Il racconto dell'anticristo
Vladimir Sergeevic Soloviev
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Il Signor Z. (legge) C'era in questo tempo, tra i credenti spiritualisti, un uomo ragguardevole - molti lo chiamavano superuomo -, il quale era lontano dall'infanzia della mente e dall'infanzia del cuore. Egli era ancor giovane, ma grazie al suo genio eccelso a trentatré anni godeva fama di grande pensatore, di scrittore e di riformatore sociale. Cosciente di possedere in sé una grande forza spirituale, era sempre stato un convinto spiritualista e la sua vivida intelligenza gli aveva sempre indicato la verità di ciò a cui si deve credere: il bene. Dio, il Messia. Egli credeva in ciò, ma non amava che se stesso. Credeva in Dio, ma nel fondo dell'anima involontariamente e senza rendersene conto preferiva se stesso a Lui. Credeva nel Bene, ma l'Occhio dell'Eternità, che vede tutto, sapeva che quest'uomo si sarebbe inchinato davanti alla potenza del male, appena appena questa riuscisse a corromperlo, non con l'inganno dei sentimenti e delle basse passioni e nemmeno con la suprema attrattiva del potere, ma solleticando il suo smisurato amor proprio. Del resto questo amor proprio non era ne un istinto incosciente ne una folle pretesa. A parte il suo talento eccezionale, la sua bellezza e la sua nobiltà, anche le altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza, parevano giustificare a sufficienza lo sconfinato amor proprio che nutriva per sé il grande spiritualista, l'asceta, il filantropo. Se gli si rinfacciava di essere così in abbondanza fornito di doni divini, egli vi scorgeva i segni particolari di una eccezionale benevolenza dall'alto verso di lui e si considerava come secondo dopo Dio, il figlio di Dio, unico nel suo genere. In una parola egli riconosceva in sé quelle che erano le caratteristiche del Cristo. Ma la coscienza della sua alta dignità all'atto pratico non prendeva in lui l'aspetto di un obbligo morale verso Dio e il mondo, ma piuttosto l'aspetto di un diritto e di una superiorità in rapporto agli altri e soprattutto in rapporto al Cristo. Ma non aveva per Cristo una ostilità di principio. Gli riconosceva l'importanza e la dignità di Messia; però con tutta sincerità vedeva in lui soltanto il suo augusto precursore. Per quella mente ottenebrata dall'amor proprio erano inconcepibili l'azione morale del Cristo e la Sua assoluta unicità. Egli ragionava così: "Cristo è venuto prima di me; io mi manifesto per secondo, ma ciò che viene dopo in ordine di tempo, in natura è primo. Io giungo ultimo alla fine della storia precisamente perché sono il salvatore perfetto, definitivo. Quel Cristo è il mio precursore. La sua missione era di precedere e preparare la mia apparizione". E in base a quest'idea, il grande uomo del secolo XXI applicava a se tutto ciò che è detto nel Vangelo circa il secondo avvento, spiegando questo avvento non come il ritorno di Cristo stesso, ma come la sostituzione del Cristo precursore col Cristo definitivo, cioè se stesso.
In questo stadio «l'uomo del futuro» si presenta ancora in modo ben
definito e originale. Considerava il suo rapporto con Cristo alla stessa
guisa di Maometto, un uomo retto che non si può accusare di nessuna
cattiva intenzione.
La preferenza piena di amor proprio, che egli fa di se stesso nei
confronti del Cristo, verrà giustificata da quest' uomo con un
ragionamento di questo genere: «Il Cristo è stato il riformatore
dell'umanità, predicando e manifestando il bene morale nella sua vita,
io invece sono chiamato ad essere il benefattore di questa umanità, in
parte emendata e in parte incorreggibile. Darò a tutti gli uomini ciò
che è loro necessario. Il Cristo, come moralista ha diviso gli uomini
secondo il bene e il male, mentre io li unirò con i benefici che sono
ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi. Sarò il vero rappresentante
di quel Dio che fa sorgere il suo sole e per buoni e per i cattivi e
distribuisce la pioggia sui giusti e sugli ingiusti. Il Cristo ha
portato la spada, io porterò la pace. Egli ha minacciato alla terra il
terribile ultimo giudizio. Però l'ultimo giudizio sarò io e il mio
giudizio non sarà solo un giudizio di giustizia ma anche un giudizio di
clemenza. Ci sarà anche la giustizia ma non una giustizia compensatrice
bensì una giustizia distributiva. Opererò una distinzione fra tutti e a
ciascuno darò ciò che gli è necessario.
E in questa magnifica disposizione, egli attende un chiaro appello di
Dio che lo chiami all'opera della nuova salvezza dell'umanità, una
testimonianza palese e sorprendente che lo dichiari il figlio maggiore,
il primogenito diletto da Dio. Attende e nutre il suo amor proprio con
la coscienza delle proprie virtù e delle proprie doti sovraumane;
infatti egli è, come si dice, un uomo di una moralità irreprensibile e
di un genio straordinario.
Questo giusto, pieno di orgoglio, attende la suprema sanzione per
cominciare la propria missione che porterà alla salvezza del l'umanità,
ma è stanco di aspettare. Ha già compiuto trent'anni e altri tre anni
trascorrono. Ed ecco gli balena nella mente un pensiero e con un brivido
ardente gli penetra fino al midollo delle ossa: «E se?... E se non
fossi io, ma quell'altro... Il Galileo... S'egli non fosse il mio
precursore, ma il vero primo ed ultimo? Però in tal caso dovrebbe essere
vivente... Dov'è dunque Lui?... Se a un tratto mi venisse incontro...
in questo momento, qui... Che Gli direi? Dovrei inchinarmi davanti a lui
come l'ultimo cristiano scimunito e borbottare stupidamente come un
qualsiasi cittadino russo: "Signore Gesù Cristo abbi pietà di me
peccatore", oppure prostrarmi a terra come una donnetta polacca? Io che
sono un genio luminoso, il superuomo. No, mai! ». E a questo punto al
posto dell'antico ragionevole e freddo rispetto per Dio e per il Cristo,
germoglia e si sviluppa nel suo cuore dapprima una specie di timore e
poi l'invidia ardente che opprime e contrae tutto il suo essere; infine
l'odio furioso si impadronisce della sua anima. «Sono io, io, non Lui!
Lui non è tra i viventi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto,
non è risorto! È marcito, è marcito nel sepolcro, come l'ultima...».
Con la schiuma alla bocca, a balzi convulsi, si lancia fuori dalla sua
casa e dal suo giardino e fugge nella notte fonda e buia per un
sentiero roccioso... Si placa il suo furore e ad esso succede una
disperazione arida e pesante come quelle rocce, oscura come quella
notte. S'arresta sull'orlo di un precipizio che cade a picco e ode di
lontano il confuso fragore di un torrente che scorre in basso fra le
rocce. Un'angoscia intollerabile gli opprime il cuore. A un tratto
qualcosa si agita dentro di lui. «Lo chiamerò per chiedergli ciò che
debbo fare?». E nell'oscurità gli appare un volto dolce e triste. «Egli
ha compassione di me... No, mai! Non è risorto, non è risorto! ». E si
getta nell'abisso. Ma qualche cosa di elastico come una colonna d'acqua,
lo trattiene sospeso nell'aria, egli si sente sconvolto come da una
scossa elettrica, e una forza arcana lo ributta indietro. Per un istante
perde la conoscenza e si risveglia, in ginocchio a qualche passo dal
precipizio. Davanti a lui si stagliava una figura avvolta in un nebuloso
nimbo fosforescente e due occhi gli trapassavano l'anima con un sottile
insopportabile bagliore...
Vede quei due occhi penetranti e senza darsi conto se provenga dal suo
intimo o dall'esterno ode una strana voce sorda, perfettamente
contenuta e nello stesso tempo netta, metallica e priva affatto di anima
come quella di un fonografo. E questa voce gli dice: «Mio amato figlio,
in te è riposto tutto il mio affetto... Perché non sei ricorso a me?
Perché hai onorato l'altro, il cattivo e il padre suo! Io sono dio e
padre tuo. Ma quel mendicante, il crocifisso è estraneo a me e a te. Non
ho altri figli all'infuori di te. Tu sei l'unico, il solo generato,
uguale a me. Io ti amo e non esigo nulla da te. Così tu sei bello,
grande, possente. Compi la tua opera nel tuo nome e non nel mio. Io non
provo invidia nei tuoi confronti.
Ti amo e non richiedo nulla da parte tua. L'altro, colui che tu
consideravi come dio, ha preteso dal suo figlio obbedienza e una
obbedienza illimitata fino alla morte di croce e sulla croce lui non lo
ha soccorso. Io non esigo nulla da te, ma parimenti ti aiuterò. Per amor
tuo, per il tuo merito, per la tua eccellenza e per il mio amore puro e
disinteressato verso di te, io ti aiuterò. Ricevi il mio spirito. Come
prima il mio spirito ti ha generato nella bellezza, così ora ti genera
nella forza». A queste parole dello sconosciuto, le labbra del superuomo
si sono involontariamente socchiuse, due occhi penetranti si sono
accostati vicinissimi al suo volto ed ha provato la sensazione come se
un getto pungente e ghiacciato penetrasse in lui e riempisse tutto il
suo essere. E nel medesimo tempo si è sentito pervaso da una forza
inaudita, da un vigore, da una agilità e da un entusiasmo mai provati.
In quello stesso istante sono scomparsi a un tratto il fantasma luminoso
e i due occhi e qualcosa ha sollevato il superuomo sopra la terra e
d'un colpo lo ha deposto nel suo giardino.
Il giorno dopo, non solo i visitatori del grande uomo, ma perfino i
servitori furono stupiti per il suo aspetto particolare, quasi ispirato.
Ma sarebbero rimasti ancora più colpiti se avessero potuto vedere con
quale rapidità e facilità soprannaturali, rinchiuso nel suo studio, egli
scriveva la sua celebre opera La via aperta verso la pace e la
prosperità universale.
I precedenti libri e l'azione sociale del superuomo avevano incontrato
dei severi critici, ancorché essi fossero per la maggior parte
soprattutto religiosi e perciò privi di qualsiasi autorità; infatti
quello di cui parlo è il tempo dell'Anticristo. E così, pochi erano
stati coloro che avevano potuto ascoltare questi critici, quando
indicavano in tutti gli scritti e in tutti i discorsi «dell'uomo del
futuro» i segni di un amor proprio assolutamente intenso ed eccezionale
ed esprimevano dubbi di fronte all'assenza di una vera semplicità, di
rettitudine e di bontà di cuore.
Ma con questa sua nuova opera egli riuscì ad attirare a sé perfino
alcuni che in precedenza erano stati suoi critici ed avversari. Questo
libro, scritto dopo l'avventura dell'abisso, manifesta in lui la potenza
di un genio senza precedenti. È qualcosa che abbraccia insieme e mette
d'accordo tutte le contraddizioni. Vi si uniscono il nobile rispetto per
le tradizioni e i simboli antichi con un vaste e audace radicalismo di
esigenze e direttive sociali e politiche, uni sconfinata libertà di
pensiero con la più profonda comprensione di tutto ciò che è mistico,
l'assoluto individualismo con una ardente dedizione al bene comune, il
più elevato idealismo in fatte di principi direttivi con la precisione
completa e la vitalità delle soluzioni pratiche. Tutto questo risultava
così unito e legato insieme con tale genialità d'arte che ogni singolo
pensatore, ogni uomo d'azione, poteva facilmente scorgere ed accettare
l'insieme soltanto sotto l'angolo particolare del proprio personale
punto di vista. E questo senza nulla sacrificare della verità in se
stessa, senza elevarsi per essa effettivamente al di sopra del proprio
io, senza assolutamente rinunciare di fatto al loro esclusivismo, senza
nulla correggere circa gli errori di opinione o di tendenza, senza
colmare per nulla possibili lacune. Questo libro meraviglioso è subito
tradotto nelle lingue di tutte le nazioni progredite e anche il alcune
di quelle arretrate. Per un anno intero, in tutte le parti del mondo,
migliaia di giornali sono pieni zeppi della pubblicità degli editori e
dell'entusiasmo dei critici. Edizioni economiche, col ritratto
dell'autore, si diffondono a milioni di esemplari e l'intero mondo
civile (a quell'epoca cioè quasi tutto il globo terrestre) si riempie
della gloria dell'uomo incomparabile, grande, unico! Nessuno osa
ribattere a questo libro che appare a ciascuno come rivelazione della
verità integrale. Tutto il passato vi è trattato con così perfetta
giustizia, tutto il presente apprezzato con tanta imparzialità, sotto
tutti gli aspetti e il futuro migliore è accostato in modo così evidente
e palpabile, che ciascuno dice: «Ecco qui ciò di cui abbiamo bisogno;
ecco un ideale che non è utopia, ecco un progetto che non è una
chimera». E il prodigioso scrittore non se lo trascina tutti, ma ognuno
lo trova gradevole e in tal modo si compie la parola del Cristo.
«Sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accoglierete, un altro
verrà nel suo proprio nome e voi l'accoglierete». Infatti per essere
accolto bisogna essere piacevole.
Veramente alcune pie persone, pur lodando con calore il libro, si
stanno a domandare perché mai non vi sia nominato nemmeno una volta il
Cristo, ma altri cristiani ribattono: «Sia lodato Iddio! Nei secoli
passati tutte le cose sacre sono state rese logore da ogni sorta di
zelatori senza vocazione ed ora uno scrittore profondamente religioso
deve essere molto circospetto. E visto che il contenuto del libro è
permeato dal vero spirito cristiano, dall'amore attivo e dalla
benevolenza universale, che volete ancora?».
Questa risposta fa tornare l'accordo fra tutti. Poco dopo la
pubblicazione della Via aperta, che fece del suo autore l'uomo più
popolare che fosse mai comparso al mondo, si doveva tenere a Berlino
l'assemblea costituente internazionale dell'Unione degli Stati Uniti
d'Europa. Questa Unione, istituita dopo una serie di guerre esterne ed
interne, collegate con la liberazione dal giogo dei Mongoli e che aveva
mutato in modo considerevole la carta dell'Europa, questa Unione era
esposta al pericolo di uno scontro, ora non più tra le nazioni, ma tra i
partiti politici e sociali. I reggitori della politica generale
europea, appartenenti alla potente confraternita dei framassoni, si
rendevano conto della carenza di una autorità generale esecutiva.
Raggiunta al prezzo di tanta fatica, l'Unione europea era ad ogni
istante sul punto di disgregarsi. Nel consiglio dell'Unione o tribunale
universale (Comité permanent universel) non si era raggiunta
l'unanimità, perché i veri massoni, votati alla causa, non erano
riusciti a impadronirsi di tutti i seggi. I membri indipendenti del
Comitato stringevano fra loro degli accordi separati e questo fatto
prospettava la minaccia di una nuova guerra. Allora gli «adepti»
decisero di rimettere il potere esecutivo nelle mani di una sola
persona, munita dei pieni poteri necessari. Il principale candidato era
un membro segreto dell'ordine, «l'uomo del futuro».
Era l'unica personalità che godesse di una rinomanza universale. Era per professione scienziato nel ramo della balistica e per posizione sociale un ricco capitalista; per questo aveva potuto annodare ovunque amichevoli relazioni con uomini appartenenti alla finanza e all'esercito. In altri tempi meno civili si sarebbe levata contro di lui la circostanza che la sua origine era coperta da una densa nube di incertezza. Sua madre, donna di facili costumi, era largamente nota in tutti e due gli emisferi, e troppi uomini di diverse condizioni avevano uguale motivo di ritenerlo loro figlio. Queste circostanze non potevano certo avere alcuna importanza in un secolo così progredito che perfino gli era toccato in sorte di essere l'ultimo. L'uomo del futuro fu eletto presidente a vita degli Stati Uniti d'Europa con la quasi unanimità di suffragi e, quando comparve alla tribuna in tutto lo splendore della sua sovrumana giovanile bellezza e della sua forza e con eloquenza ispirata espose il suo programma universale, l'assemblea sedotta ed affascinata, in uno slancio di entusiasmo, decise di conferirgli senza votazione l'onore supremo: il titolo di imperatore romano. Il congresso si chiuse fra il tripudio generale e il grande eletto emanò un proclama che cominciava così: «Popoli della terra! Vi do la mia pace! » e terminava con queste parole: «Popoli della terra! Si sono compiute le promesse! L'eterna pace universale è assicurata! Ogni tentativo di turbarla incontrerà immediatamente una insuperabile resistenza. Giacché d'ora in poi c'è sulla terra una potenza centrale più forte di tutte le altre potenze, sia prese separatamente che prese insieme.
Questa potenza, che nulla può vincere e che prevale su tutti, appartiene a me il plenipotenziario, l'eletto dell'Europa, l'imperatore di tutte le sue forze. Il diritto internazionale possiede finalmente quella sanzione che fino adesso gli mancava. E d'ora innanzi nessuna potenza oserà dire: guerra, quando io dico: pace. Popoli della terra, la pace sia con voi! ». Questo manifesto produsse l'effetto desiderato. Ovunque fuori dell'Europa, specialmente in America, sorsero dei forti partiti fautori dell'impero che costrinsero i loro governi ad unirsi, a condizioni diverse, con gli Stati Uniti di Europa, sotto l'autorità suprema dell'imperatore romano. Qua e là in Asia e in Africa rimanevano ancora delle tribù e dei sovrani indipendenti. L'imperatore, con un esercito poco numeroso, ma scelto, formato da truppe russe, tedesche, polacche, ungheresi e turche, compie una passeggiata militare dall'Asia orientale fino al Marocco e senza grande spargimento di sangue sottomette tutti i recalcitranti. In tutte le regioni di queste due parti del mondo, egli nomina dei governatori, presi tra i magnati indigeni educati all'europea e a lui devoti. In tutti i paesi pagani, la popolazione, abbagliata ed affascinata, ne fa una divinità superiore. In un anno egli fonda la monarchia universale nel senso vero e proprio della parola. I germi della guerra vengono estirpati fin dalla radice.
La lega universale della pace si riunisce per l'ultima volta, pronuncia un entusiastico panegirico per il grande fondatore della pace e poi si scioglie, non avendo più ragione di esistere. Nel secondo anno di regno, l'imperatore romano e universale emette un nuovo proclama: «Popoli della terra! Io vi ho promesso la pace e ve l'ho data. Ma la pace è bella soltanto con la prosperità. Colui che nella pace è minacciato dai mali della miseria non ha che una pace senza gioia. Venite dunque ora a me tutti voi che avete fame e freddo che io vi sazierò e vi riscalderò». E poi annuncia la semplice e completa riforma sociale che aveva già tracciata nel suo libro e aveva ormai affascinato tutti gli spiriti nobili e sensati. Ora grazie alla concentrazione nelle sue mani di tutte le finanze del mondo e di colossali proprietà fondiarie, egli poté realizzare questa riforma, venendo incontro ai desideri dei poveri, senza scontentare in modo sensibile i ricchi. Ciascuno cominciò a ricevere secondo le sue capacità.
Il nuovo padrone della terra era anzitutto un filantropo, pieno di
compassione e non solo amico degli uomini, ma anche amico degli animali.
Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i
mattatoi a una severa sorveglianza; le società protettrici degli animali
furono da lui incoraggiate in tutti i modi. La più importante di queste
sue opere fu la solida instaurazione in tutta l'umanità
dell'uguaglianza che risulta essere la più essenziale: l'uguaglianza
della sazietà generale. Questo evento si compì nel secondo anno del suo
regno. La questione sociale, economica, fu definitivamente risolta. Ma
se la sazietà costituisce il primo interesse per chi ha fame, per quelli
che sono sazi sorge il desiderio di qualche cosa d'altro.
Perfino gli animali, quando sono sazi, vogliono di solito dormire, ma
anche divertirsi. Tanto più l'umanità, che sempre post panem ha
reclamato circenses.
L'imperatore-superuomo comprende bene che cosa occorre per le
moltitudini a lui sottoposte. In quel tempo giunge in Roma a lui
dall'Estremo Oriente un grande operatore di miracoli, circondato da una
fitta nube di strane avventure e di bizzarri racconti fiabeschi.
Questo operatore di miracoli si chiamava Apollonio; era senza alcun
dubbio un uomo di genio, metà asiatico metà europeo, vescovo cattolico
in partibus infidelium, riuniva in sé in modo meraviglioso il possesso
delle conclusioni più recenti e delle applicazioni tecniche della
scienza occidentale, con la conoscenza e la capacità di servirsi di
tutto ciò che è veramente fondato e importante nel misticismo
dell'Oriente. Strabilianti saranno i risultati di una combinazione di
tal genere! Apollonio giunge fra l'altro all'arte mezzo scientifica e
mezzo magica di captare e di guidare a propria volontà l'elettricità
dell'atmosfera, e fra il popolo si dice che egli fa discendere il fuoco
dal cielo. Del resto, pur colpendo l'immaginazione della folla con
svariati inauditi prodigi, non è sceso ancora ad abusare della propria
potenza per scopi particolari. Così ecco che quest'uomo viene incontro
al grande imperatore, lo saluta chiamandolo vero figlio di Dio; e gli
dichiara di aver trovato nei libri segreti dell'Oriente predizioni che
designano direttamente lui, l'imperatore, come ultimo salvatore che
giudicherà l'universo e propone di mettere al suo servizio la propria
persona e tutta la propria arte. Affascinato, l'imperatore lo accoglie
come un dono del cielo e, dopo averlo decorato con titoli fastosi, non
si separerà mai più da lui. E così i popoli della terra, colmati di
benefici dal loro signore, ottengono, oltre la pace universale e la
generale sazietà, anche la possibilità di dilettarsi costantemente con i
prodigi e le apparizioni più sorprendenti. Intanto finisce il terzo
anno di regno del superuomo.
Dopo la felice soluzione del problema politico e sociale, viene alla
ribalta la questione religiosa. Fu lo stesso imperatore a sollevarla,
affrontandola anzitutto nei suoi rapporti col cristianesimo. Questa era
la situazione del cristianesimo in quel tempo. Nonostante una fortissima
diminuzione del numero dei suoi fedeli — su tutto il globo terrestre
non rimanevano più di quarantacinque milioni di cristiani — esso si era
elevato e reso più compatto moralmente, guadagnando in qualità ciò che
aveva perduto in numero. Non si contavano ormai fra i cristiani degli
individui che non avessero più per il cristianesimo alcun interesse
spirituale. Le diverse confessioni religiose avevano subito una
diminuzione abbastanza similare nel numero dei fedeli, cosicché si era
approssimativamente mantenuta fra di esse la stessa proporzione numerica
di prima; per quanto concerne i loro sentimenti reciproci, anche se
all'inimicizia non era subentrato un ravvicinamento completo, quella si
era notevolmente addolcita e le opposizioni avevano perduto la loro
primitiva asprezza. Il Papato da tempo era stato scacciato da Roma e
dopo lunghe peregrinazioni aveva trovato un asilo a Pietroburgo, alla
condizione di non svolgere propaganda nella città e nell'interno del
paese. Il Papato si era notevolmente semplificato in Russia. Senza
modificare nella sostanza il rigoroso ordinamento dei suoi collegi e dei
suoi uffici, aveva dovuto rendere maggiormente spirituale il carattere
della loro attività e similmente ridurre al minimo la fastosità del suo
rituale e delle sue cerimonie. Molte costumanze strane ed allettanti,
anche se non erano state abolite formalmente, andarono in disuso da sé.
In tutti gli altri paesi, specialmente nell'America del Nord, la
gerarchia cattolica possedeva ancora molti rappresentanti di forte
volontà, di infaticabile energia e in una posizione indipendente: questi
con maggior forza di prima stringevano in pugno l'unità della Chiesa
cattolica e le conservavano il suo carattere internazionale cosmopolita.
Per quanto concerne il protestantesimo, in testa al quale continuava a
mantenersi la Germania, specie dopo che una parte considerevole della
Chiesa anglicana si era riunita alla Chiesa cattolica, esso si era
sbarazzato delle sue tendenze negatrici estreme, i cui sostenitori erano
passati apertamente all'indifferentismo religioso e all'incredulità.
Nella Chiesa evangelica erano rimasti soltanto i sinceri credenti, in
testa ai quali stavano uomini che riunivano in sé una vasta dottrina
insieme ad una profonda religiosità e che sempre più rafforzavano in sé
l'aspirazione a riprodurre in se stessi la viva immagine del vero
cristianesimo primitivo. L'ortodossia russa, dopo che gli avvenimenti
politici avevano mutato la posizione ufficiale della Chiesa, aveva
perduto molti milioni di sedicenti fedeli, adepti solo di nome; in
compenso provava la gioia di essere unita alla parte migliore dei vecchi
credenti e perfino ai seguaci di molte sette animate da uno spirito
religioso positivo. Questa Chiesa rinnovata, senza aumentare di numero,
prese a sviluppare le sue forze spirituali, che manifestava in
particolar modo nella sua lotta interna contro le sette estremiste che
si erano moltiplicate tra il popolo e nella società e non esenti da
elementi demoniaci e satanici.
Durante i primi due anni del nuovo regime, tutti i cristiani ancora
impauriti e stanchi dalla serie di guerre e rivoluzioni precedenti,
dimostravano, nei riguardi del nuovo sovrano e delle sue pacifiche
riforme, in parte una benevola aspettativa, in parte una decisa simpatia
e perfino un ardente entusiasmo. Ma, al terzo anno, con la comparsa del
grande mago, molti, ortodossi, cattolici ed evangelici, cominciarono a
provare serie apprensioni e antipatie. Ci si pose a leggere con maggiore
attenzione e a commentare con più vivacità i testi evangelici e
apostolici che parlavano del principe di questo mondo e dell'Anticristo.
L'imperatore, subodorando da certi indizi che si stava addensando una
tempesta, decise di mettere le cose in chiaro al più presto. Al
principio del quarto anno di regno, egli pubblicò un manifesto
indirizzato a tutti i fedeli cristiani di ogni confessione, invitandoli a
scegliere o nominare dei rappresentanti muniti di pieni poteri, in
vista di un concilio ecumenico da tenere sotto la sua presidenza. La
residenza imperiale a quel tempo era stata trasferita da Roma a
Gerusalemme. La Palestina era allora una provincia autonoma, abitata e
governata in prevalenza da Ebrei. Gerusalemme era una città libera
diventata in seguito città imperiale. I luoghi sacri ai cristiani erano
rimasti intatti; ma sulla vasta piattaforma di Haram-es-Scerif, partendo
da Birket-Israin e dall'attuale caserma da un lato fino alla moschea di
El-Aksa e alle «Scuderie di Salomone» dall'altro lato, s'innalzava un
enorme edificio che comprendeva oltre a due piccole moschee antiche, uno
spazioso «tempio» imperiale, destinato all'unione di tutti i culti, due
fastosi palazzi imperiali con biblioteche, musei e dei locali
particolari per esperimenti ed esercizi di magia. In questo edificio
mezzo tempio e mezzo palazzo, doveva aprirsi, alla data del 14
settembre, il concilio ecumenico. Poiché la confessione evangelica non
ha clero nel vero senso della parola, i prelati cattolici e ortodossi,
per dare, conforme al desiderio dell'imperatore, una certa omogeneità
alla rappresentanza di tutte le confessioni della cristianità, decisero
di permettere che partecipasse al concilio un certo numero di laici,
noti per la loro pietà e la loro dedizione agli interessi della Chiesa; e
una volta ammessi i laici non si poteva escludere il basso clero,
secolare e regolare. In tal modo il numero complessivo dei mèmbri del
concilio superò i tremila, ma circa mezzo milione di pellegrini
cristiani invase Gerusalemme e tutta la Palestina. Fra i mèmbri del
concilio tre erano posti in particolare evidenza.
In primo luogo il papa Pietro II che stava per diritto a capo della
sezione cattolica del concilio. Il suo predecessore era morto mentre era
in viaggio per recarsi al concilio e il conclave, riunitesi a Damasco,
aveva eletto all'unanimità il cardinale Simone Barionini che aveva
assunto il nome di Pietro II. Proveniva da una povera famiglia della
provincia di Napoli ed era diventato famoso come predicatore dell'ordine
dei Carmelitani e inoltre per aver reso grandi servizi nella lotta
contro una setta satanica, che si era affermata a Pietroburgo e nei suoi
dintorni pervertendo non solo gli ortodossi ma anche i cattolici.
Divenuto arcivescovo di Moghilev e in seguito fatto cardinale, era già
in anticipo designato alla tiara. Era un uomo di cinquant'anni di media
statura, di costituzione robusta, di colorito rosso, naso adunco, folte
sopracciglia. Era ardente e impetuoso, parlava con foga con ampi gesti e
trascinava, più che non li persuadesse, i suoi uditori. Verso il
padrone del mondo, il nuovo Papa dimostrava diffidenza e antipatia,
specie dopo il fatto che il defunto pontefice, mentre si recava al
concilio, aveva ceduto alle insistenze dell'imperatore e aveva nominato
cardinale l'esotico vescovo Apollonio, già cancelliere imperiale e gran
mago universale, che Pietro riteneva dubbio cattolico, ma autentico
impostore. Capo effettivo degli ortodossi, benché in forma non ufficiale
era lo starets Giovanni assai noto fra il popolo russo. Benché
figurasse ufficialmente come vescovo «a riposo» egli non viveva in
nessun monastero e andava sempre in giro da tutte le parti. Sul suo conto
correvano varie leggende.
Alcuni assicuravano che era Fjodor Kuzmic risorto, vale a dire l'imperatore Alessandro morto circa tre secoli prima. Altri andavano più avanti e affermavano che egli era il vero starets Giovanni, cioè l'apostolo Giovanni il Teologo che non era mai morto e si era manifestato apertamente negli ultimi tempi. Da parte sua egli non diceva nulla circa la sua origine e circa la sua giovinezza. Era adesso un vecchio di molti anni ma aitante, con la canizie dei capelli ricciuti e della barba che tirava ad una tinta giallastra e perfino verde; era di statura alta e corpo magro, ma aveva guance piene e leggermente rosee occhi vivi e scintillanti e un'espressione dolcemente bonaria ne!la faccia e nel modo di parlare; portava sempre una tunica bianca e un candido mantello. A capo della delegazione evangelica del concilio stava l'eruditissimo teologo tedesco, professor Ernst Pauli. Era un vecchietto di bassa statura, asciutto, con fronte spaziosa naso aguzzo, mento rasato e liscio. I suoi occhi brillavano di una particolare fiera bonomia. Ad ogni momento si stropicciava le mani, scuoteva la testa, aggrottava le ciglia in modo terribile e spingeva 'in avanti le labbra; intanto con occhi sfavillanti pronunciava con voce cupa dei suoi interrotti: «So! Nun! Ja! So also!». Indossava l'abito di cerimonia: cravatta bianca, e lunga redingote da pastore con alcune decorazioni.
L'apertura del concilio fu imponente. Per due terzi dell'immenso
tempio consacrato «all'unione di tutti i culti» erano disposte panche e
altri sedili per i membri del concilio, l'altro terzo era occupato da un
alto palco, dove oltre al trono dell'imperatore e ad un altro un po'
più basso destinato al gran mago - egli era infatti cardinale
cancelliere imperiale - si trovavano più indietro file di poltrone
riservate ai ministri, ai dignitari di corte e ai segretari di Stato. Ai
lati c'erano ancor più lunghe file di poltrone di cui non si conosceva
la destinazione. Nelle tribune si trovavano delle orchestre di musicanti
e nella piazza vicina erano schierati due reggimenti della guardia e
una batteria per le salve d'onore. I membri del concilio avevano già
celebrato i loro servizi divini nelle varie chiese in quanto l'apertura
del concilio doveva avere un carattere completamente laico. Quando
l'imperatore fece il suo ingresso insieme al gran mago ed al seguito, e
l'orchestra attaccò "la marcia dall'umanità unita" che serviva da inno
imperiale e internazionale, tutti i membri del concilio si alzarono m
piedi e agitando i loro cappelli gridarono tre volte a gran voce: «
Vivat! Urrah! Hoch!». L'imperatore, ritto in piedi accanto al trono,
tese il braccio con maestosa affabilità e disse con voce sonora e
gradevole: «Cristiani di tutte le confessioni! Miei amatissimi sudditi e
fratelli! Fin dagli inizi del mio regno, che l'Altissimo ha benedetto
con opere così meravigliose e gloriose, non una volta ho avuto motivo di
essere scontento di voi; voi avete sempre fatto il vostro dovere
secondo fede e coscienza. Ma questo per me non basta. Il sincero amore
ch'io provo per voi, fratelli amatissimi, anela di essere ricambiato.
Voglio che non per senso di dovere, ma per un sentimento di amore che
viene dal cuore, voi mi riconosciate per vostro vero capo, in ogni
azione intrapresa per il bene dell'umanità. E così oltre alle cose che
faccio per tutti, vorrei darvi un segno di particolare benevolenza.
Cristiani, come potrei io rendervi felici? Che posso darvi non come miei
sudditi, ma come miei correligionari, miei fratelli? Cristiani! Ditemi
ciò che vi sta più a cuore nel cristianesimo affinché io possa dirigere i
miei sforzi in questa direzione». Egli si arrestò ed attese. Nel tempio
correva un brusio soffocato. I membri del concilio bisbigliavano tra
loro. Papa Pietro, gesticolando con calore, spiegava qualcosa a quelli
che gli stavano attorno. Il professor Pauli scuoteva la testa e faceva
schioccare le labbra con accanimento.
Lo starets Giovanni, piegandosi verso un vescovo d'Oriente e un cappuccino, suggeriva loro qualcosa con voce sommessa. Dopo aver atteso qualche minuto, l'imperatore si rivolse di nuovo al concilio con lo stesso tono affabile di prima, ma in cui risonava appena un'impercettibile nota di ironia: «Cari cristiani, disse, comprendo come vi riesca difficile darmi una risposta diretta. Voglio darvi una mano. Disgraziatamente da tempo così immemorabile voi vi siete frazionati in sette e partiti diversi che forse tra voi non c'è nemmeno un argomento che susciti la vostra comune simpatia. Ma se non siete capaci di mettervi d'accordo tra voi, spero di mettere d'accordo io tutte le parti, dimostrando a tutti il medesimo amore e la medesima sollecitudine per soddisfare la vera aspirazione di ciascuno. Cari cristiani! So che molti fra voi, e non gli ultimi, hanno più caro di tutto nel cristianesimo quell'autorità spirituale che esso da ai suoi legittimi rappresentanti e non per loro particolare vantaggio, ma senza dubbio per il bene comune, poiché su questa autorità si basa il giusto ordine spirituale, nonché la disciplina morale, indispensabile per tutti. Cari fratelli cattolici! Oh, come capisco il vostro modo di vedere e come vorrei appoggiare la mia potenza sull'autorità del vostro capo spirituale! E perché non crediate che si tratti di lusinghe e di vane parole, noi dichiariamo solennemente: per nostra autocratica volontà, il vescovo supremo di tutti i cattolici, il papa romano, da questo momento è reintegrato nel suo seggio di Roma, con tutti i diritti e le prerogative di un tempo, inerenti a questa condizione e a questa cattedra e che un giorno gli furono conferiti dai nostri predecessori a cominciare da Costantino il Grande. Ma per questo, fratelli cattolici, voglio soltanto che dall'intimo del cuore riconosciate in me il vostro unico difensore ed unico protettore. Coloro che per coscienza e sentimento mi riconoscono tale vengano qui vicino a me». E indicava i posti vuoti sul palco. Con esclamazioni di gioia — «Gratias agimus! Domine! Salvum fac magnum imperatorem» — quasi tutti i principi della Chiesa cattolica, cardinali e vescovi, la maggior parte dei credenti laici e più della metà dei monaci salirono sul palco e dopo essersi profondamente inchinati davanti all'imperatore, andarono ad occupare le poltrone loro destinate. Ma giù, in mezzo all'assemblea, diritto e immobile come una statua di marmo, il papa Pietro II rimase al suo posto. Tutti coloro che prima gli stavano intorno ora si trovavano sul palco. Allora la schiera ormai diradata dei monaci e dei laici, che era rimasta in basso, si spostò e si strinse attorno a lui in un anello serrato da cui si udiva un mormorio contenuto: «Non praevalebunt, non praevalebunt portae inferi».
Guardando con sorpresa il papa immobile, l'imperatore alzò di nuovo la
voce: «Cari fratelli! So che fra voi ci sono di quelli per i quali le
cose più preziose del cristianesimo sono la sua santa tradizione, i
vecchi simboli, i cantici e le preghiere antiche, le icone e le
cerimonie del culto. E in realtà che cosa vi può essere di più prezioso
di questo per un'anima religiosa? Sappiate dunque, miei diletti, che
oggi ho firmato lo statuto e fissata la dotazione di larghi mezzi per il
museo universale dell'archeologia cristiana che verrà fondato nella
nostra gloriosa città imperiale di Costantinopoli, con lo scopo di
raccogliere, studiare e conservare tutti i monumenti dell'antichità
ecclesiastica, principalmente quelli della Chiesa orientale; vi prego
poi che domani eleggiate fra voi una commissione con l'incarico di
studiare con me le misure da prendere per riavvicinare, quanto più
possibile, i costumi e le usanze della vita attuale, alla tradizione e
alle istituzioni della Santa Chiesa Ortodossa! Fratelli ortodossi!
quelli che hanno in cuore questa mia volontà, quelli che per intimo
sentimento mi possono chiamare loro vero capo e signore vengano qui
sopra». E la maggior parte dei prelati dell'Oriente e del Nord, la metà
dei vecchi credenti e più della metà dei preti, dei monaci e dei laici
ortodossi salirono sul palco e con grida di gioia, dando uno sguardo di
sfuggita ai cattolici che già vi stavano assisi con aria di importanza.
Ma lo starets Giovanni non si mosse e diede un forte sospiro. E quando
la folla attorno a lui si fu alquanto diradata, lasciò il suo banco e
andò a sedersi vicino a papa Pietro e al suo gruppo. Dietro di lui si
avviarono anche tutti gli altri ortodossi che non erano saliti sul
palco. L'imperatore prese di nuovo a parlare: «Mi sono noti fra voi,
cari cristiani, anche coloro che nel cristianesimo apprezzano più di
tutto la personale sicurezza in fatto di verità e la libera ricerca
riguardo alla Scrittura. Non occorre che mi diffonda su quello che ne
penso io. Voi sapete forse che fin dalla mia prima giovinezza ho scritto
sulla critica biblica una voluminosa opera, che a quel tempo ha fatto
un certo rumore e ha dato inizio alla mia notorietà. Ed ecco che
probabilmente in ricordo di questo fatto l'università di Tubinga in
questi giorni mi ha rivolto la richiesta di accettare la sua laurea ad
honorem di dottore in teologia. Ho ordinato di rispondere che accettavo
con gioia e gratitudine. E oggi, insieme al decreto per la fondazione
del museo d'archeologia cristiana, ho firmato quello per la creazione di
un istituto universale per la libera ricerca sulla Sacra Scrittura in
tutte le sue parti e da tutti i punti di vista, nonché per lo studio di
tutte le scienze ausiliarie, con un bilancio annuale di un milione e
mezzo di marchi. Quelli di voi che hanno a cuore queste mie sincere
disposizioni e che con puro sentimento possono riconoscermi per loro
capo sovrano, li prego di venire qui, accanto al nuovo dottore in
teologia». E le belle labbra del grande uomo si allungarono lievemente
in uno strano sorriso. Più della metà dei sapienti teologi si mosse
verso il palco, sia pure con qualche indugio e qualche esitazione. Tutti
volsero lo sguardo verso il professor Pauli che pareva abbarbicato al
suo seggio. Egli abbassava profondamente il capo, curvandosi e
contraendosi. I sapienti teologi che erano saliti sul palco rimasero
confusi, anzi uno di essi a un tratto agitò il braccio e saltò giù
direttamente in basso accanto alla scala e, zoppicando un po', corse a
raggiungere il professor Pauli e la minoranza rimasta con lui. Pauli
sollevò il capo, si alzò con un movimento un po' indeciso, si diresse
verso i banchi rimasti vuoti e, accompagnato dai suoi correligionari che
avevano tenuto fermo, venne con essi a sedersi accanto allo starets
Giovanni, al papa Pietro e ai loro gruppi.
La grande maggioranza dei mèmbri del concilio si trovava sul palco,
ivi compresa quasi tutta la gerarchia dell'Oriente e dell'Occidente. In
basso erano rimasti soltanto tre gruppi di uomini che si erano
avvicinati gli uni agli altri e che si stringevano accanto allo starets
Giovanni, al papa Pietro e al professor Pauli.
Con accento di tristezza, l'imperatore si rivolse a loro dicendo:«Che
cosa posso fare ancora per voi? Strani uomini! Che volete da me? Io non
lo so. Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani abbandonati dalla
maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento
popolare; che cosa avete di più caro nel cristianesimo?». Allora simile a
un cero candido si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con
dolcezza: «Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel
cristianesimo è Cristo stesso. Lui Stesso e tutto ciò che viene da Lui,
giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza
della Divinità. Da te, o sovrano, noi siamo pronti a ricevere ogni bene,
ma soltanto se nella tua mano generosa noi possiamo riconoscere la
santa mano di Cristo. E alla tua domanda che puoi tu fare per noi,
eccoti la nostra precisa risposta: confessa, qui ora davanti a noi, Gesù
Cristo Figlio di Dio che si è incarnato, che è resuscitato e che verrà
di nuovo; confessalo e noi ti accoglieremo con amore, come il vero
precursore del suo secondo glorioso avvento». Egli tacque e piantò lo
sguardo nel volto dell'imperatore. In costui avveniva qualche cosa di
tremendo. Nel suo intimo si stava scatenando una tempesta infernale,
simile a quella che aveva provato nella notte fatale. Aveva perduto
interamente il suo equilibrio interiore e tutti i suoi pensieri si
concentravano nel tentativo di non perdere la padronanza di se stesso
anche nelle apparenze esteriori e di non svelare se stesso prima del
tempo. Fece degli sforzi sovrumani per non gettarsi con urla selvagge
sull'uomo che gli aveva parlato e sbranarlo coi denti. A un tratto sentì
la voce ultraterrena a lui ben nota che gli diceva: "Taci e non temere
nulla". Egli rimase in silenzio. Pero il suo volto, rabbuiato e col
pallore della morte, era divenuto convulso, mentre i suoi occhi
sprizzavano scintille. Frattanto durante il discorso dello starets
Giovanni il gran mago che stava seduto tutto ravvolto nel suo ampio
mantello tricolore che ne nascondeva la porpora cardinalizia, sembrava
occupato a compiere sotto di esso arcane manipolazioni, i suoi occhi
dallo sguardo concentrato scintillavano e le sue labbra si movevano.
Dalle finestre aperte del tempio si scorgeva avvicinarsi un'enorme nuvola nera. Lo starets Giovanni che non staccava i suoi occhi sbigottiti e spaventati dal volto dell'imperatore rimasto ammutolito a un tratto diede un sussulto per lo spavento e voltandosi indietro gridò con voce strozzata: «Figlioli, è l'Anticristo!». Nel tempio scoppiò un tremendo colpo di tuono e simultaneamente si vide saettare una folgore enorme a forma di cerchio che avviluppò il vegliardo. Per un istante tutti rimasero come annichiliti e quando i cristiani si furono ripresi dallo stordimento, lo starets Giovanni giaceva a terra cadavere.
L'imperatore, pallido ma calmo, si rivolse all'assemblea dicendo: «Voi
avete veduto il giudizio di Dio. Io non volevo la morte di alcuno, ma
il mio Padre celeste vendica il suo figlio prediletto. La questione è
risolta. Chi oserà contestare i voleri dell'Altissimo? Segretari!
Scrivete: il concilio ecumenico di tutti i cristiani, dopo che il fuoco
venuto dal cielo ebbe folgorato un insensato avversario della maestà
divina, riconosce all'unanimità il regnante imperatore di Roma, come suo
capo e supremo sovrano».
A un tratto una parola squillante e distinta si propagò per il tempio:
«Contradicitur». Il papa Pietro II si alzò in piedi e col volto
imporporato, tutto tremante di collera, sollevò il pastorale in
direzione dell'imperatore: «Nostro unico Sovrano è Gesù Cristo, il
Figlio del Dio vivente. Ma ciò che tu sei l'hai sentito. Vattene da noi
Caino fratricida! Via da noi, vaso del demonio! Per l'autorità di
Cristo, io, servo dei servi di Dio, ti scaccio per sempre dal recinto
divino, cane schifoso, e ti consegno al padre tuo, Satana! Anatema,
anatema, anatema!».
Mentre egli parlava, il gran mago si agitava inquieto sotto il suo
mantello: più fragoroso dell'ultimo anatema rimbombò un colpo di tuono e
l'ultimo papa cadde a terra inanimato. «Così per mano del padre mio
periscono i miei nemici», disse l'imperatore. «Pereant, pereant!», si
misero a gridare tremanti i principi della Chiesa. Egli si volse e,
appoggiandosi alla spalla del gran mago uscì lentamente dalla porta che
stava dietro il palco, accompagnato dalla folla dei suoi seguaci. Nel
tempio eran rimasti i due cadaveri e un cerchio ristretto di cristiani
mezzo morti dalla paura. L'unico che non aveva perduto il suo sangue
freddo era il professor Pauli. Il terrore generale pareva stimolare
tutte le forze del suo spirito.
Era mutato anche nel suo aspetto esteriore e aveva assunto un'aria
maestosa e ispirata. Con passo risoluto, salì sul palco e, sedutosi su
uno dei seggi lasciati liberi dai segretari di stato, prese un foglio di
carta e si mise a scrivere. Quando ebbe terminato, si alzò in piedi e a
voce alta lesse: «Alla gloria del nostro unico Salvatore Gesù Cristo.
Il concilio ecumenico delle chiese di Dio, riunito a Gerusalemme, poiché
il nostro beatissimo fratello Giovanni, rappresentante della
cristianità orientale, ha convinto il grande impostore e nemico di Dio
di essere l'autentico Anticristo, predetto dalla Sacra Scrittura e
poiché il nostro beatissimo padre Pietro, rappresentante della
cristianità occidentale, con la scomunica lo ha secondo legge e
giustizia scacciato per sempre dalla Chiesa di Dio oggi davanti ai corpi
di questi due martiri della verità, testimoni di Cristo, delibera: di
rompere ogni rapporto con lo scomunicato e la sua esecrabile
accozzaglia, di ritirarsi nel deserto e attendere l'immancabile venuta
del nostro vero sovrano Gesù Cristo» Una grande animazione s'impadronì
della folla ed echeggiarono voci possenti che dicevano: «Adveniat,
adveniat cito! Komm, Herr Jesu, komm!».
Il professor Pauli aggiunse ancora un poscritto e poi lesse.
«Approvando all'unanimità questo primo ed ultimo atto dell'ultimo
concilio ecumenico, apponiamo le nostre firme» e fece un gesto d'invito
all'assemblea. Tutti si affrettarono a salire sul palco e a firmare.
Alla fine lui pure firmò a grossi caratteri gotici: Duorum defunctorum
testium locum tenens Ernst Pauli. «Ora andiamocene con la nostra arca
dell'alleanza dell'ultimo Testamento! », disse indicando i due cadaveri.
I corpi furono issati su barelle. Lentamente al canto di inni in
latino in tedesco e in slavonico ecclesiastico, i cristiani si avviarono
alla porta di Haram-es-Scerif. Qui il corteo fu fermato da un messo
dell'imperatore, un segretario di stato, accompagnato da un ufficiale
con un plotone della guardia. I soldati si schierarono presso la porta e
da un podio il segretario di stato lesse quanto segue: «Ordine di sua
maestà divina: per istruire il popolo cristiano e metterlo in guardia
contro uomini malintenzionati fomentatori di discordie e di scandali,
abbiamo ritenuto opportuno disporre che i corpi dei due sediziosi,
uccisi dal fuoco del cielo, siano esposti in pubblico nella strada dei
Cristiani (Haret-en-Nazàra) vicino alla porta principale del tempio di
questa religione chiamata Santo Sepolcro o altrimenti Resurrezione,
perché tutti possano persuadersi della realtà della loro morte.
I loro ostinati partigiani, poiché malignamente respingono ogni nostro
beneficio e da insensati chiudono gli occhi davanti alle evidenti
manifestazioni della Divinità stessa, grazie alla nostra misericordia e
alla nostra intercessione presso il Padre celeste, sono esenti dalla
pena di morte, mediante il fuoco del cielo, che si sono meritata e
rimangono in completa libertà, con l'unica proibizione per il bene
comune, di abitare nelle città e negli altri luoghi popolati affinché
non possano sviare e sedurre con le loro malvagie invenzioni la gente
ingenua e semplice». Quando ebbe finito, otto soldati a un cenno
dell'ufficiale si avvicinarono alle barelle dove giacevano i corpi.
«Si compia ciò che è scritto», disse il professor Pauli, e i cristiani
che portavano le barelle le cedettero senza una parola ai soldati i
quali si allontanarono dalla porta di nord-ovest; dal canto loro i
cristiani, uscendo dalla porta di nord-est, si diressero rapidamente
dalla città verso Gerico, passando accanto al monte degli Ulivi, per la
strada che i gendarmi e due reggimenti di cavalleria avevano in
precedenza sgombrato dalla folla del popolo. Essi decisero di aspettare
alcuni giorni, sulle colline deserte vicino a Gerico. L'indomani mattina
giunsero da Gerusalemme dei pellegrini cristiani loro amici e
raccontarono ciò che era accaduto a Sion. Dopo il pranzo di corte, tutti
i membri del concilio erano stati convocati nell'immensa sala del trono
(dove si supponeva sorgesse il trono di Salomone) e l'imperatore,
rivolgendosi ai rappresentanti della gerarchia cattolica, aveva
dichiarato che il bene della Chiesa esigeva da essi l'immediata elezione
di un degno successore dell'apostolo Pietro, ma che nelle presenti
circostanze di tempo l'elezione doveva avvenire con procedura sommaria.
La presenza di lui, l'imperatore, capo e rappresentante di tutto il
mondo cristiano, valeva largamente a compensare l'omissione delle
formalità rituali, e che in nome di tutti i cristiani, egli proponeva al
Sacro Collegio di eleggere il suo diletto amico e fratello Apollonio,
affinché lo stretto legame esistente fra loro rendesse duratura e
indissolubile l'unione della Chiesa con lo Stato per il bene comune. Il
Sacro Collegio si ritirò in una camera particolare per il conclave e
dopo un'ora e mezzo ritornò col nuovo papa Apollonio. Frattanto mentre
si procedeva all'elezione, l'imperatore con parole piene di dolcezza,
saggezza ed eloquenza, cercava di persuadere i rappresentanti degli
ortodossi e degli evangelici a mettere fine ai vecchi dissidi in vista
di una nuova grande epoca storica del cristianesimo, rendendosi garante
con la sua parola che Apollonio avrebbe saputo abolire una volta per
sempre gli abusi storici del potere papale. Convinti da queste sue
parole, i rappresentanti dell'ortodossia e del protestantesimo avevano
steso l'atto di unione delle Chiese e quando Apollonio comparve nella
sala con i cardinali tra le grida di giubilo di tutta l'assemblea, un
vescovo greco e un pastore evangelico gli presentarono il loro
documento. «Accipio et approbo et laetificatur cor meum», disse
Apollonio apponendo la sua firma. «Io sono del pari un vero ortodosso e
un vero evangelico, come sono un vero cattolico» — aggiunse egli,
scambiando un amichevole abbraccio col Greco e col Tedesco. Poi si
avvicinò all'imperatore, il quale lo abbracciò e lo tenne a lungo tra le
braccia. In quel momento dei puntini luminosi cominciarono a
volteggiare in tutte le direzioni nel palazzo e nel tempio; essi
ingrandirono e si mutarono in ombre luminose di esseri strani; fiori mai
veduti sulla terra cadevano dall'alto, riempiendo l'aria di un profumo
arcano.
Si diffondevano dall'alto deliziosi suoni di strumenti musicali fino allora sconosciuti che andavan dritto all'anima e afferravano il cuore, mentre voci angeliche di invisibili cantori glorificavano i nuovi sovrani del cielo e della terra. Frattanto uno spaventoso rumore sotterraneo echeggiava nell'angolo nord-ovest del palazzo centrale, sotto il kubbet-el-aruach vale a dire sotto la cupola delle anime, dove secondo la tradizione musulmana, si trova l'entrata dell'inferno. Quando gli astanti, su invito dell'imperatore, si mossero verso quella parte, tutti intesero chiaramente innumerevoli voci acute e penetranti — mezzo fanciullesche e mezzo diaboliche — che esclamavano: «È giunta l'ora, liberateci o salvatori, o salvatori!». Ma quando Apollonio stringendosi verso la rupe, per tre volte gridò verso il basso qualcosa in una lingua sconosciuta, le voci tacquero e il rumore s'interruppe. Frattanto una folla immensa di popolo proveniente da tutte le parti, aveva circondato Haram-es-Scerif. Al calar della notte l'imperatore, col nuovo papa, aveva fatto la sua apparizione sulla gradinata orientale, sollevando «una tempesta di entusiasmo». Egli salutò affabilmente in tutte le direzioni, mentre Apollonio traeva da grandi canestri, postigli innanzi dai cardinali segretari, e lanciava in aria senza interruzione magnifiche candele romane, razzi e fontane di fuoco che accendendosi al tocco delle sue mani si trasformavano in perle fosforescenti e in luminosi arcobaleni; tutto questo toccando terra si mutava in innumerevoli fogli di carta di vari colori, con indulgenze plenarie senza condizioni per tutti i peccati passati, presenti e futuri. L'esultanza popolare sorpassò ogni limite. A dire il vero alcuni affermavano di aver visti coi propri occhi quei fogli d'indulgenza trasformarsi in rospi e serpenti estremamente schifosi. Nondimeno l'enorme maggioranza della gente andava in visibilio e la festa popolare si protrasse ancora alcuni giorni; durante questo tempo il nuovo papa-taumaturgo arrivò a compiere dei prodigi così sbalorditivi e incredibili che sarebbe del tutto inutile darne una narrazione. Nello stesso tempo sulle alture deserte di Gerico i cristiani si dedicavano al digiuno e alla preghiera. La sera del quarto giorno sull'imbrunire, il professor Pauli e nove compagni, cavalcando degli asini e trainando una carretta, penetrarono in Gerusalemme; passando per vie traverse, vicino a Haram-es-Scerif, sboccarono a Haret-en-Nazàra e raggiunsero l'entrata del tempio della Resurrezione, dove sul pavimento giacevano i corpi di papa Pietro e dello starets Giovanni.
A quell'ora la via era deserta:
tutta la città al completo si era riversata a Haram-es-Scerif. I soldati
di guardia erano immersi in un sonno profondo. I nuovi arrivati
trovarono che i corpi non erano stati toccati dal processo di
decomposizione e addirittura non erano diventati rigidi e grevi. Li
issarono su barelle, li ricoprirono con mantelli che avevano E portato
con sé e, percorrendo le stesse vie traverse, ritornarono dai loro
fratelli, ma non appena ebbero posate a terra le barelle lo spirito
della vita rientrò nei due morti. Essi si agitarono, cercando di
sbarazzarsi dei mantelli che li avviluppavano. Tutti presero ad aiutarli
con grida di gioia e ben presto i due resuscitati si alzarono in piedi
sani e salvi. E il redivivo starets Giovanni prese così a parlare: «Ecco
dunque, figlioli miei, che noi non ci siamo lasciati. Ed ecco ciò che
vi dirò adesso: l'ora è giunta che si adempia l'ultima preghiera di
Cristo per i suoi discepoli: che essi siano uno, come Lui stesso col
Padre è uno. Così per questa unità in Cristo, figlioli miei, veneriamo
il nostro carissimo fratello Pietro. Gli sia concesso finalmente di
pascere le pecore di Cristo. Proprio così, fratello! ». Ed egli
abbracciò Pietro. A questo punto si avvicinò il professor Pauli: «Tu es
Petrus!» — disse rivolto al papa —. «Jetzt ist es ja gründlich erwiesen
und ausser jeden Zweifel gesetzt». Gli strinse forte la mano con la
destra, mentre tendeva la sinistra allo starets Giovanni, dicendogli:
«So also, Väterchen, nun sind wir ja Eins in Christo». Così si compì
l'unione delle Chiese nel cuore di una notte oscura, su un'altura
solitaria. Ma l'oscurità della notte venne a un tratto squarciata da un
vivido splendore e in cielo apparve il grande segno: una donna vestita
di sole, con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici
stelle. L'apparizione restò per qualche tempo immobile, poi si mosse
lentamente verso sud. Il papa Pietro alzando il pastorale, esclamò:
«Ecco la nostra insegna! Andiamo sulle sue orme!». Ed egli si incamminò
nella direzione indicata dall'apparizione insieme ai due vegliardi e a
tutta la folla dei cristiani, verso il monte di Dio, verso il Sinai...
(A questo punto il lettore si ferma).
La Dama. Perché dunque non continuate?
Il Signor Z. Il manoscritto non va più avanti. Il padre Pansofio non
ha potuto portare a termine il suo racconto. Già ammalato mi narrava ciò
che aveva in mente di scrivere in seguito — «non appena sarò guarito» —
diceva. Ma non guarì e la parte finale del suo racconto è sepolta con
lui nel monastero di Danilovo.
La Dama. Ma voi ricorderete certamente quello che vi ha narrato: raccontatecelo dunque.
Il Signor Z. Ne ricordo soltanto i tratti principali. Dopo che i capi
spirituali e i rappresentanti della cristianità si furono ritirati nel
deserto dell'Arabia, dove da ogni parte affluirono a loro folle di
fedeli zelatori della verità, il nuovo papa poté senza alcun ostacolo
corrompere, attraverso i suoi prodigi e miracoli, tutto il resto dei
cristiani superficiali che non si erano ricreduti circa l'Anticristo.
Egli dichiarò che, con la potenza delle sue chiavi, aveva aperto le
porte fra il mondo terrestre e quello d'oltretomba e in effetti divenne
un fenomeno abituale la comunicazione dei vivi coi morti e anche degli
uomini coi demoni; inoltre si svilupparono nuove forme inaudite di orgia
mistica e di demonolatria. Ma non appena l'imperatore cominciò a
credere di essere saldamente sistemato in campo religioso e dopo che
sotto la pressante suggestione della misteriosa voce «paterna» ebbe a
dichiararsi unica e vera incarnazione della divinità suprema universale,
gli capitò una disgrazia nuova da parte di chi nessuno si sarebbe
aspettato: si erano ribellati gli Ebrei. Questo popolo, il cui numero
aveva raggiunto a quel tempo i trenta milioni di individui, non era del
tutto estraneo alla preparazione e all'affermazione dei successi
universali del superuomo. Quando si era trasferito a Gerusalemme, aveva
fatto segretamente correre la voce nei circoli ebraici che il suo
obiettivo principale era di stabilire il dominio di Israele su tutto il
mondo; e allora gli Ebrei lo avevano riconosciuto come il Messia e la
loro entusiastica dedizione per lui non ebbe limiti. All'improvviso si
erano ribellati spirando collera e vendetta. Questo brusco voltafaccia,
senza dubbio predetto e dalla Scrittura e dalla tradizione, è presentato
da padre Pansofio forse con eccessiva semplicità e soverchio realismo.
Il fatto si è che gli Ebrei, i quali ritenevano l'imperatore come un
perfetto israelita per razza, avevano scoperto per caso che egli non era
nemmeno circonciso.
Quello stesso giorno a Gerusalemme e l'indomani in
tutta la Palestina scoppiò la rivolta. La dedizione ardente e senza
limiti verso il salvatore di Israele e il Messia annunciato si tramutò
in un odio altrettanto ardente e senza limiti nei confronti dell'astuto
truffatore e dello sfrontato impostore. Tutto l'ebraismo si sollevò come
un solo uomo e i suoi nemici scopersero con sorpresa che l'anima di
Israele nel suo fondo non vive di calcoli e delle bramosie di Mammona,
ma della forza di un sentimento sincero, nella speranza ed il corruccio
della sua eterna fede messianica. L'imperatore che non si aspettava una
simile esplosione così all'improvviso, perdette la padronanza di se
stesso ed emanò un decreto che condannava a | morte tutti i ribelli
ebrei e cristiani. Molte migliaia e decine di migliaia di uomini che non
avevano fatto in tempo ad armarsi, furono spietatamente massacrati. Ma
ben presto un esercito di un milione di Ebrei si impadronì di
Gerusalemme e costrinse l'Anticristo a rinchiudersi in Haram-es-Scerif.
Questi non aveva a sua disposizione che una parte della guardia e non
poteva spuntarla contro la massa dei nemici. Mediante le arti magiche
del suo papa, l'imperatore riuscì a filtrare attraverso le linee degli
assedianti e ben presto egli ricomparve in Siria, alla testa di uno
sterminato esercito di pagani di varie razze. Gli Ebrei, anche se le
probabilità di vittoria erano scarse, gli mossero incontro. Ma non
appena le avanguardie dei due eserciti ebbero iniziato il combattimento,
ecco che si produsse un terremoto di inaudita violenza; sotto il Mar
Morto, presso il quale si erano schierate le truppe imperiali, si aperse
il cratere di un enorme vulcano e torrenti di fuoco, fusi insieme in un
lago di fiamme, inghiottirono lo stesso imperatore, tutte le sue
innumerevoli schiere ed il suo inseparabile compagno, il papa Apollonio,
cui la magia non recò alcun soccorso. Frattanto gli Ebrei corsero a
Gerusalemme, spaventati e tremanti, invocando la salvezza del Dio di
Israele. Quando la santa città apparve ai loro occhi, un grande baleno
squarciò il cielo da oriente a occidente ed essi videro il Cristo che
scendeva loro incontro, in veste regale, con le piaghe dei chiodi sulle
mani distese. Intanto dal Sinai si mosse verso Sion la folla dei
cristiani guidati da Pietro, Giovanni e Paolo, mentre da altre parti
accorrevano altre folle entusiaste: erano tutti gli Ebrei e tutti i
cristiani mandati a morte dall'Anticristo. Erano risuscitati e si
accingevano a vivere con Cristo per mille anni.
È con questa visione che il padre Pansofio voleva finire il suo racconto
che aveva per soggetto non già la catastrofe dell'universo, ma soltanto
la conclusione della nostra evoluzione storica: l'apparizione,
l'apoteosi e la rovina dell'Anticristo.
L'Uomo Politico. E voi pensate che questa conclusione sia tanto prossima?
Il Signor Z. Be', sulla scena vi saranno ancora molte chiacchiere e
vanità, ma il dramma è già stato scritto interamente da un pezzo sino
alla fine e non è permesso né agli spettatori né agli attori di
apportarvi alcun mutamento.
La Dama. Ma in definitiva quale è il senso di questo dramma? Non
capisco infatti perché il vostro Anticristo nutra tanto odio verso Dio,
mentre in fondo è buono e non cattivo!
Il Signor Z. Il fatto è che m fondo non è buono. E in questo sta tutto
il senso del dramma. Io ritiro le parole che ho detto in precedenza e
cioè «che l'Anticristo non si spiega coi soli proverbi». Per spiegarlo
integralmente basta un solo proverbio e per di più di un'estrema
semplicità: «Non è tutto oro ciò che luccica». Lo splendore di un bene
artefatto non ha nessuna forza.
Il Generale. Vogliate però notare su quale evento cala il sipario di
questo dramma storico: sulla guerra, sullo scontro di due eserciti! Ed
ecco che il termine del nostro colloquio si è rifatto all'inizio. Che ve
ne pare principe?... Santi del cielo! ma dov'è il principe?
L'Uomo Politico. Ma non avete osservato? Se n'è andato alla
chetichella nel momento patetico, quando lo starets Giovanni metteva
l'Anticristo con le spalle al muro. Allora non ho voluto interrompere il
racconto e in seguito mi è passato di mente.
Il Generale. Quanto è vero Iddio è scappato per la seconda volta. Ha
saputo dominarsi. Però non ha saputo resistere. Ah, Dio mio!