio da imitare.

Sant'Agostino d'Ippona

Omelia 58: L'esempio da imitare.
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Lavare i piedi, su l'esempio di Cristo, è un esercizio di umiltà che, mentre costringe il corpo a piegarsi, coltiva nell'animo sentimenti di rispetto e di amore fraterno.

1. Già abbiamo spiegato alla vostra Carità, come il Signore ci ha concesso, le parole che egli rivolse ai suoi discepoli nell'atto di lavar loro i piedi: Chi si è lavato, non ha bisogno che di lavarsi i piedi, perché è tutto mondo (Gv 13, 10). Vediamo ora quello che segue: E voi siete mondi, ma non tutti. Di questa frase non dobbiamo cercare il significato perché l'evangelista stesso ce lo ha spiegato, aggiungendo: Sapeva, infatti, chi lo tradiva, perciò disse: Non tutti siete mondi (Gv 13, 11). Niente di più chiaro; perciò andiamo avanti.

2. Quando, dunque, ebbe lavato i loro piedi e riprese le sue vesti e si fu adagiato di nuovo a mensa, disse loro: Comprendete ciò che vi ho fatto? (Gv 13, 12). E' giunto il momento di mantenere la promessa che aveva fatto a san Pietro e che aveva differita quando, a lui che si era spaventato e gli aveva detto: Non mi laverai i piedi in eterno, il Signore aveva risposto: Quello che io faccio tu adesso non lo comprendi: lo comprenderai, però, dopo (Gv 13, 7). Questo momento è giunto: è tempo che gli dica ciò che prima ha differito. Il Signore, dunque, si è ricordato che aveva promesso di rivelare il significato del suo gesto così inatteso, così straordinario, così sconvolgente, che se egli non li avesse spaventati tanto, non avrebbero mai permesso che il loro maestro e maestro degli angeli, il loro Signore e Signore dell'universo, lavasse i piedi dei suoi discepoli e servi. Ora, per l'appunto, comincia a spiegare il significato del suo gesto, come aveva promesso dicendo: Lo capirai dopo.

[Giova a noi servire alla verità.]

3. Voi mi chiamate - egli dice - Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono (Gv 13, 13). Dite bene perché dite la verità; sono infatti ciò che dite. All'uomo è stato rivolto l'ammonimento: Non ti lodi la tua bocca, ma ti lodi la bocca del tuo prossimo (Prv 27, 2). E' infatti pericoloso compiacersi, per chi deve stare attento alla superbia. Ma chi sta al di sopra di tutte le cose, per quanto si lodi non può innalzarsi più di quello che è: non si può certo accusare Dio di presunzione. E' a noi, non a lui, che giova conoscere Dio; e nessuno può conoscerlo, se lui, che si conosce, non si rivela. Se, per non apparire presuntuoso, avesse taciuto la sua lode, ci avrebbe privato della sua conoscenza. Nessuno, certo, può rimproverargli di essersi chiamato maestro, neppure chi lo considera soltanto un uomo; perché ognuno che sia esperto in una qualsiasi materia, si fa chiamare professore, senza che per questo venga considerato presuntuoso. Il fatto però che egli si chiami il Signore dei suoi discepoli, che anche di fronte al mondo sono uomini liberi, come si può tollerare? Ma qui è Dio che parla. Non corre nessun pericolo di elevarsi in superbia una tale altezza, non corre nessun pericolo di mentire la Verità. E' per noi salutare sottometterci a così eccelsa grandezza ed è utile servire alla Verità. Il fatto che egli si chiami Signore non costituisce una colpa per lui, ma è un vantaggio per noi. Si lodano le parole di quell'autore profano, che dice: Ogni arroganza è sempre odiosa, ma l'arroganza dell'ingegno e dell'eloquenza è insopportabile (Cicerone, in Q. Caecilium); e tuttavia lo stesso autore profano così parla della sua eloquenza: Se la giudicassi così, direi che è perfetta; senza timore di presunzione, perché è la verità (Cicerone, in Oratore). Se dunque quel maestro di eloquenza non doveva temere di essere arrogante nel dire la verità, come potrebbe avere questo timore la stessa Verità? Dica il Signore di essere il Signore, dica la Verità di essere la verità: se egli non dicesse ciò che è, io non potrei apprendere quanto mi è utile sapere. Il beatissimo Paolo che non era certo il Figlio unigenito di Dio, ma il servo e l'apostolo del Figlio unigenito di Dio, e che non era la verità ma solamente partecipe di essa, con franchezza e sicurezza dice: Se volessi vantarmi, non sarei insensato perché direi solo la verità (2 Cor 12, 6). Perché non è in se stesso, ma nella verità, a lui superiore, che umilmente e sinceramente si vanta, secondo quanto egli stesso raccomanda: Chi si vanta, si vanti nel Signore (cf. 1 Cor 1, 31). Ora, se un uomo che ama la sapienza, non teme di essere insensato gloriandosi in essa, dovrà forse temere di essere insensata la Sapienza stessa nel manifestare la sua gloria? Se non ebbe timore di essere arrogante colui che disse: Nel Signore si vanterà l'anima mia (Sal 33, 3), dovrà temere di esserlo la potenza del Signore, in cui l'anima del servo si vanta? Voi mi chiamate - dice - Signore e Maestro; e dite bene, perché lo sono. Appunto dite bene, perché lo sono; infatti se io non fossi ciò che voi dite, direste male anche lodandomi. Come può la Verità negare ciò che affermano i discepoli della Verità? Come può negare ciò che hanno appreso proprio da essa? Come può la fonte smentire ciò che proclama chi ad essa beve? Come può la luce nascondere quanto viene manifestando a chi vede?

[Serviamoci vicendevolmente.]

4. Se dunque - egli aggiunge - io, il Signore e il maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi a vicenda. Vi ho dato, infatti, un esempio, affinché anche voi facciate come ho fatto io (Gv 13, 14-15). Questo, o beato Pietro, è ciò che tu non comprendevi, quando non volevi lasciarti lavare i piedi. Egli ti promise che l'avresti compreso dopo, allorché il tuo Signore e Maestro ti spaventò affinché tu gli lasciassi lavare i tuoi piedi. Abbiamo appreso, fratelli, l'umiltà dall'Altissimo; rendiamoci reciprocamente, e con umiltà, il servizio che umilmente ha compiuto l'Altissimo. E' un grande esempio di umiltà, il suo. A questo esempio si ispirano i fratelli che rinnovano anche esternamente questo gesto, quando vicendevolmente si ospitano; è molto diffuso questo esercizio di umiltà che così efficacemente viene espressa in questo gesto. E' per questo che l'Apostolo, presentandoci la vedova ideale, sottolinea questa benemerenza: essa pratica l'ospitalità, lava i piedi ai santi (1 Tim 5, 10). E i fedeli, presso i quali non esiste la consuetudine di lavare i piedi materialmente con le mani, lo fanno spiritualmente, se sono del numero di coloro ai quali nel canto dei tre giovani vien detto: Benedite il Signore, santi e umili di cuore (Dn 3, 87). Però è meglio, e più conforme alla verità, se si segua anche materialmente l'esempio del Signore. Non disdegni il cristiano di fare quanto fece Cristo. Poiché quando il corpo si piega fino ai piedi del fratello, anche nel cuore si accende, o, se già c'era, si alimenta il sentimento di umiltà.

5. Ma, a parte questa applicazione morale, ricordiamo di aver particolarmente sottolineato la sublimità di questo gesto del Signore, che, lavando i piedi dei discepoli, i quali già erano puliti e mondi, volle farci riflettere che noi, a causa dei nostri legami e contatti terreni, nonostante tutti i nostri progressi sulla via della giustizia, non siamo esenti dal peccato; dal quale peraltro egli ci purifica intercedendo per noi, quando preghiamo il Padre che è nei cieli che rimetta a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori (cf. Mt 6, 12). Vediamo come si concilia questo significato con le parole che egli aggiunge per motivare il suo gesto: Se, dunque, io, il Signore e il maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi a vicenda. Vi ho dato, infatti, un esempio, affinché anche voi facciate come ho fatto io. Dobbiamo forse dire che anche il fratello può purificare il fratello dal contagio del peccato? Certamente; questo sublime gesto del Signore costituisce per noi un grande impegno: quello di confessarci a vicenda le nostre colpe e di pregare gli uni per gli altri, così come Cristo per tutti noi intercede (cf. Rm 8, 34). Ascoltiamo l'apostolo Giacomo, che ci indica questo impegno con molta chiarezza: Confessatevi gli uni agli altri i peccati e pregate gli uni per gli altri (Gc 5, 16). E' questo l'esempio che ci ha dato il Signore. Ora, se colui che non ha, che non ha avuto e non avrà mai alcun peccato, prega per i nostri peccati, non dobbiamo tanto più noi pregare gli uni per gli altri? E se ci rimette i peccati colui che non ha niente da farsi perdonare da noi, non dovremo a maggior ragione rimetterci a vicenda i nostri peccati, noi che non riusciamo a vivere quaggiù senza peccato? Che altro vuol farci intendere il Signore, con un gesto così significativo, quando dice: Vi ho dato un esempio affinché anche voi facciate come ho fatto io, se non quanto l'Apostolo dice in modo esplicito: Perdonatevi a vicenda qualora qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi dell'altro; come il Signore ha perdonato a voi, fate voi pure (Col 3, 13)? Perdoniamoci a vicenda i nostri torti, e preghiamo a vicenda per le nostre colpe, e così, in qualche modo, ci laveremo i piedi a vicenda. E' nostro dovere adempiere, con l'aiuto della sua grazia, questo ministero di carità e di umiltà; sta a lui esaudirci, purificarci da ogni contaminazione di peccato per Cristo e in Cristo, e di sciogliere in cielo ciò che noi sciogliamo in terra, cioè i debiti che noi avremo rimesso ai nostri debitori.